LUCA 21,25-28.34-36

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BRANO BIBLICO SCELTO

LUCA 21,25-28.34-36                        

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27 Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. 28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. 34 State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; 35 come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro cline abitano sulla faccia di tutta la terra. 36 Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo.   COMMENTO Luca 21,25-28.34-36 La venuta del Figlio dell’uomo //Mt 24,29-51 // Mc 13,24-37) Al termine della sezione riguardante il ministero di Gesù a Gerusalemme Luca riporta, al seguito di Marco, il discorso escatologico di Gesù (Lc 21,5-38). Nella composizione lucana si descrivono, dopo l’introduzione (vv. 5-7), i segni premonitori (vv. 8-11), le persecuzioni future (vv. 12-19), la distruzione di Gerusalemme (vv. 20-24), la venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-28); a conclusione viene riportata la similitudine del fico (vv. 29-33) e un invito alla vigilanza (vv. 34-36). La liturgia popone i due brani riguardanti rispettivamente la venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-28) e la vigilanza (vv. 34-36). La venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-28) Luca riporta la predizione di una serie impressionante di segni che precedono la venuta del Figlio dell’uomo: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte» (vv. 25-26). Questi segni sono anzitutto di carattere cosmico e sono in parte paralleli a quelli che precedono la caduta di Gerusalemme (cfr. vv. 10-11). Gesù dice che avranno luogo nel sole, nella luna e nelle stelle, senza specificare, come fa in Marco, in che cosa consisteranno. Con essi vanno di pari passo fenomeni terrestri, che consistono in un terribile sconvolgimento del mare e dei flutti (cfr. le immagini del Sal 65,8) che genererà angoscia e ansia in tutte le nazioni (v. 25b). Gli sconvolgimenti del cielo faranno presagire lo scatenarsi di qualcosa di terribile, provocando in tutti gli uomini un terrore tale da farli «morire» (apopsychô, venir meno, spirare). Rispetto a Marco (cfr. Mc 13,24-27) Luca in questo testo separa più nettamente i segni che precedono immediatamente la venuta del Figlio dell’uomo dai precedenti sconvolgimenti, che identifica espressamente con gli eventi che hanno accompagnato la caduta di Gerusalemme, considerata come una punizione di Dio per il rifiuto del Messia (cfr. Lc 21,20-24). Inoltre pone l’evento finale della storia dopo il tempo dei gentili che fa seguito a quello di Israele (cfr. Lc 21,24), facendo così comprendere che la caduta di Gerusalemme segna l’inizio di un tempo nuovo in cui il vangelo, rifiutato dai giudei, sarà annunziato a tutte le nazioni. I segni premonitori lasciano subito il posto all’evento escatologico: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande» (v. 27). Questo evento viene descritto in riferimento a Dn 7,13, quasi con le stesse parole di Marco. Nella frase successiva però Luca si distacca dalla sua fonte in quanto, invece di accennare al raduno escatologico degli eletti (Mc 13,27), riporta un’esortazione ai suoi lettori: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28). Le cose che cominceranno ad accadere sono i segni cosmici che precedono immediatamente la venuta del Figlio dell’uomo; vedendole i discepoli dovranno cambiare completamente il loro atteggiamento: dopo essere stati oppressi dal peso terribile delle persecuzioni che avevano fatto loro piegare le spalle e chinare la testa (si veda questa immagine in Lc 24,5), essi dovranno ora mettersi dritti e alzare la testa perché si avvicina la loro redenzione. Per i seguaci di Cristo gli sconvolgimenti che precederanno la venuta del personaggio celeste non dovranno essere causa di terrore, ma di speranza, perché preludono a un evento che segnerà il loro trionfo. La «liberazione» (apolytrôsis, redenzione) che essi allora otterranno consisterà nel pieno adempimento delle promesse fatte da Dio al suo popolo (cfr. Es 6,6; Is 63,4).

