Archive pour le 22 octobre, 2015

San Giovanni Paolo II e i bambini

San Giovanni Paolo II e i bambini dans immagini sacre Pope+John+Paul+II+with+a+child

http://childrensrosary.blogspot.it/2013/08/mass-offered-tomorrow-for-renewal-of.html

Publié dans:immagini sacre |on 22 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

OPUS DEI – TEMA 22. LA PENITENZA (1)

http://opusdei.it/it-it/article/tema-22-la-penitenza-1/

OPUS DEI – TEMA 22. LA PENITENZA (1)

1. La lotta contro il peccato dopo il Battesimo

1.1. La necessità della conversione Il Battesimo, oltre a cancellare tutti i peccati, ci costituisce figli di Dio e ci dispone a ricevere il dono divino della gloria del Cielo; tuttavia in questa vita siamo continuamente esposti a cadere nel peccato: nessuno è esentato dalla lotta contro di esso. Anche lottando abbiamo esperienza che le cadute sono frequenti. Gesù ci ha insegnato a pregare nel Padre nostro : «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», e non ogni tanto, ma molte volte al giorno. L’apostolo San Giovanni dice anche: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» ( 1 Gv 1, 8); e San Paolo esortava così i primi cristiani di Corinto: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» ( 2 Cor 5, 20). La chiamata di Gesù alla conversione: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» ( Mc 1, 15), non è quindi diretto solo a coloro che ancora non lo conoscono, ma anche ai cristiani che devono tornare a convertirsi e ravvivare la loro fede. «Questa seconda conversione è un impegno continuo per tutta la Chiesa» ( Catechismo , 1428). 1.2. La penitenza interiore La conversione avviene dentro di noi, quella che si limita alle apparenze esteriori non è vera conversione. Non ci si può opporre al peccato, in quanto offesa a Dio, se non con un atti buoni, azioni virtuose, con cui si manifesta il pentimento per il male fatto opponendosi alla volontà di Dio e si cerca attivamente di eliminare questo disordine e tutte le sue conseguenze. In questo consiste la virtù della penitenza. «La penitenza interiore è un radicale riordinamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia di Dio e la fiducia nell’aiuto della sua grazia» ( Catechismo , 1431). La penitenza non è un’opera esclusivamente umana, un riordinamento interiore frutto di padronanza di sé, che mette in gioco tutte le molle della conoscenza personale e una serie di decisioni forti. «La conversione è anzitutto opera della grazia di Dio che fa ritornare a Lui i nostri cuori: “Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo” ( Lam 5, 21). Dio ci dona la forza di ricominciare» ( Catechismo , 1432). 1.3. Le diverse forme di penitenza nella vita cristiana La conversione nasce dal cuore ma non rimane chiusa nell’intimo dell’uomo, si manifesta con opere esterne, mettendo in gioco la persona intera, anima e corpo. Fra le forme di penitenza, sono da evidenziare anzitutto quelle incluse nella celebrazione dell’Eucaristia e quelle della Confessione che è stata istituita da Gesù Cristo per farci uscire vittoriosi nella lotta contro il peccato. Il cristiano ha molti altri modi di mettere in pratica il desiderio di conversione. «La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno , la preghiera , l’ elemosina (cfr. Tb 12, 8; Mt 6, 18), che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri» ( Catechismo , 1434). A queste tre forme sono riconducibili tutte le opere che ci permettono di correggere il disordine del peccato. Per digiuno s’intende non solo la rinuncia moderata al piacere del cibo, ma anche tutto ciò che ci fa essere esigenti col corpo non dandogli qualche piacere per dedicarci a quello che Dio ci chiede per il bene degli altri e nostro personale. Per orazione possiamo intendere ogni applicazione delle nostre facoltà spirituali – intelligenza, volontà, memoria – allo scopo di unirci a Dio Padre nostro in una conversazione familiare e intima. L’ elemosina è non solo dare del denaro o altri beni materiali a chi ne ha bisogno, ma anche altri tipi di donazione: condividere il proprio tempo, assistere i malati, perdonare chi ci ha offeso, correggere chi ne ha bisogno, consolare chi soffre, ed altre ancora. La Chiesa ci spinge alle opere di penitenza specialmente in alcuni momenti, che ci servano anche per essere più solidali con i fratelli nella fede. «I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell’anno liturgico (il tempo di quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa» ( Catechismo , 1438). 2. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione 2.1. Cristo stesso ha istituito questo sacramento «Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il sacramento della Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione» ( Catechismo , 1446). Gesù, durante la vita pubblica, non solo ha esortato gli uomini alla penitenza, ma accogliendo i peccatori, li riconciliava col Padre [1] . «Donando ai suoi Apostoli lo Spirito Santo, Cristo risorto ha loro conferito il suo potere divino di perdonare i peccati: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” ( Gv 20, 22-23)» ( Catechismo , 976). È un potere che si trasmette ai vescovi, successori degli apostoli come pastori della Chiesa, e ai presbiteri, che sono anche sacerdoti del Nuovo Testamento, collaboratori dei vescovi in virtù del sacramento dell’Ordine. «Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che Egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l’esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico» ( Catechismo , 1442). 