Archive pour le 3 novembre, 2015

Paul the Apostle, by Rembrandt Harmensz van Rijn c. 1657

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https://en.wikipedia.org/wiki/Paul_the_Apostle

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IL BAAL SHEM TOV, TRA VITA, ESTASI E LEGGENDA – Di: Rav Alberto Moshe Somekh

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IL BAAL SHEM TOV, TRA VITA, ESTASI E LEGGENDA

Di: Rav Alberto Moshe Somekh

10/07/2014, Milano

Un secolo creativo. Indubbiamente, il Settecento europeo seppe esprimere anche nel mondo ebraico la sua straordinaria carica innovativa. Come? Con il chassidismo. Di questo movimento “di risveglio”, come lo definisce Gershon Scholem, “che rappresenta tuttora una forza effettiva per migliaia e migliaia di ebrei”, si ha spesso un’immagine parziale. In realtà “gli scritti dei Chassidim presentavano un pensiero più originale di quello dei loro avversari razionalisti – i Maskilim- e… la rinata cultura ebraica poteva ricevere più di un efficace stimolo dall’eredità del chassidismo”. Alle origini del movimento si collocano due fenomeni: uno che possiamo definire storico-sociale, l’altro spirituale. Se fino alla metà del Seicento gli Ebrei in Polonia e nelle terre limitrofe godevano di un relativo benessere che aveva permesso una certa fioritura degli studi, le stragi dei cosacchi di Chmielnicki, nel 1648, capovolsero la situazione. I massacri antisemiti provocarono la morte di decine di migliaia di Ebrei e ne misero in serio pericolo le condizioni economiche. Soggetti ad una forte pressione fiscale, gli Ebrei abbandonarono le città, trovandosi non di rado a vendersi come servi ai proprietari terrieri al cui servizio si erano messi come contadini. L’antisemitismo cresceva sotto la spinta della Chiesa, che sovente reiterava nei loro confronti la secolare accusa di omicidio rituale e faceva bruciare il Talmud nelle piazze. Se la Lituania non fu praticamente toccata dalla crisi e riuscì a mantenere la sua superiorità culturale, le province della Volinia e della Podolia risentirono profondamente dei mutamenti politici ed economici in atto.

All’abbattimento morale e spirituale dell’ebraismo polacco fece eco il fallimento del movimento messianico sabbatiano. Shabbetay Tzvì, nato a Smirne nel 1626, dopo essersi più volte proclamato Messia, fu imprigionato dal Sultano nel 1666 e per sfuggire alla condanna a morte preferì convertirsi all’Islam. Fu allora che il suo discepolo Natan di Gaza diede forza al movimento, interpretando l’apostasia del maestro come un segno positivo. La dottrina si diffuse anche in Polonia ed avrebbe avuto forza attraverso la predicazione di Jacob Frank (1726-1791), fondatore di una setta di ispirazione sabbatiana. Non è chiaro se e quali rapporti diretti abbia effettivamente avuto il primo chassidismo con gli esponenti del sabbatianesimo. Anche se quest’ultimo fu condannato dai Chassidim, cionondimeno alcuni aspetti della dottrina chassidica originaria potrebbero avere capovolto, come vedremo, un ascendente sabbatiano.

