Archive pour le 28 octobre, 2015

Pentecost is inspired by the Acts of the Apostles chapter 2:1-4:

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LETTERA ENCICLICA DIVES IN MISERICORDIA DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II SULLA MISERICORDIA DIVINA – (METTO SOLO IL PRIMO CAPITOLO)

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LETTERA ENCICLICA DIVES IN MISERICORDIA DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II SULLA MISERICORDIA DIVINA – (METTO SOLO IL PRIMO CAPITOLO)

Venerati Fratelli, carissimi Figli e Figlie,

salute e Apostolica Benedizione! 

CAPITOLO I CHI VEDE ME, VEDE IL PADRE (cfr Gv 14,9)

1. Rivelazione della misericordia «Dio ricco di misericordia» (Ef2,4) è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l’ha manifestato e fatto conoscere. (Gv1,18) (Eb1,1) Memorabile al riguardo è il momento in cui Filippo, uno dei dodici apostoli, rivolgendosi a Cristo, disse: «Signore, mostraci il Padre e ci basta»; e Gesù così gli rispose: «Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto…? Chi ha visto me, ha visto il Padre». (Gv14,8) Queste parole furono pronunciate durante il discorso di addio, al termine della cena pasquale, a cui seguirono gli eventi di quei santi giorni durante i quali doveva una volta per sempre trovar conferma il fatto che «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo». (Ef2,4) Seguendo la dottrina del Concilio Vaticano II e aderendo alle particolari necessità dei tempi in cui viviamo, ho dedicato l’enciclica Redemptor hominis alla verità intorno all’uomo, che nella sua pienezza e profondità ci viene rivelata in Cristo. Un’esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili, mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è «misericordioso e Dio di ogni consolazione». Si legge infatti nella costituzione Gaudium et spes: «Cristo, che è il nuovo Adamo… svela… pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»: egli lo fa «proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore». Le parole citate attestano chiaramente che la manifestazione dell’uomo, nella piena dignità della sua natura, non può aver luogo senza il riferimento–non soltanto concettuale, ma integralmente esistenziale a Dio. L’uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore. È per questo che conviene ora volgerci a quel mistero: lo suggeriscono molteplici esperienze della Chiesa e dell’uomo contemporaneo; lo esigono anche le invocazioni di tanti cuori umani, le loro sofferenze e speranze, le loro angosce ed attese. Se è vero che ogni uomo, in un certo senso, è la via della Chiesa, come ho affermato nell’enciclica Redemptor hominis, al tempo stesso il Vangelo e tutta la tradizione ci indicano costantemente che dobbiamo percorrere questa via con ogni uomo cosi come Cristo l’ha tracciata, rivelando in se stesso il Padre e il suo amore. In Gesù Cristo ogni cammino verso l’uomo, quale è stato una volta per sempre assegnato alla Chiesa nel mutevole contesto dei tempi, è simultaneamente un andare incontro al Padre e al suo amore. Il Concilio Vaticano II ha confermato questa verità a misura dei nostri tempi. Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull’uomo, quanto più è, per cosi dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l’antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell’uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio. Se dunque nella fase attuale della storia della Chiesa, ci proponiamo come compito preminente di attuare la dottrina del grande Concilio, dobbiamo appunto richiamarci a questo principio con fede, con mente aperta e col cuore. Già nella citata mia enciclica ho cercato di rilevare che l’approfondimento e il multiforme arricchimento della coscienza della Chiesa, frutto del medesimo Concilio, deve aprire più ampiamente il nostro intelletto ed il nostro cuore a Cristo stesso. Oggi desidero dire che l’apertura verso Cristo, che come Redentore del mondo rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso, non può compiersi altrimenti che attraverso un sempre più maturo riferimento al Padre ed al suo amore.