2.2. I nomi di questo sacramento Questo sacramento riceve nomi diversi che ne mettono in evidenza i diversi aspetti. «È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore» ( Catechismo , 1423); «di Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia» (Catechismo, 1424); «della Confessione poiché […] la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento» ( ibidem ); «del Perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente il perdono e la pace» ( ibidem ); «della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione» ( Catechismo , 1423). 2.3. Sacramento della Riconciliazione con Dio e con la Chiesa «Quelli che si accostano al sacramento della penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera» ( Lumen gentium , 11). «Il peccato è offesa fatta a Dio e rottura dell’amicizia con Lui; scopo quindi della penitenza è essenzialmente quello di riaccendere in noi l’amore di Dio e di riportarci pienamente a Lui. Il peccatore che, mosso dalla grazia di Dio misericordioso, intraprende il cammino della penitenza, fa ritorno al Padre che “per primo ci ha amati”, a Cristo che per noi ha dato se stesso, e allo Spirito Santo che in abbondanza è stato effuso su di noi» [2] . «“Per un arcano e misericordioso mistero della divina Provvidenza, gli uomini sono uniti fra di loro da uno stretto rapporto soprannaturale, in forza del quale il peccato di uno solo reca danno a tutti, e a tutti porta beneficio la santità del singolo” e così la penitenza ha sempre come effetto la riconciliazione anche con i fratelli, che a causa del peccato sempre hanno subito un danno» [3] . 2.4. Struttura del Sacramento della Penitenza «Gli elementi essenziali del Sacramento della Riconciliazione sono due: gli atti compiuti dall’uomo, che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo, e l’assoluzione del sacerdote, che nel nome di Cristo concede il perdono e stabilisce le modalità della soddisfazione» ( Compendio , 302). 3. Gli atti del penitente Sono «gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione dei peccati e la soddisfazione» ( Catechismo , 1448). 3.1. La contrizione «Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire”» (Catechismo, 1451 [4] ).«Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta “perfetta” (contrizione di carità). Tale contrizioni rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale» ( Catechismo , 1452). «La contrizione detta “imperfetta” (o “attrizione”) è, anch’essa, un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza» ( Catechismo , 1453). «È bene prepararsi a ricevere questo sacramento come un esame di coscienza fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo scopo sono da cercarsi nella catechesi morale dei Vangeli e delle lettere degli Apostoli: il Discorso della montagna, gli insegnamenti apostolici» ( Catechismo , 1454). 3.2. La confessione dei peccati «La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del sacramento della Penitenza: “È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo (cfr. Es 20, 17; Mt 5, 28), perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi”» ( Catechismo , 1456 [5] ). «La confessione individuale e completa, con la relativa assoluzione, resta l’unico modo ordinario, grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa, a meno che un’impossibilità fisica o morale non li scusi da una tale confessione» [6] . La confessione delle colpe nasce dall’autentica conoscenza di sé davanti a Dio, frutto dell’esame di coscienza e della contrizione dei propri peccati. È assai più che un sollievo umano: «La confessione sacramentale non è un dialogo umano, ma un colloquio divino» [7] . Confessando i peccati, il cristiano penitente si sottopone al giudizio di Gesù Cristo, che lo esercita per mezzo del sacerdote, il quale prescrive al penitente le opere di penitenza e lo assolve dai peccati. Il penitente combatte il peccato con le armi dell’umiltà e dell’obbedienza. 3.3. La soddisfazione «L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve soddisfare in maniera adeguata o espiare i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche penitenza » ( Catechismo , 1459). Il confessore, prima di dare l’assoluzione, impone la penitenza, che il penitente deve accettare e adempiere in seguito. Tale penitenza gli serve come soddisfazione per i peccati e il suo valore è dovuto soprattutto al sacramento: il penitente ha obbedito a Cristo compiendo ciò che Egli ha stabilito per questo sacramento e Cristo offre al Padre la soddisfazione.