Si attribuisce la nascita del movimento chassidico alla figura semileggendaria di R. Israel ben Eli’ezer Ba’al Shem Tov (acronimo: Be.sh.t., 1700-1760 ca.). Narrare la sua vicenda biografica è tutt’altro che semplice, dal momento che non è sempre agevole distiguere, nelle fonti che lo riguardano, fra la realtà e le numerose leggende (raccolte nei Shivchè ha-Be.sh.t, “lodi del Be.sh.t”), con cui i suoi discendenti e discepoli hanno alimentato il mito della sua personalità carismatica. Nato in Podolia da genitori anziani e poveri e rimasto presto orfano, inizialmente si guadagnò da vivere come insegnante elementare nel cheder. A quattordici anni incontrò il figlio di un certo rav Adam, che lo iniziò allo studio della Qabbalah. Sull’identità di questo personaggio ci sono svariate ipotesi: secondo alcuni si trattava di un cripto-sabbatiano. A vent’anni, Israel si sposta nella città di Brody, il cui Rabbino, Abraham Kitower, attratto dalla sua emergente personalità, gli concede in sposa sua figlia. Inizialmente il matrimonio fu osteggiato dall’altro figlio di rav Kitower, Ghershon, preoccupato dalle oscure origini del cognato: ma successivamente, proprio Ghershon sarebbe diventato uno dei suoi principali sostenitori. Ritiratosi sui Carpazi, visse sette anni scavando l’argilla che la moglie rivendeva in città. Il giorno del suo 36° compleanno gli venne rivelato dal cielo che era giunto per lui il momento di rivelarsi al mondo. Cominciò così a girare per la Podolia, operando guarigioni ed esorcisimi come erano soliti fare i Ba’alè Shem (lett. “detentori del Nome Divino”) dell’epoca, facendo uso di cognizioni di Qabbalah pratica ma soprattutto, nel suo caso, della preghiera. Si stabilì a Mesebitz, dove in pochi anni radunò intorno a sé un gran numero di discepoli, che formarono il centro del chassidismo nascente. Il primo elemento che distinse subito il Chassidismo rispetto ad altri movimenti mistici fu il suo carattere “di massa” e non limitato a pochi iniziati. Peraltro, il Chassidismo non elaborò una forma di pensiero né un linguaggio originale. Esso si basava sull’interpretazione della Qabbalah che ne aveva dato R. I. Luria e in particolare sulla teoria dello tzimtzum (lett. “contrazione”) e della shevirat kelim (lett. “rottura dei recipienti o vasi”). La Divinità o Eyn Sof (lett. “infinito”) si sarebbe “contratto” per lasciare spazio al mondo creato. A sua volta la creazione sarebbe avvenuta per stadi, il primo dei quali coincise con la emanazione da parte della Divinità stessa di dieci canali di luce, le Sefirot. Ma i “recipienti” destinati a contenerle non avrebbero retto la forza della luce e si sarebbero rotti, provocando una dispersione della luce Divina nel mondo. Da allora, il Male e il Bene sono mescolati. Compito degli ebrei è andare alla ricerca di queste nitzotzot (lett. “scintille”) di luce e separarle dalle qelippot (lett. “bucce”), distillando il Bene in modo che il Male non abbia più ragion d’essere. La novità del pensiero chassidico consiste nell’aver introdotto in tutto ciò il concetto di elevazione. Il Male va sublimato ed elevato, piuttosto che separato. In che modo? Sebbene non sia vero che lo studio della Torah fosse negletto dai Chassidim ed essi insistessero sul fatto che l’Ebreo deve adempiere i precetti della Torah, la preghiera assume in questa dottrina certamente un’importanza preponderante. Ma lungi dall’essere un’esperienza di raccoglimento, si trattò invece di “movimento”. I Chassidim delle origini si distinguevano per il modo talvolta scomposto con cui pregavano, suscitando non di rado l’opposizione dei tradizionalisti. Anche la danza poteva essere per i Chassidim uno strumento di elevazione. La preghiera perseguita mediante la giusta kawwanah (lett. “intenzione, concentrazione”) “permette di raggiungere quell’annullamento del proprio essere che è condizione indispensabile per poter vedere Dio oltre il velo delle realtà create”. Servire la Divinità con sentimenti di gioia (hitlahavùt) è un’altra caratteristica del Chassidismo (e dell’Ebraismo), rispetto ad altri movimenti mistici. R. Israel ammonisce i suoi discepoli ad evitare “i troppi digiuni, che contribuiscono alla melancolia e alla tristezza”. Lo scopo di tutto è raggiungere la deveqùt, l’“adesione” al Divino. L’uomo deve perseguire questa finalità in ogni esperienza della vita e non solo mentre è intento ad eseguire un precetto, perché “allorché la persona tratta delle sue necessità materiali e il suo pensiero aderisce al Divino, sarà benedetta”. L’altro elemento che distingue il Chassidismo dalla Qabbalah luriana è la dottrina dello Tzaddiq (lett. “giusto”). Ci sono personalità le cui caratteristiche spirituali si distinguono da quelle degli uomini comuni. Gli Tzaddiqim hanno un livello superiore di deveqùt che consente loro di elevare fino a Dio le preghiere e le intenzioni dei loro discepoli, promuovendone la Teshuvah (lett. “ritorno a Dio”). Ma per far ciò lo Tzaddiq deve in prima persona confrontarsi con il Male, sprofondare in esso (mediante il solo pensiero!), per realizzare completamente il tiqqùn (lett. “riparazione”). Qui c’è la differenza rispetto al sabbatianesimo, in cui l’atto di abiura del cosiddetto Messia era stato percepito come necessario al processo di redenzione. Nel Chassidismo, viceversa, il processo di discesa non implica alcun distacco dalla sorgente Divina: al contrario, se lo Tzaddiq vuole risollevarsi dal profondo e risollevare i trasgressori con sé, deve saper preservare costantemente la propria deveqùt. Allorché ci si allontana da Dio, l’amore di un altro essere umano verso di noi sarà la nostra salvezza. Un giorno un padre si lamentava in presenza del Ba’al Shem Tov: “Mio figlio si è sviato da Dio; cosa debbo fare?” Gli rispose: “Amarlo di più!”

