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18th-century painting, « The Song of Miriam, » by Paulo Malteis, Italy. Celebration after crossing the Red Sea from Egypt

18th-century painting,

https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_music_in_the_biblical_period

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MARIA, FONTE PERENNE D’ISPIRAZIONE PER LA MUSICA (PRIMI SECOLI)

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MARIA, FONTE PERENNE D’ISPIRAZIONE PER LA MUSICA (PRIMI SECOLI)

di Angelo M. Gila osm, in Santa Maria « regina martyrum », Anno XIV – n. 1 – 2011, pp. 38-44.

La salmodia e l’innodia sono le prime arcaiche espressioni del canto cristiano antico. La Vergine Maria, in ragione e in dipendenza di Cristo, vi occupa un posto indicativo. Tra i primi cantori di Maria spiccano Efrem ed Ambrogio, due innografi del IV secolo, altamente rappresentativi dell’Oriente e dell’Occidente. Quello degli inizi è il momento più difficile da studiare sotto l’aspetto musicale, ma anche il più suggestivo per le prime testimonianze che lascia trasparire. Se l’età dei Padri della Chiesa non deve essere mitizzata per quanto concerne il canto, è tuttavia significativo prendere atto che dovunque germinò il Vangelo fiorì il canto del Popolo di Dio « coro del Signore »1. Sotto l’aspetto mariano, i testi probabilmente o certamente destinati al canto, che ci sono pervenuti, di ogni area ecclesiale dell’Oriente e dell’Occidente, sono inizialmente limitati ma densi di contenuto e di afflato poetico e lirico2.

Il canto sacro nei primi secoli Il Salterio, paradigma della vita di ogni essere umano – con la sua potenza lirica e profetica – è stato, come per gli ebrei così anche per le prime generazioni cristiane che si sentivano il compimento del Popolo ebraico, motore di sviluppo e nutrimento del canto sacro orante dei primi secoli. Come risulta dai vari inni neotestamentari il Magnificat (Lc 1, 46-55), il Benedictus (Lc 1, 68-79), ecc., accanto alla salmodia sinagogale si affiancò l’innodia (componimento poetico cantato) tipicamente cristiana, quale libera espressione dello Spirito. In questo contesto Paolo invitava gli Efesini ad intrattenersi con salmi, inni, cantici spirituali, cantando ed inneggiando al Signore con tutto il cuore (cf. Ef 5,19; At 1, 16). Poiché gli eretici avevano trasformato gli inni in strumento di propaganda teologica, l’innologia cristiana fu nei secoli II e III molto limitata e guardata con sospetto soprattutto in Occidente3. Tertulliano nel 160 scriveva: « Noi desideriamo che si canti [...] non il genere di salmo degli eretici e degli apostati, e di Valentino il platonico, ma quelli di Davide, che sono molto santi e del tutto ammessi, classici »4. In seguito, come vedremo, superato il pericolo dell’inquinamento eretico, l’innodia acquisterà un suo statuto liturgico in pienezza. Nei confronti della musica che oggi diremmo « musica leggera » o « mondo delle canzonette » c’è un’indicazione saggia da parte di Clemente di Alessandria: « Si scelgano musiche dignitose, allontanando il più possibile le musiche di effetto svenevole»5. Numerose sono le testimonianze sulla pratica, del canto nelle origini cristiane. Ricordiamo oltre a Paolo (Ef. 5,19), i passi della lettera di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano: « In un giorno determinato, prima dell’alba, [i cristiani] sogliono adunarsi e cantare a Cristo come a un Dio »6. Sant’Atanasio nella lettera a Marcellino insegna sapientemente con quale spirito bisogna cantare gli inni e i salmi, affinché questi siano accetti a Dio, di giovamento allo spirito e di edificazione ai fedeli che ascoltano . E’ storica l’impressione profonda, che produsse la massa popolare inneggiante al Signore, sui soldati satelliti di Ario, accorsi in Chiesa per arrestare Atanasio. La viva passione e il profondo sentimento con cui i fedeli accompagnavano il salmo, colpirono talmente i soldati, che questi ne rimasero commossi e non ebbero l’ardire di mettere le mani sul vescovo Atanasio8. S. Sant’Agostino rileverà la bellezza ed importanza del canto nella liturgia cristiana con queste parole « Non si vede cosa possa esistere di meglio, di più utile, di più santo che cantare le lodi sacre »9. Giustamente lo studioso K. H. Bartels ha potuto rilevare che « il canto è senza dubbio parte integrante della liturgia protocristiana »10. Nei confronti dell’uso degli strumenti musicali, sia si tratti di quelli usati nei loro ambienti sociali che di quelli documentati dalla Bibbia per la preghiera dell’AT, i Padri mostrano atteggiamenti diversi e poco entusiasti11. C’è invece un’idea insistente e comune a tutti i Padri: è l’uomo il vero strumento, è la persona l’organo perfetto. Affrontare i] discorso delle « forme musicali » nei primi secoli è cosa ardua poiché nessuna melodia ci è giunta, se non un frammento di un inno cristiano, scoperto ad Ossirinco, recante una notazione musicale risalente al III secolo. E’ questo il primo testo cristiano con indicazioni musicali: la notazione è in forma letterale, secondo la scala diatonica ipolidia12. Sembra che questo fosse il tono musicale preferito dai primi cristiani e che la declamazione (recitazione in tono solenne) e la cantillazione(declamazione propriamente ritmica e intonata) fossero le tecniche dei primi cristiani. Comunque prendiamo atto che l’inno è ed era la forma più popolare e accessibile al canto. La salmodia doveva essere di tipo responsoriale: il cantore declamava il salmo e il popolo, a intervalli regolari, rispondeva con un ritornello13. E’ scontato che sotto l’aspetto tecnicamente melodico, gli inizi del canto cristiano sono avari di notizie concrete e i rilievi sono in gran parte ipotetici ed approssimativi. E’ invece significativo prendere atto che numerose sono le testimonianze sulla pratica del canto nelle origini e sulla conoscenza dei testi cantati quali il Salterio ebraico e gli inni ecclesiali. In altri termini i primi cristiani vivevano il canto come espressione cristiana e nutrivano il canto con la Parola di Dio e la parola della Chiesa. In questo contesto di salmodia e di innodia di alto contenuto biblico ed ecclesiale, troviamo i primi segni della presenza di Maria nel canto cristiano.