Antonio Miralles

Publié dans:CONVERSIONE E PENITENZA |on 22 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

22 OTTOBRE : SAN GIOVANNI PAOLO II – MEMORIA FACOLTATIVA

http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1999/documents/hf_jp-ii_aud_06101999.html

22 OTTOBRE : SAN GIOVANNI PAOLO II – MEMORIA FACOLTATIVA

(difficile scegliere qualcosa tra tanto, con un criterio senza regole vi presento la catechesi del primo mercoledì di ottobre 1999)

GIOVANNI PAOLO II UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 6 ottobre 1999

CHI AMA HA CONOSCIUTO DIO, PERCHÉ DIO È AMORE

1. La conversione, di cui abbiamo trattato nelle precedenti catechesi, è orientata alla pratica del comandamento dell’amore. È particolarmente opportuno, in questo anno del Padre, mettere in risalto la virtù teologale della carità, secondo l’indicazione della Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente (cfr n. 50). Raccomanda l’apostolo Giovanni: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4, 7-8). Queste parole sublimi, mentre ci rivelano l’essenza stessa di Dio come mistero d’infinita carità, gettano anche le basi su cui poggia l’etica cristiana, tutta concentrata nel comandamento dell’amore. L’uomo è chiamato ad amare Dio con un impegno totale e a rapportarsi ai fratelli con un atteggiamento di amore ispirato all’amore stesso di Dio. Convertirsi significa convertirsi all’amore. Già nell’Antico Testamento si può cogliere la dinamica profonda di questo comandamento, nel rapporto di alleanza instaurato da Dio con Israele: da una parte c’è l’iniziativa di amore di Dio, dall’altra la risposta di amore che egli si aspetta. Ecco ad esempio come è presentata l’iniziativa divina nel libro del Deuteronomio: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama” (Dt 7, 7-8). A questo amore di predilezione, totalmente gratuito, corrisponde il comandamento fondamentale, che orienta tutta la religiosità di Israele: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Ivi 6, 5). 2. Il Dio che ama è un Dio che non se ne resta lontano, ma interviene nella storia. Quando a Mosè rivela il proprio nome, lo fa per garantire la sua assistenza amorevole nell’evento salvifico dell’Esodo, un’assistenza che durerà per sempre (cfr Es 3, 15). Attraverso le parole dei profeti, egli ricorderà continuamente al suo popolo questo suo gesto d’amore. Leggiamo ad esempio in Geremia: «Così dice il Signore: ‘Ha trovato grazia nel deserto un popolo di scampati alla spada; Israele si avvia a una quieta dimora’. Da lontano gli è apparso il Signore: ‘Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà’» (Ger 31, 2-3). È un amore che assume i toni di un’immensa tenerezza (cfr Os 11, 8s.; Ger 31, 20) e che normalmente si avvale dell’immagine paterna, ma si esprime talvolta anche con la metafora nuziale: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore” (Os 2, 21, cfr vv. 18-25). Anche dopo aver registrato nel suo popolo una ripetuta infedeltà all’alleanza, questo Dio è disposto ancora ad offrire il proprio amore, creando nell’uomo un cuore nuovo, che lo mette in grado di accogliere senza riserva la legge che gli viene data, come leggiamo nel profeta Geremia: “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore” (Ger 31, 33). Analogamente si legge in Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36, 26). 3. Il Nuovo Testamento ci presenta questa dinamica dell’amore incentrata in Gesù, Figlio amato dal Padre (cfr Gv 3, 35; 5, 20; 10, 17), il quale si manifesta mediante lui. Gli uomini partecipano a questo amore conoscendo il Figlio, ossia accogliendo il suo insegnamento e la sua opera redentrice. Non è possibile accedere all’amore del Padre se non imitando il Figlio nell’osservanza dei comandamenti del Padre: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Ivi 15, 9-10). Si diviene in tal modo partecipi anche della conoscenza che il Figlio ha del Padre: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Ivi v.15). 4. L’amore ci fa entrare pienamente nella vita filiale di Gesù, rendendoci figli nel Figlio: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui” (1 Gv 3, 1). L’amore trasforma la vita ed illumina anche la nostra conoscenza di Dio, fino a raggiungere quella conoscenza perfetta di cui parla san Paolo: “Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (1 Cor 13, 12). Occorre sottolineare il rapporto tra conoscenza e amore. La conversione intima che il cristianesimo propone è un’autentica esperienza di Dio, nel senso indicato da Gesù, durante l’ultima Cena, nella preghiera sacerdotale: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 3). Certamente la conoscenza di Dio ha anche una dimensione di ordine intellettuale (cfr Rm 1, 19-20). Ma l’esperienza viva del Padre e del Figlio avviene nell’amore, cioè, in ultima analisi, nello Spirito Santo, poiché “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5, 5). Il Paraclito è Colui grazie al quale facciamo l’esperienza dell’amore paterno di Dio. E l’effetto più consolante della sua presenza in noi è appunto la certezza che questo amore perenne e smisurato con cui Dio ci ha amato per primo, non ci abbandonerà mai: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?… Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Ivi 8, 35.38-39). Il cuore nuovo, che ama e conosce, batte in sintonia con Dio che ama di perenne amore.

Publié dans:SAN GIOVANNI PAOLO II - MF |on 22 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31