Archive pour le 23 octobre, 2015

Healing of the Blind Man by Jesus Christ

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UN PADRE FEDELE – GEREMIA CAP 30-33

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16441.html

UN PADRE FEDELE – GEREMIA CAP 30-33

don Marco Pratesi

Nel libro di Geremia i cc. 30-33 costituiscono un « libretto della consolazione », nel quale oracoli pronunziati in situazioni diverse sono raccolti e letti in prospettiva unitaria come annunzio di una restaurazione di tutto Israele (regni del nord e del sud), che non è semplice ritorno al passato ma creazione di qualcosa di nuovo. Il presente breve testo invita alla gioia, perché il Signore sta comunque portando avanti il proprio disegno di salvezza. Per noi non ha molta importanza se il profeta, all’inizio del suo ministero (al tempo del re Giosia e della sua riforma religiosa), si stia rivolgendo al regno del nord (Efraim, Israele), come sembra più probabile, oppure abbia presente Giuda, come di solito avviene. L’essenziale è che egli vede avanzare la salvezza di Dio, nella forma di un ritorno in massa degli Israeliti dispersi. Nonostante le intricate e dolorose vicende storiche, nelle quali Israele sembra oramai sul punto di dissolversi, Dio intende rimanere fedele al suo popolo, mantenendogli il suo speciale status di primogenito fra le nazioni. E’ noto che il primogenito godeva di una posizione del tutto speciale tra i figli (cf. Gn 27; Es 4,22-23; 13,11-16). Israele è ancora « la prima tra le nazioni », il capo tra i popoli (v. 7). Nonostante le apparenze contrarie, la dispersione e la decimazione, tutto ciò rimane. Certo, l’attuazione del proposito di Dio passa attraverso una purificazione dolorosa: ciò che torna in patria è pur sempre un resto (ibidem). Una simile esperienza, un simile passaggio nel crogiolo (cf. 9,7), significa la caduta di ogni presunzione di sé e l’ingresso in una nuova dimensione di fede. Ma proprio per questo il legame tra Dio e il suo popolo non solo non è abolito, ma risulta addirittura approfondito: è il tema della nuova alleanza (cf. 31,31-34). Israele non dirà più a un pezzo di legno « Tu sei mio padre », e alla alla pietra: « Tu ci hai dato la vita » (2,27); all’invocazione « Padre mio, tu sei l’amico della mia giovinezza » non si accompagnerà più l’ostinazione nella pratica infedeltà idolatrica (3,4; cf. 3,19). Finalmente Dio potrà dire in verità: « io sono un padre per Israele » (v. 9). A questa più consapevole e umile fiducia Dio risponde donando un ritorno piano, tranquillo, senza ostacoli, agevole anche per i più impediti: lo zoppo, il cieco, l’incinta, la partoriente. Il piano di Dio non si arresta, mai; procede e si approfondisce nonostante, anzi proprio attraverso, gli ostacoli. Siamo chiamati a vivere sempre più e meglio l’esperienza della paternità di Dio, che ci libera dalle dipendenze idolatriche e ci fa scoprire la nostra identità vera nell’essere suoi figli amati. Tutto ciò si realizza attraverso la spoliazione da ogni preteso diritto alla cura paterna di Dio: più profondamente accogliamo questa « umiliazione », più l’intervento di Dio si fa forte, spianando davanti a noi ogni ostacolo. Sarà l’esperienza di Gesù di Nazaret, colui che, definitivamente, è il capo di quel corpo che è la nuova umanità, e il primogenito dei risorti (cf. Col 1,18).

 

25 OTTOBRE 2015 | 30A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B | OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/8-Ordinario/30a-Domenica-B-2015/10-30a-Domenica-B-2015-UD.htm

25 OTTOBRE2015 | 30A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B | OMELIA

Per cominciare La liturgia ci presenta il profilo del vero discepolo di Gesù. Ma non è uno degli apostoli, che finora hanno dimostrato di non comprendere bene le parole del loro maestro, ma è un povero sventurato, un mendicante cieco che invoca Gesù pieno di fede, ottiene la luce della guarigione e si mette al suo seguito.

La parola di Dio Geremia 31,7-9. Il ritorno dall’esilio di Babilonia. È un popolo di salvati, anche se si tratta di un misero « resto », composto di ciechi, zoppi, donne incinte e partorienti. Ma si sente un canto di gioia e di speranza: Dio interviene e mostra al suo popolo una via di salvezza. Ebrei 5,1-6. Gesù, nostro sommo sacerdote, nella sua umanità prova compassione per le nostre infermità, ed è in grado di venirci in soccorso nella tentazione, essendo stato anche lui come noi provato in ogni cosa, pur senza condividere il nostro peccato. Marco 10,46.52. Insieme ai suoi discepoli e a molta folla, Gesù, partendo da Gerico, è diretto verso Gerusalemme. Lungo la strada c’è un cieco che invoca per pietà la guarigione e lo riconosce « figlio di Davide ». C’è chi lo zittisce, ma lui grida più forte. Gesù lo fa chiamare e gli restituisce la luce della vista, riconoscendo la sua fede.

