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la terra santa – rivista bimestrale della custodia francescana di terra santa
marzo – aprile 1998
L’INNAMORATA DEL CANTICO
SR ELENA BOSETTI, SGBP
Il Cantico dei Cantici ci ripropone nella sua freschezza il progetto originario, la reciprocità uomo-donna che il peccato degli inizi ha trasformato in dominio dell’uno sull’altra. Così con la pagina del cantico ci ricolleghiamo idealmente all’inizio del nostro itinerario, al canto d’amore della prima coppia umana.
I protagonisti del Cantico sono due giovani che condividono l’esperienza pastorale. « A contatto con le cose create da Dio, intatte come appena uscite dalla sua mano, i due giovani scoprono se stessi come avvolti nel grande flusso dell’Amore, realtà divina presente nel mondo che vince la morte. E questa scoperta avviene a partire dalla loro condizione di pastori, a contatto diretto con la natura » (E. Bosetti, La tenda e il bastone, Cinisello B. 1992, 134).
Invochiamo lo Spirito dell’amore più forte della morte.
1. IN ASCOLTO
I due amanti del Cantico fanno la loro prima comparsa sotto la veste di un pastore e di una pastorella. La terminologia pastorale si coniuga con quella dell’amore nella sua fase di fidanzamento, quando passione, ricerca, desiderio, incontro – i motivi si susseguono in un circolo senza fine – si consumano in un’atmosfera rarefatta al confine tra il sogno e la realtà.
1.1. Attirami dietro a te!
Il brano che apre il cantico (1,1-4) è simile a un’ouverture musicale: è un tutto compiuto, ma aperto a sviluppi ulteriori. Inizia il canto come solista la donna e il motivo dominante è quello del desiderio:
« Mi baci coi baci della sua bocca » (v. 2a).
Notiamo subito: non già due bocche che s’incontrano, ma piuttosto due bocche che si cercano, brama di ciò che si vorrebbe ma che ancora non si ha. Oppure: di ciò che si è già gustato e che ci ha conquistate con il suo ineffabile sapore e profumo, e che però ha lasciato un desiderio insopprimibile di rivivere quell’esperienza:
« poiché più soavi del vino sono le tue coccole… » (dodêka: v. 2b)
Amore, tenerezza, coccole, intrecciate con il simbolismo del vino, di grande rilievo nella Bibbia e nella letteratura orientale. Il v. 3 sottolinea la « fragranza », il senso dell’odorato. Il profumo ha un’importanza fondamentale in Oriente! Ebbene la giovane donna canta che il suo profumo è proprio lui, l’amato. Si nota un gioco lessicale tra shem (nome) e shemen (profumo). La tua presenza è il mio profumo!
« Attirami (rapiscimi!) dietro a te, corriamo » (v. 4)
La giovane esprime il desiderio di essere introdotta nella stanza nuziale, nell’alcova del re-pastore per gioire e far festa, per assaporare (« ricordare ») le sue tenerezze. Il testo esprime un forte desiderio d’intimità e si muove su un doppio piano. Infatti la parola hadar, che abbiamo tradotto con alcova, indica letteralmente « le stanze interne » (allusione alla stanza interna del Tempio, il Santo dei santi?)) e il far festa è al contempo « un ricordare », un celebrare. Portami – sembra dire la giovane innamorata – dove si possa far memoria della nostra storia d’amore. Dammi di assaporare ciò che mi hai fatto gustare! A questo punto c’è il passaggio dall’io al noi: « Di te ci si innamora »! E’ un contagio d’amore.
1.2. Dimmi dove pascoli il gregge!
In Ct 1,5-8 abbiamo l’autopresentazione della donna in una cornice pastorale. Immaginiamo la scena: lei in primo piano e sullo sfondo le figlie di Gerusalemme (coro). Lei si presenta alle amiche. Racconta di sé, della sua figura (scura ma bella), della sua storia d’amore (non ha saputo custodire la sua vigna). Ma al v. 7 il discorso cambia direzione: dal voi passa al tu. Mentre sta parlando alle amiche, la giovane si rivolge direttamente a lui come se fosse presente. Lui però non c’è. Ci sono le figlie di Gerusalemme. Ma lei si volge a lui in prima persona: « dimmi »!
« Amore dell’anima mia dimmi dove vai a pascere il gregge » (Ct 1,7).
La risposta, di fatto, viene dal coro:
« Segui le orme del gregge… » (Ct 1,8).
Cerchiamo di approfondire i vari elementi.
- Lo scenario: è l’ora del meriggio, assolata, capace di dare alla testa…
- Sulle piste infuocate dei beduini, una donna.
- Scura ma bella. Una bellezza che fa armonia con l’ambiente pastorale in cui lei vive. La pelle scura è il risultato della sua vita esposta al sole.
Dunque una bellezza feriale, non sofisticata.
- Controllo e opposizione inutili da parte dei suoi fratelli. Lei, benché giovane, ha il coraggio della propria autonomia.
