Archive pour le 19 novembre, 2015

Mosaic of Our Lady of Sorrow – Holy Sepulcher

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COSE DA BUTTARE

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COSE DA BUTTARE

Buttiamo via i mormorii Cosa c’è di peggio in una Chiesa che dei credenti che mormorano? Si lamentano di tutto e di tutti, non gli va bene assolutamente niente. Loro stessi non fanno nulla ma giudicano severamente l’operato di chi s’impegna per l’opera di Dio. La Scrittura ci fa un identikit dei mormoratori: « Sono dei mormoratori, degli scontenti; camminano secondo le loro passioni; la loro bocca proferisce cose incredibilmente gonfie, e circondano d’ammirazione le persone per interesse » (Giuda 1:16). Dio c’invita a buttare via dal nostro cuore i mormorii: « Non mormorate, come alcuni di loro mormorarono, e perirono colpiti dal distruttore » (1 Corinzi 10:10). Ogni credente desideroso di fare la volontà di Dio, deve fare ogni cosa senza mormorii: « Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute » (Filippesi 2:14).

Buttiamo via le nostre giustificazioni Se abbiamo la tendenza a giustificare le nostre debolezze e l’amore per le cose del mondo, smettiamola! Il Seme, cioè la Parola di Dio che è caduto fra le spine, rappresenta coloro che hanno udito, ma se ne vanno e restano soffocati dalle cure e dalle ricchezze e dai piaceri della vita e non arrivano a maturità: « Quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità » (Luca 8:14). Quante scuse a volte troviamo, per giustificare le nostre debolezze: « Tutti insieme cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: « Ho comprato un campo e ho necessità di andarlo a vedere; ti prego di scusarmi ».Un altro disse: « Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi ». Un altro disse: « Ho preso moglie, e perciò non posso venire » (Luca 14:18-20). Buttiamo via le nostre giustificazioni e l’amore per le cose del mondo: « Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno » (1 Giovanni 2:15-17).A

Buttiamo via tutte quelle abitudini che non ci permettono di leggere e meditare la Parola di Dio Talvolta ci sono abitudini che ci tolgono il tempo per la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ricordiamoci che senza cibo e senza acqua, l’uomo muore. Allo stesso modo, senza la Parola di Dio, l’uomo è destinato alla morte spirituale. Colui che trascura la Parola di Dio, vede il suo cuore indurirsi giorno dopo giorno: « Perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, sono divenuti duri d’orecchi, e hanno chiuso gli occhi, affinché non vedano con gli occhi e non odano con gli orecchi, non comprendano con il cuore, non si convertano, e io non li guarisca » (Atti 28:27). Non è forse vero che mentre l’uomo parla a Dio attraverso la preghiera, Dio parla all’uomo attraverso la Sua Parola? Dio vuole comunicare la Sua volontà: « Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai » (Giosuè 1:8). È Dio che dette questo consiglio a Giosuè che resta valido per ogni generazione. Deve essere presente in ogni sincero credente questo desiderio: « Mi alzo prima dell’alba e grido; io spero nella tua parola. Gli occhi miei prevengono le veglie della notte, per meditare la tua parola » (Salmo 119:147,148). Quanto tempo dedichiamo alla TV? Quanto tempo perdiamo in cose futili ed inutili? Torniamo alla Parola di Dio se vogliamo vedere l’aurora: « Alla legge! Alla testimonianza! » Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora! » (Isaia 8:20).

Buttiamo via gli aspetti negativi del nostro carattere Un’espressione che l’apostolo Paolo usa al riguardo è: « Gettare via »: « Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! » (Efesini 4:31). Il nostro temperamento deve essere controllato dallo Spirito Santo. Nel momento in cui ciò non avviene, ecco manifestarsi i frutti della carne: « Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutez-za, dolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio » (Galati 5:19-21). Un temperamento controllato dallo Spirito Santo, produrrà invece il frutto dello Spirito: « Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c’è legge. Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito » (Galati 5:22-25). Non giustifichiamoci dietro la famosa frase: « Questo è il mio carattere », perché dicendo questo, affermiamo che Dio non può fare più nulla per noi. Dio ci ama così come siamo ma ci ama così tanto da non lasciarci come siamo: « Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato » (1 Corinzi 9:26,27).

