Archive pour octobre, 2015

LA SAPIENZA UMANA NEI DETTI DI GESÙ – Rinaldo Fabris

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LA SAPIENZA UMANA NEI DETTI DI GESÙ

sintesi della relazione di Rinaldo Fabris Verbania Pallanza, 7 dicembre 1996

La modalità più comune di sapere sapienziale è la piccola sentenza ritmica, nella forma del proverbio, espressione non tanto dell’erudizione quanto dell’amore intelligente. Gesù si colloca all’interno della tradizione popolare della sapienza. Appare estraneo alla sapienza colta, coltivata a corte o presso il tempio. L’immagine di un Gesù profeta apocalittico arrabbiato non corrisponde a quanto i vangeli ci trasmettono. Più veritiera è quella di saggio, sapiente, maestro. Gesù « maestro » Marco ci presenta Gesù, dopo l’annuncio programmatico del Regno, come un maestro che insegna con autorità (Mc 1,21-22), un’autorità che non gli deriva da titoli di scuola conseguiti. Gesù è un autodidatta, un sapiente carismatico. Gesù è un terapeuta itinerante, ex falegname, che suscita lo stupore, la meraviglia e anche la reazione stizzita dei suoi compaesani (Mc 6,2-3). Gesù, al pari di ogni altro essere umano (una malintesa fede nella divinità di Gesù ha messo in ombra questo aspetto) compie tutto il percorso di formazione umana. Il suo sapere è legato alla sua esperienza. La cultura di Gesù è una cultura popolare, di carattere pratico e induttivo, propria di un artigiano che lavora con le mani. Gesù mostra una grande capacità di leggere in profondità le esperienze umane. Luca retroproietta nella vicenda storica delle origini la figura del maestro che insegna con autorità e sapienza (Lc 2,39-40; 46-47). proverbi e sentenze sapienziali Si trovano soprattutto nel discorso sul monte di Matteo e in quello più breve ambientato in pianura di Luca. armonia tra interno/esterno La trasparenza tra interno/esterno costituisce uno dei temi più affascinanti dei vangeli, con l’immagine dell’occhio e della luce o del parlare che viene dalla pienezza del cuore. Sulla stessa linea si colloca la critica alla purità rituale, esteriore, in favore di una purità interiore, della qualità delle relazioni con gli altri e con Dio. coerenza e sincerità Gesù colpisce per la sua libertà e coerenza. Critica i farisei che pretendono di guidare gli altri senza avere una luce interiore (ciechi guide di ciechi); critica chi scopre la pagliuzza nell’occhio del fratello ma non la trave nel proprio. Si tratta di sentenze che fanno riflettere. ascoltare e mettere in pratica Gesù invita a costruire la propria vita su un solido fondamento, come una casa costruita sulla roccia, nell’ascoltare e nel mettere in pratica le sue parole. valutazione e uso dei beni L’interesse per la salute, per il corpo, per l’uso dei beni è un problema sapienziale che ha a che fare con il senso del vivere. Gesù invita a riflettere sull’investimento affettivo: sul cuore che segue il luogo del tesoro e sulla dedizione totale a qualcuno (non si possono servire due padroni). Gesù invita non a disprezzare i beni (Mt 6,25.27-28) ma a disporli secondo una corretta gerarchia. I beni più importanti, come la salute o la vita, sono beni gratuiti. Vivendoli secondo questa prospettiva si fa esperienza religiosa, si coglie il senso del vivere: vivere con senso di gratitudine, senza crearsi inutili problemi (ad ogni giorno basta la sua pena). enigmi sapienziali L’enigma, una sentenza paradossale o oscura, è un invito a riflettere. La esperienza religiosa non si identifica con un semplice stato emotivo, ma neppure col ragionamento. La tradizione sapienziale privilegia la capacità di riflettere, fa appello alla ragione, ma immergendola in un clima affettivo. La sapienza non è la fredda filosofia o teologia, non è puro stato emotivo, ma è una riflessione partecipe della vita. Rispondendo alle critiche rivolte ai suoi discepoli perché non digiunano, Gesù afferma che in tempo di nozze si fa festa, che il vestito nuovo non ha bisogno di toppe, che il vino giovane ha bisogno di otri nuovi. È la chiara affermazione della novità di Gesù: gioia e festa non conciliabili con vecchi modi di pensare e di agire. Come i bambini che giocano alla festa di nozze o al funerale così è capricciosa la gente che critica Giovanni perché troppo severo e Gesù perché fa festa. Gesù, a chi lo critica perché non si è sposato, dice che ci sono eunuchi per il regno dei cieli. Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è concesso: la sapienza nasce dalla riflessione sulla vita, ma è anche dono di Dio, è lasciarsi illuminare da Dio che parla attraverso la vita. similitudini sapienziali L’esperienza religiosa deve essere vista per poter essere riconosciuta, come la lucerna deve essere messa in alto. Occorre stare attenti al vecchio rappresentato da Erode e dai farisei (il lievito che corrompe, Mc 8,15). L’immagine del cammello e della cruna sono usate per parlare della difficoltà di un ricco ad entrare nel regno dei cieli. detti e similitudini del quarto vangelo Anche nel quarto vangelo, disseminate qua e là, si trovano espressioni che mostrano il gusto di Gesù per la sentenza che fa riflettere sul senso del vivere, come quelle sul tempio ricostruito in tre giorni, sullo spirito che è come il vento (il modo libero dell’agire di Dio), sui tempi nuovi in cui addirittura chi semina fa tutt’uno con chi miete, sul chicco che deve morire per portare molto frutto, sul legame affettivo tra pastore e gregge, immagine di quello tra Gesù e i discepoli, sulla partenza e sulla morte premessa per una nuova e più profonda relazione (Gv 16,21-22). conclusione Gesù riflette sui fatti della vita per cogliere il senso della propria vita e missione, per fare intravedere l’agire di Dio: è un riflettere come un andare dentro le cose per coglierne il senso davanti a Dio. Il vangelo, la buona notizia del nuovo rapporto tra Dio e gli uomini, è amore intelligente, è sapienza.

MARIA E I PADRI DELLA CHIESA

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MARIA E I PADRI DELLA CHIESA

Don Juan Carlos Casté, EP

(stralcio, ossia ho messo solo la parte che riguarda più strettamente Maria)

La devozione alla Santissima Vergine Maria si sviluppa a partire dai primissimi tempi del Cristianesimo. Furono i Padri della Chiesa che gettarono le pietre fondamentali per la costruzione del grande edificio della mariologia. Dopo l’Ascensione di No­stro Signore, più precisamente a partire da Pentecoste, è cominciata la grande epopea della diffusione del Vangelo nel mondo intero. Nel medesimo tempo in cui an­nunciavano ai popoli la Buona Novella della Redenzione e della Per­sona divina e umana del Signore Ge­sù, gli Apostoli e i primi discepoli dif­fondevano anche l’amore, la tenerez­za e la devozione a Colei che era sta­ta scelta dall’Altissimo per essere la Madre del Redentore, la Vergine dalla quale Egli era nato in forma mira­colosa, che Lo aveva accompagnato per tutta la vita.