- La donna invoca l’amato: « dimmi dove pasci! »
- E il coro indica una sicura pista di ricerca: « segui le orme del gregge ».
Dunque: dalle orme del gregge al ritrovamento del pastore.
L’amore si profila già come continua ricerca, con la pazienza di passare attraverso delle tracce: non direttamente le orme del pastore, ma quelle del gregge. Una ricerca « mediata », nella convinzione che dove si trova il gregge lì è il pastore.
1.3. Il mio diletto è mio e io sono sua
Ci fermiamo sul brano 2,8-17. Si trova subito dopo il « duetto dell’incontro » (Ct 1,9-2,7), il canto estasiato di due innamorati abbracciati senza vergogna (come nel giardino dell’Eden), estasiati l’uno dell’altro. E’ un duetto che non conosce i falsi pudori e che ricorre alle immagini più ardite per descrivere la bellezza della persona amata. Questa volta è lui a cominciare, ma l’ultima parola tocca a lei: « Figlie di Gerusalemme vi scongiuro, non destate l’amore finché non lo desideri » (2,7).
Ct 2,8-17 ci ambienta in una scena stupenda, di primavera. E’ di nuovo lei che prende l’iniziativa. Si noti la tensione progressiva:
- la voce
- i passi
- gli occhi
- il « nostro muro », quello dell’incontro, degli appuntamenti… ma che ora impedisce di vedere, perché Lui è al di là del muro…
- e di nuovo la voce, ormai decifrabile. Sono parole sognate e invocate.
Lei aveva supplicato: « Rapiscimi! » (1,4). Lui ora le dice: « Vieni via! ». Corri via con me! C’è perfetta corrispondenza tra lei che vede lui dalle inferiate e lui che vede lei come colomba tra la roccia.
In sequenza: volto – voce – voce – volto.
Il v. 15 che ha suscitato le interpretazioni più stravaganti:
« Catturateci le volpi / le volpi piccoline
che devastano le vigne / le nostre vigne in fiore ».
Le piccole volpi potrebbero essere, secondo alcuni esegeti, i cuccioli degli sciacalli golosi dei grappoli d’uva in maturazione. Dato però il simbolismo vigna – corporeità femminile, si può intendere l’immagine delle volpi piccoline come ciò che attenta l’amore nella sua integrità.
La donna del cantico ribadisce la sua fedeltà e il desiderio di lui:
« Il mio amato è mio e io sono sua,
di lui che pasce tra i gigli » (v. 16).
E’ una formula di mutua appartenenza, di alleanza sponsale. Si canta la gioia ineffabile della reciproca appartenenza.
1.4. Verso l’amore che non ha tramonto
Ci fermiamo su Ct 7,11-8,7. In questo brano vengono ripresi elementi già noti e raccolti in un vertice sublime dove la donna non sperimenta più il dominio dell’uomo, ma invece la gioia del suo appassionato desiderio. Viene invertita la formula di Gen 3,16. Mentre Gen 3,16 attesta al contempo attrazione e dominio:
« Verso tuo marito (il tuo uomo) sarà la tua passione
ma egli ti dominerà »,
in Ct 7,11 la donna, usando le stesse parole, capovolge la situazione:
« Io sono per il mio diletto
e verso di me è la sua (di lui) passione » (Ct 7,11).
Tra i due amanti del Cantico vi è reciprocità piena, senza alcuna violenza e sopraffazione dell’uno sull’altro, senza prepotenza maschile. Lei chiede di essere posta come perenne segno d’amore sul cuore e sul braccio di lui. In modo che anche i momenti di lontananza e di inevitabile separazione siano legati dal ricordo dell’amore e dal desiderio di un nuovo incontro:
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio (Ct 8,6-7).
Il pensiero corre all’Apocalisse, alle nozze definitive della Sposa con l’Agnello… ma il testo ci provoca più radicalmente a vivere la vita presente come questione di amore. Nella prospettiva del Cristo che ha teneramente amato la sua Chiesa e si è dato tutto per lei (cf. Ef 5,25).
La vita cristiana è decisamente questione di amore sia in rapporto al Diletto pastore, sia in rapporto al gregge di Lui. Esempio tipico di questa sintesi può essere ritenuto Gv 21: Mi ami? Pasci! Seguimi!
Concludo con questa pagina di S. Teresa di Gesù, Dottore della Chiesa:
Gesù mio!… Chi potrà far intendere quanto ci sia vantaggioso gettarci fra le braccia di Dio e stabilire con sua Maestà questo patto: Io mi curerò del mio Diletto e il mio Diletto si curerà di me; Egli veglierà sui miei interessi e io sopra ai suoi?
… Torno a dirvi e a supplicarvi, mio Dio, di concedermi per il sangue di vostro Figlio, ch’Egli mi baci col bacio di sua bocca.
Che cosa sono senza di Voi, o Signore?
Che cosa valgo se non sono unita a Voi?
E dove vado a finire se anche per poco mi allontano da Voi?
(S.Teresa di Gesù, Pensieri sull’amore di Dio, IV,7: Opere, Roma 1992, 1012).