Archive pour octobre, 2015

The Visit of the Queen of Sheba to King Solomon’, oil on canvas painting by Edward Poynter, 1890

The Visit of the Queen of Sheba to King Solomon', oil on canvas painting by Edward Poynter, 1890 dans immagini sacre 1280px-%27The_Visit_of_the_Queen_of_Sheba_to_King_Solomon%27%2C_oil_on_canvas_painting_by_Edward_Poynter%2C_1890%2C_Art_Gallery_of_New_South_Wales
https://en.wikipedia.org/wiki/Solomon

Publié dans:immagini sacre |on 9 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

LETTURA: SAPIENZA 7, 7 – 11

http://anteprima.qumran2.net/aree_testi/bibbia/lectio/lectio11-17ottobre2015.zip/Casa%20Raffael%20Lectio%2011-17%20ottobre%202015.doc.

(stralcio da Lectio su tutte le letture)

LETTURA: SAPIENZA 7, 7 – 11

Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

3) Commento    su Sapienza 7, 7 – 11 ● In questa domenica nella prima lettura tratta dal libro della Sapienza, ci viene ricordato come la saggezza umana ha un valore. Ma ce ne un’altra, infinitamente superiore: quella che viene da Dio. Quando si è compreso il suo inestimabile valore, bisogna chiederla con una continua preghiera, come ci insegna Salomone, che implorava, chiedeva, pregava per avere questa sapienza di Dio, infatti stimava la sapienza più grande di tutte le ricchezze, del suo stesso potere, della salute, della bellezza.

● Insieme a lei (la Sapienza) mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile. Sap. 7, 11 – Come vivere questa Parola? L’uomo così ben intenzionato nel Vangelo di oggi rappresenta l’uomo di ogni tempo che cerca Dio con sincerità, ma che non riconosce di averlo trovato. Si è bloccato, perché limita Dio alla sua misura, alle sue possibilità: « Ho fatto tutto questo … che cosa devo fare di più »? Questo tale incontra Gesù, ha tutta la sua attenzione ma non lo riconosce – Gesù non si collega alle sue categorie – quindi egli non può lasciarsi sorprendere da Dio che è sempre al di là di ogni nostra immagine o concetto. Egli è troppo attaccato alle proprie ricchezze. Nonostante una certa attrattiva verso Gesù, non giunge a staccarsi da ciò che possiede per seguire Gesù e in Lui conoscere il Padre. Se ne allontana triste. La prima lettura ci aiuta a capire di più cosa manca all’uomo del Vangelo e a molte altre persone di buona volontà: la ‘sapienza del cuore’ è il tesoro nascosto che ci apre al mistero di Dio, la felicità senza fine. Bisogna pregare con insistenza per ricevere questo dono da Dio. Signore Gesù, tutto è possibile a te. La tua parola è parola di vita, parola di Dio che cmi ama così tanto da dare la vita per me! Non lasciarmi intrappolare nelle nostre idee e nozioni di te. Apri il nostro cuore alla Verità. Ecco la voce del nono successore di Don Bosco Don Pascual Chavez Villanueva sdb : « Nulla è più persuasivo e convincente di una vita che si rivela abitata dalla presenza luminosa di Cristo, fino a lasciarlo trasparire nella serenità del volto, nella profondità dello sguardo, nell’umiltà del tratto, nella verità dei gesti e delle parole ».