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La mariologia nei Padri della Chiesa Come prima abbiamo affermato, la devozione alla Santissima Ver­gine Maria è cominciata con la stessa Chiesa e si è sviluppata fin dai pri­missimi tempi del Cristianesimo. Sono stati, infatti, i Santi Padri a gettare le pietre fondamentali per la costruzione del grande edificio della mariologia. Nei loro scritti si trovano in germe gli elementi dottrinali che – svilup­patisi nel corso dei secoli con la spe­culazione teologica e con il sensus fi­delium, sotto l’ispirazione dello Spiri­to Santo – hanno facilitato più tar­di la proclamazione dei diversi dog­mi mariani, come quello dell’Immacolata Concezione (1854) e dell’Assunzione della Madonna in Cielo, in corpo e anima (1950). Il linguaggio predicato dai Padri della Chiesa brilla per la profondità teologica e per l’amore alla Santissi­ma Vergine Maria. ‘Ea raison ne fait que parler, c’est l’amour qui chante », disse un intellettuale francese. Gli scritti dei Santi Padri fanno le due cose: oltre a solidi monumenti dottrinali, sono veri canti di queste grandi anime a Colei che fu considerata « degna » di essere la Madre di Dio. Vediamo, ora, alcuni dei più importanti testi mariologici dei primi secoli del Cristianesimo, come pure le circostanze in cui i loro autori li concepirono.

Sant’Ignazio di Antiochia Discepolo dell’Apostolo Giovanni, Ignazio fu il terzo Vescovo di Àntiochia, suc­cedendo all’Apostolo Pie­tro e a Sant’Evodio. Come narrano gli Atti degli Apo­stoli, sorse in questa cele­bre città una florida comu­nità cristiana, e in questa `per la prima volta i discepo­li furono chiamati Cristiani » (At 11, 26). Dopo aver ret­to la sua diocesi per quasi 40 anni, Sant’Ignazio fu cattu­rato, portato a Roma e dato in pasto alle fiere, nell’Anfi­teatro Flavio, nell’anno 107. Nelle sue lettere, si sen­te l’amore ardente di un santo che fa frequenti allusioni alla Vergine Ma­ria: « Gesù, nostro Dio, l’Unto, fu por­tato da Maria nel Suo grembo, secon­do il piano salvifico di Dio; era in ve­rità del lignaggio di Davide, genera­to, senza dubbio, per opera dello Spi­rito Santo. Egli fu dato alla luce e fu battezzato alfine di santificare l’acqua con i Loro patimenti. » Nella stessa Lettera agli Efesini, così si esprime: « Uno solo è il medico corporale e spirituale, generato e non generato, Dio nato in carne, nella mor­te vita vera, nato da Maria e da Dio, primo passibile e poi impassibile, Gesù Cristo Nostro Signore ».

Sant’Ireneo di Lione Ireneo nacque con ogni probabilità a Smirne (oggi Izmir, in Tirchia), tra gli anni 135 e 140. Nella sua giovi­nezza, frequentò la scuola del Vesco­vo San Policarpo, il quale a sua volta era stato discepolo dell’Apostolo Giovanni. Quando si trasferì dall’Asia Mi­nore in Gallia? Non si sa, ma questo trasferimento deve aver coinciso con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione: lui si trova­va lì, già presbitero, nell’an­no 177. Lottò contro l’ere­sia gnostica, ma la sua ope­ra oltrepassa di gran lunga la confutazione di questa eresia. Si può dire che egli nasce come il primo grande teologo della Chiesa, come il creatore della teologia si­stematica. Egli stesso parla del sistema della teologia, ossia, della coerenza inter­na di tutta la Fede. Ecco l’interessante pa­rallelo tracciato da questo insigne Padre della Chiesa tra Eva e la Santissima Ver­gine Maria: « Per mezzo dell’Angelo, fu annunciato convenien­temente alla Vergine Maria, già soggetta al potere di un uomo, che il Signore sareb­be venuto da lei e che la sua creazione, che é alimentata da Lui, l’avrebbe condotta a Lui stesso; che, con l’obbe­dienza nell’albero, avrebbe ricapitolato la disubbidien­za avuta nell’albero; e che avrebbe riparato la seduzione per la quale fu malignamente sedotta quel­la vergine Eva, che era già destinata a un uomo. « Dunque, come questa fu sedotta dalla parola di un Angelo, per allonta­narsi da Dio, disobbedendo alla Sua parola, così Quella fu istruita dalla parola dell’Angelo, in modo da porta­re Dio, obbedendo alla Sua parola. E se Eva aveva disobbedito a Dio, Ma­ria Si chinò al suo potere per obbe­dirLo, così la Vergine Maria divenne l’avvocata della prima vergine, Eva. « E come il genere umano fu lega­to alla morte per mezzo di una vergine, così ne fu liberato per mezzo di una Vergine. Infatti: la disobbedien­za di una vergine fu controbilanciata dall’ obbedienza di una Vergine. Ol­tre a questo, fu riparato il peccato del primo uomo con la retta condotta del Primogenito, e la prudenza del serpen­te fu vinta dalla semplicità della colomba, che ha sciolto i legami che ci tenevano legati alla morte». In un altro passo, afferma: « Coloro che considerano Gesù un semplice uomo nato da Giuseppe [ ...] negando Emanuele che nacque dalla Vergine, sono privati del suo dono, che è la vita eterna; non accogliendo il Verbo, fon­te di incorruttibilità, permangono nella loro carne mortale e sono tributari del­la morte perché non ricevono l’antidoto della vita». »