Riflettere o La guarigione di questo cieco è narrata con qualche variante anche da Matteo e Luca. Marco aggiunge il nome del cieco: si tratta di Bartimeo, il figlio di Timeo. Tutti e tre gli evangelisti dicono che è un mendicante e questa era sicuramente l’unica occupazione che a quel tempo poteva essere consentita a un non vedente. o È possibile che Marco possa aver conosciuto Bartimeo nella comunità di Gerusalemme, cristiano tra i cristiani della prima ora, e avergli sentito raccontare del suo incontro con Cristo e del miracolo. o « Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita » (Gv 8,12), dice Gesù. Ed è questo il significato del miracolo, che diventa insieme segno del potere taumaturgico di Gesù e dichiarazione che è lui la luce del mondo, che è lui che ci illumina per farci vedere ogni cosa con gli occhi della fede. o Gesù è in viaggio verso Gerusalemme. Arriva a Gerico, la città delle palme, dieci gradi in più di Gerusalemme. Si trova a 300 metri sotto livello del mare. Distrutta, è stata ricostruita da Erode il Grande, che morirà in questa città. È separata da Gerusalemme da 37 km di strada nel deserto. Luca ambienta in questa strada la parabola del buon samaritano. o Gesù non si attarda. Sembra aver fretta. Ma sulla strada c’è un povero che chiede l’elemosina. Sente dire che passa Gesù di Nazaret e la sua cecità diventa una penosa invocazione di aiuto. Bartimeo è una persona condannata all’emarginazione sociale, anche per la convinzione ebraica che ogni disabilità è dovuta a una punizione divina, a causa di chissà quali peccati personali o ereditati. o È chiara la fede del cieco che grida: « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ». E Gesù non lo rimprovera, né lo zittisce, ma accoglie le sue parole come testimonianza della sua fede. Gesù infatti non è un guaritore, né un maestro come gli altri. Come in tanti altri casi, Gesù attribuisce la guarigione alla sua fede. o L’atteggiamento della folla contraddittorio: prima è indifferente verso il cieco e gli dice di smetterla, poi lo incoraggia quando ormai Gesù lo ha visto e lo ha chiamato. Sono tante le persone che si infastidiscono di fronte all’urlare di qualcuno in difficoltà, che non intendono muoversi davanti a degli infelici che chiedono un po’ di conforto. o Il cieco getta via mantello: è da una vita che attende questo momento! Quel mantello è tutto quello che ha: gli serve per dormire, come cuscino, per scaldarsi. Tra gli israeliti il mantello era l’unico bene posseduto dal povero ed era ritenuto indispensabile: « È la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? » (Es 22,26). o Il gesto di Bartimeo richiama quello che i catecumeni compivano nel giorno del loro battesimo: si spogliavano dei loro vestiti e indossavano per una settimana una tunica bianca, per indicare la vita nuova che stavano iniziando. o « La tua fede ti ha salvato », dice Gesù al termine di un dialogo serrato e amoroso e Bartimeo trova la luce e si mette al seguito di Gesù. La storia della chiesa nei suoi duemila anni ha conosciuto tantissime esperienze di uomini e donne che hanno sentito il fascino di Gesù e il dono della fede e ci sono consacrate definitivamente a lui. o Il cieco guarito è un modello per coloro che vogliono seguire Gesù. Il racconto di questo miracolo serviva egregiamente nella chiesa primitiva perché i catecumeni si sentissero come contagiati dalla sua fede ed entrassero negli atteggiamenti più giusti per essere illuminati da Cristo, ricevere il battesimo e diventare cristiani. o Quello di Bartimeo è un miracolo che preannuncia anche una situazione nuova di salvezza, quella annunciata da Geremia nel suo canto di speranza che abbiamo appena ascoltato: « Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni… ». Geremia vede ciechi, zoppi e donne incinte in un viaggio di liberazione verso la terra promessa. È davvero difficile immaginare che una comitiva come questa possa raggiungere la meta. Solo il Signore può garantirne la riuscita. Ma è questa la logica di Dio in ogni tempo. Predilige e riempie di speranza e di attenzioni proprio chi è inadeguato, emarginato, piccolo.

