Archive pour le 11 novembre, 2015

Jesus family

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SANTI PERCHÉ TUTTI FIGLI DI DIO (per il 1 novembre)

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SANTI PERCHÉ TUTTI FIGLI DI DIO

di Fernando Ferro, 1 novembre 2015 Letture: Ap 7,2-4.9-14; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a

Celebriamo la solennità di tutti i santi. Il termine biblico ‘santo’ deriva da una radice che significa mettere a parte, separare. Dio in quanto santo è distinto e diverso da tutto ciò che è mondano. Egli è il ‘totalmente altro’. “Tu solo sei il Santo” cantiamo nel Gloria quando celebriamo l’Eucaristia. L’incontro con la santità di Dio ha perciò, per l’uomo dell’Antico Testamento, qualcosa di spaventoso. Possiamo incontrare Dio, come Mosè al roveto ardente, solo con il volto coperto (Es 3,6). Nessun uomo può vedere Dio senza morire (Es 19,29). Quando Dio appare ad Isaia nel tempio, gli appare in tutto il fulgore della sua divinità, al punto che il profeta viene colto dallo spavento e dal terrore: questa visione lo scuote fin nelle profondità della sua esistenza (Is 6,1-5). In Osea l’esperienza della santità di Dio è l’esperienza della sua compassione e del suo amore, che sconvolge e capovolge letteralmente tutte le categorie umane e mondane (Os 11,8 ss. ). Attraverso la sua santità, espressa in una misericordia e in un amore che si comunica, Dio è vicino all’uomo e lo fa partecipare alla propria vita e alla propria santità. Lo ha fatto «molte volte e in diversi modi». Da ultimo lo ha fatto per mezzo del Figlio. «Dio ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissutasantamente» (2Pt 1,4). «Dio vuole farci partecipi della sua santità» (Eb 12,10). Mediante il battesimo i cristiani, fondati sulla pietra angolare che è Gesù, formano, come pietre vive, una casa spirituale: «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato» (1Pt 2,9). In questo senso i discepoli di Gesù si denominano come «i santi». Essi sono santi perché santificati per mezzo dello Spirito santo di Dio, e perché lo Spirito abita in loro. «S.uno mi ama – dice Gesù – osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23). La prima lettera di Giovanni parla della comunione che noi abbiamo con il Padre e con il Figlio suo Gesù (1Gv 1,3). Bellissimo il testo della seconda lettura di questa domenica: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!». Mi commuove questo realismo: non siamo figli per modo di dire, in senso moralistico. Per un dono del suo amore lo siamo oggettivamente, partecipando della natura divina. La liturgia terrena della chiesa rinvia già adesso alla liturgia celeste dell’Agnello e la rende presente anticipatamente. Perciò anche la liturgia della chiesa e quanto in essa accade può essere santo. Ma quanti saranno i santi? Ci risponde il libro dell’Apocalisse: «Udii il numero di coloro che furono segnaticon il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli di Israele. Dopo questecose vidi: ecco una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo elingua». Tutti costoro stanno in piedi, davanti al trono di Dio e davanti all’Agnello, e sono avvolti in vesti candide. Sta in piedi chi è libero, vittorioso; sta in piedi chi è rivestito della dignità dei figli. E la veste candida è il segno della partecipazione alla vita divina. Come è potuto accadere? Come sarà possibile anche per noi? Quelli che stanno davanti al trono di Dio «tenendo rami dipalma nelle loro mani» sono quelli che «hanno lavato le loro vesti, rendendole candidenel sangue dell’Agnello». E’ l’accoglienza del dono della vita del Signore, il Crocifisso per amore, che rende bella e santa la nostra vita. La fede in lui illumina di luce vera non solo le nostre vesti, ma tutta intera l’esistenza. E’ il Risorto che trasfigura il nostro corpo di miseria e lo rende conforme al suo corpo glorioso (cfr. Fil 3,21). Ma c’è dell’altro. I santi «sono quelli che vengono dalla grande tribolazione». Ai discepoli di Gesù viene chiesta una resistenza attiva nei confronti delle ‘pressioni’ che vengono dal mondo. Vincerà chi avrà perseverato fino alla fine, con umile e fiduciosa determinazione. Così la santità è un dono, ma anche un compito. Già nell’Antico Testamento troviamo di continuo l’espressione «siate santi, perché io, vostro Dio, sono santo» (Lv 11,44). E Luca scrive: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). La santità include, dopo il comandamento dell’amore di Dio, anche il comandamento dell’amore del prossimo, e quindi anche la giustizia. Alla santità siamo tutti chiamati, anche se questa affermazione biblica fondamentale è purtroppo spesso caduta in dimenticanza. La santità è stata per molto tempo tenuta sotto sequestro e ritenuta un bene particolare dello stato clericale, dei monaci e dei religiosi. La vocazione alla santità fu spesso concepita non come vocazione dei cristiani ‘normali’, viventi nella quotidianità del mondo, ma come vocazione riservata solo a pochi eletti. I santi furono e sono perciò non di rado considerati come dei cristiani straordinari. Ma le beatitudini del discorso della montagna valgono per tutti e i consigli evangelici sono rivolti a tutti coloro che seguono Cristo. La santità è il senso della chiesa e il motivo della sua esistenza. Giorgio Scatto