L’appello alla vigilanza (vv. 34-36) Dopo aver preannunziato la venuta finale del Figlio dell’uomo, presentandola come un evento di liberazione, Luca riporta l’appello alla vigilanza. Egli lo fa precedere dalla parabola marciana del fico (Lc 21,29-33; cfr. Mc 13,28-31), che consiste in un appello a saper riconoscere i segni dei tempi. Egli riporta anche i due detti che Marco inserisce dopo la parabola: il primo è un detto arcaico che, contrariamente alla prospettiva lucana, sembra situare gli eventi finali nell’arco di tempo della presente generazione (v. 32; cfr. Mc 13,30); nel secondo si dice che, mentre cielo e terra passeranno, le parole di Gesù, che annunziano la fine e i segni che la precedono, non passeranno (v. 31; cfr. Mc 13,31): secondo Mt 5,18 e Lc 16,17 sarà invece la legge, portata a compimento da Gesù, che non passerà. Infine Luca, alla luce di una cristologia più evoluta, omette il detto marciano in cui si dice che neppure il Figlio conosce il tempo in cui si attueranno gli eventi finali (Mc 13,32). Nell’esortazione alla vigilanza, riportata subito dopo, Luca si allontana dal testo marciano, che egli stesso aveva già utilizzato precedentemente (cfr. Lc 12,35-46). Egli riporta così le parole di Gesù: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra». (vv. 34-35). La convinzione secondo cui la fine del mondo non è vicina porta Luca ad accentuare la necessità che, nel prolungarsi dell’attesa, i discepoli di Gesù non si lascino sopraffare da dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita: sono queste le espressioni stereotipate per indicare la corruzione dei costumi (cfr. Lc 12,45); egli insiste che, se i cristiani non saranno vigilanti, anche per loro il giorno della fine sopravverrà improvvisamente come su tutti gli abitanti della terra. Diversamente da Marco, che termina il discorso con l’invito alla vigilanza, e da Matteo, che richiama l’idea del giudizio (cfr. Mt 25,31-46) Luca conclude il discorso con un invito alla preghiera «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (v. 36). I discepoli non solo devono essere svegli, ma devono anche pregare «in ogni tempo» (en panti kairôi): solo così sarà loro possibile sottrarsi alla catastrofe che sta per accadere nell’imminenza della venuta del Figlio dell’uomo, cioè passeranno indenni attraverso le tribolazioni degli ultimi tempi, e compariranno prontamente dinnanzi a lui. La preghiera, spesso inculcata da Luca, è presentata qui come l’antidoto per evitare il rilassamento dei costumi connesso con il ritardo della parusia: proprio il prolungarsi dell’attesa fa capire ai cristiani che la preghiera deve essere incessante (cfr. 1Ts 5,17).

Linee interpretative Nella sua versione del discorso escatologico di Gesù Luca fa emergere la convinzione secondo cui il ritorno del Signore è certo, ma non così imminente come si era originariamente pensato. In questo testo egli comunica la sua interpretazione dell’escatologia cristiana, stabilendo una più netta distinzione tra i detti riguardanti la distruzione della città santa e quelli che si riferiscono alla venuta del Figlio dell’uomo. Tra questi due eventi si situa il tempo delle nazioni, cioè un nuovo periodo storico nel quale la salvezza, già attuata da Cristo, viene messa a disposizione di tutta l’umanità. Nel nuovo periodo della storia umana il vangelo deve penetrare nelle persone e nelle culture, abbattendo tutte le barriere che separano tra di loro non solo giudei e gentili, ma anche le diverse nazioni, razze, strati sociali e religioni. Luca inoltre presenta più espressamente la venuta finale del Figlio dell’uomo non come un momento di giudizio, ma come il tempo in cui si attuerà la salvezza piena e definitiva dei credenti in Cristo. Di fronte agli sconvolgimenti paurosi che precederanno la fine, mentre i non credenti saranno distrutti da angoscia e spavento, i cristiani avranno una piena sicurezza, perché si renderanno conto che la loro liberazione è vicina. Nella prospettiva teologica di Luca l’attesa del tempo finale della storia, pur mantenendo la formulazione che aveva nelle tradizioni della prima comunità cristiana, passa decisamente in secondo piano. Ciò che è importante per lui non è più il ritorno finale di Gesù, ma la sua venuta costante nella vita della chiesa e del mondo. Non per nulla i segni che precedono l’apparizione del Figlio dell’uomo (cfr. vv. 25-26) sono gli stessi che caratterizzano la storia della chiesa nel mondo (vv. 10-11). Tutte le tragedie dell’umanità, non solo quelle che accadranno negli ultimi tempi, devono essere vissute dai credenti non come causa di angoscia, ma come un richiamo alla speranza di un mondo migliore per cui lottare e sacrificarsi. In questo modo l’attesa della fine perde gran parte del suo rilievo e diventa una semplice immagine di cui l’evangelista si serve per delimitare il tempo presente e per mostrare che esso, nonostante tutti gli sconvolgimenti che lo agitano, continua ad essere guidato da Dio verso un fine di salvezza. Infine Luca fa consistere la vigilanza a cui i credenti sono chiamati in un atteggiamento costante di preghiera. Per lui la preghiera è veramente il segno caratteristico della presenza cristiana nel mondo. Certamente la preghiera non si sostituisce all’azione volta a rendere presente il vangelo nel mondo mediante la testimonianza esplicita e l’impegno per opporsi alla corruzione dilagante. Tuttavia essa rappresenta l’atteggiamento fondamentale del credente il quale, ponendosi ogni momento di fronte al suo Signore, trova in lui la luce e la forza per attuare nella storia il suo progetto di salvezza.

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