2. Incarnazione della misericordia Dio, che «abita una luce inaccessibile», parla nello stesso tempo all’uomo col linguaggio di tutto il cosmo: «Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità». Questa indiretta e imperfetta conoscenza, opera dell’intelletto che cerca Dio per mezzo delle creature attraverso il mondo visibile, non è ancora «visione del Padre». «Dio nessuno l’ha mai visto», scrive san Giovanni per dar maggior rilievo alla verità secondo cui «proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». Questa «rivelazione» manifesta Dio nell’insondabile mistero del suo essere –uno e trino– circondato di «luce inaccessibile». Mediante questa «rivelazione» di Cristo, tuttavia, conosciamo Dio innanzitutto nel suo rapporto di amore verso l’uomo: nella sua «filantropia». È proprio qui che «le sue perfezioni invisibili» diventano in modo particolare «visibili», incomparabilmente più visibili che attraverso tutte le altre «opere da lui compiute»: esse diventano visibili in Cristo e per mezzo di Cristo, per il tramite delle sue azioni e parole e, infine, mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione. In tal modo, in Cristo e mediante Cristo, diventa anche particolarmente visibile Dio nella sua misericordia, cioè si mette in risalto quell’attributo della divinità che già l’Antico Testamento, valendosi di diversi concetti e termini, ha definito «misericordia». Cristo conferisce a tutta la tradizione veterotestamentaria della misericordia divina un significato definitivo. Non soltanto parla di essa e la spiega con l’uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifca. Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia. Per chi la vede in lui –e in lui la trova– Dio diventa particolarmente «visibile» quale Padre «ricco di misericordia». La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra. Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superfìcialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia. A questo proposito possiamo, tuttavia, rifarci con profitto all’immagine «della condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo» qual è delineata all’inizio della Costituzione Gaudium et spes. Vi leggiamo, tra l’altro, le seguenti frasi: «Stando cosi le cose, il mondo si presenta oggi potente e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio. Inoltre, l’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli». La situazione del mondo contemporaneo manifesta non soltanto trasformazioni tali da far sperare in un futuro migliore dell’uomo sulla terra, ma rivela pure molteplici minacce che oltrepassano di molto quelle finora conosciute. Senza cessare di denunciare tali minacce in diverse circostanze (come negli interventi all’ONU, all’UNESCO, alla FAO ed altrove), la Chiesa deve esaminarle, al tempo stesso, alla luce della verità ricevuta da Dio. Rivelata in Cristo, la verità intorno a Dio «Padre delle misericordie» ci consente di «vederlo» particolarmente vicino all’uomo, soprattutto quando questi soffre, quando viene minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza e della sua dignità. Ed è per questo che, nell’odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio. Essi sono spinti certamente a farlo da Cristo stesso, il quale mediante il suo Spirito opera nell’intimo dei cuori umani. Rivelato da lui, infatti, il mistero di Dio «Padre delle misericordie» diventa, nel contesto delle odierne minacce contro l’uomo, quasi un singolare appello che s’indirizza alla Chiesa. Nella presente enciclica desidero accogliere questo appello; desidero attingere all’eterno ed insieme, per la sua semplicità e profondità, incomparabile linguaggio della rivelazione e della fede, per esprimere proprio con esso ancora una volta dinanzi a Dio ed agli uomini le grandi preoccupazioni del nostro tempo. Infatti, la rivelazione e la fede ci insegnano non tanto a meditare in astratto il mistero di Dio come «Padre delle misericordie», ma a ricorrere a questa stessa misericordia nel nome di Cristo e in unione con lui. Cristo non ha forse detto che il nostro Padre, il quale «vede nel segreto», attende, si direbbe, continuamente che noi, richiamandoci a lui in ogni necessità, scrutiamo sempre il suo mistero: il mistero del Padre e del suo amore? Desidero quindi che queste considerazioni rendano più vicino a tutti tale mistero e diventino, nello stesso tempo, un vibrante appello della Chiesa per la misericordia di cui l’uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno. E ne hanno bisogno anche se sovente non lo sanno.  

COME È POSSIBILE CHE DIO ABBIA CREATO L’UNIVERSO IN SEI GIORNI?

http://www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risponde-il-teologo/Come-e-possibile-che-Dio-abbia-creato-l-universo-in-sei-giorni

COME È POSSIBILE CHE DIO ABBIA CREATO L’UNIVERSO IN SEI GIORNI?

Ancora una lettera sul racconto biblico della creazione. Risponde don Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura.

