Archive pour le 27 novembre, 2015

Genealogy, Tree, Arbre

Genealogy, Tree, Arbre dans immagini sacre 13%20FRENCH%20MASTER%20TREE%20OF%20JESSE

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Publié dans:immagini sacre |on 27 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

LUCA 21,25-28.34-36

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BRANO BIBLICO SCELTO

LUCA 21,25-28.34-36                        

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27 Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. 28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. 34 State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; 35 come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro cline abitano sulla faccia di tutta la terra. 36 Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo.   COMMENTO Luca 21,25-28.34-36 La venuta del Figlio dell’uomo //Mt 24,29-51 // Mc 13,24-37) Al termine della sezione riguardante il ministero di Gesù a Gerusalemme Luca riporta, al seguito di Marco, il discorso escatologico di Gesù (Lc 21,5-38). Nella composizione lucana si descrivono, dopo l’introduzione (vv. 5-7), i segni premonitori (vv. 8-11), le persecuzioni future (vv. 12-19), la distruzione di Gerusalemme (vv. 20-24), la venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-28); a conclusione viene riportata la similitudine del fico (vv. 29-33) e un invito alla vigilanza (vv. 34-36). La liturgia popone i due brani riguardanti rispettivamente la venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-28) e la vigilanza (vv. 34-36). La venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-28) Luca riporta la predizione di una serie impressionante di segni che precedono la venuta del Figlio dell’uomo: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte» (vv. 25-26). Questi segni sono anzitutto di carattere cosmico e sono in parte paralleli a quelli che precedono la caduta di Gerusalemme (cfr. vv. 10-11). Gesù dice che avranno luogo nel sole, nella luna e nelle stelle, senza specificare, come fa in Marco, in che cosa consisteranno. Con essi vanno di pari passo fenomeni terrestri, che consistono in un terribile sconvolgimento del mare e dei flutti (cfr. le immagini del Sal 65,8) che genererà angoscia e ansia in tutte le nazioni (v. 25b). Gli sconvolgimenti del cielo faranno presagire lo scatenarsi di qualcosa di terribile, provocando in tutti gli uomini un terrore tale da farli «morire» (apopsychô, venir meno, spirare). Rispetto a Marco (cfr. Mc 13,24-27) Luca in questo testo separa più nettamente i segni che precedono immediatamente la venuta del Figlio dell’uomo dai precedenti sconvolgimenti, che identifica espressamente con gli eventi che hanno accompagnato la caduta di Gerusalemme, considerata come una punizione di Dio per il rifiuto del Messia (cfr. Lc 21,20-24). Inoltre pone l’evento finale della storia dopo il tempo dei gentili che fa seguito a quello di Israele (cfr. Lc 21,24), facendo così comprendere che la caduta di Gerusalemme segna l’inizio di un tempo nuovo in cui il vangelo, rifiutato dai giudei, sarà annunziato a tutte le nazioni. I segni premonitori lasciano subito il posto all’evento escatologico: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande» (v. 27). Questo evento viene descritto in riferimento a Dn 7,13, quasi con le stesse parole di Marco. Nella frase successiva però Luca si distacca dalla sua fonte in quanto, invece di accennare al raduno escatologico degli eletti (Mc 13,27), riporta un’esortazione ai suoi lettori: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28). Le cose che cominceranno ad accadere sono i segni cosmici che precedono immediatamente la venuta del Figlio dell’uomo; vedendole i discepoli dovranno cambiare completamente il loro atteggiamento: dopo essere stati oppressi dal peso terribile delle persecuzioni che avevano fatto loro piegare le spalle e chinare la testa (si veda questa immagine in Lc 24,5), essi dovranno ora mettersi dritti e alzare la testa perché si avvicina la loro redenzione. Per i seguaci di Cristo gli sconvolgimenti che precederanno la venuta del personaggio celeste non dovranno essere causa di terrore, ma di speranza, perché preludono a un evento che segnerà il loro trionfo. La «liberazione» (apolytrôsis, redenzione) che essi allora otterranno consisterà nel pieno adempimento delle promesse fatte da Dio al suo popolo (cfr. Es 6,6; Is 63,4).

