I CANTICI DELLE ASCENSIONI: CAMMINO VERSO LA LIBERTÀ.

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I CANTICI DELLE ASCENSIONI: CAMMINO VERSO LA LIBERTÀ.

(nello studio sono proposti alcuni Salmi, ho scelto l’ultimo, il 126)

I cantici delle ascensioni, Sal 120-134, costituiscono la preghiera per il pellegrinaggio che i pii Israeliti facevano alla Città Santa, Gerusalemme (cf. Sal 84,7; Is 30,29). Questi salmi sono chiamati: “Cantici delle ascensioni”, perché suppongono, e supportano spiritualmente, la salita al colle di Sion (altura a 800 m. sul livello del mare). Essi sono conosciuti anche come “salmi graduali”, essendo 15, come i gradini d’accesso al Tempio di Gerusalemme.
I cantici delle ascensioni possono essere pregati e meditati “in continuità”, come itinerario verso la libertà; un “Esodo” voluto e guidato da Dio, come quello che vissero gli Ebrei, quando uscirono dalla schiavitù dell’Egitto, per entrare, dopo quarant’anni, come Popolo libero, nella Terra loro promessa dal Dio dell’alleanza.
Ed ecco le tappe principali dell’itinerario:
Sal 120, punto di partenza: il salmista vive «come straniero» e «schiavo di una lingua ingannatrice».
Sal 133, punto d’arrivo: «Fratelli che vivono insieme», ai quali il Signore concede «vita e benedizione».
Sal 134, il dopo: la capacità di «benedire il Signore» anche «durante le “notti”».
I cantici delle ascensioni sono brevi ma intense composizioni poetiche, spesso in forma dialogata. L’intervento a più voci (pellegrini, leviti, sacerdoti), esprime meglio la gioia e la fatica di un cammino personale e comunitario, che è metafora della vita.
L’ascesa verso la meta agognata, rimanda all’ASCESI necessaria per essere capaci di contemplare il Volto di Dio (cf. Sal 15). Senza purificazione, infatti, non è possibile il dono dell’esperienza mistica.
Questi salmi sono stati il veicolo di trasmissione della vera dottrina d’Israele. Essi, in forma poetica e didattica, esprimono quello che potremmo chiamare: il catechismo essenziale della teologia jahvistica.
La tradizione cristiana ha letto i Salmi graduali in chiave morale ed escatologica. A questo proposito, basti citare AGOSTINO: «Questi cantici insegnano una cosa sola, fratelli miei: a salire. Ma a salire col cuore, con sentimenti buoni, nella fede, speranza e carità, nel desiderio dell’eternità e della vita che non avrà fine. È così che si sale».
Perciò, il medesimo Vescovo d’Ippona, che gustava e viveva il senso profondo dei “Salmi delle ascensioni”, diceva di essi: «È la voce di chi sale e canta: canta il suo amore filiale per la Gerusalemme celeste. Verso questa sospiriamo, mentre continuiamo a salire; in lei ci allieteremo, al termine del nostro cammino!… Non contare sui tuoi piedi per salire e non temere che siano i tuoi piedi a farti allontanare: se ami Dio, sali; se ami il secolo presente, cadi. Quindi questi salmi graduali sono dei cantici d’amore e sono animati da un santo desiderio».
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Gioia e lacrime
E tu, Signore, per questa gioia degli umili, gioia divina da impazzire, continua ad intervenire:
sarà anche per te la gioia più grande e umana! Troppi popoli poveri ancora seminano nel pianto,
senza neppure il diritto di raccogliere il frumento maturato con l’acqua delle loro lacrime.
(DAVID M. TUROLDO).

Salmo 126
Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si aprì al sorriso,
la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.

Allora si diceva tra i popoli:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi,
ci ha colmati di gioia.

Riconduci, Signore, i nostri prigionieri,
come i torrenti del Negheb.

Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo.
Nell’andare, se ne va e piange,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo,
portando i suoi covoni.

