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LA DOLCEZZA VERSO NOI STESSI – SAN FRANCESCO DI SALES *
Francesco di Sales (1567-1622) manifestò fin da giovanissimo i segni della propria vocazione all’apostolato sacerdotale. Fattosi sacerdote dopo di aver frequentato gli studi a Parigi e a Padova, dapprima viene nominato parroco della Chiesa di Ginevra, e si dedica all’evangelizzazione degli abitanti del Chiablese onde ricondurli al cattolicesimo. Nel 1602, viene eletto vescovo di Ginevra, ed è proprio sotto la sua direzione che Santa Giovanna di Chantal fondò la Visitazione. Dolcezza, affabilità, carità ed una delicata bonomia, caratterizzano tutta la sua vita ed i suoi scritti, nascondendo, al tempo stesso, un temperamento bollente che nell’abbandono totale alla grazia di Dio ha saputo trovare il proprio equilibrio e la propria pace. Fra gli usi che dovremmo saper fare della dolcezza, il migliore è quello di applicarla a noi stessi, senza provare mai risentimento né contro di noi, né contro le nostre imperfezioni. Infatti, anche se la ragione vuole che, una volta compiuto un errore, ne siamo contristati e pentiti, tuttavia è necessario non indulgere ad un dispiacere arido ed amaro, stizzoso e collerico. Ne consegue che commettono un grande errore tutti coloro che, dopo la collera, si irritano per essersi irritati, si affliggono della loro stessa afflizione, si stizziscono della propria stizza. In questo modo tengono continuamente il loro cuore immerso ad ammollire nella collera; con la conseguenza che la seconda collera altera la prima, sì da servire di avviamento e di passaggio ad un’altra ancora, alla prima occasione che si dovesse presentare. Senza parlare, poi, del fatto che tali risentimenti, collere, stizze, che proviamo contro noi stessi, tendono all’orgoglio, e la loro origine non è nient’altro che l’amore di sé, amore che si turba e si preoccupa della nostra imperfezione. Il dispiacere che proviamo per le nostre mancanze deve dunque essere pacato, calmo e fermo… Noi possiamo correggerci più con pentimenti sereni e costanti, che non mediante pentimenti pieni di acrimonia, affrettati e collerici; tanto più che tali pentimenti, fatti con impeto, non sono conseguenza diretta della gravità della nostra colpa, bensì delle nostre inclinazioni. Per esempio, colui che predilige la castità, mentre proverà risentimento ed acredine sproporzionati alla mancanza che commetterà contro di essa, fosse anche minima, non farà, invece, che sorridere di una grossolana maldicenza da lui provocata e sostenuta. AI contrario, colui che odia la maldicenza, si tormenterà di essersi reso colpevole di una mormorazione leggera, e non terrà assolutamente conto di una grave mancanza contro la castità, così come di altri errori. Tutto ciò è dovuto esclusivamente al fatto che essi non giudicano la loro coscienza secondo ragione, ma secondo passione. Credetemi, come i rimproveri di un padre, fatti dolcemente e con amore hanno per la correzione del figlio un effetto ben maggiore delle collere e dello sdegno, così quando il nostro cuore commette qualche mancanza è da noi ripreso con rimproveri dolci e suadenti – mostrando nei suoi riguardi più compassione che passione e lo incorraggiamo ad emendarsi – il pentimento che se ne otterrà s’impossesserà maggiormente di esso e lo penetrerà più e meglio di quanto non possa fare un pentimento stizzoso, irritato e tempestoso… Risollevate dunque il vostro cuore con dolcezza quando cadrà, umiliandovi profondamente davanti a Dio perché avete conosciuto la vostra miseria, senza però meravigliarvi in nessun modo della vostra caduta, in quanto non può destare stupore il vedere !’infermità inferma, la debolezza debole, la miseria meschina. Pertanto, detestate con tutte le vostre forze l’offesa da voi fatta a Dio e, con grande coraggio e fiducia nella sua misericordia, riprendete il cammino lungo la strada della virtù che avete abbandonato.
* Introduction à la vie dévote, 3″ parte, cap. IX. Per facilitare la lettura, sono state apportate alcune modifiche di vocabolario