● Scegliere la sapienza. Secondo una prassi diffusa (detta « pseudoepigrafia »), l’autore del Libro della Sapienza attribuisce la propria opera a Salomone, vissuto molti secoli prima: è un modo per collocarsi nel solco della grande tradizione sapienziale d’Israele. I cc. 7-9 ci presentano la figura di Salomone, dietro la quale si intravede naturalmente l’esperienza personale dell’autore. Salomone vi si presenta come un semplice uomo, uno come gli altri, che non è nato sapiente. Né la nobiltà dei natali né qualunque altra caratteristica assicura a priori la sapienza, che deve essere a un tempo conquistata con l’impegno e ricevuta in dono da Dio. Tutte e due queste cose presuppongono un intenso desiderio: Salomone ha desiderato e cercato la sapienza ed ha pregato per essa. Il testo si rifà qui al racconto di 1Re 3,4-15 (cf. 2Cr 1,3-12), dove il giovane re, all’inizio del proprio regno, chiede a Dio il dono della sapienza. Salomone ha considerato attentamente le varie realtà preziose, oggi si direbbe i valori, mettendoli a confronto. Il testo parla di potere, ricchezza, salute, bellezza fisica, luce degli occhi. La sapienza conferisce beni superiori, porta con sé « tutti i beni » (v. 11). A che cosa serve la ricchezza unita alla superbia (coppia ben assortita, cf. Sap 5,8; 1Gv 2,26)? Al contrario, la sapienza è quanto di più produttivo e fruttuoso si possa dare (cf. 8,5). La sua nobile bellezza, che le guadagna l’amore di Dio, è ben in grado di far innamorare un uomo e di essere l’amore di tutta la sua vita (cf. 8,2-3). A che serve vedere la luce del sole se poi « la luce della giustizia non è brillata per noi, né mai per noi si è alzato il sole » della verità (5,6)? La sapienza è « riflesso della luce perenne » (7,26), non tramonta e supera la stessa morte (cf. 8,13.17). ● Consideriamo in particolare il potere, « scettri e troni » (v. 8): Salomone infatti è un re. Proprio chi « si diletta di troni e di scettri » deve onorare la sapienza, perché solo con essa si può evitare la trappola della sete di dominio regnando bene e per sempre (cf. 6,21). Il potere del sapiente è la regalità dell’uomo signore della creazione, creato « perché domini sulle creature » (9,2, e siamo nella grande preghiera per chiedere la sapienza). La sapienza è virtù regale per eccellenza, in quanto permette di regolare la propria vita e il mondo in modo conforme al progetto di Dio, e dunque per il bene e la vita; una vita che, si intravede oramai chiaramente, per il giusto si estende addirittura oltre la morte (cf. 1,15; 15,3). Bisogna calcolare bene che cosa convenga ricercare, stabilendo priorità e accordando una decisa preferenza a ciò che risulta più pregevole. Non c’è nessun motivo per il quale si debba presumere di essere nati già sapienti, come spesso sembra invece avvenire: è indispensabile una scelta decisa e precisa. Occorre prima di tutto chiarirsi le idee: che cosa scelgo? Che cosa desidero veramente? Dove voglio arrivare? Chi voglio diventare? Che cosa chiedo al Signore? La sapienza è essenzialmente dono, e va chiesta con fiducia e perseveranza (cf. 8,21). Occorre anche « alzarsi presto » e « vegliare »; ma essa stessa verrà incontro a chi la cerca, perché desidera farsi trovare (cf. 6,14-15). « Chi chiede riceve, e chi cerca trova » (Mt 7,8; Lc 11,10). Che cosa stiamo cercando? ______________________________________________________________________________

OMELIA – 28A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO 2015

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/8-Ordinario/28a-Domenica-B-2015/10-28a-Domenica-B-2015-UD.htm

11 OTTOBRE2015 | 28A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B | OMELIA

28A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO 2015

Per cominciare Un tale chiede a Gesù che cosa deve fare « per avere in eredità la vita eterna ». Gesù gli propone di fare una scelta vocazionale, di cambiare vita e di mettersi al suo seguito, facendo una scelta di libertà. Quel giovane non ci sta e si allontana triste, perché possiede molti beni.

La parola di Dio Sapienza 7,7-11. Il libro della Sapienza ha per titolo « Sapienza di Salomone ». Nel brano che ci viene proposto, Salomone implora da Dio la sapienza e gli viene donata. Egli l’ha preferita agli scettri e ai troni, alla ricchezza e perfino alla salute e alla bellezza. L’ha amata più della luce, perché chi ha la sapienza, possiede tutto. Ebrei 4,12-13. Continua la lettera agli ebrei. In poche righe l’autore fa un solenne elogio della parola di Dio. Essa è viva ed efficace, perché possiede la forza di Dio. È più tagliente e penetrante di una spada a doppio taglio. Infine giudica ogni azione dell’uomo e non lo lascia quieto e tranquillo, perché sa che dovrà rendere conto del proprio operato. Marco 10,17-30. Un ebreo, che sin da giovane osserva i comandamenti, si getta ai piedi di Gesù e gli chiede che cosa deve fare di più per salvarsi. Gesù lo invita a rinunciare alle sue ricchezze a favore dei poveri, ma lui rifiuta triste. Gesù allarga il discorso e riconosce che è molto difficile per un ricco entrare nel regno di Dio.