Presenza della Vergine nel canto dei Salmi Le prime testimonianze della presenza della Vergine Maria nel canto sacro dei primi secoli, fioriscono all’interno dei Salmi dell’AT amorosamente riletti, sapientemente attualizzati alla luce del mistero di Cristo, pregati coralmente in sintonia con la liturgia ebraica matrice di quella cristiana. Il Salterio, uno dei libri de]l’A.T che più spesso appare citato nel N.T., era considerato tra i più validi testimoni della rivelazione. Questo spiega perché i Padri, « Evangelisti del Salterio » fin dal secolo II, « cristologizzarono » il Salterio poiché Gesù aveva insegnato: « Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi » (Lc 24, 44). Pertanto i salmi furono celebrati quale profezia su Cristo14. In questo contesto in alcuni versetti salmici accanto alla figura di Cristo, si riconobbe profetizzata anche la Vergine Maria sempre legata a Cristo e al suo mistero15. Pertanto in ragione di Cristo, anche Maria entrò nel canto profetico dei salmi quale, per fare qualche esempio dell’ampio patrimonio profetico – mariano, « tabernacolo » dal quale uscì Cristo vero sole di giustizia e luce del mondo (Sal 19,6)16; la nuova « terra vergine » dalla quale fu plasmato Cristo (Sal 67, 6)17; « grembo » nel quale fiorì il frutto Cristo (Sal 22,10-11)18. E’ importante prendere atto dello stabilirsi e diffondersi della «lettura mariologica dei salmi» fin dai primissimi secoli dal momento che il salterio era ritenuto dappertutto libro profetico ed era generalmente usato quale « libro celebrato e cantato » negli incontri cultuali della Chiesa primitiva.