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PATROLOGIA e PATRISTICA

http://www.paginecattoliche.it/patristica.htm

PATROLOGIA e PATRISTICA

Vocaboli di origine protestante. Nella teologia luterana del sec. XVII si cominciò a parlare di una « theologia patristica » nel senso di una collezione di testimoni dei Padri per i singoli dogmi. Questo concetto teologico del termine « patristica » si confuse con il concetto letterario di « patrologia », che come termine fu usato per la prima volta dal teologo luterano Johs Gerhardus (m. nel 1637) nella sua opera Patrologia, sive de primitivae Ecclesiae christianae Doctorum vita ac lucubrationibus opuspostumum (lena 1653). Ma se i due termini « patrologia » e « patristica » sono di origine protestante, i due concetti, quello teologico e l’altro letterario, per valutare gli scrittori ecclesiastici della Chiesa antica, si trovano già nella letteratura cattolica. Il concetto di « Padre » è di carattere dogmatico, avendo la sua base nella prova dogmatica della tradizione, mentre l’esigenza di considerare gli scrittori antichi sotto un aspetto letterario si manifesta già nel De viris illustribus di s. Girolamo. Partendo dal concetto dogmatico di « padre » la patristica (o patrologia) si avvicina, come disciplina teologica, alla dogmatica o alla storia dei dogmi; seguendo la strada iniziata da s. Girolamo si arriva alla « storia della letteratura cristiana antica », cioè a una disciplina particolare della storia della Chiesa. La scienza cattolica ha scelto e l’una e l’altra via. L’opera, già citata di s. Girolamo (ed. di C. A. Bernoulli; Friburgo in Br. 1895, di E. C. Richardson, Lipsia 1896; v.: H. Edmonds, 2a ed., in Altertum, Lipsia 1941, P. 348 sg.) resa pubblica nell’anno 392, è in fondo nient’altro che un catalogo, il quale non esclude né scrittori giudaici (Filone, Flavio Giuseppe e Giusto di Tiberiade), né autori scismatici ed eretici e annovera nel suo elenco letterario anche gli Evangelisti. L’operetta aveva scopo apologetico, perché voleva dimostrare contro Celso, Porfirio e l’imperatore Giuliano che nella Chiesa non erano mai mancati filosofi eloquenti e dottori. Nella forma Girolamo ha copiato Svetonio, nel contenuto dipende da Eusebio (Historia ecclesiastica e Chronicon), ma non mancano notizie che si basino su letture proprie. La critica di testi biblici è assai libera, il profilo dello stile caratteristico di singoli autori è superficiale (non paragonabile con la critica letteraria di Fozio; sull’opera di Girolamo, cf. C. A. Bernoulli, Der Schriftstellerkatalog des Hieronymus, Friburgo in Br. 1895; St. von Sychowski, Hieronymus als Literaturhistoriker, Munster 1894; A. Feder, Studien zum Schriftstellerkatalog des hl. Hieronymus, Friburgo 927; P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident, Parigi 1943, P. 78 sg.). Verso il 480 il sacerdote semipelagiano Gennadio di Marsiglia scrisse una continuazione dell’opera di s. Girolamo; perciò la maggior parte dei manoscritti di Girolamo contiene anche la continuazione di Gennadio. L’opera di Gennadio è più accurata, più teologica di quella di Girolamo, ma rivela anche la sua posizione semipelagiana (13. Czapla, Gennadius als Literaturhistoriker, Munster 1898; F. Diekamp, Wann hat Gennadius seinen Schriftstellerkatalog verfasst, in Romische Quartalschr., 12 [1898], P. 411 sg.; A. Feder, Der Semipelagianismus im Schriftstellerkatalog des G., in Scholastik, 2 [1927], P. 481 sg.; id., Die Entstehung und Veróffentlichung des gennadianischen Schriftstellerkatalogs, ibid., 8 [1933], p. 27 sg.; id., Zusatze des Gennadian. Schriftstellerkatalogs, ibid., P. 380 sg.; P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident, Parigi 1943, P. 221 sg.). Continuatori di s. Girolamo e Gennadio con particolari interessi per gli scrittori spagnoli furono Isidoro di Siviglia (tra il 615 e il 618: PL 83, 1081-1106) e il suo discepolo Ildefonso di Toledo (m. nel 667: PL 96, 195 sg.; cf. G. V. Dzialowski, Isidor und Ildefons als Literaturhistoriker, Munster 1898; F. Schutte, Studien úber den Schriftstellerkatalog des hl. Isidor, in M. Sdralek, Kirchengeschichtliche Abhandlungen, Breslavia 902, P. 75 sg.; M. Ihm, Beitráge zur alten Geschichte und griech.