Riflettere.. o Anche in questa domenica ci viene proposto un messaggio particolarmente esigente. Un messaggio che ha fatto una grande impressione sugli stessi apostoli, di cui si dice per due volte che sono rimasti sconcertati e sbigottiti. o Gesù è in viaggio verso a Gerusalemme dove celebrerà la sua ultima Pasqua. Fra poco per la terza volta farà la previsione della sua prossima passione. Gesù cammina davanti agli apostoli ed essi gli vanno dietro sgomenti e pieni di paura, dice Marco (10,32). o Lo accosta un tale (un giovane, secondo Matteo 19,20-22; per Luca 18,18 invece si tratta di « un notabile »), che si getta in ginocchio davanti a lui. È un gesto singolare, si direbbe un malato che si avvicina per implorare la grazia della guarigione. È rimasto impressionato dalla sua predicazione, lo chiama « maestro buono ». Gesù lo fissa, lo guarda negli occhi, sente di volergli bene: come si fa a non voler bene a chi dice di avere per tutta la vita osservato i comandamenti? o In molte occasioni Marco sottolinea il modo di guardare di Gesù: « indignato » contro i farisei (3,5); pieno di simpatia verso chi lo sta ascoltando (3,34); osservatore attento su tutto ciò che capita nel tempio, prima della cacciata dei venditori (11,11). In questo caso guarda quest’uomo con amore, e lo giudica in grado di ricevere una proposta più impegnativa. o Quest’uomo, da vero ebreo osservante, pensa di salvarsi con le proprie opere, in forza del bene che già fa e gli chiede, inginocchiato, di indicargli qualcos’altro da fare. Gesù invece gli indica una scelta radicale: se vuoi essere perfetto, apriti all’amore e alla carità: vendi i tuoi beni e dalli ai poveri! Poi vieni e mettiti al mio seguito. o La scena si conclude in modo amaro: il ricco decide di tenersi le proprie ricchezze; non si fida, non vuole rischiare. Gesù gli chiede semplicemente di cambiare tutto, di donargli la vita, di orientarla più decisamente verso di lui e verso gli altri. Ma lui non è disposto a fare il salto nel vuoto. Si fa scuro in volto e se ne va triste. « Possedeva molti beni », dice il vangelo. o Nel vangelo si parla degli apostoli che sono pieni di gioia (ma anche pieni di paura o di dubbi), dei farisei che sono pieni di rabbia. Costui invece è pieno di tristezza, si fa scuro in volto e si allontana. Quando si è tristi qualcosa non va anzitutto nel profondo di se stessi, nei valori che contano, nelle scelte esistenziali, nei confronti di Dio. Quest’uomo rimane ancorato alle sue ricchezze, perché « possiede molti beni ». Questo è l’unico caso in cui la proposta di Gesù cade nel vuoto. o Per l’antico testamento la ricchezza è un segno della benevolenza divina. È stato così per i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, per Giobbe e i re d’Israele. Figlio del suo tempo e della sua cultura, quest’uomo forse non era in grado di comprendere il messaggio di Gesù e di accogliere la sua proposta. o Gesù conclude: « Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! ». Gli stessi apostoli reagiscono interdetti e stupiti: « E chi può essere salvato, allora? ». C’è qualcuno al mondo che non tiene alle sue ricchezze? Ma Gesù insiste: « È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago… ». C’è chi ha cercato di interpretare questa immagine curiosa spiegando che non si tratta di un cammello, ma di una gomena (le parole in greco sono molto simili), oppure che la cruna d’ago fosse una piccola porta della città di Gerusalemme. Ma è preferibile accettare l’immagine paradossale usata da Gesù che fa riferimento a una decisione molto difficile, che per potersi realizzare ci vuole un intervento speciale da parte di Dio. o Gesù aggiunge infatti: « Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio ». E sarà così: duemila anni di storia della chiesa testimoniano che sono stati moltissimi i giovani ricchi e generosi, che hanno rinunciato a tutto e hanno scelto di collocarsi dalla parte di Cristo e dei poveri: da san Francesco a don Milani, da Piergiorgio Frassati a Marcello Candia (vedi al fondo). o Al fallimento della proposta di Gesù, c’è il solito Pietro, che reagisce a modo suo: « Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito… ». Ma, da buon ebreo, aggiunge interessato: « Che cosa dunque ne avremo? » (Mt 19,27). Gesù non ironizza sulle sue parole, ma gli assicura il centuplo e la vita eterna.