Presenza della Vergine nella prima innografia cristiana I primi segni della presenza di Maria nel canto cristiano fioriscono anche all’interno della prima innodia cristiana che si affianca, all’inizio cautamente, alla salmodia ebraica quale « lode divina » e libera espressione dello spirito. L’area geografica è orientale e le testimonianze sono poche ma ricche di contenuto. Tra i documenti di una arcaica innodia, ricordiamo, in quanto contenenti elementi mariani, le Odi di Salomone (dal sec II al IV), l’inno dell’ascensione – glorificazione di All-Moâllakah (sec. IV) e il tropario Sub tuum praesidium ( sec. III-IV ). La XIX Ode di Salomone sottolinea la parte attiva della Vergine Maria nell’evento dell’incarnazione; il parto indolore di Maria in antitesi con la pena del « dolore del parto » di Eva19; il testo doll’inno di All-Moallakah presenta Maria al momento dell’ascensione e sottolinea il potere intercessivo della Madre di Dio21. Nella stupenda preghiera del Sub tuum praesidium si invocano la protezione e la custodia della Madre di Dio21. Possiamo solo immaginare le forme musicali di questi inni con elementi mariani. Facilmente si trattava della cosiddetta « cantillazione »22. Una cosa comunque merita attenzione sotto l’aspetto mariano: l’antica innografia, anche a motivo del potere della musica e della popolarità degli inni, ha contribuito alla diffusione della dottrina mariana23.

I primi cantori di Maria Nel IV secolo sotto l’aspetto liturgico – musicale sia in Oriente che in Occidente registriamo un notevole sviluppo dell’innodia. In Oriente occupa un posto di primo piano il poeta lirico Efrem il Siro. In Occidente è stato Ilario di Poitiers (†367) il primo appassionato Padre della Chiesa a tentare la via della lirica religiosa latina. Seguito da Eusebio di Vercelli e, soprattutto, da Ambrogio di Milano che si può definire il padre dell’innodia occidentale. Efrem Siro (†373), massimo poeta dell’era patristica, nacque in Mesopotamia a Nisibi (l’attuale Nusaybin in Turchia). Svolse una intensa attività pastorale attraverso la poesia e il canto. Compose dei Memra, poemi destinati alla recitazione e dei Madrasha, inni da cantare, spesso parafrasi di citazioni bibliche, introducendo tecniche metriche nuove, quali l’isosillabismo dei versi e le formule abecedarie (acrostici). Si trattava di espedienti che servivano alle assemblee per facilitare la memorizzazione. In maniera suggestiva un biografo ci racconta la pedagogia religiosa del diacono Efrem, maestro di coro: «Quando Sant’Efrem vide la passione degli abitanti di Edessa per il canto, istituì la contropartita dei giochi e delle danze dei giovani. Formò cori di religiose a cui insegnò gli inni divisi in strofe con ritornelli. Mise in questi inni pensieri delicati e istruzioni spirituali sulla Natività, la Passione, la Resurrezione e l’Ascensione, come anche sui confessori, la penitenza e i defunti. Le vergini si riunivano la domenica, nelle grandi feste e nei giorni commemorativi dei martiri; ed egli, come un padre, stava in mezzo a loro e le accompagnava con l’arpa. Le suddivise in cori per canti alternati, ed insegnò loro le diverse arie musicali, in guisa che tutta la città gli si riunì attorno e gli avversari furono coperti di vergogna e dovettero sparire»25. E’ passato alla storia ed è stato giustamente definito « Cetra dello Spirito Santo ». Per un teologo poeta come lui, Maria diventa oggetto di particolare attenzione ed i suoi misteri sono espressi con simboli lirici di indescrivibile bellezza. Definisce Maria: L’occhio illuminato e luminoso del mondo26; l’orecchio nuovo attraverso il quale è germogliata la Vita27; icona della kenosi del Verbo28. Presenta nel canto poetico note teologiche originali come il paragonare la Vergine Maria al monte Sinai29, «colei che ci ha dato il pane di conforto al posto del pane di fatica che diede Eva»30. Canta Cristo risorto apparso a Maria sua madre31. Ilario di Poitiers (†363) merita molta attenzione perché, sull’esempio di Efrem tentò per primo in Occidente di inserire gli inni nella liturgia per familiarizzare i fedeli con la teologia, proteggere la loro ortodossia e associarli più intimamente alle celebrazioni liturgiche. Il suo sforzo non fu un successo. Era troppo uomo di pensiero per trovare la vena popolare e lirica. Nell’Inno a Cristo e nell’Inno al Natale canta la «Vergine puerpera», segno vivente della divinità di Cristo32. Ambrogio di Milano (†397): a questo grande vescovo si deve il merito storico indiscusso della diffusione degli inni nel culto liturgico delle Chiese Occidentali. Oltre che squisito omileta, Ambrogio è stato anche un valente compositore di inni, scritti per educare il popolo alla fede. Agostino ricorda con struggente nostalgia la melodia e le parole degli inni di Ambrogio: «Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e incoraggiante, di cantare affratellati, all’unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore»33. Effettivamente questi inni si presentano in una piacevole forma artistica. La poesia è piena di eleganza, di gravità romana, di fede sentita. La forma scelta da Ambrogio per i suoi inni è quella del dimetro giambico acatalettico: esso è semplice, fluido, musicale. Dall’Oriente egli deve avere tratto l’uso del canto alternato e forse anche il modo melodico. In essi Ambrogio, riferendosi ad At 2,15, parla di «sobria ebrezza». In due inni, entrati nella liturgia, accosta la Madre del Signore in una teologia altamente ispirata35. Ambrogio anche nell’innodia si dimostra abile nel mantenere alto il livello teologico ed insieme riesce ad abbinarlo alla vena poetica. Incisive e solenni le sue affermazioni: «Tutti i tempi ammirino: un tale parto si addice a Dio. . .Dio dimora nel tempio»36.