L’appello alla vigilanza (vv. 34-36) Dopo aver preannunziato la venuta finale del Figlio dell’uomo, presentandola come un evento di liberazione, Luca riporta l’appello alla vigilanza. Egli lo fa precedere dalla parabola marciana del fico (Lc 21,29-33; cfr. Mc 13,28-31), che consiste in un appello a saper riconoscere i segni dei tempi. Egli riporta anche i due detti che Marco inserisce dopo la parabola: il primo è un detto arcaico che, contrariamente alla prospettiva lucana, sembra situare gli eventi finali nell’arco di tempo della presente generazione (v. 32; cfr. Mc 13,30); nel secondo si dice che, mentre cielo e terra passeranno, le parole di Gesù, che annunziano la fine e i segni che la precedono, non passeranno (v. 31; cfr. Mc 13,31): secondo Mt 5,18 e Lc 16,17 sarà invece la legge, portata a compimento da Gesù, che non passerà. Infine Luca, alla luce di una cristologia più evoluta, omette il detto marciano in cui si dice che neppure il Figlio conosce il tempo in cui si attueranno gli eventi finali (Mc 13,32). Nell’esortazione alla vigilanza, riportata subito dopo, Luca si allontana dal testo marciano, che egli stesso aveva già utilizzato precedentemente (cfr. Lc 12,35-46). Egli riporta così le parole di Gesù: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra». (vv. 34-35). La convinzione secondo cui la fine del mondo non è vicina porta Luca ad accentuare la necessità che, nel prolungarsi dell’attesa, i discepoli di Gesù non si lascino sopraffare da dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita: sono queste le espressioni stereotipate per indicare la corruzione dei costumi (cfr. Lc 12,45); egli insiste che, se i cristiani non saranno vigilanti, anche per loro il giorno della fine sopravverrà improvvisamente come su tutti gli abitanti della terra. Diversamente da Marco, che termina il discorso con l’invito alla vigilanza, e da Matteo, che richiama l’idea del giudizio (cfr. Mt 25,31-46) Luca conclude il discorso con un invito alla preghiera «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (v. 36). I discepoli non solo devono essere svegli, ma devono anche pregare «in ogni tempo» (en panti kairôi): solo così sarà loro possibile sottrarsi alla catastrofe che sta per accadere nell’imminenza della venuta del Figlio dell’uomo, cioè passeranno indenni attraverso le tribolazioni degli ultimi tempi, e compariranno prontamente dinnanzi a lui. La preghiera, spesso inculcata da Luca, è presentata qui come l’antidoto per evitare il rilassamento dei costumi connesso con il ritardo della parusia: proprio il prolungarsi dell’attesa fa capire ai cristiani che la preghiera deve essere incessante (cfr. 1Ts 5,17).