Buttiamo via la nostra ansia Quanta apprensione si nasconde talvolta nella nostra vita, che facilmente si trasforma in ansia. Domandiamoci: « Siamo o no figli di Dio? Dio è nostro Padre? » Se soltanto rispondiamo di si a queste domande, non dobbiamo temere di nulla: « Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: « Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo? » Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno » (Matteo 6:25-34). Notiamo in questi versetti l’invito del Signore: « Non siate in ansia ». Gettiamo via da noi ogni sollecitudine ansiosa, perché Dio si prende cura di noi: « Io, il Signore, il tuo Dio, fortifico la tua mano destra e ti dico: Non temere, io ti aiuto! Non temere, Giacobbe, vermiciattolo, e Israele, povera larva. Io ti aiuto », dice il Signore. « Il tuo salvatore è il Santo d’Israele » (Isaia 41:13,14).

Buttiamo via la nostra pigrizia A volte capita d’incontrare cristiani particolarmente pigri: hanno voglia di non fare nulla. La pigrizia è un pericolo da non trascurare. Il grande re Davide cadde in un vortice di peccati a causa della pigrizia: « L’anno seguente, nella stagione in cui i re cominciano le guerre, Davide mandò Ioab con la sua gente e con tutto Israele a devastare il paese dei figli di Ammon e ad assediare Rabba; ma Davide rimase a Gerusalemme. Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale; dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno. La donna era bellissima » (2 Samuele 11:1,2). Se la pigrizia trovò posto nel cuore di Davide, può trovarla anche nel nostro e in quel caso grande sarà la nostra rovina: « Fino a quando, o pigro, te ne starai coricato? Quando ti sveglierai dal tuo sonno? Dormire un po’, sonnecchiare un po’, incrociare un po’ le mani per riposare. La tua povertà verrà come un ladro, la tua miseria, come un uomo armato » (Proverbi 6:9-11). La via del pigro conduce velocemente alla povertà come dimostrano i seguenti versetti: – Proverbi 13:4 « Il pigro desidera, e non ha nulla, ma l’operoso sarà pienamente soddisfatto. – Proverbi 15:19 « La via del pigro è come una siepe di spine, ma il sentiero degli uomini retti è piano ». – Proverbi 19:15,24 « La pigrizia fa cadere nel torpore, e la persona indolente patirà la fame ». Il pigro tuffa la mano nel piatto e non fa neppure tanto da portarla alla bocca ». – Proverbi 20:4 « Il pigro non ara a causa del freddo; alla raccolta verrà a cercare, ma non ci sarà nulla ». – Proverbi 21:25 « I desideri del pigro lo uccidono, perché le sue mani rifiutano di lavorare ». – Proverbi 26:15 « Il pigro tuffa la mano nel piatto; e gli sembra fatica riportarla alla bocca ». – Ecclesiaste 10:18 « Per la pigrizia sprofonda il soffitto; per la rilassatezza delle mani piove in casa ». Buttiamo via da noi la pigrizia: « Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore » (Romani 12:11). Rimbocchiamoci le maniche perché le campagne sono bianche da mietere e gli operai sono pochi: « E diceva loro: « La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse perché spinga degli operai nella sua mèsse » (Luca 10:2).

Buttiamo via i giudizi Gesù dice – e la nostra esperienza lo ha più volte dimostrato – che è più facile vedere la pagliuzza che è nell’occhio del fratello, che la trave che è nel nostro occhio, è più facile che ingoiamo il cammello, mentre filtriamo il moscerino. I difetti degli altri sono come gli anabbaglianti della macchina: sono sempre quelli degli altri che ci danno fastidio: « Non giudicate, affinché non siate giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: « Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza », mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello » (Matteo 7:1-5). È facile giudicare gli altri, più difficile giudicare noi stessi: « Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità » (Matteo 23:27,28). L’ipocrita era una maschera teatrale, dietro la quale si nascondeva l’attore. Buttiamo via da noi questa maschera, mostriamo il nostro vero volto, perché solo così saremo meno severi con gli altri. Talvolta capita che proprio quando viviamo una vita non conforme alla volontà di Dio, che diventiamo troppo severi con gli altri, come accadde a Davide: « Davide si adirò moltissimo contro quell’uomo e disse a Natan: « Com’è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita la morte e pagherà quattro volte il valore dell’agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà ». Allora Natan disse a Davide: « Tu sei quell’uomo! » (2 Samuele 12:5-7). Impara ad essere tollerante verso gli sbagli degli altri come lo sei con te stesso e soprattutto guarda gli altri non dimenticando che Gesù è morto anche per loro.

