RITORNO A DIO
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RITORNO A DIO
Giulio Bevilacqua *
Padre Bevilacqua, il «parroco-cardinale» nacque nel Veronese nel 1881. Si laureò a Lovanio con una tesi di carattere sociologico. Filippino nel 1906 e sacerdote due anni dopo, fu pensatore, scrittore e predicatore profondo e apprezzatissimo. Parroco in tempo di pace e cappellano durante la guerra, può veramente essere chiamato un «umanista cristiano» nel senso più pieno dell’espressione. Quando, a 84 anni, fu fatto cardinale e accettò questa dignità a patto di poter rimanere semplice parroco di periferia, si comprese che era uno degli uomini delle nuove frontiere della Chiesa, che davvero aveva saputo mantenersi sempre giovane. Morì povero fra i poveri il 6 maggio 1965, concludendo la sua splendida testimonianza di vita evangelica.
Tutta la creazione deve percorrere un immenso ciclo che parte da Dio e torna a Dio. In senso infinitesimale e analogico, ogni creatura umile e sovrana può ripetere la parola di Gesù: Uscii dal Padre, e venni al mondo: abbandono di nuovo il mondo e torno al Padre (Gv. 16, 28). La vita totale non è che questo immenso pellegrinaggio di stelle e di atomi, di spiriti e di corpi che, partiti da Dio, tornano a vivere o a morire, ai piedi o sul cuore di Dio. Ma nel cammino l’uomo si è improvvisamente arrestato. Per gelosia, per orgoglio. La grandezza da cui l’uomo usciva gli sembrava schiacciante. Per fame e sete di esperienze nuove, il sentiero incerto gli parve più dolce del grande cammino. L’uomo nel moto universale delle creature sentì allargarsi i confini del proprio io, sentì vicina la realizzazione del miraggio: sarai come Dio! Diffidente di fronte al comando di Dio, fu credulo alle promesse di tutte le insufficienze moltiplicate che gli garantivano paradisi terrestri tra i corpi e le cose. Corridore distratto, dimenticò che la gloria è all’ultima tappa e si familiarizzò con le tappe intermedie. Allora venne l’espiazione per ricordare all’uomo che ogni precetto di Dio è sotto pena di morte perché ogni precetto di Dio è legge di vita. Ogni ora portò all’uomo un tormento, ogni sforzo una delusione, ogni stagione una decadenza, ogni promessa una smentita. Come il soldato e che per viltà tronca la marcia e si distende sul ciglio della via, l’uomo, dopo la prima ebbrezza, si sentì solo… Prima della sosta, il cammino di andata-ritorno da Dio a Dio era dolce e luminoso come il cammino degli astri e lo svolgersi delle stagioni. Dopo l’arresto non è più così; la ripresa della marcia, nell’ordine universale, suppone un cumulo di energie, di capacità eccedenti ogni disponibilità umana. D’altra parte il ponte era spezzato tra l’uomo e Dio. L’uomo, in piena luce aveva rifiutato a Dio la dignità di bene unico e sovrano. Questo bene infinito e calpestato esigeva una riparazione di un valore infinito. Il Cristo poteva rappresentare in pieno questa umanità ribelle; ed il suo gesto di dolore e di amore sterminato, partendo dalla sua personalità divina, poteva riallacciare l’umanità a Dio… Così la pietà divina diede il Figlio per redimere il mondo. Il Signore della gioia si fece l’uomo del dolore ed assunse sopra di sé la gigantesca fatica di ricondurre l’uomo al suo Dio, attraversando un oceano di sofferenze dovute a noi dalla logica pesante e serrata della colpa come dalla logica alta e profonda della giustizia.
* L’uomo che conosce il soffrire – Ed. Studium; Roma 1940 pp. 57-59.

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