Linee interpretative Nella sua versione del discorso escatologico di Gesù Luca fa emergere la convinzione secondo cui il ritorno del Signore è certo, ma non così imminente come si era originariamente pensato. In questo testo egli comunica la sua interpretazione dell’escatologia cristiana, stabilendo una più netta distinzione tra i detti riguardanti la distruzione della città santa e quelli che si riferiscono alla venuta del Figlio dell’uomo. Tra questi due eventi si situa il tempo delle nazioni, cioè un nuovo periodo storico nel quale la salvezza, già attuata da Cristo, viene messa a disposizione di tutta l’umanità. Nel nuovo periodo della storia umana il vangelo deve penetrare nelle persone e nelle culture, abbattendo tutte le barriere che separano tra di loro non solo giudei e gentili, ma anche le diverse nazioni, razze, strati sociali e religioni. Luca inoltre presenta più espressamente la venuta finale del Figlio dell’uomo non come un momento di giudizio, ma come il tempo in cui si attuerà la salvezza piena e definitiva dei credenti in Cristo. Di fronte agli sconvolgimenti paurosi che precederanno la fine, mentre i non credenti saranno distrutti da angoscia e spavento, i cristiani avranno una piena sicurezza, perché si renderanno conto che la loro liberazione è vicina. Nella prospettiva teologica di Luca l’attesa del tempo finale della storia, pur mantenendo la formulazione che aveva nelle tradizioni della prima comunità cristiana, passa decisamente in secondo piano. Ciò che è importante per lui non è più il ritorno finale di Gesù, ma la sua venuta costante nella vita della chiesa e del mondo. Non per nulla i segni che precedono l’apparizione del Figlio dell’uomo (cfr. vv. 25-26) sono gli stessi che caratterizzano la storia della chiesa nel mondo (vv. 10-11). Tutte le tragedie dell’umanità, non solo quelle che accadranno negli ultimi tempi, devono essere vissute dai credenti non come causa di angoscia, ma come un richiamo alla speranza di un mondo migliore per cui lottare e sacrificarsi. In questo modo l’attesa della fine perde gran parte del suo rilievo e diventa una semplice immagine di cui l’evangelista si serve per delimitare il tempo presente e per mostrare che esso, nonostante tutti gli sconvolgimenti che lo agitano, continua ad essere guidato da Dio verso un fine di salvezza. Infine Luca fa consistere la vigilanza a cui i credenti sono chiamati in un atteggiamento costante di preghiera. Per lui la preghiera è veramente il segno caratteristico della presenza cristiana nel mondo. Certamente la preghiera non si sostituisce all’azione volta a rendere presente il vangelo nel mondo mediante la testimonianza esplicita e l’impegno per opporsi alla corruzione dilagante. Tuttavia essa rappresenta l’atteggiamento fondamentale del credente il quale, ponendosi ogni momento di fronte al suo Signore, trova in lui la luce e la forza per attuare nella storia il suo progetto di salvezza.

29 NOVEMBRE 2015 | 1A DOMENICA DI AVVENTO – ANNO C | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/2016/01-Avvento_C/Omelie-2015/1a-Domenica/13-01a-Domenica-C_2015-UD.htm

29 NOVEMBRE 2015 | 1A DOMENICA DI AVVENTO – ANNO C | OMELIA

Per cominciare Oggi incomincia l’Avvento, periodo forte dell’anno liturgico, che viviamo nell’attesa di un ritorno. Ci prepariamo a incontrare colui nel quale per secoli gli uomini hanno riposto le loro speranze di salvezza, di giustizia e di pace.

La parola di Dio Geremia 33,14-16. Chiamato sin da giovane alla profezia, Geremia dice parole di speranza, nonostante la tragedia della deportazione del popolo e la distruzione di Gerusalemme. Dalla discendenza di Davide il Signore farà sorgere un germoglio giusto, che rinnoverà la fedeltà e garantirà un futuro al popolo dell’alleanza. 1 Tessalonicesi 3,12-4,2. Ai cristiani di Tessalonica, che attendono come imminente il ritorno di Cristo, Paolo dice di prepararsi a questa venuta crescendo nell’amore, e seguendo una regola di vita che si ispira alle parole del Signore Gesù. Luca 21,25-28.34-36. Le parole del vangelo hanno un andamento apocalittico. Ma Gesù assicura che proprio in questo contesto avverrà la liberazione. L’importante è vegliare e attendere quei giorni di prova a occhi aperti, evitando lo squallore di una vita dissipata e viziosa.