Percorsi: BIBBIA – SCIENZA E TECNICA – SPIRITUALITÀ E TEOLOGIA Parole chiave: creazione (5) 25/06/2014   Seguo sempre con interesse i dibattiti che riguardano la Scienza e la Fede, entrambe a servizio della Verità, che è Dio. Volevo partire con una domanda, perché sapersi porre le giuste domande è la strada che porta a trovare la verità; per cui chiedo: può Dio aver creato tutto l’universo in soli 6 giorni di 24 ore, ed essersi riposato il settimo? Emanuele Giannetti

Quando leggiamo i primi capitoli della Genesi che cosa ci aspettiamo? La fede e la scienza si interessano degli stessi temi, ma secondo prospettive diverse: la scienza si interessa del «come» dati fenomeni accadono e siano accaduti, la fede al senso e al «perché» . Forse pensiamo che ci sia opposizione fra le due? Pensiamo che la ricerca scientifica sia di ostacolo alla vita di fede o viceversa che la fede limiti la scienza? Siamo d’accordo con l’affermazione di Wittgenstein: «Noi sentiamo che, anche dopo che tutte le proposizioni o domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati». L’evoluzionismo darwiniano e la teoria del big bang hanno costituito nel passato una sfida per la dottrina della Chiesa. Oggi tali ipotesi scientifiche sono comunemente accettate e nessuno legge più letteralmente il testo di Genesi 1, ma si coglie in esso una storia di salvezza. Il creato è cosa di Dio, primo tempio in cui si manifesta l’azione divina. La vita in mezzo al creato deve essere una liturgia continua, un rendimento di grazie attraverso il tempo. La creazione è un atto di potenza e bellezza e armonia. Il protagonista dell’Idiota di Dostoevskij, principe Myskin non risponde esplicitamente, ma il suo atteggiamento  compassionevole, di commozione per le miserie altrui, fa trarre come conseguenza, che la bellezza che salverà il mondo sia l’amore che condivide il dolore. Il termine ebraico tob usato da Genesi 1, indica tanto «bello» quanto «buono». Perché gli ebrei hanno nel primo racconto della creazione parlano di sette giorni? A Babilonia gli ebrei erano venuti a contatto con le tradizioni religiose di quel popolo, al centro del quale c’era la figura principale del Dio di quella città, Marduk. In onore di questo Dio, per la festa del nuovo anno, era composto un poema, che cantando le lodi di Marduk, raccontava le origini del mondo. Questo poema è noto come Enuma elish, E racconta che alle origini del mondo vi fu la lotta di due divinità primordiali, una maschile e l’altra femminile, che fu la madre degli altri dei. Al termine di questa lotta, Marduk sconfigge sua madre e la spezza in due, costruendo con le due metà della dea il firmamento e la terra. Dopo questa battaglia gli dei decidono di creare l’uomo, che viene fatto modellando del fango impastato con il sangue di un Dio ribelle. L’uomo è mescolanza di umano e divino, è creato per essere schiavo degli dei. I sacerdoti ebrei sentono il dovere di rispondere a questa visione del mondo, e creano così il racconto di Genesi 1,1-2,4a , nel quale il Dio di Israele crea da solo, e non deve combattere contro alcuno per creare il mondo. L ’uomo viene creato come essere libero, e non come schiavo degli dei. Dio non crea per necessità, ma per amore; è un testo di grande speranza. Il testo usa lo stesso linguaggio dei babilonesi, linguaggio del mito che l’autore biblico critica. La presenza del numero sette è ricorrente: sette giorni, il primo versetto composto da sette parole, il versetto 2 da 14 (7×2), il termine «Dio» si trova 35 volte (7×5), l’espressione «cielo e terra» 21 volte (7×3). Per sette volte il verbo «creare». Dunque lo schema settenario, sette giorni, è usato dai sacerdoti per esprimere la completezza della creazione che ha il vertice nella creazione dell’uomo il sesto giorno («era cosa molto buona») e il settimo giorno il riposo di Dio al quale l’uomo partecipa ricordando che il primato di ogni opera e attività è di Dio.

Francesco Carensi

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