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Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. (Ap 13, 26)

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. (Ap 13, 26) dans immagini sacre 148

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Publié dans:immagini sacre |on 13 novembre, 2015 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II – LA RISURREZIONE REALIZZERÀ PERFETTAMENTE LA PERSONA (1981)

 http://www.clerus.org/clerus/dati/2000-06/26-2/GP8115.html

GIOVANNI PAOLO II -  LA RISURREZIONE REALIZZERÀ PERFETTAMENTE LA PERSONA (1981)  

mercoledì, 9 dicembre 1981  

1. “Alla risurrezione… non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo” (Mt 22,30; Mc 12,25). “Sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20,36).  Cerchiamo di comprendere queste parole di Cristo riguardanti la futura risurrezione, per trarne una conclusione sulla spiritualizzazione dell’uomo, differente da quella della vita terrena. Si potrebbe qui parlare anche di un perfetto sistema di forze nei rapporti reciproci tra ciò che nell’uomo è spirituale e ciò che è corporeo. L’uomo “storico”, in seguito al peccato originale, sperimenta una molteplice imperfezione di questo sistema di forze, che si manifesta nelle ben note parole di san Paolo: “Nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente” (Rm 7,23).  L’uomo “escatologico” sarà libero da quella “opposizione”. Nella risurrezione il corpo tornerà alla perfetta unità ed armonia con lo spirito: l’uomo non sperimenterà più l’opposizione tra ciò che in lui è spirituale e ciò che è corporeo. La “spiritualizzazione” significa non soltanto che lo spirito dominerà il corpo, ma, direi, che esso permeerà pienamente il corpo, e che le forze dello spirito permeeranno le energie del corpo.

2. Nella vita terrena, il dominio dello spirito sul corpo – e la simultanea subordinazione del corpo allo spirito – può, come frutto di un perseverante lavoro su se stessi, esprimere una personalità spiritualmente matura; tuttavia, il fatto che le energie dello spirito riescano a dominare le forze del corpo non toglie la possibilità stessa della loro reciproca opposizione. La “spiritualizzazione”, a cui alludono i Vangeli sinottici (Mt 22,30; Mc 12,25; Lc 20,34-35) nei testi qui analizzati, si trova già fuori di tale possibilità. E dunque una spiritualizzazione perfetta, in cui viene completamente eliminata la possibilità che “un’altra legge muova guerra alla legge della… mente” (cf. Rm 7,23). Questo stato che – come è evidente – si differenzia essenzialmente (e non soltanto riguardo al grado) da ciò che sperimentiamo nella vita terrena, non significa tuttavia alcuna “disincarnazione” del corpo né, di conseguenza, una “disumanizzazione” dell’uomo. Anzi, al contrario, significa la sua perfetta “realizzazione”. Infatti, nell’essere composto, psicosomatico, che è l’uomo, la perfezione non può consistere in una reciproca opposizione dello spirito e del corpo, ma in una profonda armonia fra loro, nella salvaguardia del primato dello spirito. Nell’“altro mondo”, tale primato verrà realizzato e si manifesterà in una perfetta spontaneità, priva di alcuna opposizione da parte del corpo. Tuttavia ciò non va inteso come una definitiva “vittoria” dello spirito sul corpo. La risurrezione consisterà nella perfetta partecipazione di tutto ciò che nell’uomo è corporeo a ciò che in lui è spirituale. Al tempo stesso consisterà nella perfetta realizzazione di ciò che nell’uomo è personale.                     

3. Le parole dei Sinottici attestano che lo stato dell’uomo nell’“altro mondo” sarà non soltanto uno stato di perfetta spiritualizzazione, ma anche di fondamentale “divinizzazione” della sua umanità. I “figli della risurrezione” – come leggiamo in Luca 20,36 – non soltanto “sono uguali agli angeli”, ma anche “sono figli di Dio”. Si può trarne la conclusione che il grado della spiritualizzazione, proprio dell’uomo “escatologico”, avrà la sua fonte nel grado della sua “divinizzazione”, incomparabilmente superiore a quella raggiungibile nella vita terrena. Bisogna aggiungere che qui si tratta non soltanto di un grado diverso, ma in certo senso di un altro genere di “divinizzazione”. La partecipazione alla natura divina, la partecipazione alla vita interiore di Dio stesso, penetrazione e permeazione di ciò che è essenzialmente umano da parte di ciò che è essenzialmente divino, raggiungerà allora il suo vertice, per cui la vita dello spirito umano perverrà ad una tale pienezza, che prima gli era assolutamente inaccessibile. Questa nuova spiritualizzazione sarà quindi frutto della grazia, cioè del comunicarsi di Dio, nella sua stessa divinità, non soltanto all’anima, ma a tutta la soggettività psicosomatica dell’uomo. Parliamo qui della “soggettività” (e non solo della “natura”), perché quella divinizzazione va intesa non soltanto come uno “stato interiore” dell’uomo (cioè: del soggetto), capace di vedere Dio “a faccia a faccia”, ma anche come una nuova formazione di tutta la soggettività personale dell’uomo a misura dell’unione con Dio nel suo mistero trinitario e dell’intimità con lui nella perfetta comunione delle persone. Questa intimità – con tutta la sua intensità soggettiva – non assorbirà la soggettività personale dell’uomo, anzi, al contrario, la farà risaltare in misura incomparabilmente maggiore e più piena.                       