Buttiamo via la gelosia e l’invidia Secondo un’enciclopedia, la gelosia è: « Invidia, rivalità », mentre l’invidia è: « Sentimento di rancore e d’astio per la felicità o le qualità degli altri ». La gelosia che porta alla contesa è prova di carnalità nella chiesa: « Fratelli, io non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini in Cristo. Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate capaci di sopportarlo; anzi, non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali. Infatti, dato che ci sono tra di voi gelosie e contese, non siete forse carnali e non vi comportate come qualsiasi uomo »? (1 Corinzi 3:1-3). Invidia e gelosia verso dei fratelli sono dunque sentimenti negativi presenti in coloro che non gioiscono del bene e delle qualità altrui, ma se ne irritano perché le vorrebbero per sé. È mancanza di amore e di sottomissione a Dio nello accettare la « misura della fede » che Lui ci ha assegnata. Gelosia per un dono di predicazione che può farci ombra, per una famiglia ordinata e sottomessa a Dio, per un’intesa profonda fra coniugi, per l’apprezzamento che altri fratelli ottengono. Invidia e gelosia, finché non generano contese e altri guai, possono non trasparire all’esterno, ma rodono il nostro rapporto col fratello e rovinano la nostra vita spirituale. Un esame interessante sarebbe accertare quando proviamo nel nostro cuore (spesso senza rendercene chiaramente conto) il compiacimento per le disgrazie degli altri. Se riusciamo ad essere sinceri fino in fondo, credo che dovremmo vergognarci e gridare al Signore. Tendenziosità, sospetto, cattiva intenzione presunta negli altri, modo negativo di considerare il fratello, compiacimento per gli errori altrui: tutti sentimenti purtroppo diffusi che restano dentro, ma che avvelenano sovente i rapporti e preparano a guasti più clamorosi.

Buttiamo via l’ira e la collera Quest’impeto dell’animo improvviso e violento che si rivolge contro qualcuno o qualcosa, quest’infiammarsi, accendersi, avvampare, ardere d’ira, non deve essere presente nella vita del credente: « Sia ogni uomo lento all’ira, perché l’ira dell’uomo non mette in opera la giustizia di Dio » (Giacomo 1:19). L’ira dell’uomo è sempre vista negativamente. Nella parabola del figlio prodigo, il fratello maggiore si adira e non vuole entrare nel banchetto d’amore: « Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. Ma egli rispose al padre: « Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato » (Luca 15:28-30). L’ira è sempre condannata da Gesù: « Chiunque s’adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale » (Matteo 5:22). Ira e collera sono fra le cose da deporre: « Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene » (Colossesi 3:8). Le parole di Efesini 4:26: « Adiratevi e non peccate, il sole non tramonti sopra la vostra collera », non esortano all’ira, significano piuttosto: « Mostrate sdegno, però, attenti a non peccare » (TILC) e non rimanete in quest’atteggiamento. « Sia tolta via ogni ira » (v. 31). Fruga negli angoli più remoti della tua vita, forse si è ammucchiata tanta spazzatura: non risparmiarla, buttala via.

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LA PATRISTICA DEI PRIMI DUE SECOLI

http://www.parodos.it/filosofia/ppatristica.htm

LA PATRISTICA DEI PRIMI DUE SECOLI

(metto solo la prima parte)

Padri apologisti danno il via all’attività filosofica cristiana con testi scritti in difesa della loro fede contro i persecutori. Marciano Aristide si rivolge all’imperatore Antonino Pio con un’apologia in difesa del cristianesimo.