PAPA FRANCESCO – LA FAMIGLIA – 32. CONVIVIALITÀ

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20151111_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 11 novembre 2015

Parole all’inizio dell’Udienza generale

In questi giorni la Chiesa italiana sta celebrando il Convegno nazionale a Firenze. I cardinali, i vescovi, i consacrati, i laici, tutti insieme. Vi invito a pregare la Madonna, un’Ave Maria per loro. [Ave Maria]

CATECHESI DEL SANTO PADRE

LA FAMIGLIA – 32. CONVIVIALITÀ

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi rifletteremo su una qualità caratteristica della vita familiare che si apprende fin dai primi anni di vita: la convivialità, ossia l’attitudine a condividere i beni della vita e ad essere felici di poterlo fare. Condividere e saper condividere è una virtù preziosa! Il suo simbolo, la sua “icona”, è la famiglia riunita intorno alla mensa domestica. La condivisione del pasto – e dunque, oltre che del cibo, anche degli affetti, dei racconti, degli eventi… – è un’esperienza fondamentale. Quando c’è una festa, un compleanno, un anniversario, ci si ritrova attorno alla tavola. In alcune culture è consuetudine farlo anche per un lutto, per stare vicino a chi è nel dolore per la perdita di un familiare. La convivialità è un termometro sicuro per misurare la salute dei rapporti: se in famiglia c’è qualcosa che non va, o qualche ferita nascosta, a tavola si capisce subito. Una famiglia che non mangia quasi mai insieme, o in cui a tavola non si parla ma si guarda la televisione, o lo smartphone, è una famiglia “poco famiglia”. Quando i figli a tavola sono attaccati al computer, al telefonino, e non si ascoltano fra loro, questo non è famiglia, è un pensionato. Il Cristianesimo ha una speciale vocazione alla convivialità, tutti lo sanno. Il Signore Gesù insegnava volentieri a tavola, e rappresentava talvolta il regno di Dio come un convito festoso. Gesù scelse la mensa anche per consegnare ai discepoli il suo testamento spirituale – lo fece a cena – condensato nel gesto memoriale del suo Sacrificio: dono del suo Corpo e del suo Sangue quali Cibo e Bevanda di salvezza, che nutrono l’amore vero e durevole. In questa prospettiva, possiamo ben dire che la famiglia è “di casa” alla Messa, proprio perché porta all’Eucaristia la propria esperienza di convivialità e la apre alla grazia di una convivialità universale, dell’amore di Dio per il mondo. Partecipando all’Eucaristia, la famiglia viene purificata dalla tentazione di chiudersi in sé stessa, fortificata nell’amore e nella fedeltà, e allarga i confini della propria fraternità secondo il cuore di Cristo. In questo nostro tempo, segnato da tante chiusure e da troppi muri, la convivialità, generata dalla famiglia e dilatata dall’Eucaristia, diventa un’opportunità cruciale. L’Eucaristia e le famiglie da essa nutrite possono vincere le chiusure e costruire ponti di accoglienza e di carità. Sì, l’Eucaristia di una Chiesa di famiglie, capaci di restituire alla comunità il lievito operoso della convivialità e