Origene di Alessandria Una delle maggiori intelligenze dell’antichità cristiana è Origene, fi­glio del martire San Leonida, cate­chista. In tutta la sua vita, egli ebbe un ardente desiderio del martirio e si può dire che questo gli fu concesso, poiché nel 250, durante la persecuzione di Decio, fu catturato e torturato cru­delmente, morendo, tre anni dopo, a causa di que­sti tormenti. Origene incorse in alcu­ni errori dottrinali che pre­giudicarono la sua fama, ma conviene chiarire che essi, alla sua epoca, non erano stati condannati dal Magistero, pertanto, erano ancora materia di libera di­scussione nell’ambiente te­ologico. Morì con l’aureo­la di confessore della Fe­de. Papa Benedetto XVI ha fatto un caloroso elogio di questo « grande maestro della Fede », nell’Udien­za Generale del 25.aprile 2007: « Origene di Alessan­dria è realmente una delle personalità determinanti per tutto lo sviluppo del pensie­ro cristiano ». Scrittore di grande profondità cristologica, e, allo stesso tempo, uno dei pri­mi a dichiarare che la Ma­dre di Gesù fu sempre Vergine: « Gesù Cristo, Colui che è venuto al mondo, è nato dal Padre prima di ogni creatura. Dopo aver coadiuvato, co­me ministro del Padre, nella creazione dell’universo – `tutto fu fatto da Lui, e senza di Lui niente è stato fatto’ (Gv 1, 3) , Si umiliò negli ultimi giorni, Si fece uomo, Si incarnò (cfr Fl 2, 7-8), senza smettere di essere Dio. Assunse un corpo simile al nostro e fu differente da noi solamente in quanto nato dalla Vergine e dallo Spirito Santo ». Riflettendo sulla visita della Ma­donna a Sua cugina Santa Elisabet­ta, l’alessandrino tesse dei bei com­menti: « Penetrando nelle orecchie di Elisabetta, la voce del saluto di Ma­ria arrivò anche allo stesso Giovanni, che esultò. E la madre, parlando co­me per bocca del figlio e come profe­tessa, esclamò ad alta voce: `Benedetta sei Tu tra le donne e benedetto è il frut­to del Tuo ventre’ (Lc 1, 42). Ora pos­siamo comprendere nella sua pienezza il significato dell’affrettato viaggio di Maria fino alla regione montagnosa, così come della Sua entrata nella ca­sa di Zaccaria e del Suo saluto a Eli­sabetta. Tutto questo è successo in mo­do che Maria rendesse Giovanni (seb­bene ancora nel grembo materno) par­tecipe del potere che aveva ricevuto da Colui a cui aveva concepito. Giovan­ni, a sua volta, avrebbe fatto sua ma­dre partecipe del dono di profezia da lui ricevuto. È molto significativo che tali doni siano concessi in una regio­ne montagnosa, perché nulla di gran­de può essere ottenuto dalle persone che, per la loro insignificanza, devono esser designate come valli… ».

Sant’Ippolito di Roma Presbitero romano, certamente di origine orientale, che visse nel III se­colo, Sant’Ippolito afferma che il Si­gnore Gesù è nato dallo Spirito San­to e dalla Santissima Vergine Ma­ria: « Ma il Signore non avrebbe potu­to peccare, poiché fuori era formato, in quanto natura umana, di legni incor­ruttibili, che significa: con l’intervento della Vergine e dello Spirito Santo, ed era rivestito dentro e fuori dal Verbo di Dio, come oro purissimo ».

Sant’Ilario di Poitiers Insigne Padre della Chiesa d’Oc­cidente e « una delle grandi figure di Vescovi del secolo IV », come afferma Papa Benedetto XV1,’ fu Sant’Ila­rio di Poitiers. Di fronte agli ariani, che consideravano il Figlio di Dio co­me una semplice creatura, Ilario con­sacrò tutta la sua vita alla difesa del­la Fede nella divinità di Gesù Cristo, Dio come il Padre, che Lo generò fin dall’eternità. Non contiamo su dati sicuri sulla maggior parte della vita di Ilario. Le fonti antiche dicono che nacque a Poi­tiers in Francia, probabilmente ver­so l’anno 310. Di famiglia abbiente, ri­cevette una formazione letteraria che può esser riconosciuta con chiarezza nei suoi scritti. Pare che non sia stato educato in ambiente cristiano. Egli stesso ci para di un cammino di ricerca della veri­tà, che lo ha portato poco a poco al ri­conoscimento di Dio creatore e di Dio incarnato, ucciso per darci la vita eter­na. Battezzato intorno all’anno 345, fu eletto Vescovo della sua città natale nel 353 o 354. Negli anni seguenti, Ila­rio scrisse la sua prima opera, il Com­mento al Vangelo di Matteo. Si tratta del più antico commento in latino che si conosce di questo Vangelo. Nel 356 fu esiliato in Asia Minore, dall’Impe­ratore Costanzo. Morì nel 365. I suoi scritti contengono numero­si e devoti riferimenti alla Madonna. Sul concepimento e il parto virginale di Maria, afferma: « E fuori discussione che Lei non concepì per opera di un uomo, nel da­re alla luce, ma dalla Sua carne formò la carne [del Figlio], che Si sviluppò senza l’umiliazione dell’unione carnale della nostra natura. Fu madre di un es­sere perfetto, senza sperimentare dan­no alcuno alla sua integrità». Aggiunge, spiegando un pas­so della prima lettera di San Pa­olo ai Corinzi: « Il beato Apostolo esprime perfettamente il suo pensie­ro sull’ ineffabile mistero della nasci­ta del corpo [di Cristo] quando dice: ‘Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cie­lo’ (I Cor 15, 47). Quando Lo chiama uomo, vuole indicare la Sua nasci­ta dalla Vergine che, svolgendo quel­lo che è proprio di una madre nel con­cepimento e nella nascita di un uomo, ha rispettato la legge naturale propria del sesso. Quando poi l’Apostolo di­ce: `Il secondo uomo viene dal Cielo, attesta la Sua origine, poiché Egli sce­se nel seno della Vergine quando scese su di Lei lo Spirito Santo. Per questo [Cristo], visto che è uomo e proviene dal Cielo, ha la Sua nascita dalla Ver­gine e il Suo concepimento dallo Spi­rito. E lo stesso Apostolo che si espri­me in questa maniera! ».

Hanno difeso la verità senza timore Toccò ai Santi Padri vivere in un’ epoca bellissima, ma difficile. Bel­lissima perché essi videro con i pro­pri occhi come il gregge di Gesù Cri­sto, la Chiesa da Lui fondata, si diffu­se con rapidità vertiginosa, nonostan­te le persecuzioni. Allo stesso tempo difficile, perché cominciarono a sor­gere le eresie. Essi ebbero la missio­ne di difendere la Chiesa da quei se­minatori di zizzania che furono gli eresiarchi. Difesero la verità senza timore. Per questo il loro linguaggio ha, molte volte, una spiccata nota di polemica, di veemenza, una certa rudezza anche, ma di innegabile bellezza e virilità! Nei loro scritti e omelie, si sente qualcosa che sa di aurora, di raggi di sole nascente. Non è ancora il chiaro­re del mezzogiorno, ma piuttosto la prima luce. Per così dire, si sente l’eco della voce del Signore. Commentan­do le lettere di Sant’Ignazio di Antio­chia, Benedetto XVI ha affermato: « Leggendo questi testi, si sente il vigore della Fede della generazione che anco­ra aveva conosciuto gli Apostoli». » Questo slancio iniziale, tutto pie­no dello Spirito Santo, diede impul­so, configurò e solidificò la dottrina cristiana per sempre. (Tratto da: ‘Araldi del Vangelo’)

Publié dans:Maria Vergine |on 27 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

L’arche de Noé et l’alliance cosmique

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http://www.artbible.net/1T/Gen0601_Noah_flood/pages/15%20NOAH%20AND%20ARK.htm

Publié dans:immagini sacre |on 26 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

«CHI È IL MIO PROSSIMO?» (Lc. 10,29)

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_w.htm#LA SCOPERTA DI CRISTO

«CHI È IL MIO PROSSIMO?» (Lc. 10,29)

San Severo d’Antiochia *

Severo fu patriarca di Antiochia dal 512 al 518. L’imperatore Giustiniano I lo depose a motivo della sua opposizione alla formula del Concilio di Calcedonia (451) che affermava che Cristo èuno in due nature. Da allora Severo visse in Egitto, dove morì nel 538. La sua importante opera letteraria è stata pubblicata soltanto in parte. Studi recenti hanno provato che il monofisismo di Severo d’Antiochia deriva più da una confusione di vocabolario che da un errore vero e proprio. Chi è il mio prossimo? Tutti gli uomini. Leggendo questa bella pagina si comprende meglio la ragione profonda di questa «prossimità»: da un lato ogni uomo ha bisogno di essere sanato perché la natura umana, nella sua indigenza, non sussiste senza l’aiuto degli altri. D’altra parte, l’amore stesso rende ciascuno di noi «prossimo» all’altro.