Riflettere Viviamo in tempi di immagini. « Un’immagine vale più di mille discorsi », si dice. E un pubblicitario osserva: « Un’immagine deve essere più concreta di una pietra, più viva di un serpente ». Le immagini della liturgia di questa prima domenica di Avvento sono così. La prima immagine è bellissima. Geremia riprende un passo di Isaia: « Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse un virgulto germoglierà dalle sue radici » (Is 11,1). Il germoglio è segno di vita, di vita nuova, simbolo di speranza, attesa di novità, promessa di frutti e di felicità. Chi ha coltivato piante, gettato semi, chi ha messo un po’ di speranza in qualcosa di bello e di giusto, capisce quanta attesa e quanta gioia vi è dentro questo messaggio. In questo germoglio c’è tutta la speranza del popolo d’Israele, un popolo in esilio che vive sempre nell’attesa dei trionfi definitivi. Un’attesa di giustizia che è di tutti popoli, di tutta la terra anche oggi: nella nostra società italiana, nelle nazioni in guerra, tra i popoli oppressi dall’ingiustizia della povertà e dall’indifferenza delle nazioni potenti del mondo. La seconda immagine è quella della strada. C’è un cammino da compiere. « Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri », ci fa cantare il salmo responsoriale. Si tratta di una strada diritta, giusta, da fare. Ai cristiani di Tessalonica, che attendono come imminente il ritorno di Gesù (seconda lettura), Paolo indica qual è questa strada: è la strada dell’amore, fare le opere che piacciono a Dio, perseverare in questo cammino. Il vangelo ci porta invece al significato profondo e pieno di questo Avvento che incominciamo oggi. Iniziamo infatti un nuovo anno liturgico. La costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, al n. 102, afferma: « Nel giro di un anno la chiesa svolge il mistero totale di Cristo, cominciando dall’Incarnazione e dalla nascita sino all’Ascensione, alla Pentecoste e all’attesa della beata speranza del ritorno del Signore (la parola latina usata è Adventus) ». L’Avvento richiama la memoria dell’incarnazione, l’inizio di un tempo nuovo, ma insieme i tempi ultimi, escatologici, la fine della storia. Noi un po’ tutti pensiamo generalmente che le quattro settimane di Avvento ci preparino semplicemente al Natale, e ci mettiamo nello stato d’animo dei patriarchi e dei profeti dell’antico testamento che attendevano il messia. Ma quest’idea potrebbe anche portarci un po’ fuori, perché noi cristiani oggi non dovremmo aspettare il messia come se non fosse già venuto. La venuta che aspettiamo ancora è in realtà la « seconda » venuta, il ritorno di Cristo alla fine dei tempi. Questa è ormai la situazione di vita della comunità cristiana. Dice san Bernardo: « Non meditate solo sulla prima venuta del Signore, quando egli entrò nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto, ma anche sulla seconda, quando ritornerà per unirci a sé per sempre. Fate oggetto di contemplazione la doppia visita del Cristo, riflettendo su quanto ci ha donato nella prima e su quanto ci ha promesso per la seconda ». In realtà nell’Avvento che celebriamo oggi i cristiani lungo i secoli hanno fuso due tradizioni. Soprattutto gli antichi monaci predicarono l’Avvento invitando i cristiani ad attendere la seconda venuta di Gesù giudice alla fine dei tempi, e a prepararsi a questo incontro nella conversione e nella penitenza. Mentre altrove, a Roma in particolare, dove si introdusse il 25 dicembre come festività della nascita di Gesù in sostituzione della festività pagana del Natalis Solis Invicti (la nascita del Sole invitto), l’Avvento fu visto come preparazione al Natale. Ma in seguito anche fuori Roma l’Avvento fu visto così, basti pensare al presepe di san Francesco; e la comunità cristiana si servì del tempo di Avvento per rivivere l’incarnazione di Gesù, facendolo rinascere nella vita dei cristiani e nella comunità. In pratica nella liturgia i due significati si fondono bene. Il primo significato, quello escatologico, è prevalente nelle prime tre domeniche, in cui dominano gli aspetti escatologici (abbiamo già sentito il vangelo odierno); e nelle prossime due domeniche si parlerà della predicazione di Giovanni Battista, che prepara a incontrare Cristo giudice. Dal 17 dicembre in poi invece diventa prevalente il significato dell’attesa dell’Incarnazione; e nella quarta domenica si leggerà un vangelo dell’infanzia di Gesù. Quest’anno ci viene proposta la Visitazione. C’e allora un cammino da compiere, c’è un germoglio che dobbiamo far crescere in noi e che ci porterà a incontrare il « Figlio dell’uomo », mentre ci impegniamo a vivere non distratti, né con i cuori appesantiti e occupati altrove, ma illuminati dalla luce del giorno: nella vigilanza e nella operosità.