4. La “divinizzazione” nell’“altro mondo”, indicata dalle parole di Cristo, apporterà allo spirito umano una tale “gamma di esperienza” della verità e dell’amore che l’uomo non avrebbe mai potuto raggiungere nella vita terrena. Quando Cristo parla della risurrezione, dimostra al tempo stesso che a questa esperienza escatologica della verità e dell’amore, unita alla visione di Dio “a faccia a faccia”, parteciperà anche, a modo suo, il corpo umano. Quando Cristo dice che coloro i quali parteciperanno alla futura risurrezione “non prenderanno moglie né marito” (Mc 12,25), le sue parole – come già prima fu osservato – affermano non soltanto la fine della storia terrena, legata al matrimonio e alla procreazione, ma sembrano anche svelare il nuovo significato del corpo. E forse possibile, in questo caso, pensare – a livello di escatologia biblica – alla scoperta del significato “sponsale” del corpo, soprattutto come significato “verginale” di essere, quanto al corpo, maschio e femmina? Per rispondere a questa domanda, che emerge dalle parole riportate dai Sinottici, conviene penetrare più a fondo nell’essenza stessa di ciò che sarà la visione beatifica dell’Essere divino, visione di Dio “a faccia a faccia” nella vita futura. Occorre anche farsi guidare da quella “gamma di esperienza” della verità e dell’amore, che oltrepassa i limiti delle possibilità conoscitive e spirituali dell’uomo nella temporalità, e di cui egli diverrà partecipe nell’“altro mondo”.                      

5. Questa “esperienza escatologica” del Dio Vivente concentrerà in sé non soltanto tutte le energie spirituali dell’uomo, ma, allo stesso tempo, svelerà a lui, in modo vivo e sperimentale, il “comunicarsi” di Dio a tutto il creato e, in particolare, all’uomo; il che è il più personale “donarsi” di Dio, nella sua stessa divinità, all’uomo: a quell’essere, che dal principio porta in sé l’immagine e somiglianza di lui. Così, dunque, nell’“altro mondo” l’oggetto della “visione” sarà quel mistero nascosto dall’eternità nel Padre, mistero che nel tempo è stato rivelato in Cristo, per compiersi incessantemente per opera dello Spirito Santo; quel mistero diverrà, se così ci si può esprimere, il contenuto dell’esperienza escatologica e la “forma” dell’intera esistenza umana nella dimensione dell’“altro mondo”. La vita eterna va intesa in senso escatologico, cioè come piena e perfetta esperienza di quella grazia (“charis”) di Dio, della quale l’uomo diviene partecipe mediante la fede durante la vita terrena, e che invece dovrà non soltanto rivelarsi a coloro i quali parteciperanno dell’“altro mondo” in tutta la sua penetrante profondità, ma esser anche sperimentata nella sua realtà beatificante.  Qui sospendiamo la nostra riflessione centrata sulle parole di Cristo relative alla futura risurrezione dei corpi. In questa “spiritualizzazione” e “divinizzazione”, a cui l’uomo parteciperà nella risurrezione, scopriamo – in una dimensione escatologica – le stesse caratteristiche che qualificavano il significato “sponsale” del corpo; le scopriamo nell’incontro col mistero del Dio vivente, che si svela mediante la visione di lui “a faccia a faccia”.  

33A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B / 2015

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/8-Ordinario/33a-Domenica-B-2015/10-33a-Domenica-B-2015-UD.htm