Fa’ questo e vivrai (Lc. 10,28). Quando però il dottore della Legge, prendendo a pretesto il desiderio di istruirsi, interrogò di nuovo Gesù, gli pose questa domanda: « Chi dobbiamo considerare come quel prossimo che la Legge comanda a tutti di amare come se stessi?» Allora il nostro Salvatore diede questa risposta sotto forma di parabola: «Un uomo andava da una città a un’altra. Assalito dai briganti, fu preso, spogliato dei suoi vestiti e ferito. Era ormai tutto una piaga e giaceva mezzo morto. Lo vide un sacerdote, volse altrove lo sguardo e se ne andò. Anche un levita lo vide, ma non se ne prese cura: anziché commuoversi e provare dolore, non si fermò davanti a questo spettacolo che pure avrebbe dovuto suscitare in lui grandissima compassione. Alla fine un samaritano, che passava per quella strada, si trovò davanti a quell’uomo disteso a terra: non lo guardò solo con gli occhi, ma lo fissò con la preoccupazione misericordiosa del cuore. Inginocchiandosi davanti a lui, curò le sue piaghe con i rimedi convenienti: vi versò sopra vino e olio e le fasciò con amorosa diligenza. Lo mise poi su un asino e lo condusse a un albergo, dove chiese che fosse trattato con grande sollecitudine». Dimmi ora, dottore della Legge, senza scrutarmi con quello sguardo cattivo, chi è il prossimo per te? Ma per colui che aveva bisogno di essere assistito, chi è mai divenuto il prossimo se non l’uomo che si è dimostrato tale per il suo comportamento? Tu pensi spesso, nella tua ignoranza, che il tuo prossimo sia colui che condivide la tua stessa reli9ione o la tua stessa nazionalità. lo invece dico e definisco come prossimo chi partecipa alla tua stessa natura ed è uomo come te. Come vedi, infatti, colui che se ne andava a testa alta a motivo della sua dignità di sacerdote, e l’altro che si vantava del suo titolo di levita e compiva le funzioni del ministero sacerdotale secondo la Legge, tutti e due ostentavano, come fai anche tu, di conoscere i comandamenti divini. E tuttavia non pensarono neppure lontanamente che quel poveretto che apparteneva alla loro razza ed era là nudo, coperto di gravissime ferite, steso a terra quasi sul punto di morire, era un uomo come loro: lo disprezzarono come se fosse una pietra o un pezzo di legno abbandonato. Il samaritano invece, che non conosceva i comandamenti della Legge e che da voi è considerato pazzo e ignorante – perché addirittura un saggio ha parlato così: Gli abitanti della montagna di Samaria, i Filistei e il popolo stupido che abita a Sichem (Eccli. 50,28) – il samaritano riconobbe la natura umana e comprese chi è il prossimo. Così colui che voi giudici considerate tanto lontano, si è fatto vicinissimo per chi aveva bisogno di rimedio. Non restringere dunque in una meschinità giudaica e in una misura limitata la definizione di «prossimo»; non pensare che solo gli uomini della tua razza siano il tuo prossimo: il prossimo infatti è ogni persona su cui si riversa il tuo spirito di carità.

* Homilia LXXXIX: P.G. 23 – pp. 370-372.

 

AMARE I NEMICI PERCHÈ DIVENTINO FRATELLI – SANT’AGOSTINO

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AMARE I NEMICI PERCHÈ DIVENTINO FRATELLI