-rómischen Altertumskunde [Festschrift fur 0. Hirschfeld], Berlino 1903, P. 341 sg.; H. Koeppler, in Journal of theolog. studies, 38 [1936], p. 16 sg.). Mentre in Bisanzio Fozio riprese lo studio dei Padri insieme con quello degli autori antichi (il suo Myriobiblon = Biblioteca : PG 103-104), nell’Occidente la letteratura dei De viris illustribus fu di nuovo iniziata nel sec. XI da Sigeberto di Gembloux (m. nel 1112: PL 16o, 547 sg.), in Belgio da Onorio di Autun (ca. il 1122) nel suo De luminaribus Ecclesiae (PL 172, 197 sg.) e dal cosiddetto Anonymus Mellicensis (De scriptoribus ecclesiasticis: PL 213, 959 sg.) e nel sec. XV da Giovanni Tritemio. Tutti questi autori si basano per l’epoca patristica su s. Girolamo e Gennadio. Le loro opere sono importanti per la conoscenza degli scrittori della loro epoca; per la ricostruzione del testo di Girolamo e Gennadio questa tradizione indiretta è di scarso valore (v. A. Feder, Studien Zum Schriftstellerkatalog des hl. Hieronymus, Friburgo in Br. 1927, P. 90). La linea di questi « nomenclatores » (v. I. A. Fabricius, Bibliotheca ecclesiastica, Amburgo 1718) fu continuata con Giovanni Gerhardus, Giuseppe Húlsemann ecc. da parte dei luterani, e con s. Roberto Bellarmino nel suo Liber de scriptoribus ecclesiasticis (Roma 1613), edizione aumentata da F. Labbé (Parigi 1670) e da Casimiro Oudin (ivi 1682), da parte cattolica. Il primo grande tentativo di una trattazione critica dell’antica letteratura cristiana fu dato da Louis Ellies Du Pin (m. nel 1719) con la sua Nouvelle bibliothèque des auteurs ecclésiastiques, ecc. (Parigi 1686-1711) in 47 voll. (v. Reusch, Index der verbotenen Búcher, Il, i, p. 586). Il libro, che fu messo all’Indice, suscitò molte polemiche letterarie (M. Petit-Didier, R. Simon, R. Ceillier ed altri). La mancanza di rispetto nel linguaggio ed il gallicanismo furono le cause principali della condanna di questa opera. Un lavoro di pregio è l’Apparatus ad Bibliothecam maximam Patrum veterum (Parigi 1604), di Le Nourry, ma il capolavoro critico-storico sono i famosi Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique des six premiers siècles di L. S. Le Nain de Tillemont ([n. nel 1698], Parigi 1693-1712) in 16 voll., opera che ancora oggi viene consultata con profitto dagli studiosi. Nel campo protestante sono da menzionare in quest’epoca i lavori di William Cave, James Usher, John E. Grabe (v.), John Pearson, H. Dodwell, anglicani che per difendere la loro posizione dogmatica erano costretti ad occuparsi dei Padri. Accanto ad essi si possono ancora menzionare gli studi di Le Clere, Dallaeus e Oudin. Dei lavori riguardanti la storia della letteratura antica cristiana nell’epoca moderna si ricordano: J. A. Móhler, Patrologie (vol. 1 [unico], Ratisbona 1840); J. Nirschl, Lehrbuch der Patrologie und Patristik (3 voli., Magonza 1881-85), I. Fessler, Institutiones Patrologiae (2.a ed. di Jungmann, Innsbruck 1890-96); Ad. Harnack, Geschichte der altkirchlichen Literatur bis auf Eusebius (3 voll., Lipsia 1893-1904); H. Kihn, Patrologie (Paderborn 1904-1908); O. Bardenhewer, Patrologie (3 II ed. Friburgo 19 io); id., Geschichte der altchristlichen Literatur (5 voli., ivi 1913-32); H. Jordan, Geschichte der altchristlichen Lìteratur (Lipsia 1911); I. Tixeront, Mélanges de patrologie et d’histoìre des dogmes (Parigi 1921); H. Lietzmann, Christliche Literatur (Lipsia 1923); F. Cayré, Précis de Patrologie (2 voll., Parigi 1927-1930); B. Steidle, Patrologia (Friburgo 1937); U. Mannucci, Istituzioni di patrologia (ed. di A. Casamassa, Roma 1948-5o); E. I. Goodspeed, A History of early christian literature (Chicago 1942); B. Altaner, Patrologie (2a ed., Friburgo 1950; anche in trad. it. riveduta da A. Ferrua, Torino 1944); J. Quasten, Patrology, I. The Beginnings of Patristic Literature (Utrecht-Bruxelles 1950). Opere speciali che riguardano la patristica greca : K. Krumbacher-A. Ehrhard, Geschichte der byzantinischen Literatur (2a ed., Monaco 1897); O. Stahlin, Die altchristliche griechische Literatur, in W. v. Christ, Geschichte der griechischen Literatur (2 voli., 6a ed., ivi 1924); A. Puech, Littérature grecque chrétienne (Parigi 1928); I. M. Campbell, The Greek Fathers (Londra 1929). Sulla conoscenza dei Padri greci nella Chiesa latina v. : P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident (Parigi 1943); A. Siegmund, Die Uberlieferung der griechischen Literatur in der lateinischen Kirche bis zum 12. Jahrhundert (Monaco 1949). Opere speciali sulla patristica latina : P. Monceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne (7 voll., Parigi 1901-23); R. Pichon, Etudes sur l’histoire de la littérature latine dans les Gaules (ivi 1906); W. S. Teuffel, Geschichte der romischen Literatur (III, 6a ed., Lipsia 1913; gli autori