Attualizzare * Un vangelo scomodo quello di questa domenica, come del resto quello di domenica scorsa sul divorzio (e quello della prossima domenica, sull’autorità come servizio). * È prima di tutto un discorso vocazionale. In modo particolare i giovani dovrebbero domandarsi come risponderebbero di fronte a Gesù che guarda con amore a chi è già un bravo ragazzo/a, e gli dice: « Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e vieni! Seguimi! ». Oggi la chiesa soffre di una grave mancanza di sacerdoti e religiosi: il problema non può lasciare indifferenti i veri cristiani. Ci sono ancora molti giovani che dicono di sì, ma sono in numero insufficiente di fronte alle necessità delle parrocchie nel mondo. * Quanto a tutti noi, c’è da chiedersi se non siamo presi oggi dallo stesso equivoco di quest’uomo che si inginocchia davanti a Gesù. Pure in noi c’è qualcosa di buono. Come quel tale, anche noi possiamo probabilmente vantare di essere vissuti osservando fondamentalmente i comandamenti. Gesù però anche a noi, a tutti, chiede qualcosa di più. La sua parola, come dice Paolo, è come una spada che ci entra nell’anima e ci manda in crisi, volendo cambiarci i sentimenti e i pensieri del cuore. * C’è infatti chi pensa che essere cristiani sia fare qualcosa di bene, vivere in una certa rettitudine, ma poi ognuno gestisce la sua vita come vuole. Gesù invece chiede che gli venga donato proprio tutto, il fondo di se stessi. Chi crede di poter vivere da cristiano senza che qualcosa di grande avvenga nella sua vita, senza che nulla cambi in lui, non sarà mai un cristiano sul serio. * Come dicevamo, presso la storia del popolo ebraico per lungo tempo la ricchezza venne considerata una benedizione di Dio e la povertà un castigo. Anche quando si parlava dei tempi messianici, si attendeva una società di grande benessere materiale. Di fatto però, coi passare dei secoli, la ricchezza fu spesso accompagnata dall’arroganza, dalla ingiustizia, mentre la fedeltà a Dio e l’attesa del messia divenne una prerogativa delle classi più umili e povere. * Era il povero d’altra parte che si trovava a maggior ragione in diritto di attendere i tempi messianici, era lui ad avere le mani vuote, pronte per essere riempite. Molte preghiere dei giusti di Israele partono proprio da una situazione di miseria e di disagio: « Il Signore ha avuto pietà dei suoi miseri » (Is 49,13); « Porgi l’orecchio, Signore, e ascoltami, perché sono povero e nell’affanno » (Sal 86,1); « Dio consolerà gli afflitti » (Is 61,2). * Scrive il biblista Ferdinando Armellini: « L’ideale del cristiano non è la miseria, la fame, la nudità, ma la condivisione fraterna dei beni che Dio ha messo a disposizione di tutti. Peccato non è diventare ricchi, ma arricchire da soli. Nel Vangelo dei Nazareni, un libro apocrifo del II secolo d.C., l’episodio è riferito con l’aggiunta di alcuni particolari curiosi. Dopo la richiesta del Maestro, « il ricco incominciò a grattarsi il capo; non era contento. Allora il Signore gli fece osservare: molti dei tuoi fratelli, figli di Abramo, affondano nella sporcizia e muoiono di fame, mentre la tua casa è ricolma di ogni bene e nulla ne esce per loro »". * Lo abbiamo sentito: Gesù invita chi vuole seguirlo a farsi povero, a vendere i propri beni per distribuirli ai bisognosi, liberandosi così dalla tentazione della ricchezza che rende sazi e chiude il cuore. Ma nella società in cui viviamo, un mondo di abbondanza, di ricchezza, di benessere, le parole di Gesù possono trovare accoglienza? * Il discorso è duro anche per i poveri. Essi spesso guardano alla ricchezza come a un miraggio, come a un obiettivo che sperano sempre di raggiungere con un po’ di fortuna. Gesù getta invece una doccia fredda su questi pensieri. La povertà non va accolta lamentandosi: la ricchezza non può riempire il cuore di un uomo. * Per paradosso è probabilmente il ricco che può comprendere meglio del povero il valore della povertà e la liberazione che può nascere dal distacco dalla ricchezza. A imitazione di Gesù, che essendo ricco più di ogni altro si è fatto povero e umile, condividendo fino in fondo la nostra vita. aDiventare poveri oggi, o almeno sensibili ai problemi della povertà altrui, significa di fatto saper condividere. In un mondo in cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, in una società che nasconde le sue brutture, che mimetizza le baracche, che crea delle nuove necessità, che di fatto non tutti potranno soddisfare, il vangelo ci invita a metterci nei panni degli altri, a cambiare prima di tutto il nostro atteggiamento mentale, la nostra disponibilità verso i poveri, ma anche la nostra mentalità di fronte alla ricchezza. Dobbiamo diventare tutti un po’ meno avidi, se vogliamo che un giorno scompaia la povertà attorno a noi e nel mondo, ma soprattutto se vogliamo salvare noi stessi. * Dicevamo che le parole di Gesù ancora una volta ci sorprendono e sono davvero esigenti. Coinvolgono in modo personalissimo ogni cristiano, ma anche la chiesa, che deve offrire oggi la stessa testimonianza che è stata degli apostoli: « Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito… ». * « Può essere laicista, anticlericale, edonista quanto si voglia l’uomo moderno, ma quando la chiesa si fa povera e si rivolge poveri, non solo i poveri vengono evangelizzati, ma attraverso l’evangelizzazione fatta i poveri e su misura dei poveri essa si fa capire in tutte le lingue » (mons. Giovanni Benedetti).

L’uomo più buono del Brasile Nel 1975 il più importante settimanale brasiliano illustrato, « Manchete » di Rio de Janeiro, gli dedicò un articolo intitolato: « L’uomo più buono del Brasile », che incominciava con queste parole: « Il nostro paese è terra di conquista per finanzieri e industriali italiani. Molti vengono da noi a impegnare i loro capitali allo scopo di guadagnarne altri. Marcello Candia, ricco industriale milanese, vive in Amazzonia da 10 anni, e ha speso tutte le sue sostanze con uno scopo ben diverso: per aiutare gli indios, i caboclos, i lebbrosi, i poveri. L’abbiamo eletto l’uomo più buono del Brasile per l’anno 1975″.

Si possiede tutto con Cristo Beata quella povertà che non si lascia travolgere dall’amore delle cose materiali e non cerca affannosamente di arricchirsi dei beni di questo mondo, ma desidera prima di tutto crescere nella vita di fede. Dopo il Signore, un modello di questa povertà che nasce da un animo grande ce l’hanno dato per primi gli apostoli. Essi lasciarono, senza eccezione, tutte le loro cose e, seguendo l’invito del loro divino Maestro, da pescatori di pesci si sono rapidamente cambiati in pescatori di uomini. Essi attirarono molti ad abbracciare la loro stessa vita, quanti cioè li imitarono nella fede. Era il tempo in cui i primi figli della Chiesa erano « un cuor solo e un’anima sola » (At 4,32). Staccatisi da tutto ciò che possedevano, si arricchirono dei beni eterni, attraverso una povertà praticata per motivi di fede. Avevano imparato dalla predicazione degli apostoli la gioia di non avere nulla nel mondo e di possedere tutto con Cristo » (san Leone Magno).