 DAI « TRATTATI SULLA PRIMA LETTERA DI GIOVANNI » DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO.  (1, 9-12

In questo lo conosciamo se osserveremo i suoi comandamenti. Quali comandamenti? Chi dice di conoscerlo e non osserva i suoi comandamenti è menzognero e in lui non c’è verità. Ma tu torni a chiedere: quali comandamenti? Giovanni ti dice: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l’amore di Dio (1 Gv 2, 3-5). Vediamo se questo comandamento non sia l’amore. Ci domandavamo quali fossero questi comandamenti e Giovanni ci risponde: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l’amore di Dio. Esamina il Vangelo e vedi se non è questo precisamente quel comandamento. Dice il Signore: Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda (Gv 13, 34). A questo segno noi conosciamo di essere in lui, se in lui saremo perfetti (1 Gv 2, 5). Egli parla di perfetti nell’amore. Ma qual’è la perfezione dell’amore? E’ amare anche i nemici ed amarli perché diventino fratelli. Il nostro amore infatti non deve essere carnale. E’ buona cosa chiedere per un altro la salute del corpo; ma se questa mancasse, non deve scapitarne la salute dell’anima. Se auguri al tuo amico la vita, fai bene. Se ti rallegri per la morte del tuo nemico, fai male. Forse la vita che auguri all’amico è inutile, mentre quella morte del nemico di cui ti rallegri, può essere a lui utile. Non è certo se questa nostra vita sia utile o inutile, mentre è indubbiamente utile la vita presso Dio. Ama i tuoi nemici con l’intento di renderli fratelli; amali fino a farli entrare nella tua cerchia. Cosí ha amato colui che, pendendo sulla croce, disse: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Non che abbia detto: Padre, costoro abbiano una vita lunga; loro che mi uccidono abbiano a vivere; ma ha detto: Perdona loro perché non sanno quello che fanno. Egli li volle preservare da una morte perpetua con una preghiera piena di misericordia e di forza. Molti tra essi credettero e fu loro perdonato di aver versato il sangue di Cristo. Quando si mostrarono crudeli, versarono quel sangue; quando credettero, lo bevvero. In questo noi conosciamo che siamo in lui, se in lui saremo perfetti. Il Signore ci ammonisce ad essere perfetti quando ci parla del dovere di amare i nemici: Siate dunque perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste (Mt 5, 48). Chi dunque dice di rimanere in lui, deve camminare come lui camminò (1 Gv 2, 6). In quale modo, o fratelli? Che ammonizione è questa? Colui che dice di rimanere in lui – cioè in Cristo – deve camminare come lui camminò. Che ci ammonisca forse di camminare sul mare? No, evidentemente. Ci ammonisce invece di camminare nella via della giustizia. Quale via? L’ho ricordato. Egli, quando era inchiodato alla croce, camminava proprio su questa via, che è la strada della carità. Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Se dunque imparerai a pregare per il tuo nemico, camminerai sulla strada del Signore. [E' il comandamento nuovo, perché riguarda l'uomo nuovo.]  Dilettissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico, che avevate fin dall’inizio. Quale antico comandamento intende ricordare? Quello che avevate fin dall’inizio. Esso è vecchio in quanto già l’avevate udito. Altrimenti sarebbe in contraddizione col Signore che disse: Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda. Ma perché lo chiama comandamento vecchio? Non perché riguarda il vecchio uomo. Perché allora? Perché è: Quello che avevate fin dall’inizio. Il comandamento vecchio è la parola che avete udito (1 Gv 2, 7). Vecchio dunque perché già l’udiste. Ma Giovanni ci mostra che si tratta anche di un comandamento nuovo, quando dice: Ancora vi scrivo un comandamento nuovo. Non un altro comandamento ma quel medesimo che chiamò vecchio ed è ad un tempo vecchio e nuovo. Perché? Ciò si è verificato in lui ed in voi. Avete udito perché esso viene detto vecchio: perché già lo conoscevate. Perché allora viene detto nuovo? Perché: le tenebre se ne sono andate ed ormai splende la luce vera (1 Gv 2, 8; cf. Gv 13, 34). Da ciò deriva che si tratta di un comandamento nuovo: le tenebre riguardano l’uomo vecchio, la luce l’uomo nuovo. Che dice l’apostolo Paolo? Spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi dell’uomo nuovo (Col 3, 9-10). Che dice ancora? Un tempo voi foste tenebre, ora siete luce nel Signore (Ef 5, 8). [Amare il fratello è camminare nella luce, cioè in Cristo.]  Chi dice di essere nella luce – ecco che si rivela tutto il suo pensiero – chi dice di essere nella luce ed odia il fratello è ancora nelle tenebre (1 Gv 2, 9). Ahimé, o fratelli, fin quando vi dovremo dire: Amate i nemici (Mt 5, 44)? Guardatevi almeno dall’odiare il fratello, che è cosa peggiore. Se voi amate soltanto i fratelli, perfetti non sarete, ma se li odiate, che siete mai? Dove siete? Ciascuno guardi nel suo cuore; non tenga odio contro il fratello, per qualche dura parola che ha ricevuto; per litigi terreni, non dobbiamo diventare terra. Chi odia il fratello, non può dire di camminare nella luce. Anzi, non dica di camminare in Cristo. Chi dice di essere nella luce e odia il suo fratello è ancora avvolto nelle tenebre. Poniamo che un pagano diventi cristiano. Capitemi: quando era pagano, era nelle tenebre; ora è diventato cristiano. Sia lode al Signore, dicono tutti, e si congratulano e ripetono le parole augurali dell’Apostolo: Un giorno foste nelle tenebre; ora invece siete nella luce del Signore. Colui che adorava gli idoli, ora adora Dio; adorava cose da lui fatte, adora adesso chi fece lui. E’ cambiato. Sia lode a Dio; tutti i cristiani se ne rallegrano. Perché? Perché adesso egli è adoratore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e detesta i demoni e gli idoli. Giovanni prende a cuore questo individuo e, nonostante la festa che tutti gli fanno, nutre qualche preoccupazione per lui. O fratelli, accettiamo volentieri questa sollecitudine materna. Non senza motivo nostra madre ha delle apprensioni per noi, anche quando gli altri si congratulano con noi e questa madre è la carità. Essa è nel cuore di Giovanni, quando fa queste raccomandazioni. E perché le fa se non perché teme per qualcosa che è in noi, pur se gli altri ci fanno congratulazioni? Che cosa teme? Chi dice di essere nella luce. Che significano queste parole? Significano: colui che dice di essere cristiano e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Qui non occorrono spiegazioni, ma c’è da gioire se la cosa non s’avvera, c’è da piangere se essa si avvera. [Se possederai la carità, non potrai separarti né da Cristo né dalla Chiesa.]  Chi ama il suo fratello, resta nella luce, e in lui non c’è scandalo (1 Gv 2, 10; cf. Gv 13, 34). Vi scongiuro in nome di Cristo: è Dio che ci nutre, ristoreremo i nostri corpi in nome di Cristo, come già abbiamo fatto un poco, ed ancora faremo; che la mente abbia il suo cibo. Questo affermo, non perché debba ancora parlare a lungo; il testo della lettura sta per finire: ma facciamo in modo che il tedio non diminuisca la nostra attenzione per queste cose che hanno grandissima importanza. Chi ama suo fratello, resta nella luce ed in lui non c’è scandalo. Chi sono coloro che patiscono o danno scandalo? Coloro che trovano motivo di scandalo in Cristo e nella Chiesa. Chi trova motivo di scandalo in Cristo, è come colui che viene scottato dal sole, mentre colui che trova motivo di scandalo nella Chiesa, è come colui che viene scottato dalla luna. Dice il salmo: Di giorno il sole non ti brucerà né di notte la luna (Sal 120, 6) e significa: se avrai mantenuto la carità, non soffrirai scandalo né a motivo di Cristo, né a motivo della Chiesa. Non abbandonerai Cristo né la Chiesa. Chi abbandona la Chiesa, come può essere nel Cristo, se non appartiene alle sue membra? Come può essere nel Cristo, se non fa parte del suo corpo? Subiscono lo scandalo dunque quelli che abbandonano o Cristo o la Chiesa. Da che cosa desumiamo che il salmo dicendo: Di giorno il sole non ti brucerà, né di notte la luna, vuole che nel termine « bruciatura » si veda indicato lo scandalo? Innanzi tutto fai attenzione alla similitudine; come colui che viene scottato dice: non riesco a tollerare, non sopporto, e perciò si allontana; cosí coloro che non sopportano alcune cose nella Chiesa e si allontanano dal nome di Cristo o della Chiesa, patiscono scandalo. Osservate infatti quale scandalo hanno subito, come scottati dal sole, quegli uomini carnali ai quali Cristo predicava di dare la sua carne dicendo: Chi non mangerà la carne del Figlio dell’uomo e non berrà il suo sangue, non avrà in sé la vita. Circa una settantina di persone dissero: Che discorso duro è questo? e si allontanarono da lui; rimasero i dodici. Quelli furono tutti scottati dal sole e se ne andarono, non riuscendo a sopportare la forza della parola di Cristo. Rimasero dunque i dodici. E perché non credessero di fare un favore a Cristo credendo in lui, quando invece era Cristo a compiere per loro un beneficio, ai dodici rimasti il Signore disse: Volete andare anche voi? Sappiate infatti che non voi siete indispensabili per me, ma io per voi. Ma essi, che non erano stati scottati dal sole, risposero per bocca di Pietro: Signore, tu hai parole di vita eterna: dove potremo noi andare? (Gv 6, 54 61 68 69). E chi sono quelli che vengono scottati dalla Chiesa, come dalla luna nel corso della notte? Quelli che han fatto scisma. Ascoltate la parola stessa dell’Apostolo: Chi è ammalato e non lo sono anch’io? Chi patisce scandalo e io non ne brucio? (2 Cor 11, 29). Come avviene che non c’è scandalo in colui che ama i fratelli? Perché chi ama i fratelli sopporta tutto per l’unità, perché l’amore fraterno consiste nell’unità della carità. Supponiamo che ti offenda uno qualunque che è cattivo, o che tu giudichi cattivo o anche soltanto immagini tale: abbandoni forse per questo tanti altri che sono buoni? Ma che carità fraterna è quella che si mostra in questi Donatisti? Accusano i Cristiani di Africa e perciò abbandonano l’universa terra. Non c’è forse santo alcuno nel mondo? E questi, senza neanche essere ascoltati, furono da voi abbandonati. Ma se amate i fratelli, non ci sarebbe scandalo in voi. Ascolta la voce del salmo: Quanta pace a chi ama la tua legge e non c’è scandalo per lui (Sal 118, 165). Annunzia gran pace a coloro che amano la legge di Dio e perciò soggiunge che non c’è scandalo per loro. Coloro infatti che si scandalizzano perdono la pace. E chi (è detto nel salmo) non patisce scandalo o non lo fa? Chi ama la legge di Dio. Ecco, esso è nella carità. Obietterà qualcuno: si tratta di chi ama la legge di Dio e non di chi ama i fratelli. Ascolta allora ciò che dice il Signore: Un comando nuovo io vi dò, di amarvi gli uni e gli altri. La legge non è forse un comando? E come non si patisce scandalo se non sopportandosi scambievolmente? Dice l’apostolo Paolo: Ci sopportiamo l’un l’altro nell’amore, cercando di mantenere l’unità di spirito in un legame di pace (Ef 4, 2-3). E che questa sia la legge di Cristo lo si deduce dalle parole stesse dell’Apostolo che questa legge raccomanda: Portate, dice, l’uno il peso dell’altro e cosí adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2).