cristiani sono trattati da E. Klostermann); M. Schanz, G. Hosius, G. Kruger, Geschichte der rom. Literatur (III, 3a ed., ivi 1922; IV, I, ivi 1914; IV, II, ivi 1920); la letteratura cristiana è trattata da G. Kruger); U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana, 3 voli., in 5 tomi (Torino 1915-1934); P. Monceaux, Histoire de la littérature latine chrétienne (Parigi 1924); C. Weymann, Beitráge zur Geschichte der christlich-lateinischen Poesie (Monaco 1926); N. Terzaghi, Storia della letteratura latina da Tiberio a Giustiniano (Milano 1934); L. Salvatorelli, Storia della letteratura latina cristiana (ivi 1936); E. Bickel, Lehrbuch der Geschichte der rómischen Literatur (Heidelberg 1938); P. de Labriolle, Histoire de la littérature latine chrétienne, 3a ed. di G. Barzy (2 Voll., Parigi 1947); P. Courcelle, Histoire littéraire des grandes invasions germaniques (ivi 1948); E. Dellers, Clavis Patrum latinorum (Steenbrugge 1951, in Sacris erudiri, III). La trasmissione dei Padri nella vita della Chiesa durante il medioevo e ì tempi moderni è stata trattata negli ottimi studi di J. de Ghellinck, Patrìstique et moyen-áge (3 voll., Bruxelles 1946-48). I riflessi della letteratura cristiana sulla letteratura europea sono studiati da E. R. Curtius, Europáische Literatur und lateinisches Mittelalters (Berna 1948). LA PUBBLICAZIONE DEI TESTI PATRISTICI. È stato l’umanesimo che ha dato l’impulso alla prima stampa dei testi patristici. Alcune di queste pubblicazioni hanno il valore di un manoscritto perché molti codici di allora sono andati perduti. Le prime edizioni critiche uscirono nei sec. XVII e XVIII. Come editori sono da menzionare Fronton le Due (« Ducaeus », m. nel 1624), l’editore di Crisostomo e Giovanni Damasceno, Jacques Sirmond (m. nel 1651), Jean Garnier (m. nel 1681), Fr. Combefis (m. nel 1679), I. B. Cotelier (m. nel 1686) e i grandi rappresentanti della Congregazione benedettina di S. Mauro (V. MAURINI): I. L. D’Achéry (m. nel 1685), Jean Mabillon (v.), R. Massuet (m. nel 1716, editore di s. Ireneo), P. Constant (m. nel 1721), Le Nourry (m. nel 1724), Julien Garnier (m. nel 1725, editore di Basilio), Ch. de la Rue (m. nel 1739, editore di Origene), B. de Montfaucon (v.), P. Maran (m. nel 1762). Le prime grandi collezioni sono la Sacra bibliotheca veterum Patrum (Colonia 1618-22) o Maxima bibliotheca veterum Patrum (27 voll., Lione 1677). Ancora di valore oggi è la Bibliotheca veterum Patrum di Andrea Gallandi (14 Voll., Venezia 1764-81; 2.a ed. ivi 1788). In fondo, la grande Patrologia di J.-P. Migne (v.) è la continuazione di queste vecchie Bibliothecae Patrum . Il Migne poteva aumentare la sua edizione in seguito alle numerose pubblicazioni dei card. A. Mai (v.) e Jean Baptiste Pitra (v.); per l’edizione del Migne v. ancora F. Cavallera, Patrologiae cursus completus. Series graeca. Indices (Parigi 1912); Th. Hopfner, Index locupletissimus (ivi 1928 sg.). Edizioni critiche di tutti gli scrittori ecclesiastici latini dal I al VII sec. sono state progettate dall’Accademia di Vienna (dal 1866). Finora sono stati pubblicati di questo Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum (CSEL o CV) 70 voll. Una collezione corrispondente per i Padri greci è Die griechischen christlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte (GCS o CB, pubblicati dall’Accademia di Berlino (dal 1897), finora 4, voll. Alla preparazione dei testi greci serve la collezione : Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, ed. O. V. Gebhardt e A. Harnack (Lipsia 1882 sg.). Questa collezione ha la sua corrispondente nella collezione: Texts and Studies. Contributions to Biblical and Patristic Literature, ed. I. A. Robinson (Cambridge 1891) ed in un senso più largo in Studi e testi (pubblicazioni della Biblioteca Vaticana, Roma 1900 sgg.; v. A. M. Albareda, Nel cinquantesimo di « Studi e testi », Città del Vaticano 1950). Delle collezioni per usi scolastici vanno nominati Florilegium Patristicum, ed. B. Geyer e I. Zellinger (44 fase., Bonn 1904 sg.); Cambridge Patristic Texts, ed. A. I. Mason (Cambridge 1899 sg.); Textes et documents pour l’étude historique du christianisme ed. H. Hemmer P. Lejay (20 Voli., Parigi 1904-12), Testi cristiani, con versione italiana di G. Manacorda (Firenze 1930 sg.); Corona Patrum Salesiana (Sanctorum Patrum graecorum et latinorum opera selecta, addita interpretatione vulgari), ed. P. Ricaldone (Torino 1937 sg.); Sources chrétiennes, ed. H. de Lubac e i. Daniélou (Parigi 1941 sg.).