«Psalmus responsorius»: un inno alla Vergine Maria (prima metà sec. IV). L’anonimo autore di questa composizione poetica in 12 strofe (altre mancano), ritrovata in un papiro latino a Barcellona, chiama la sua composizione Psalmus responsorius. Questo testo è stato pubblicato da Ramón RocaPuig nel 196537. Il genere poetico è quello della responsio: «I cui elementi sono il « cursus », l’armonia dei suoni e la distribuzione dei termini similari, un abbozzo di rima, in varia proporzione, alla formazione dei versi e delle strofe. E’ notevole l’influsso esercitato dal cursus e dall’armonia dei suoni, meno quello dei termini similari. Con ciò non si dice che l’autore proceda rigidamente, ma che, contro una certa unità, combina liberamente versi e strofe, senza altra restrizione all’infuori di quella che gli impongono il suo estro poetico e la padronanza della lingua latina»38. Sotto l’aspetto musicale si può supporre, a giudicare dal titolo « Psalmus responsorius », che la tecnica innologica fosse quella di tipo responsoriale. Il poemetto esalta alcuni eventi che ebbero la Vergine come protagonista: nascita, presentazione al tempio, sposalizio con Giuseppe, annunciazione, nascita di Gesù, fuga in Egitto, miracolo di Cana. Le fonti principali sono il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo di Matteo e il Vangelo di Giovanni. A conclusione di queste Veloci note ricordiamo un celebre testo agostiniano che presenta il canto quale profezia di speranza: «Qui e lassù si cantano le lodi di Dio, ma qui da gente angustiata, lassù da gente viva per l’eternità; qui nella speranza, lassù nel reale possesso; qui in via, lassù in patria. Cantiamolo dunque adesso, fratelli miei, non per esprimere il gaudio del riposo ma per procurarci un sollievo nella fatica. Come sogliono cantare i viandanti, canta e cammina» (Sermo 256). In questo contesto di speranza i nostri antichi progenitori di fede hanno voluto si facesse anche memoria di colei che sulla terra ha cantato il Magnificat e ora lo canta nella gioia dell’eternità.

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MUSICA E CULTO CRISTIANO

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MUSICA E CULTO CRISTIANO

Con l’articolarsi e il successivo sfaldarsi dell’Impero Romano in zone amministrative, centri di attività diplomatica e regioni di supremazia politico-territoriale, le concentrazioni etnico-linguistiche che si vennero a creare ebbero ripercussioni anche sulla vita della Chiesa, favorendone specifici sviluppi liturgici. La liturgia, cioè l’esercizio al culto divino, venne così ad articolarsi secondo distinte famiglie e in primo luogo secondo due sfaccettati raggruppamenti: famiglie orientali (antiochena e bizantina) e famiglie occidentali (liturgia africana; liturgie galliche, ispanica e gallicana; liturgia insulare: celtica, irlandese e bretone; famiglie italiche: milanese e romana). Va tenuto però presente che la distinzione non implicò mai assoluta separazione. Fino al III secolo, infatti, i cristiani cantarono in greco, e ciò spiega altresì la permanenza di alcune forme lessicali greche anche nella liturgia in lingua latina: basti pensare al Ky´rie eleíson adottato permanentemente nell’Ordinarium Missae, cioè fra i testi invariabili dei canti della messa romana. Il latino si impose come lingua ufficiale di Roma solamente verso la metà del III secolo, dopo una sua prima comparsa nelle province africane, ma fin oltre il IV secolo si prolungò una fase di bilinguismo liturgico.