Attualizzare aIl miracolo della guarigione del cieco Bartimeo è un motivo di ispirazione per ogni cristiano. Di fronte al modo di agire di Dio, di fronte le sconfitte della vita, andiamo a rischio di non vederci più, di non trovare la strada della vita, così come hanno fatto gli apostoli. o In realtà si può essere ciechi e vederci benissimo, sembra dire Gesù. Si può essere in grado di vedere ed essere ciechi, perché non abbiamo la luce della fede, perché non facciamo buon uso dei doni di Dio. Ogni cristiano deve chiedere un po’ di fede, deve chiederla gridando: « Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me! ». a Nel suo modo di agire, Gesù si accorge anche del particolare; in questo caso del cieco; in altre circostanze non gli sfuggirà Zaccheo, nascosto tra i rami di un albero (Lc 19,1-10), né una donna ammalata, confusa tra la folla (Mc 5,25-34), e nemmeno una povera vedova, che getta le due monetine nel tesoro del tempio (Lc 21,2). aPer raggiungere Gesù, il cieco Bartimeo caccia via il mantello, si libera del poco che ha, anzi di tutto ciò che ha. Il desiderio di vederci può esigere questo, per raggiungere la luce ci vuole questa spoliazione. aIl cieco grida, invoca. Pregare gridando vuol dire non volersi arrendere. Pregare è voler vincere le difficoltà, lo scoraggiamento, il pessimismo; vuol dire continuare a lottare. È così che, secondo la parola di Gesù, si può raggiungere la forza onnipotente e amichevole di Dio. Così dicono le parabole dell’amico importuno (Lc 11,5-8) e quella della vedova che prega il giudice ingiusto (Lc 18,1-8). aInvece quanta gente rimane muta, ferma, seduta sull’orlo della strada di fronte alle difficoltà, al buio della vita, agli inevitabili interrogativi che si pone ogni persona sensibile. aQuanto alla folla, che di fronte al grido del cieco non si scompone, non esce allo scoperto, anzi in un primo tempo cerca di chiudergli la bocca e non vuole compromettersi, è immagine di tanti cristiani pallidi, che mancano di coraggio, di amore, di attenzione. aTanto più che quel cieco dice cose pericolose, con le sue labbra impure. Ma tra breve quello stesso grido verrà ripetuto dalla piccola folla che si accalcherà attorno a Gesù, che cavalcando un asinello entrerà in Gerusalemme. aCome si diceva, l’episodio di Bartimeo, che ricupera la luce, è ricco di simboli. Il primo riferimento è sicuramente quello della fede. Il buio ci fa paura, ci rende insicuri e ci dà l’angoscia. Eppure siamo così abituati alla luce, che non apprezziamo più il miracolo di poter vedere le cose e muoverci con disinvoltura. È così anche con la fede. Ci siamo abituati sin da bambini e non ne apprezziamo più il valore. Chi ha la fede ci vede, ci dice Gesù. Vale a dire, anche se il cristiano conduce la vita di tutti e va incontro alle difficoltà che incontrano tutti, la fede gli fa vedere ogni cosa sotto una luce diversa e gli fa affrontare le difficoltà in modo più determinato. aChi ci vede ha un rapporto con le cose facile, così chi ha la fede conosce il senso del mondo e lo scopo del suo vivere e agitarsi. Per questo motivo ogni cristiano dovrebbe in qualche misura aiutare la gente a raggiungere questa luce, a diventare lui stesso una persona capace di illuminare e di condurre a Gesù.

I suoi occhi, come ultimo dono Don Carlo Gnocchi, oggi beato, dopo aver fatto tanto per i mulatini di guerra, nel 1956, a 53 anni, fu colpito da leucemia. Portato in clinica, i medici dissero che non c’era più niente da fare. Quando la morte era già lì ai bordi del letto, don Gnocchi chiamò il professor Galeazzi: « Professore, tra poco i miei occhi non mi serviranno più. E invece ci sono dei mutilatini che hanno bisogno di una cornea per tornare a vedere. Allora lei mi fa un favore: appena muoio, viene qui con i suoi ferri, prende le mie cornee e le innesta in due mutilatini. Mi dica che lo farà ». In quegli anni si parlava per la prima volta di trapianti di cornee, ma i più dicevano che era un’americanata. Morì la sera del 28 febbraio 1956. I suoi occhi furono trapiantati su Silvio Colagrande e Amabile Battistello. La ragazzina Amabile crebbe, si sposò, divenne mamma felice di due bambini. E loro non capivano quando la mamma diceva: « Io vi vedo con gli occhi di don Carlo ».

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA

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