33A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B / 2015

Per cominciare È la penultima domenica dell’anno liturgico. Oggi siamo invitati a guardare al futuro. L’attesa è quella della fine dei tempi, del ritorno del Figlio dell’uomo nella gloria perché accolga gli eletti. Intanto, dice Gesù, la storia va vissuta come tempo di attesa e di vigilanza. La parola di Dio Daniele 12,1-3. La visione immaginifica del profeta Daniele è di consolazione per il popolo ebraico che si trova oppresso, e un invito a rimanere fedeli nella prova: la persecuzione avrà un termine, sta per realizzarsi il giudizio di Dio. Per dare più forza alle sue parole assicura l’intervento del grande principe, l’arcangelo Michele. Ebrei 10,11-14.18. Come si diceva già domenica scorsa, il brano della lettera agli ebrei paragona il sacerdozio ebraico con quello di Cristo. Essi offrono più volte i loro sacrifici, perché essi non sono in grado di eliminare una volta per tutte il peccato, mentre Gesù ci ha salvati offrendo se stesso una sola volta e ora siede alla destra di Dio, in attesa che gli sia riconosciuta piena giustizia. Marco 13 ,24-32. Gesù adotta in questo testo il linguaggio apocalittico del tempo. Parla anche lui di sconvolgimenti cosmici, ma per assicurare la sua venuta finale nella gloria, nella quale raccoglierà tutti i giusti dai quattro angoli della terra. Gesù esorta a preparare questo incontro dando fiducia alle sue parole, e lasciandosi guidare dai segni che invitano all’attesa e alla vigilanza.

Riflettere o Il libro di Daniele nei primi sei capitoli (e negli ultimi due, il 13 e il 14) presenta un insieme di racconti edificanti ambientati negli anni della deportazione in Babilonia. In realtà questo libro è stato scritto nel secondo secolo, al tempo dei Maccabei, durante la persecuzione di Antioco IV Epifane. Questo re aveva introdotto a forza nel popolo palestinese l’ellenismo nella cultura e nella religione. Aveva addirittura osato innalzare una statua a Giove nel tempio di Gerusalemme. o I capitoli 7-12 presentano invece quattro grandiose visioni apocalittiche, che si presentano come un giudizio sui regni che hanno dominato su Israele. Anche i grandi regni passano, dice Daniele, sorgono e crescono, ma inesorabilmente crollano, di fronte a Dio. o Il brano che viene proposto oggi è tratto dall’ultima apocalisse. Daniele insiste nel dire che la salvezza è vicina, perché la persecuzione di Antioco IV è al culmine e sta per realizzarsi la giustizia di Dio. A tutti quelli che sono scritti nel libro della vita verrà assicurata la salvezza e « risplenderanno come stelle del cielo », mentre gli altri verranno condannati all’ »infamia eterna ». Lo stesso mondo degli angeli (Michele) interviene per liberare i figli del popolo di Dio. o È questa la prima affermazione chiara della risurrezione dei giusti che si trova nella Bibbia. La certezza che ogni fedeltà non risulterà inutile, che nessuna sofferenza versata per Dio verrà dimenticata. o Il vangelo riporta l’ultima parte del capitolo 13 di Marco, tutto dedicato a immagini apocalittiche, che Gesù attinge a piene mani dall’antico testamento. Sono immagini inconsuete nella bocca di Gesù, e probabilmente nascono dai tempi tristi in cui il vangelo di Marco è stato composto. o Dopo la distruzione di Gerusalemme e i tragici fatti di quegli anni 70, tra la popolazione si stava diffondendo una letteratura apocalittica che annunciava imminente la fine del mondo tra sconvolgimenti cosmici. Le parole di Gesù, nonostante l’apparente impressione di tragicità, in realtà avevano lo scopo di tranquillizzare la comunità cristiana. o Tutto parte da due espressioni degli apostoli. Nella prima (Mc 13,1), mentre Gesù esce dal tempio di Gerusalemme, uno degli apostoli gli dice con entusiasmo: « Maestro, guarda che pietre e che costruzioni! ». Ma Gesù lo raggela: « Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta ». o L’altra domanda gliela fanno Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea al monte degli Ulivi, mentre stanno ancora guardando il tempio: « Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi? ». E Gesù comincia un lungo discorso, in cui immagini apocalittiche sulla fine del mondo si mescolano a previsioni di tempi difficili di persecuzione, di anticristi. o Il discorso termina con il brano che viene proposto oggi, in cui Gesù assicura che il Figlio dell’uomo verrà sulle nubi con grande potenza e gloria e manderà gli angeli a radunare i suoi eletti dai quattro venti (da tutta la terra, dai quattro punti cardinali). Quindi i giusti non hanno nulla da temere, ma devono solo attendere nella speranza. o Quando avverrà questo? Gesù dice: « Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte ». Il passo rimane oscuro, ma l’invito è a vegliare e a scrutare i segni dei tempi. E a farlo con ottimismo, perché l’estate è vicina. Vicinanza dell’estate dice però nello stesso tempo, a chi pensa come imminente la fine del mondo, che non è ancora giunta. Che si deve allora accettare ogni giorno come tempo di veglia, di attesa, di preparazione. o Il discorso si conclude con un’espressione ugualmente oscura e netta: « Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre ».