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA

Day 6 Animals with man and woman

Day 6 Animals with man and woman dans immagini sacre 20%20JVOTI%20SAHI%20INTEGRITY%20OF%20CREATION

http://www.artbible.net/1T/Gen0126_Animals_Manwoman/pages/20%20HEINRICH%20CAMPENDONK%20DER%20SECHSTE%20TAG.htm

Publié dans:immagini sacre |on 8 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

PRIMA LA BONTÀ ERA NASCOSTA (DA SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE)

http://www.gliscritti.it/

PRIMA LA BONTÀ ERA NASCOSTA (DA SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE)

Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /12 /2011

DAI « DISCORSI » DI SAN BERNARDO, ABATE (Disc. 1 per l’Epifania, 1-2; PL 133, 141-143)

Si sono manifestate la bontà e l’umanità di Dio Salvatore nostro (cfr. Tt 2, 11). Ringraziamo Dio che ci fa godere di una consolazione così grande in questo nostro pellegrinaggio di esuli, in questa nostra miseria. Prima che apparisse l’umanità, la bontà era nascosta: eppure c’era anche prima, perché la misericordia di Dio è dall’eternità. Ma come si poteva sapere che è così grande? Era promessa, ma non si faceva sentire, e quindi da molti non era creduta. Molte volte e in diversi modi il Signore parlava nei profeti (cfr. Eb 1, 1). Io – diceva – nutro pensieri di pace, non di afflizione (cfr. Ger 29, 11). Ma che cosa rispondeva l’uomo, sentendo l’afflizione e non conoscendo la pace? Per questo gli annunziatori di pace piangevano amaramente (cfr. Is 33, 7) dicendo: Signore, chi ha creduto al nostro annunzio? (cfr. Is 53, 1). Ma ora almeno gli uomini credono dopo che hanno visto, perché la testimonianza di Dio è diventata pienamente credibile (cfr. Salmo 92, 5). Per non restare nascosto neppure all’occhio torbido, Egli ha posto nel sole il suo tabernacolo (cfr. Salmo 18, 6). Ecco la pace: non promessa, ma inviata; non differita, ma donata; non profetata, ma presente. Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se ci è stato dato un Piccolo (cfr. Is 9, 5) in cui però « abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2, 9). Quando venne la pienezza dei tempi, venne anche la pienezza della divinità. Venne Dio nella carne per rivelarsi anche agli uomini che sono di carne, e perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi nell’umanità. Manifestandosi Dio nell’uomo, non può più esserne nascosta la bontà. Quale prova migliore della sua bontà poteva dare se non assumendo la mia carne? Proprio la mia, non la carne che Adamo ebbe prima della colpa. Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria. Signore, che è quest’uomo perché ti curi di lui e a lui rivolga la tua attenzione? (cfr. Salmo 8, 5; Eb 2, 6). Da questo sappia l’uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi. Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui. Da quello a cui egli giunse per te, riconosci quanto tu valga per lui, e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità. Come si è fatto piccolo incarnandosi, così si è mostrato grande nella bontà; e mi è tanto più caro quanto più per me si è abbassato. Si sono manifestate – dice l’Apostolo – la bontà e l’umanità di Dio nostro Salvatore (cfr. Tt 3, 4). Grande certo è la bontà di Dio e certo una grande prova di bontà egli ha dato congiungendo la divinità con l’umanità.

LA MORTE DI SAN SERGIO (dalla ‘Vita’ di Epifanio il saggio)

http://kairosterzomillennio.blogspot.it/2012/09/san-sergio-di-radonez.html

SAN SERGIO DI RADONEZ – LA MORTE

per la vita di San Sergio al sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/71950

LA MORTE DI SAN SERGIO
(dalla ‘Vita’ di Epifanio il saggio)