L’ANIMA È IL CARRO CHERUBICO CHE PORTA DIO (MACARIO IL GRANDE)

http://www.natidallospirito.com/2015/06/02/lanima-e-il-carro-cherubico-che-porta-dio-macario-il-grande/

SPIRITUALITA ORTODOSSA / DETTI DEI PADRI DEL DESERTO

L’ANIMA È IL CARRO CHERUBICO CHE PORTA DIO (MACARIO IL GRANDE)

1. Il beato profeta Ezechiele contemplò una visione, un’apparizione divina e gloriosa, e ne fece la narrazione descrivendo una visione colma di ineffabili misteri(1). Vide, nella pianura, un carro di cherubini, quattro esseri viventi spirituali, di cui ciascuno aveva quattro volti: uno di leone, uno di aquila, uno di vitello e uno d’uomo. E per ogni volto avevano delle ali, sicché non v’era parte posteriore o rivolta all’indietro; e il loro dorso era colmo di occhi, e il loro ventre similmente era colmo di occhi, e non vi era parte che non fosse colma di occhi. E ogni volto era provvisto di ruote, una ruota dentro l’altra, e nelle ruote vi era lo Spirito. E vide come un trono e, seduto su di essi, una figura dalle sembianze umane e sotto i suoi piedi c’era come uno zaffiro lavorato. Il carro portava il cherubino e gli esseri viventi il Signore, assiso su di essi; ovunque volesse andare, era sempre in direzione di un volto. E vide, sotto il cherubino, come una mano d’uomo che lo sorreggeva e lo portava. 2. E ciò che il profeta vide nella sua sostanza era vero e certo. Indicava tuttavia qualcos’altro e prefigurava una realtà mistica e divina, un mistero nascosto in verità da secoli e da generazioni(2), ma svelato negli ultimi tempi(3) con la manifestazione di Cristo(4). Contemplava infatti il mistero dell’anima che avrebbe accolto il suo Signore e sarebbe divenuta per lui trono di gloria. Poiché l’anima resa degna di avere parte allo Spirito, fonte della sua luce(5), e illuminata dalla bellezza dell’ineffabile gloria del Signore, che l’ha preparata quale trono e sua dimora, diventa tutta luce(6), tutta volto, tutta occhio(7); non vi è in essa parte alcuna che non sia ricolma degli occhi spirituali della luce, cioè non vi è in essa nulla di tenebroso, ma è trasformata tutta intera in luce e spirito ed è tutta colma di occhi; non ha alcuna parte posteriore o che stia a tergo, ma è volto in ogni lato, poiché su di essa è assisa l’ineffabile bellezza della luminosa gloria di Cristo. E come il sole è identico a se stesso in ogni sua parte e non ha lato posteriore o difettoso, ma è tutto interamente glorificato dalla luce ed è tutto luce, uguale in tutte le sue parti, o come il fuoco, la luce stessa del fuoco, è tutta uguale e non ha in sé qualcosa di primo o di ultimo, di maggiore o di minore, così anche l’anima, che è stata perfettamente illuminata dall’ineffabile bellezza della gloria luminosa del volto di Cristo(8), che è in piena comunione con lo Spirito Santo ed è fatta degna di diventare dimora e trono di Dio, diventa tutta occhio, tutta luce, tutta gloria, tutto spirito. Tale la rende il Cristo, che la conduce, la guida, la sostiene, la trasporta e così la prepara e adorna di bellezza spirituale. È detto infatti: Una mano d’uomo stava sotto il cherubino(9), poiché Colui che in essa è trasportato è anche Colui che guida. 1 Cf. Ez 1,4-28. 2 Col 1,26. 3 Cf. 1Pt 1,20. 4 Cf. 2Tm 1,10 5 Il senso di queste parole viene chiarito al § 6: “…quanti possiedono l’anima della luce, cioè la potenza dello Spirito santo, sono dalla parte della luce”. 6 “l’anima vede la luce e diventa tutta luce” afferma Gregorio di Nazianzo (Carmina dogmatica 32, PG 37,512). È l’esperienza della trasfigurazione sovente attestata negli Apophtegmata patrum: di abba Arsenio si dice che era “tutto come di fuoco” (Arsenio 27, PG 65,96C) e il volto di abba Sisoès risplendeva come il sole (cf. Apophtegmata patrum, alph.: Sisoès 14, PG 65,396BC; cf. anche Pambo 1 e 12). Abba Giuseppe di Panefisi affermava “Non ti è possibile diventare monaco, se non diventi tutto di fuoco!” (Apophtegmata patrum, alph. Giuseppe di Panefisi 6, PG 65, 229C). Su questo tema nelle Omelie dello Pseudo-Macario vedi anche: Om. 8,3 e Om. 15,38. 7 I cherubini ricoperti di occhi nella tradizione cristiana sono diventati simbolo della vita contemplativa. Abba Bessarione diceva: “Il monaco deve essere come i cherubini e i serafini: tutto occhi!” (Apophtegmata patrum,alph.: Bessarione 11, PG 65,141D). 8 Cf. 2Cor 4,6. 9 Cf. Ez 1,8; 10,8.