Influenze dalla musica ebraica Come l’Antico Testamento biblico informa circa la musica ebraica, così gli scritti neotestamentari e dell’età apostolica offrono i primi documenti dell’innodia cristiana. Fra i due ceppi, l’ebraico e il cristiano, vi è distinzione e continuità. La musica cristiana certo deve riconoscere in quella ebraica la provenienza di alcuni condizionamenti genetici che non poté evitare. È possibile asserire con certezza che nei primi due secoli dopo Cristo la tradizione ebraica pose le basi strutturali (formule di benedizione, celebrazioni di memorie, uso della Sacra Scrittura e sua proclamazione tramite le complesse norme della cantillazione) della liturgia e del canto cristiano. Lo studio filologico delle fonti orali e letterarie dei Vangeli permette di arretrare l’analisi a strati assai profondi, senza che però sia possibile attingere un’unica fonte da cui si origini la tradizione orale dei primi repertori musicali liturgici. Sulla base di frammenti rinvenuti, sono in ogni caso documentabili coincidenze di alcune melodie di canti ebraici concorrispondenti melodie cristiane, così come, inversamente, pur al cospetto di linee melodiche differenti, l’analisi etnomusicologica ha permesso di verificare un’identità di forme.

Le prime forme della liturgia cristiana: il canto Dei primi due secoli, quando le liturgie erano ancora assai condizionate dalla prassi ebraica, sono pervenuti unicamente alcuni moduli di cantillazione. Va ribadito, però, che le prime manifestazioni del canto liturgico risentirono anche degli influssi greci e orientali. L’intreccio di questi influssi si faceva sentire nell’esecuzione dei canti attuata con una nota costante, intervallata da cadenze melodiche alle interpunzioni. In un processo temporale che investì anche i due secoli successivi (III-IV), il canto s’impreziosì di tutta una gamma di ornamentazioni, in cui regnava sovrano il vocalizzo: anzi, in alcuni canti, specialmente d’origine orientale o africana, il vocalizzo formava tutta la sostanza musicale. Intanto si assistette a una maggiore definizione del ricorso alla musica all’interno delle liturgie cristiane e si costituirono i primi repertori con fisionomie particolari, sia geograficamente, sia culturalmente e musicalmente. A tale scopo presero corpo alcuni generi musicali, quali la salmodia direttanea (costituita dal canto di un salmo non incorniciato o suddiviso da un brano molto breve chiamato antifona), il canto responsoriale (costituito da acclamazioni eseguite da tutto il popolo e da una parte solistica) e l’innodia, che si affermerà definitivamente in Occidente con il vescovo Ambrogio di Milano.

L’innodia cristiana Fra gli elementi caratterizzanti le prime forme del culto cristiano, una collocazione di tutto riguardo viene solitamente assegnata all’innodia. Le sue origini riconducono, sulla scorta delle indicazioni neotestamentarie, alle prime comunità cristiane riunite per render lode a Dio con « salmi, inni e cantici spirituali » (San Paolo). Derivati direttamente o soltanto ispirati dal modello della salmodia ebraica, dal punto di vista formale questi inni non presentano, differentemente, per esempio, dagli inni omerici, né una metrica quantitativa, né una precisa strutturazione strofica. I loro contenuti, espressi in lingua greca, erano o di genere dogmatico, morale o, più direttamente funzionali alla liturgia, motivati dalle intenzioni di glorificazione (dossologia) e di preghiera (eucologia). Di fatto, l’inno entra ovunque nella prassi liturgica dell’Europa latina, tranne che a Roma: qui imperava, infatti, una rigida logica canonica, alla quale difficilmente si sarebbero potuti assoggettare testi dal linguaggio molto sfumato. D’altra parte, proprio questa mentalità marcatamente razionale avrebbe contribuito in seguito alla redazione magistrale del canto gregoriano.

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