Attualizzare Davanti a noi ci sono quattro settimane intense: l’Avvento è un periodo forte dell’anno liturgico. Ma in un crescendo ormai scontato, il Natale si presenta oggi nei suoi significati più superficiali e consumistici. È sempre più difficile sottrarsi a questa invasione di luci e di panettoni. Ma la liturgia, specie nelle prime tre settimane, manda severi messaggi che fanno riferimento agli ultimi tempi. L’ambiente in cui viviamo è una sfida alla fede. Si vive, si corre, si va, ma verso dove? C’è tanta agitazione fuori e dentro di noi. La chiesa ci offre questo mese per fare una specie di lungo ritiro spirituale per riflettere sulla nostra vita. Ci invita a fuggire la tentazione di stordirsi nel presente: mangiare, bere, distrarsi, non pensare. Il vangelo ci parla di attesa, di vigilanza. Sono parole ormai perdute o per noi hanno ancora un significato? In realtà non attendiamo più nulla, siamo sazi, abbiamo tutto. Anche di fronte a un regalo, è difficile cogliere un altro di sorpresa e dargli qualcosa di inaspettato e gradito. Altri atteggiamenti negativi nascono dallo scetticismo: sono l’insoddisfazione per il presente, addirittura per la stessa condizione umana, per tutto ciò che ogni giorno genera disgusto e fastidio. L’incertezza del futuro ci rende dubbiosi sulla possibilità di cambiare le cose, sull’utilità del nostro impegno e della nostra lotta. Il gusto del catastrofismo nei romanzi e nel cinema fa pensare a una conclusione della storia drammatica e senza esito positivo. Quali sono dunque i nostri atteggiamenti? Prevalgono la rassegnazione e lo scoraggiamento, la paura di fronte al nuovo, oppure l’attesa vigilante e piena di speranza, destinata a incontrare la figura consolante del Figlio dell’uomo? La parola di Dio ci invita a questo: alzatevi, vigilate, pregate, comportatevi come chi è alla vigilia della liberazione e l’attende con ansia; come chi attende l’amico più caro, la persona che ama in modo speciale. « Quando mi sveglio al mattino, ho due possibilità: essere schiacciato dagli affanni della giornata o scaricare di affanni sul Signore, buttandomi fra le sue braccia, trovando un senso in tutto » (Domenico Machetta). Il Natale ci trovi un po’ più nuovi, operosi nella speranza. Una bambina, che imparava un canto da eseguire a Natale, diceva: « Gesù, non ascoltarlo ancora, perché te lo canterò bene a Natale! ». Prepariamoci anche noi ogni giorno un poco, costruiamo qualcosa che ci faccia arrivare alla fine del nostro cammino d’Avvento un po’ diversi: qualche minuto dedicato alla preghiera e alla lettura della parola di Dio, qualche gesto di amore e di carità vissuto con più costanza e consapevolezza. L’incarnazione, come del resto il ritorno del Figlio dell’uomo, ci mettono in ogni caso di fronte a qualcosa di sorprendentemente nuovo. Per questo la chiesa ci invita a vivere a occhi aperti il nostro tempo, a non dormire, a purificare il nostro cuore, riempiendo di operosità i nostri giorni. Più del solito quotidiano, anche solo a livello di simbolo, per non sentirci schiacciati dalla nostra abituale mediocrità.

Rinnovarci e renderci rigogliosi « Il tempo dell’Avvento è come il tempo di primavera nella natura, quando ogni cosa si rinnova ed è così fresca e rigogliosa. L’Avvento dovrebbe compiere questo in noi… Rinnovarci e renderci rigogliosi, capaci di ricevere Cristo in qualunque forma venga a noi. A Natale viene come un bambino piccolo e indifeso, così bisognoso di sua Madre e di tutto quello che l’amore di una madre può dare. Se veramente vogliamo che Dio ci riempia, dobbiamo svuotare noi stessi, attraverso l’umiltà, di tutto l’egoismo che è dentro di noi » (Madre Teresa di Calcutta).

Umberto DE VANNA sdb

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