“(…) Il Santo visse molti anni continuamente mortificandosi con privazioni e lavoro incessante. Egli compì molti straordinari miracoli e raggiunse un’età avanzata, senza mai mancare al suo posto nel servizio divino; più crebbe la sua vecchiaia, più forte crebbe il suo fervore, per niente indebolito dall’età. Fu avvertito dall’approssimarsi della sua fine sei mesi avanti (…). Poi, il grande asceta cominciò a perdere le forze e nel settembre cadde seriamente malato. Vedendo approssimarsi la sua fine, riunì (…) il suo gregge e sciolse una finale esortazione. Fece loro promettere di rimanere saldi nell’ortodossia per assicurare l’amicizia fra gli uomini; di esser puri di corpo e di anima; di amare con verità; di evitare ogni male e ogni carnale concupiscenza; di esser moderati nel mangiare e nel bere; soprattutto di vestire umilmente; di non dimenticare di amare il prossimo; evitare le controversie e non porre valore negli onori e nelle lodi di questa vita, ma aspettare piuttosto la ricompensa da Dio nella gioia del cielo e nell’eterna beatitudine. Dopo averli istruiti in molte cose, concluse: ‘Io sono, per volere di Dio, vicino a lasciarvi ed io vi affido all’Onnipotente Iddio e all’Immacolata Vergine Madre di Dio, affinché essi siano per voi un rifugio e una rocca di difesa contro le insidie dei vostri nemici’. Quando la sua anima fu vicina a lasciare il suo corpo, egli partecipò del Santissimo Corpo e Sangue. Tenuto nelle braccia dei suoi discepoli e levando le mani al cielo con una preghiera sul labbro, rese la sua pura, santa anima al Signore, nell’anno 6900 (1392) il 25 di settembre, probabilmente all’età di 78 anni. Dopo la sua morte un ineffabile, grato odore emanò dal corpo del santo.
L’intera fraternità si riunì intorno a lui; piangendo e singhiozzando i monaci posero nel feretro il corpo di colui che in vita era stato così nobile e infaticabile; e lo accompagnarono con salmi e orazioni funebri. Il volto del Santo, diversamente dagli altri morti, splendeva del lume di vita come un angelo di Dio, a testimonianza della purezza della sua anima e del premio di Dio per tutte le sue fatiche. Il suo corpo trovò il riposo nel monastero da lui fondato. Molti furono i miracoli che ebbero luogo alla sua morte e dopo; e avvengono ancora dando forza ai deboli, liberando dalle astuzie e malizie dei demoni, dando la vista ai ciechi. Il santo non desiderò rinomanza durante la sua vita né nella morte, ma per il potere dell’Onnipotente Iddio egli fu glorificato. Gli angeli furono presenti al suo passaggio ai cieli aprendo a lui le porte del paradiso e conducendo verso la bramata beatitudine nella pace dei giusti, colui che sempre aveva cercato la gloria della Santissima Trinità”[2].

 

Dal libro Nella comunione dei santi di D. Barsotti

“Epifanio, in pagine di meraviglioso candore, ci narra la vita del santo; l’umile semplicità di questa vita ci sembra in verità una rivelazione di pura bellezza. Sergio è un’icona di Dio.
La breve biografia di Sergio è un prezioso testo di ascetica monastica: la si può considerare veramente un trattato di spiritualità, tanto più efficace perché non è astratto ma vivo, proponendo con la dottrina l’esempio del santo e in questo esempio delineando anche il cammino dell’anima verso la perfezione fino a quella anticipazione della vita paradisiaca sulla quale insistono, nella loro pura semplicità, le ultime pagine.
Se volessimo riassumere brevemente questa dottrina, ci sembrerebbe di chiarirla meglio ponendola a confronto con quella che chiaramente è esposta in altre vite monastiche: Epifanio considera la vita ascetica come una lotta accanita contro il demonio che in questa lotta si avvale prima, come alleata, della concupiscenza carnale (“Il diavolo s’ingegnava di ferirlo coi dardi della concupiscenza, ma il santo vigilante contro questi attacchi del nemico, disciplinava il suo corpo ed esercitava l’anima assoggettandola con le privazioni: ed in questo era protetto dalla grazia del Signore”), poi dei monaci stessi che gli mostrano la loro ostilità.
Come l’unione con Dio ristabilisce la comunità umana, così l’unione con Dio è il ritorno per l’uomo alla vita del paradiso terrestre quando tutto è fraterno con l’uomo. Ma il cammino che porta a questa mèta di unità con gli uomini e con la creazione importa la lotta contro le potenze, il combattimento. L’ascesi non è solo esercizio di virtù, è impegno di redenzione per l’uomo, e l’uomo non si libera dalla schiavitù delle potenze che in quanto ritorna ad essere re di una creazione rinnovata, capo di una umanità che, in lui e per lui, viene nuovamente benedetta da Dio.
Ma la vittoria sul demonio, in cui consiste la perfezione monastica stessa, fa soprattutto il monaco partecipe della vita divina nella sua potenza coi miracoli e con la liberazione dagli ossessi e fa il monaco compagno degli angeli nella preghiera e degno di visioni celesti, dopo averlo fatto padre di numerosa famiglia. Il monaco non dovrebbe aspirare a una missione di paternità spirituale – sembra insinuare lo scrittore – né dovrebbe essere elevato all’ordine gerarchico se non fosse designato a tanta dignità dai doni dello Spirito Santo.
È implicito anche, almeno ci sembra, l’insegnamento che non la vita eremitica, ma la vita cenobitica, l’unione di carità tra i fratelli, sia l’ideale più perfetto della vita cristiana – e in questo preporre la vita cenobitica alla vita eremitica non c’è solo un’influenza della dottrina ascetica di san Basilio, ma anche un sano atteggiamento di opposizione alle intemperanze e all’anarchismo della spiritualità orientale (…)”[3].