Publié dans:Ortodossia, spiritualità  |on 24 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

Healing of the Blind Man by Jesus Christ

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Publié dans:immagini sacre |on 23 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

UN PADRE FEDELE – GEREMIA CAP 30-33

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16441.html

UN PADRE FEDELE – GEREMIA CAP 30-33

don Marco Pratesi

Nel libro di Geremia i cc. 30-33 costituiscono un « libretto della consolazione », nel quale oracoli pronunziati in situazioni diverse sono raccolti e letti in prospettiva unitaria come annunzio di una restaurazione di tutto Israele (regni del nord e del sud), che non è semplice ritorno al passato ma creazione di qualcosa di nuovo. Il presente breve testo invita alla gioia, perché il Signore sta comunque portando avanti il proprio disegno di salvezza. Per noi non ha molta importanza se il profeta, all’inizio del suo ministero (al tempo del re Giosia e della sua riforma religiosa), si stia rivolgendo al regno del nord (Efraim, Israele), come sembra più probabile, oppure abbia presente Giuda, come di solito avviene. L’essenziale è che egli vede avanzare la salvezza di Dio, nella forma di un ritorno in massa degli Israeliti dispersi. Nonostante le intricate e dolorose vicende storiche, nelle quali Israele sembra oramai sul punto di dissolversi, Dio intende rimanere fedele al suo popolo, mantenendogli il suo speciale status di primogenito fra le nazioni. E’ noto che il primogenito godeva di una posizione del tutto speciale tra i figli (cf. Gn 27; Es 4,22-23; 13,11-16). Israele è ancora « la prima tra le nazioni », il capo tra i popoli (v. 7). Nonostante le apparenze contrarie, la dispersione e la decimazione, tutto ciò rimane. Certo, l’attuazione del proposito di Dio passa attraverso una purificazione dolorosa: ciò che torna in patria è pur sempre un resto (ibidem). Una simile esperienza, un simile passaggio nel crogiolo (cf. 9,7), significa la caduta di ogni presunzione di sé e l’ingresso in una nuova dimensione di fede. Ma proprio per questo il legame tra Dio e il suo popolo non solo non è abolito, ma risulta addirittura approfondito: è il tema della nuova alleanza (cf. 31,31-34). Israele non dirà più a un pezzo di legno « Tu sei mio padre », e alla alla pietra: « Tu ci hai dato la vita » (2,27); all’invocazione « Padre mio, tu sei l’amico della mia giovinezza » non si accompagnerà più l’ostinazione nella pratica infedeltà idolatrica (3,4; cf. 3,19). Finalmente Dio potrà dire in verità: « io sono un padre per Israele » (v. 9). A questa più consapevole e umile fiducia Dio risponde donando un ritorno piano, tranquillo, senza ostacoli, agevole anche per i più impediti: lo zoppo, il cieco, l’incinta, la partoriente. Il piano di Dio non si arresta, mai; procede e si approfondisce nonostante, anzi proprio attraverso, gli ostacoli. Siamo chiamati a vivere sempre più e meglio l’esperienza della paternità di Dio, che ci libera dalle dipendenze idolatriche e ci fa scoprire la nostra identità vera nell’essere suoi figli amati. Tutto ciò si realizza attraverso la spoliazione da ogni preteso diritto alla cura paterna di Dio: più profondamente accogliamo questa « umiliazione », più l’intervento di Dio si fa forte, spianando davanti a noi ogni ostacolo. Sarà l’esperienza di Gesù di Nazaret, colui che, definitivamente, è il capo di quel corpo che è la nuova umanità, e il primogenito dei risorti (cf. Col 1,18).

 

25 OTTOBRE 2015 | 30A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/8-Ordinario/30a-Domenica-B-2015/10-30a-Domenica-B-2015-UD.htm

25 OTTOBRE2015 | 30A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B | OMELIA

Per cominciare La liturgia ci presenta il profilo del vero discepolo di Gesù. Ma non è uno degli apostoli, che finora hanno dimostrato di non comprendere bene le parole del loro maestro, ma è un povero sventurato, un mendicante cieco che invoca Gesù pieno di fede, ottiene la luce della guarigione e si mette al suo seguito.

La parola di Dio Geremia 31,7-9. Il ritorno dall’esilio di Babilonia. È un popolo di salvati, anche se si tratta di un misero « resto », composto di ciechi, zoppi, donne incinte e partorienti. Ma si sente un canto di gioia e di speranza: Dio interviene e mostra al suo popolo una via di salvezza. Ebrei 5,1-6. Gesù, nostro sommo sacerdote, nella sua umanità prova compassione per le nostre infermità, ed è in grado di venirci in soccorso nella tentazione, essendo stato anche lui come noi provato in ogni cosa, pur senza condividere il nostro peccato. Marco 10,46.52. Insieme ai suoi discepoli e a molta folla, Gesù, partendo da Gerico, è diretto verso Gerusalemme. Lungo la strada c’è un cieco che invoca per pietà la guarigione e lo riconosce « figlio di Davide ». C’è chi lo zittisce, ma lui grida più forte. Gesù lo fa chiamare e gli restituisce la luce della vista, riconoscendo la sua fede.