Carattere della patristica Quando il cristianesimo, per difendersi dagli attacchi polemici e dalle persecuzioni, nonché per garantire la propria unità contro sbandamenti ed errori, dovette venire in chiaro dei propri presupposti teoretici e organizzarsi in un sistema di dottrine, si presentò come l’espressione compiuta e definitiva della verità che la filosofia greca aveva cercata, ma solo imperfettamente e parzialmente raggiunta. Una volta postosi sul terreno della filosofia, il cristianesimo tenne ad affermare la propria continuità con la filosofia greca ed a porsi come l’ultima e più compiuta manifestazione di essa. Giustificò questa continuità con l’unità della ragione (logos), che Dio ha creata identica in tutti gli uomini di tutti i tempi e alla quale la rivelazione cristiana ha dato l’ultimo e più sicuro fondamento; e con ciò affermò implicitamente l’unità della filosofia e della religione. Quest’unità non è un problema, per gli scrittori cristiani dei primi secoli: è piuttosto un dato o un presupposto, che guida e sorregge tutta la loro ricerca. E anche quando stabiliscono un’antitesi polemica tra dottrina pagana e cristiana (come è nel caso di Taziano), questa antitesi è posta sul terreno comune della filosofia e presuppone quindi la continuità tra cristianesimo e filosofia. Era naturale, da questo punto di vista, che si tentasse da un lato di interpretare il cristianesimo mediante concetti desunti dalla filosofia greca e così di riportarlo a tale filosofia, dall’altro di ricondurre il significato di quest’ultima allo stesso cristianesimo. Questo duplice tentativo, che in realtà è uno solo, costituisce l’essenza dell’elaborazione dottrinale che il cristianesimo subì nei primi secoli dell’èra volgare. In questa stessa elaborazione i Padri della Chiesa furono frequentemente aiutati e ispirati, com’era inevitabile, dalle dottrine delle grandi scuole filosofiche pagane; e specialmente dagli Stoici essi attinsero molte delle loro ispirazioni, spingendosi talora (come accadde a Tertulliano) sino ad accettare tesi apparentemente incompatibili con il cristianesimo, come quella della corporeità di Dio. Il periodo di questa elaborazione dottrinale è la patristica. Padri della Chiesa sono gli scrittori cristiani dell’antichità, che hanno contribuito alla elaborazione dottrinale del cristianesimo e la cui opera è stata accettata e fatta propria dalla Chiesa. Il periodo dei Padri della Chiesa si può considerare chiuso con la morte di Giovanni Damasceno per la Chiesa greca (754 circa) e con quella di Beda il Venerabile (735) per la Chiesa latina. Questo periodo può essere distinto in tre parti. La prima, che va sino al 200 circa, è dedicata alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari pagani e gnostici. La seconda, che va dal 200 sino al 450 circa, è dedicata alla formulazione dottrinale delle credenze cristiane. L’ultima, che va dal 450 sino alla fine della patristica, è contrassegnata dalla rielaborazione e sistemazione delle dottrine già formulate.