dell’ospitalità reciproca, è una scuola di inclusione umana che non teme confronti! Non ci sono piccoli, orfani, deboli, indifesi, feriti e delusi, disperati e abbandonati, che la convivialità eucaristica delle famiglie non possa nutrire, rifocillare, proteggere e ospitare. La memoria delle virtù familiari ci aiuta a capire. Noi stessi abbiamo conosciuto, e ancora conosciamo, quali miracoli possono accadere quando una madre ha sguardo e attenzione, accudimento e cura per i figli altrui, oltre che per i propri. Fino a ieri, bastava una mamma per tutti i bambini del cortile! E ancora: sappiamo bene quale forza acquista un popolo i cui padri sono pronti a muoversi a protezione dei figli di tutti, perché considerano i figli un bene indiviso, che sono felici e orgogliosi di proteggere. Oggi molti contesti sociali pongono ostacoli alla convivialità familiare. E’ vero, oggi non è facile. Dobbiamo trovare il modo di recuperarla. A tavola si parla, a tavola si ascolta. Niente silenzio, quel silenzio che non è il silenzio delle monache, ma è il silenzio dell’egoismo, dove ognuno fa da sé, o la televisione o il computer… e non si parla. No, niente silenzio. Occorre recuperare quella convivialità familiare pur adattandola ai tempi. La convivialità sembra sia diventata una cosa che si compra e si vende, ma così è un’altra cosa. E il nutrimento non è sempre il simbolo di una giusta condivisione dei beni, capace di raggiungere chi non ha né pane né affetti. Nei Paesi ricchi siamo indotti a spendere per un nutrimento eccessivo, e poi lo siamo di nuovo per rimediare all’eccesso. E questo “affare” insensato distoglie la nostra attenzione dalla fame vera, del corpo e dell’anima. Quando non c’è convivialità c’è egoismo, ognuno pensa a se stesso. Tanto più che la pubblicità l’ha ridotta a un languore di merendine e a una voglia di dolcetti. Mentre tanti, troppi fratelli e sorelle rimangono fuori dalla tavola. E’ un po’ vergognoso! Guardiamo al mistero del Convito eucaristico. Il Signore spezza il suo Corpo e versa il suo Sangue per tutti. Davvero non c’è divisione che possa resistere a questo Sacrificio di comunione; solo l’atteggiamento di falsità, di complicità con il male può escludere da esso. Ogni altra distanza non può resistere alla potenza indifesa di questo pane spezzato e di questo vino versato, Sacramento dell’unico Corpo del Signore. L’alleanza viva e vitale delle famiglie cristiane, che precede, sostiene e abbraccia nel dinamismo della sua ospitalità le fatiche e le gioie quotidiane, coopera con la grazia dell’Eucaristia, che è in grado di creare comunione sempre nuova con la sua forza che include e che salva. La famiglia cristiana mostrerà proprio così l’ampiezza del suo vero orizzonte, che è l’orizzonte della Chiesa Madre di tutti gli uomini, di tutti gli abbandonati e gli esclusi, in tutti i popoli. Preghiamo perché questa convivialità familiare possa crescere e maturare nel tempo di grazia del prossimo Giubileo della Misericordia.

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