BIBLIOGRAFIA: Letteratura patristica: A. Ehrhard, Die altchristl. Liter. und ihre Erforschung seit 1880, Friburgo i, Br. 1894, continuazione, 1900; F. DrexI, io Jahre griechischer Patristik, in Bursians Jahresberichte uber die Fortschritte der klassisch. Altertumswiss., 220 (1929), pp. 131-263; ibid., 230 (1931), PI. 163-273; I. Martin, Christ-latein. Dichter, ibid., (1929), pp. 65-140; W. Wilbrand, Die altchrist.-Latein. Liter., ibid., 256 (1930), pp. 157-206; G. Kruger, A Decade of Research in early christ. Liter. (1921-30), in Harvard Theolog. Review, 26 (1933), p. 173 sg.; G. Madoz, Un decenio de estudios patrísticos en Espana (1931-40), in Rev. espanola de teol., 1 (1940, PI). 919-62; id., Segundo decenio de estudios sobre patrística espanola 1941-50 (Estudios Onienses, sez. I, Vol. 5), Madrid 1951; B. Altaner, DerStand der Patrologisch. Wissensch. und das Problem einer neuen altchristl. Literaturgesch., in Misc. Giov. Mercati, 1, Città del Vaticano 1946, p. 483 sg.; I. De Ghellinck, Les recherches batristiques, progrès et problèmes, in Mélanges F. Cavallera, Tolosa 1948, p. 65 sg.; Dix années d’études byzantines, Bibliogr. internat. 1939-48, Parigi 1949. Erik Peterson (Tratto dall’Enciclopedia Cattolica)

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