I Padri apologisti I PADRI APOSTOLICI del I secolo sono gli autori di Lettere che illustrano singoli punti della dottrina cristiana e regolano questioni di ordine pratico e religioso. Essi sono: l’autore della cosìddetta Lettera di Barnaba, Clemente Romano, Erma, Ignazio d’Antiochia e Policarpo. Ma questi scrittori ancora non affrontano problemi filosofici. La vera attività filosofica cristiana comincia con i PADRI APOLOGISTI nel II secolo. Questi Padri scrivono in difesa (apologia) del cristianesimo contro gli attacchi e le persecuzioni che gli vengono mossi. In questo periodo «i cristiani sono osteggiati dagli ebrei come stranieri e sono perseguitati dai pagani» (Epist. ad Diogn., 5, 17). Scrittori pagani adoperano contro il cristianesimo la satira e il dileggio (Luciano, Celso). I cristiani sono fatti oggetto all’odio delle plebi pagane e alle persecuzioni sistematiche dello stato. Da queste condizioni di fatto nascono le apologie. La più antica di cui si abbia notizia è la difesa presentata all’imperatore Adriano intorno al 124, in occasione di una persecuzione dei cristiani, da QUADRATO, discepolo degli apostoli. Di essa abbiamo solo un frammento, conservatoci da Eusebio (Hist. eccles , IV, 3, 2). Lapologia del filosofo MARCIANO ARISTIDE è stata ritrovata nel 1878 ed è diretta all’imperatore Antonino Pio (138-61). In essa si afferma già esplicitamente il principio che soltanto il cristianesimo è la vera filosofia. Difatti, solo i cristiani hanno quel concetto di Dio che deriva necessariamente dalla considerazione della natura. Concetti platonici vengono utilizzati in questa dimostrazione. L’ordine del mondo, quale appare nei cieli e sulla terra, fa pensare che tutto sia mosso con necessità e che Dio sia colui che muove e governa tutto. Aristide insiste sull’irraggiungibilità e l’ineffabilità dell’essenza divina, per contrapporre il monoteismo rigoroso del cristianesimo alle credenze dei barbari, che hanno adorato elementi materiali, dei Greci che hanno attribuito ai loro dèi debolezze e passioni umane, e dei Giudei, che pur ammettendo un solo Dio, servono piuttosto gli angeli che Lui. Ma la prima grande figura di Padre apologista e il vero fondatore della patristica è Giustino.

Giustino

GIUSTINO nacque, probabilmente, nel primo decennio del secolo II a Flavia Neapolis, l’antica Sichem, ora Nablus in Palestina. Egli stesso ci descrive la sua formazione spirituale. Figlio di genitori pagani, frequentò i rappresentanti delle varie scuole filosofiche, Stoici, Peripatetici e Pitagorici, e professò a lungo le dottrine dei Platonici. Finalmente, trovò nel cristianesimo ciò che cercava e da allora con la parola e con gli scritti Io difese, come l’unica vera filosofia. Visse a Roma molto tempo e vi fondò una scuola; e a Roma subì il martirio tra il 163 e il 167. Delle opere che ci rimangono solo tre sono sicuramente autentiche: il Dialogo con Trifone giudeo e due Apologie. La prima e più importante di queste è diretta all’imperatore Antonino Pio e deve essere stata composta negli anni 150-55. La seconda, che è un supplemento o un’appendice della prima, fu occasionata dalla condanna di tre cristiani, rei soltanto di professarsi tali. Il Dialogo con Trifone giudeo riferisce una disputa che ebbe luogo ad Efeso tra Giustino e Trifone ed è diretto sostanzialmente