Riflettere o La guarigione di questo cieco è narrata con qualche variante anche da Matteo e Luca. Marco aggiunge il nome del cieco: si tratta di Bartimeo, il figlio di Timeo. Tutti e tre gli evangelisti dicono che è un mendicante e questa era sicuramente l’unica occupazione che a quel tempo poteva essere consentita a un non vedente. o È possibile che Marco possa aver conosciuto Bartimeo nella comunità di Gerusalemme, cristiano tra i cristiani della prima ora, e avergli sentito raccontare del suo incontro con Cristo e del miracolo. o « Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita » (Gv 8,12), dice Gesù. Ed è questo il significato del miracolo, che diventa insieme segno del potere taumaturgico di Gesù e dichiarazione che è lui la luce del mondo, che è lui che ci illumina per farci vedere ogni cosa con gli occhi della fede. o Gesù è in viaggio verso Gerusalemme. Arriva a Gerico, la città delle palme, dieci gradi in più di Gerusalemme. Si trova a 300 metri sotto livello del mare. Distrutta, è stata ricostruita da Erode il Grande, che morirà in questa città. È separata da Gerusalemme da 37 km di strada nel deserto. Luca ambienta in questa strada la parabola del buon samaritano. o Gesù non si attarda. Sembra aver fretta. Ma sulla strada c’è un povero che chiede l’elemosina. Sente dire che passa Gesù di Nazaret e la sua cecità diventa una penosa invocazione di aiuto. Bartimeo è una persona condannata all’emarginazione sociale, anche per la convinzione ebraica che ogni disabilità è dovuta a una punizione divina, a causa di chissà quali peccati personali o ereditati. o È chiara la fede del cieco che grida: « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ». E Gesù non lo rimprovera, né lo zittisce, ma accoglie le sue parole come testimonianza della sua fede. Gesù infatti non è un guaritore, né un maestro come gli altri. Come in tanti altri casi, Gesù attribuisce la guarigione alla sua fede. o L’atteggiamento della folla contraddittorio: prima è indifferente verso il cieco e gli dice di smetterla, poi lo incoraggia quando ormai Gesù lo ha visto e lo ha chiamato. Sono tante le persone che si infastidiscono di fronte all’urlare di qualcuno in difficoltà, che non intendono muoversi davanti a degli infelici che chiedono un po’ di conforto. o Il cieco getta via mantello: è da una vita che attende questo momento! Quel mantello è tutto quello che ha: gli serve per dormire, come cuscino, per scaldarsi. Tra gli israeliti il mantello era l’unico bene posseduto dal povero ed era ritenuto indispensabile: « È la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? » (Es 22,26). o Il gesto di Bartimeo richiama quello che i catecumeni compivano nel giorno del loro battesimo: si spogliavano dei loro vestiti e indossavano per una settimana una tunica bianca, per indicare la vita nuova che stavano iniziando. o « La tua fede ti ha salvato », dice Gesù al termine di un dialogo serrato e amoroso e Bartimeo trova la luce e si mette al seguito di Gesù. La storia della chiesa nei suoi duemila anni ha conosciuto tantissime esperienze di uomini e donne che hanno sentito il fascino di Gesù e il dono della fede e ci sono consacrate definitivamente a lui. o Il cieco guarito è un modello per coloro che vogliono seguire Gesù. Il racconto di questo miracolo serviva egregiamente nella chiesa primitiva perché i catecumeni si sentissero come contagiati dalla sua fede ed entrassero negli atteggiamenti più giusti per essere illuminati da Cristo, ricevere il battesimo e diventare cristiani. o Quello di Bartimeo è un miracolo che preannuncia anche una situazione nuova di salvezza, quella annunciata da Geremia nel suo canto di speranza che abbiamo appena ascoltato: « Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni… ». Geremia vede ciechi, zoppi e donne incinte in un viaggio di liberazione verso la terra promessa. È davvero difficile immaginare che una comitiva come questa possa raggiungere la meta. Solo il Signore può garantirne la riuscita. Ma è questa la logica di Dio in ogni tempo. Predilige e riempie di speranza e di attenzioni proprio chi è inadeguato, emarginato, piccolo.

Attualizzare aIl miracolo della guarigione del cieco Bartimeo è un motivo di ispirazione per ogni cristiano. Di fronte al modo di agire di Dio, di fronte le sconfitte della vita, andiamo a rischio di non vederci più, di non trovare la strada della vita, così come hanno fatto gli apostoli. o In realtà si può essere ciechi e vederci benissimo, sembra dire Gesù. Si può essere in grado di vedere ed essere ciechi, perché non abbiamo la luce della fede, perché non facciamo buon uso dei doni di Dio. Ogni cristiano deve chiedere un po’ di fede, deve chiederla gridando: « Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me! ». a Nel suo modo di agire, Gesù si accorge anche del particolare; in questo caso del cieco; in altre circostanze non gli sfuggirà Zaccheo, nascosto tra i rami di un albero (Lc 19,1-10), né una donna ammalata, confusa tra la folla (Mc 5,25-34), e nemmeno una povera vedova, che getta le due monetine nel tesoro del tempio (Lc 21,2). aPer raggiungere Gesù, il cieco Bartimeo caccia via il mantello, si libera del poco che ha, anzi di tutto ciò che ha. Il desiderio di vederci può esigere questo, per raggiungere la luce ci vuole questa spoliazione. aIl cieco grida, invoca. Pregare gridando vuol dire non volersi arrendere. Pregare è voler vincere le difficoltà, lo scoraggiamento, il pessimismo; vuol dire continuare a lottare. È così che, secondo la parola di Gesù, si può raggiungere la forza onnipotente e amichevole di Dio. Così dicono le parabole dell’amico importuno (Lc 11,5-8) e quella della vedova che prega il giudice ingiusto (Lc 18,1-8). aInvece quanta gente rimane muta, ferma, seduta sull’orlo della strada di fronte alle difficoltà, al buio della vita, agli inevitabili interrogativi che si pone ogni persona sensibile. aQuanto alla folla, che di fronte al grido del cieco non si scompone, non esce allo scoperto, anzi in un primo tempo cerca di chiudergli la bocca e non vuole compromettersi, è immagine di tanti cristiani pallidi, che mancano di coraggio, di amore, di attenzione. aTanto più che quel cieco dice cose pericolose, con le sue labbra impure. Ma tra breve quello stesso grido verrà ripetuto dalla piccola folla che si accalcherà attorno a Gesù, che cavalcando un asinello entrerà in Gerusalemme. aCome si diceva, l’episodio di Bartimeo, che ricupera la luce, è ricco di simboli. Il primo riferimento è sicuramente quello della fede. Il buio ci fa paura, ci rende insicuri e ci dà l’angoscia. Eppure siamo così abituati alla luce, che non apprezziamo più il miracolo di poter vedere le cose e muoverci con disinvoltura. È così anche con la fede. Ci siamo abituati sin da bambini e non ne apprezziamo più il valore. Chi ha la fede ci vede, ci dice Gesù. Vale a dire, anche se il cristiano conduce la vita di tutti e va incontro alle difficoltà che incontrano tutti, la fede gli fa vedere ogni cosa sotto una luce diversa e gli fa affrontare le difficoltà in modo più determinato. aChi ci vede ha un rapporto con le cose facile, così chi ha la fede conosce il senso del mondo e lo scopo del suo vivere e agitarsi. Per questo motivo ogni cristiano dovrebbe in qualche misura aiutare la gente a raggiungere questa luce, a diventare lui stesso una persona capace di illuminare e di condurre a Gesù.

I suoi occhi, come ultimo dono Don Carlo Gnocchi, oggi beato, dopo aver fatto tanto per i mulatini di guerra, nel 1956, a 53 anni, fu colpito da leucemia. Portato in clinica, i medici dissero che non c’era più niente da fare. Quando la morte era già lì ai bordi del letto, don Gnocchi chiamò il professor Galeazzi: « Professore, tra poco i miei occhi non mi serviranno più. E invece ci sono dei mutilatini che hanno bisogno di una cornea per tornare a vedere. Allora lei mi fa un favore: appena muoio, viene qui con i suoi ferri, prende le mie cornee e le innesta in due mutilatini. Mi dica che lo farà ». In quegli anni si parlava per la prima volta di trapianti di cornee, ma i più dicevano che era un’americanata. Morì la sera del 28 febbraio 1956. I suoi occhi furono trapiantati su Silvio Colagrande e Amabile Battistello. La ragazzina Amabile crebbe, si sposò, divenne mamma felice di due bambini. E loro non capivano quando la mamma diceva: « Io vi vedo con gli occhi di don Carlo ».

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA

San Giovanni Paolo II e i bambini

San Giovanni Paolo II e i bambini dans immagini sacre Pope+John+Paul+II+with+a+child

http://childrensrosary.blogspot.it/2013/08/mass-offered-tomorrow-for-renewal-of.html

Publié dans:immagini sacre |on 22 octobre, 2015 |Pas de commentaires »
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