«CHI È IL MIO PROSSIMO?» (Lc. 10,29)
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«CHI È IL MIO PROSSIMO?» (Lc. 10,29)
San Severo d’Antiochia *
Severo fu patriarca di Antiochia dal 512 al 518. L’imperatore Giustiniano I lo depose a motivo della sua opposizione alla formula del Concilio di Calcedonia (451) che affermava che Cristo èuno in due nature. Da allora Severo visse in Egitto, dove morì nel 538. La sua importante opera letteraria è stata pubblicata soltanto in parte. Studi recenti hanno provato che il monofisismo di Severo d’Antiochia deriva più da una confusione di vocabolario che da un errore vero e proprio. Chi è il mio prossimo? Tutti gli uomini. Leggendo questa bella pagina si comprende meglio la ragione profonda di questa «prossimità»: da un lato ogni uomo ha bisogno di essere sanato perché la natura umana, nella sua indigenza, non sussiste senza l’aiuto degli altri. D’altra parte, l’amore stesso rende ciascuno di noi «prossimo» all’altro.
Fa’ questo e vivrai (Lc. 10,28). Quando però il dottore della Legge, prendendo a pretesto il desiderio di istruirsi, interrogò di nuovo Gesù, gli pose questa domanda: « Chi dobbiamo considerare come quel prossimo che la Legge comanda a tutti di amare come se stessi?» Allora il nostro Salvatore diede questa risposta sotto forma di parabola: «Un uomo andava da una città a un’altra. Assalito dai briganti, fu preso, spogliato dei suoi vestiti e ferito. Era ormai tutto una piaga e giaceva mezzo morto. Lo vide un sacerdote, volse altrove lo sguardo e se ne andò. Anche un levita lo vide, ma non se ne prese cura: anziché commuoversi e provare dolore, non si fermò davanti a questo spettacolo che pure avrebbe dovuto suscitare in lui grandissima compassione. Alla fine un samaritano, che passava per quella strada, si trovò davanti a quell’uomo disteso a terra: non lo guardò solo con gli occhi, ma lo fissò con la preoccupazione misericordiosa del cuore. Inginocchiandosi davanti a lui, curò le sue piaghe con i rimedi convenienti: vi versò sopra vino e olio e le fasciò con amorosa diligenza. Lo mise poi su un asino e lo condusse a un albergo, dove chiese che fosse trattato con grande sollecitudine». Dimmi ora, dottore della Legge, senza scrutarmi con quello sguardo cattivo, chi è il prossimo per te? Ma per colui che aveva bisogno di essere assistito, chi è mai divenuto il prossimo se non l’uomo che si è dimostrato tale per il suo comportamento? Tu pensi spesso, nella tua ignoranza, che il tuo prossimo sia colui che condivide la tua stessa reli9ione o la tua stessa nazionalità. lo invece dico e definisco come prossimo chi partecipa alla tua stessa natura ed è uomo come te. Come vedi, infatti, colui che se ne andava a testa alta a motivo della sua dignità di sacerdote, e l’altro che si vantava del suo titolo di levita e compiva le funzioni del ministero sacerdotale secondo la Legge, tutti e due ostentavano, come fai anche tu, di conoscere i comandamenti divini. E tuttavia non pensarono neppure lontanamente che quel poveretto che apparteneva alla loro razza ed era là nudo, coperto di gravissime ferite, steso a terra quasi sul punto di morire, era un uomo come loro: lo disprezzarono come se fosse una pietra o un pezzo di legno abbandonato. Il samaritano invece, che non conosceva i comandamenti della Legge e che da voi è considerato pazzo e ignorante – perché addirittura un saggio ha parlato così: Gli abitanti della montagna di Samaria, i Filistei e il popolo stupido che abita a Sichem (Eccli. 50,28) – il samaritano riconobbe la natura umana e comprese chi è il prossimo. Così colui che voi giudici considerate tanto lontano, si è fatto vicinissimo per chi aveva bisogno di rimedio. Non restringere dunque in una meschinità giudaica e in una misura limitata la definizione di «prossimo»; non pensare che solo gli uomini della tua razza siano il tuo prossimo: il prossimo infatti è ogni persona su cui si riversa il tuo spirito di carità.
* Homilia LXXXIX: P.G. 23 – pp. 370-372.

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