a dimostrare che la predicazione di Cristo realizza e completa l’insegnamento del Vecchio Testamento. La dottrina fondamentale di Giustino è che il cristianesimo è «la sola filosofia sicura ed utile» (Dial., 8) e che esso è il risultato ultimo e definitivo al quale la ragione deve giungere nella sua ricerca. Giacché la ragione non è che il Verbo di Dio, cioè il Cristo, del quale partecipa tutto il genere umano. «Noi imparammo – egli dice (Apol. prima, 46) – che il Cristo è il primogenito di Dio e che è la ragione, della quale partecipa tutto il genere umano. E coloro che vissero secondo ragione sono cristiani, anche se furono creduti atei; come fra i Greci Socrate, Eraclito e altri come loro; e tra i barbari, Abramo e Anania e Azaria e Misael ed Elia. Sicché anche quelli che nacquero prima e vissero senza ragione erano malvagi e nemici del Cristo e uccisori di coloro che vivono secondo ragione; ma quelli che vissero e vivono secondo ragione sono cristiani impavidi e tranquilli». Tuttavia questi cristiani avanti lettera non conobbero l’intera verità. C’erano in loro semi di verità, che essi non potettero intendere appieno (Ib., 44). Poterono certo, vedere oscuramente la verità mediante quel seme di ragione che era innato in essi. Ma altro è il seme e l’imitazione, altro è lo sviluppo compiuto e la realtà, da cui il seme e l’imitazione si generano (Apol. sec., 13). Qui la dottrina stoica delle ragioni seminali viene adoperata a fondare la continuità del cristianesimo con la filosofia greca, a riconoscere nei maggiori filosofi greci gli anticipatori del cristianesimo e a giustificare l’opera della ragione mediante l’identificazione di essa con Cristo. Questa stessa dottrina consente a Giustino l’identificazione completa tra il cristianesimo e la verità filosofica. «Tutto ciò che è stato detto di vero appartiene a noi cristiani; giacché, oltre Dio, noi adoriamo ed amiamo il Logos del Dio ingenito e ineffabile, il quale si fece uomo per noi, per guarirci delle nostre infermità partecipando di esse» (Ib., 13). Dio è l’eterno, l’ingenerato, l’ineffabile: la conoscenza di Dio è un fatto inesplicabile, radicato nella natura stessa degli uomini (Apol. sec., 6). Accanto a lui e al disotto di lui vi è l’altro Dio, il Logos coesistente e generato prima della creazione, per mezzo del quale Dio creò e ordinò tutte le cose (Ib., 5). Come una fiamma non diminuisce quando ne accende un’altra, così è accaduto a Dio per la creazione del Logos (Dial., 48). Dopo il Padre e il Logos c’è lo Spirito Santo, detto da Giustino lo Spirito profetico, al quale gli uomini debbono le virtù e i doni profetici (Apol. prima, 6). L’uomo è stato creato da Dio libero di fare il bene ed il male. Se l’uomo non avesse libertà, non avrebbe merito del bene né colpa del male compiuto (Apol. prima, 43). L’anima dell’uomo è immortale soltanto per opera di Dio: senza di questa, con la morte ritornerebbe nel nulla (Dial., 6). Ma anche il corpo è destinato a partecipare dell’immortalità dell’anima. Dovrà venire infatti, secondo l’annunzio dei profeti, una seconda parusia del Cristo; e questa volta egli verrà in gloria, accompagnato dalla legione degli angeli: risusciterà i corpi e rivestirà di immortalità quelli dei giusti, mentre condannerà al fuoco eterno quelli degli iniqui (Apol. prima, 52).