Pope Benedict XVI kneels in front of the San Damiano Crucifix at the Basilica of St Clare in Assisi, Italy

Pope Benedict XVI kneels in front of the San Damiano Crucifix at the Basilica of St Clare in Assisi, Italy dans immagini sacre san-damiano

https://catholicvstheworld.wordpress.com/2012/10/04/a-simple-prayer-can-clear-your-mind/

Publié dans:immagini sacre |on 7 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

Un salmo, due antifone differenti. Ecco cosa ne traeva J. Ratzinger! – In cammino verso Geù Cristo

https://sacramentumfuturi.wordpress.com/2014/04/14/un-salmo-due-antifone-differenti-ecco-cosa-ne-traeva-j-ratzinger

Un salmo, due antifone differenti. Ecco cosa ne traeva J. Ratzinger! - In cammino verso Geù Cristo

Ogni anno, nella liturgia delle ore del tempo di Quaresima, torna a colpirmi un paradosso che s’incontra nei vespri del lunedì della seconda settimana del Salterio. Qui, una accanto all’altra, ricorrono due antifone – una per il tempo di Quaresima, l’altra per la Settimana santa – che introducono il salmo 44, offrendone però una chiave interpretativa del tutto contrapposta. E’ il salmo che descrive le nozze del re, la sua bellezza, le sue virtù, la sua missione, e poi si trasforma in un’esaltazione della sposa. Nella Quaresima il salmo ha come cornice la medesima antifona che viene utilizzata per tutto il resto dell’anno liturgico; si tratta del terzo versetto che recita: “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, /sulle tue labbra è diffusa la grazia”. La Chiesa, ovviamente, legge questo salmo come espressione poetica/profetica del rapporto speciale di Cristo con la sua Chiesa. Riconosce Cristo come il più bello tra gli uomini; la grazia diffusa sulle sue labbra significa l’intima bellezza della sua parola, significa la gloria del suo annuncio. Non è dunque la bellezza esteriore della figura del Redentore a essere glorificata: ciò che si manifesta in lui è invece la bellezza della Verità, la bellezza stessa di Dio che ci attira e nel contempo ci procura la ferita dell’Amore, l’eros (la “sacra passione”) che ci fa correre, assieme alla Chiesa e nella Chiesa/Sposa, incontro all’Amore che ci chiama. Ma il lunedì della Settimana santa la Chiesa cambia l’antifona, invitandoci a leggere il medesimo salmo alla luce di Is 53,2: “Non ha bellezza né apparenza; / l’abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore”. Come si conciliano le due visioni? Il “più bello” tra i figli degli uomini è tanto misero d’aspetto al punto che nemmeno lo si vuol vedere. Pilato lo mostra alla folla: Ecce homo! Cerca di suscitare un po’ di pietà verso quell’essere maltrattato e percosso, ormai privo di ogni esteriore bellezza. Sant’Agostino – che nella sua giovinezza aveva scritto un’operetta (andata perduta) “sul bello e sull’utile”, e che era un cultore del bello nel linguaggio, nella musica e nelle arti figurative – aveva colto acutamente questo paradosso, intuendo che la raffinata filosofia greca del bello veniva qui non soltanto accantonata, bensì posta drammaticamente e radicalmente in discussione: cos’è il bello? / cos’è la bellezza? Riferendosi al contenuto dei due testi citati, Agostino parla di “due trombe” che suonano in contrasto tra loro, eppure i loro suoni provengono da un medesimo soffio, dal medesimo Spirito. Nel paradosso egli vede contrapposizione, ma non contraddizione. Unico infatti è lo Spirito che suscita la Scrittura, traendone però differenti note e ponendoci, proprio in questo modo, di fronte alla perfezione della Bellezza, della Verità in sé. Il testo isaiano ha indotto non pochi Padri a domandarsi se Cristo fosse bello oppure no. Ma sotto questo interrogativo cova una questione ben più decisiva: cioè, se la bellezza sia anche vera, o non sia piuttosto la bruttezza a condurci alla verità profonda del reale. Chi crede in Dio, nel Dio che proprio nelle sembianze alterate del Crocifisso si è manifestato come amore “sino alla fine” (GV 13,1), sa che la bellezza è verità e che la verità è bellezza; ma nel Cristo sofferente apprende anche che la bellezza della verità include offesa , dolore e persino l’oscuro mistero della morte. Bellezza e verità possono rinvenirsi soltanto nell’accettazione del dolore, e non nel suo rifiuto. Una certa coscienza del fatto che alla bellezza non è estraneo il dolore, è riscontrabile già nel mondo greco.

PAPA FRANCESCO – FAMIGLIA – 28. SPIRITO FAMIGLIARE

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20151007_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 7 ottobre 2015