Attualizzare * Il capitolo 13 di Marco si conclude con la frase di Gesù: « Quello che dico a voi, lo dico a tutti », quasi a dire che quelle parole sono dirette espressamente agli uomini di ogni tempo e quindi anche a noi, oggi. * Gesù aggiunge: « Vegliate! ». Se ogni cosa ha una fine, un termine, se il mondo non è eterno, occorre pensare al futuro in modo diverso e porsi di fronte al tempo con un atteggiamento di vigilanza, preparando ciò che ci attende. * « In quel tempo… », dicono sia Daniele che Gesù. E il riferimento è agli ultimi tempi, quando la storia giungerà al suo termine e sarà il momento della verità, per qualcuno la resa dei conti. * Il più delle volte il futuro ci spaventa e preferiamo non pensarci. Nello stesso tempo non pochi hanno nei confronti del futuro una fiducia illimitata e un po’ ingenua. Tutto ci sembra possibile. Adesso si parla con insistenza dei progressi infiniti della medicina, della possibilità di abitare altri astri, a partire dalla luna o da Marte, dove sembra ci sia acqua. * Altri pensano al futuro lasciandosi condizionare dalle visioni catastrofiche di Nostradamus, dai film apocalittici, come uno dei più recenti, che rilancia la profezia dei Maya e sostiene che il nostro pianeta sarà sommerso da un nuovo diluvio. * Si sa che sono innumerevoli le profezie che riguardano la fine dell’umanità: c’è chi prevede fiamme e fuoco dal cielo, chi terremoti e catastrofi naturali, chi l’impatto di un meteorite, chi parla di guerre nucleari a cui la razza umana non sopravviverà o quantomeno solo pochi meritevoli o « risvegliati ». * Anche il profeta Daniele e Gesù parlano di catastrofi naturali e conclusive, e lo fanno usando un linguaggio ugualmente immaginifico e piuttosto oscuro. Ma entrambi prendono le distanze dai profeti di sventura, mentre hanno l’intenzione di toglierci la paura. « Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte », dice Gesù, parlando del suo ritorno, quando verrà per raccogliere gli eletti da ogni angolo della terra. Quando coloro che vivono in modo pieno il loro tempo, quelli che si impegnano per gli altri e spesso si sentono soli, coloro che fanno del bene e soffrono l’emarginazione, un giorno saranno riuniti da Cristo, lui che per primo è passato da questa esperienza, sia della sofferenza e della eliminazione, che della gloria. * L’invito di Gesù è quello di « vegliare », di prepararci a quel giorno. Di lasciarci guidare dai segni inequivocabili del tempo che passa, come chi guarda l’albero del fico che mette le foglie e dice che l’estate è vicina. * Questo significa avere anzitutto nei confronti del tempo un rapporto diverso. Scrive il cardinal Carlo Maria Martini: « Il tempo, nel suo inesorabile trascorrere, genera angoscia e bisogno di fuga. Il tempo che passa risuona in noi come una continua rivelazione della nostra condizione di essere limitati e avviati impietosamente senza scampo verso la morte. Di questo, in fondo, abbiamo paura e ce ne difendiamo in tutti i modi ». Più spesso ci difendiamo non pensandoci, rimuovendo l’idea di andare con i nostri pensieri aldilà dell’istante che passa. * E riempiamo il tempo di tante cose. Continua il card. Martini: « Sono tanti i modi di riempire il tempo, per illudersi di possederlo: l’accumulo di denaro e la libertà di spenderlo, per dimostrare di essere padrone del tempo mio e di quello degli altri; l’ambizione del dominio, della riuscita, del successo; la ricerca del godimento in ogni forma, il concentrarsi della cura del proprio piacere corporeo, del proprio benessere fisico e psichico ». * La fine del tempo dovrà dunque trovarci svegli e nuovi. È il messaggio che ci viene lasciato quest’oggi. Perché ci sarà inesorabilmente e realisticamente una fine, sia a livello personale che universale. Sarà il trionfo di Dio, ma anche dell’uomo giusto, perché verrà dato a ciascuno il suo: verrà asciugata ogni lacrima, risanata ogni ferita. * « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno », aggiunge Gesù mettendo nel timore chi ha messo in soffitta il mondo di Dio. Mentre sono parole che riempiono di gioiosa speranza quanti lottano per un mondo migliore. * Ma, conclude Gesù, « Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa… eccetto il Padre ». Ed è vero, ci sfuggono il giorno e l’ora. Sappiamo però che questo giudizio è in atto sin da adesso, che è più tagliente di una spada affilata e che richiede da noi tutto l’impegno e la voglia di vivere di cui siamo capaci.

Cinquantatré minuti da spendere « Buon giorno », disse il piccolo principe. « Buon giorno », disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere. « Perché vendi questa roba? », disse il piccolo principe. « E una grossa economia di tempo », disse il mercante. « Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatré minuti alla settimana ». « E che cosa ne fai di questi cinquantatré minuti? ». « Se ne fa quel che si vuole ». « Io », disse il piccolo principe, « se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio, verso una fontana » (Antoine de Saint-Exupéry).

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA:

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