Altri Padri apologisti Scolaro di Giustino a Roma fu TAZIANO l’Assiro, nato in Siria e convertitosi a Roma dopo essersi acquistato un nome come filosofo. Più tardi, probabilmente nel 172, si separò dalla Chiesa per passare agli Gnostici. Taziano è autore di un’apologia intitolata Discorsi ai Greci che è in realtà una critica dell’ellenismo. Lo scritto di Taziano è essenzialmente polemico. Egli accusa di immoralità i pensatori e i poeti greci e si diffonde in invettive contro di loro. Agli errori dei Greci contrappone la dottrina cristiana intorno a Dio ed al mondo, al peccato e alla redenzione. Il Logos è la potenza razionale di Dio ed è nato da lui attraverso un atto di partecipazione, non di separazione. Come una fiaccola ne accende tante senza che la sua luce diminuisca, così il Logos non esaurisce la potenza di ragione del suo generatore (Or. ad Graec., 5). Nell’uomo egli distingue l’anima e lo spirito. Lo spirito solo è immagine e similitudine di Dio (Ib., 12). L’anima non è un’essenza semplice ma è composta di più parti. La sua esistenza è legata al corpo e non è separabile da esso, perciò non è immortale (Ib., 15). Soltanto per la loro unione con lo spirito, l’anima e il corpo partecipano dell’immortalità. Attraverso lo spirito, l’uomo può riunirsi con Dio. Egli deve disprezzare la materia, della quale si servono i demoni per perderlo, e rivolgersi esclusivamente alla vita spirituale (Ib., 16). ATENAGORA di Atene è autore di un’apologia intitolata Supplica per i cristiani diretta a Marco Aurelio o Commodo e perciò composta tra il 176 e il 180, probabilmente nel 177. Lo scritto si propone di confutare le tre accuse che comunemente venivano lanciate contro i cristiani: l’ateismo, i conviti tiestei e l’incesto alla foggia di Edipo. La prima accusa è demolita mediante l’esposizione della dottrina cristiana di Dio; contro le altre due vengono addotti i capisaldi della morale cristiana. Nella Supplica ricorre per la prima volta una prova razionale della unicità di Dio. Se esistessero più divinità, non potrebbero esistere nello stesso luogo perché, essendo tutte ingenerate, non potrebbero cadere sotto un tipo o modello comune. Dovrebbero dunque esistere in luoghi diversi. Ma non possono esistere in luoghi diversi perché lo spazio al di là del mondo è la sede di un unico Dio che è essenza sopra-mondana e così non vi è spazio per altre divinità. Un’altra divinità potrebbe esistere in un altro mondo o intorno ad un altro mondo; ma in tal caso essa non giungerebbe a noi e per la limitatezza della sua sfera d’azione essa non sarebbe la vera divinità (Suppl. pro crist., 8). Perciò anche i poeti e filosofi greci hanno conosciuto l’unicità di Dio, per quanto la chiara, sicura e compiuta conoscenza di essa ci sia stata data soltanto attraverso i profeti (Ib., 7). Il Logos generato dal Padre e coeterno con lui, è il modello, la forza creatrice di tutte le cose create, mentre lo Spirito Santo è un efflusso di Dio, simile al raggio del sole (Ib., 24). TEOFILO di Antiochia fu vescovo di questa città e ci ha lasciato tre libri Ad Autolico, che sono tre scritti indipendenti, di cui il terzo è stato composto intorno al 181-82 e i primi due poco avanti. Alla sfida di Autolico: «Mostrami il tuo Dio», Teofilo risponde: «Mostrami il tuo uomo ed io ti mostrerò il mio Dio». Dio infatti è visto solo da coloro che hanno bene aperti gli occhi dell’anima. Come non si può vedere la faccia dell’uomo sullo specchio coperto di ruggine così l’uomo, quando è in peccato, non può scorgere Dio (Ad Autol., I, 2). Alla domanda: «Tu che lo vedi, descrivimi l’aspetto di Dio», Teofilo risponde: «Ascoltami: la bellezza di Dio è indicibile e ineffabile e non si può vedere con gli occhi corporei» (Ib., I, 3). Dio che è eterno, quindi ingenerato e immutabile, è il creatore di tutto: tutto egli fece dal nulla, affinché attraverso le sue opere si comprendesse la sua grandezza. Perciò egli diventa visibile attraverso la sua creazione. «Come l’anima umana che è invisibile agli uomini viene conosciuta attraverso i movimenti del corpo così Dio, che non può essere visto dagli occhi umani, può essere visto e conosciuto attraverso la sua provvidenza e le sue opere» (Ib., I, 5). Il tramite della creazione divina è il Logos. Dio mediante il Logos e la sapienza ha creato tutte le cose (Ib., I, 7). Il Logos è il consigliere di Dio, la mente e la prudenza di lui (Ib., Il, 22). Per la prima volta Teofilo ha usato la parola trinità (trias) per indicare la distinzione delle persone divine. I tre giorni della creazione della luce di cui parla la Genesi «sono immagini della trinità, di Dio, del suo Verbo, della sua sapienza» (Ib., II, 15). Sotto il nome di Giustino ci è stata tramandata una Lettera a Diogneto che certamente non appartiene a Giustino per la diversità dello stile e della dottrina. L’autore risponde ai dubbi proposti da un pagano che si interessa del cristianesimo. La composizione della Lettera deve cadere non prima del 160, verosimilmente alla fine del II secolo. L’autore risponde a tre dubbi di Diogneto. Al culto pagano e giudaico la Lettera contrappone il culto cristiano del Dio invisibile e creatore. La religione cristiana non è una scoperta umana ma una rivelazione divina: Dio ha mandato suo Figlio, l’eterna Verità e l’eterna Parola, a insegnare agli uomini la vera religione; e il Figlio di Dio è venuto nel mondo non come signore ma come salvatore e liberatore e ci ha avviati alla salvezza con l’amore (Ep. ad Diogn., 7). Con il titolo Irrisione dei filosofi pagani di ERMIA filosofo, ci è giunto un piccolo scritto polemico nel quale si mettono sarcasticamente in luce le contraddizioni dei filosofi greci nella loro dottrina intorno all’anima umana ed ai principi fondamentali delle cose. Lo scritto appartiene probabilmente alla fine del II secolo.

Publié dans:PATROLOGIA E PATRISTICA |on 19 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

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