FAMIGLIA – 28. SPIRITO FAMIGLIARE

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Da pochi giorni è iniziato il Sinodo dei Vescovi sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. La famiglia che cammina nella via del Signore è fondamentale nella testimonianza dell’amore di Dio e merita perciò tutta la dedizione di cui la Chiesa è capace. Il Sinodo è chiamato ad interpretare, per l’oggi, questa sollecitudine e questa cura della Chiesa. Accompagniamo tutto il percorso sinodale anzitutto con la nostra preghiera e la nostra attenzione. E in questo periodo le catechesi saranno riflessioni ispirate da alcuni aspetti del rapporto – che possiamo ben dire indissolubile! – tra la Chiesa e la famiglia, con l’orizzonte aperto al bene dell’intera comunità umana.
Uno sguardo attento alla vita quotidiana degli uomini e delle donne di oggi mostra immediatamente il bisogno che c’è ovunque di una robusta iniezione di spirito famigliare. Infatti, lo stile dei rapporti – civili, economici, giuridici, professionali, di cittadinanza – appare molto razionale, formale, organizzato, ma anche molto “disidratato”, arido, anonimo. Diventa a volte insopportabile. Pur volendo essere inclusivo nelle sue forme, nella realtà abbandona alla solitudine e allo scarto un numero sempre maggiore di persone.
Ecco perché la famiglia apre per l’intera società una prospettiva ben più umana: apre gli occhi dei figli sulla vita – e non solo lo sguardo, ma anche tutti gli altri sensi – rappresentando una visione del rapporto umano edificato sulla libera alleanza d’amore. La famiglia introduce al bisogno dei legami di fedeltà, sincerità, fiducia, cooperazione, rispetto; incoraggia a progettare un mondo abitabile e a credere nei rapporti di fiducia, anche in condizioni difficili; insegna ad onorare la parola data, il rispetto delle singole persone, la condivisione dei limiti personali e altrui. E tutti siamo consapevoli della insostituibilità dell’attenzione famigliare per i membri più piccoli, più vulnerabili, più feriti, e persino più disastrati nelle condotte della loro vita. Nella società, chi pratica questi atteggiamenti, li ha assimilati dallo spirito famigliare, non certo dalla competizione e dal desiderio di autorealizzazione.
Ebbene, pur sapendo tutto questo, non si dà alla famiglia il dovuto peso – e riconoscimento, e sostegno – nell’organizzazione politica ed economica della società contemporanea. Vorrei dire di più: la famiglia non solo non ha riconoscimento adeguato, ma non genera più apprendimento! A volte verrebbe da dire che, con tutta la sua scienza, la sua tecnica, la società moderna non è ancora in grado di tradurre queste conoscenze in forme migliori di convivenza civile. Non solo l’organizzazione della vita comune si incaglia sempre più in una burocrazia del tutto estranea ai legami umani fondamentali, ma, addirittura, il costume sociale e politico mostra spesso segni di degrado – aggressività, volgarità, disprezzo… –, che stanno ben al di sotto della soglia di un’educazione famigliare anche minima. In tale congiuntura, gli estremi opposti di questo abbrutimento dei rapporti – cioè l’ottusità tecnocratica e il familismo amorale – si congiungono e si alimentano a vicenda. Questo è un paradosso.
La Chiesa individua oggi, in questo punto esatto, il senso storico della sua missione a riguardo della famiglia e dell’autentico spirito famigliare: incominciando da un’attenta revisione di vita, che riguarda sé stessa. Si potrebbe dire che lo “spirito famigliare” è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere. E’ scritto a chiare lettere: «Voi che un tempo eravate lontani – dice san Paolo – […] non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). La Chiesa è e deve essere la famiglia di Dio.
Gesù, quando chiamò Pietro a seguirlo, gli disse che lo avrebbe fatto diventare “pescatore di uomini”; e per questo ci vuole un nuovo tipo di reti. Potremmo dire che oggi le famiglie sono una delle reti più importanti per la missione di Pietro e della Chiesa. Non è una rete che fa prigionieri, questa! Al contrario, libera dalle acque cattive dell’abbandono e dell’indifferenza, che affogano molti esseri umani nel mare della solitudine e dell’indifferenza. Le famiglie sanno bene che cos’è la dignità del sentirsi figli e non schiavi, o estranei, o solo un numero di carta d’identità.
Da qui, dalla famiglia, Gesù ricomincia il suo passaggio fra gli esseri umani per persuaderli che Dio non li ha dimenticati. Da qui Pietro prende vigore per il suo ministero. Da qui la Chiesa, obbedendo alla parola del Maestro, esce a pescare al largo, certa che, se questo avviene, la pesca sarà miracolosa. Possa l’entusiasmo dei Padri sinodali, animati dallo Spirito Santo, fomentare lo slancio di una Chiesa che abbandona le vecchie reti e si rimette a pescare confidando nella parola del suo Signore. Preghiamo intensamente per questo! Cristo, del resto, ha promesso e ci rincuora: se persino i cattivi padri non rifiutano il pane ai figli affamati, figuriamoci se Dio non darà lo Spirito a coloro che – pur imperfetti come sono – lo chiedono con appassionata insistenza (cfr Lc 11,9-13)!

Publié dans:famiglia, PAPA FRANCESCO |on 7 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

Day 7 Shabbat, the rest of God and man

Day 7 Shabbat, the rest of God and man dans immagini sacre 14%20MENABUOI%20CREATION%20DU%20MONDE%20FRESQUE%20PADOUE%20SAN%20G

http://www.artbible.net/1T/Gen0201_7rest_Shabbat/pages/14%20MENABUOI%20CREATION%20DU%20MONDE%20FRESQUE%20PADOUE%20SAN%20G.htm

Publié dans:immagini sacre |on 6 octobre, 2015 |Pas de commentaires »
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