Gloria a te, Padre, Dio d’ogni consolazione.
Lode a te Figlio, per il tuo mistero pasquale.
Onore a te, Spirito, che sei il nostro Consolatore. Amen.

Preghiera salmica di Padre David M. Turoldo
Padre, Dio della libertà, sola nostra libertà possibile,
ti chiediamo che in te si inverino tutte le lotte di liberazione degli oppressi sulla terra,
e la Chiesa, la tua Chiesa, sia il paese dell’umanità libera e pacificata. Amen.

Il Sal 126 si rifà all’esperienza (idealizzata) di coloro che ritornarono a Gerusalemme, dopo la dura esperienza dell’esilio babilonese. Il rimando alla gioia inaspettata del “secondo Esodo” avrebbe dovuto aiutare i delusi del ritorno, quelli di cui parlano i libri di Esdra e Neemia (cf. Ne 6; 19; Esd 4-7), a superare la reazione del primo impatto provocato dalla realtà povera e banale di Gerusalemme, che avevano davanti agli occhi, ogni giorno. Solo così avrebbero potuto dare ancora credito a Dio e ai suoi Profeti. Jhwh si rivela come il Dio d’Israele, in ciò che fa per il suo Popolo (cf. Is 41,18-20). È quanto riconosceranno anche i pagani (cf. Ez 39,23-25).
Il Salmo si trova tra i Cantici delle ascensioni, quasi a trasformare ogni pellegrinaggio – e perciò ogni esistenza umana di cui questo è figura – in un nuovo Esodo. Il componimento acquista, perciò, anche una dimensione sapienziale, diventa parametro di comportamento. Bisogna sempre accettare di «seminare tra le lacrime», se vogliamo «raccogliere nella gioia». L’ascesi è necessaria ad ogni impegno che voglia essere serio e duraturo.
Come nella vita, anche nel componimento poetico, pianto e gioia non hanno soltanto un’alternanza temporale, ma spesso anche causale. Ciò è affermato da Gesù, con la metafora del chicco di grano (Gv 12,24-25) e della donna partoriente (Gv 16,21).

Su questa terra la gioia, però, non è mai definitiva. Per questo il Sal 126, dopo aver espresso l’esultanza per una salvezza insperata, si fa supplica e intercessione, perché gli altri, che sono ancora “prigionieri”, possano anche loro, partecipare della grazia della consolazione. Così anche loro saranno oggetto della beatitudine di coloro «che piangono e saranno consolati» (Mt 5,5). E vedranno realizzata la promessa che Gesù fece ai discepoli rattristati per la sua imminente morte: «Voi piangerete, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia» (Gv 16,20).
Come il ritorno da Babilonia fu dono insperato, fatto gratuitamente da Dio, così sarà la liberazione che si chiede per coloro che sono rimasti in esilio. Sarà un’irruzione di grazia, straripante come i torrenti del Negheb, che d’inverno si riempiono bruscamente e rendono fertile l’arida regione che attraversano. Tanto può il Signore, Dio d’Israele.
Mi piace terminare citando un brano della lettura spirituale del Sal 126, fatta da GIOVANNI CRISOSTOMO: «Per la messe materiale, come per quella spirituale, sono necessarie fatiche e sudori; è per questo che Dio rende stretta e angusta la via che conduce alla virtù (cf. Mt 7,14). E come l’acqua è necessaria per far crescere la messe, così le lacrime servono alla virtù; come l’aratro è necessario per la terra, così giovano all’anima fedele le tentazioni e le afflizioni che la lacerano. Il profeta quindi vuol dire che dobbiamo ringraziare Dio non solo per il ritorno ma anche per la prigionia. E come il seminatore non si rattrista ma pensa alla messe futura, quando siamo nell’afflizione non tormentiamoci ma pensiamo che ciò ci procurerà un gran bene».
Ricordo, infine, quanto dice TEODORETO: “Ciò che accade per la semina e la messe, avviene per la preghiera”.

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