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ALCUNI INSEGNAMENTI DI SANTA TERESA D’AVILA
(è un po’ lungo – non tanto – le altre meditazioni, sono sette, da leggere)
FRANCO MICHELINI-TOCCI
Teresa d’Avila è una personalità che merita di essere considerata con attenzione da chiunque abbia interesse per la vita spirituale. Certo, un cristiano troverà nelle sue opere un linguaggio che gli è più familiare di altri, ma anche un buddhista o un induista, o chiunque altro, se vorrà cogliere il fondo del suo messaggio, troverà qualcosa di utile alla sua pratica, soprattutto dal punto di vista psicologico. Teresa è stata infatti, come lei stessa ci dice alla fine dell’autobiografia, una grande maestra spirituale, con una pratica di insegnamento affinata per tutta la vita. Una vita durata 67 anni, che si concluse nell’ottobre del 1582. La prima cosa che colpisce è la sua personalità, molto poco corrispondente alla visione edulcorata che la tradizione agiografica stende come un sudario su tutti i grandi canonizzati, col risultato di renderli lontani e inaccessibili, anziché farne modelli di vita per tutti. La chiesa sembra escludere l’idea che un santo possa sbagliare, cioè che possa essere umano, e così ogni volta che Teresa denuncia serenamente le sue colpe e le sue manchevolezze, troviamo a pie’ di pagina la nota di un pio commentatore impegnato a testimoniare con fervore che si sa bene che “non commise nessun peccato mortale”. Ma io preferisco credere a quello che Teresa, al pari della maggioranza degli altri santi, ci dice non soltanto sui propri sbagli, ma sugli sbagli che inevitabilmente possono toccare anche alle grandi personalità spirituali, almeno finché sono uomini e donne viventi sulla terra. Ecco le sue stesse parole: Queste anime hanno vivi desideri e ferme risoluzioni di non commettere imperfezioni di sorta, ma non senza che per questo lascino di commetterne molte, e anche peccati. Non però con avvertenza…Parlo dei peccati veniali, non dei mortali, dai quali si sperano libere, benché non con molta sicurezza, essendo possibile che ne abbiano qualcuno di occulto. 1 Meriterebbe un cenno particolare, per cogliere meglio la personalità di Teresa, anche un suo dono specifico, che fu quello della relazione interpersonale, in particolare la sua capacità di affetti profondi, di devozioni assolute, di slanci che la portavano in estasi, tutti segni del suo carattere impulsivo, generoso, poco incline a rispettare le forme stereotipate della vita monastica, ma il discorso sarebbe lungo e ci distoglierebbe dal dedicare tutta l’attenzione a quello che ella chiamò “il metodo di orazione”, cioè la pratica seguita per giungere al momento culminante dell’“unione trasformante”. Nella sintesi che segue terremo conto, soprattutto, di ciò che può maggiormente interessare un praticante di meditazione. Bisogna dire intanto che l’“orazione” di Teresa ha poco a che fare con quello che la parola suggerisce. Ella infatti dichiara che aveva difficoltà con la preghiera verbale e immaginativa, difficoltà che fu poi superata dalla lettura di Osuna, un contemplativo suo contemporaneo, che suggeriva un metodo di preghiera basato essenzialmente sul raccoglimento. L’altra difficoltà consistette nel conflitto interiore nel quale visse i primi vent’anni della sua vita religiosa. Questo conflitto faceva sì che ella portasse nel raccoglimento tutti i problemi della sua vita non integrata, rivolta al mondo e non all’Assoluto. Alcune sue affermazioni fanno pensare che le maggiori difficoltà le derivassero da un autocompiacimento narcisistico, che creava naturalmente un ostacolo al non attaccamento e all’abbandono. Confessa ella infatti, con la sua tipica lucida sincerità: Dio mi ha dato la grazia di piacere a chiunque. Ho sempre cercato di contentare chiunque, nonostante la ripugnanza che a volte sentivo. 2 Quando infine, dopo un travaglio durato vent’anni, davanti a una statua dell’Ecce homo, immagine della totale rinuncia a se stessi, ebbe un’intuizione profonda di sé che le fece cambiare orientamento, incominciò per lei il periodo in cui la pratica dell’‘orazione’ le manifestò tutti i grandi doni che la resero famosa. Il metodo da lei praticato è esposto nelle sue opere principali, in modo più sistematico nel Castello interiore e nel Cammino di perfezione e, con un linguaggio più immediato, nella Vita scritta da lei stessa. Le prime considerazioni riguardano due fatti. Il primo è che questo tipo di lavoro interiore non è per tutti e che occorre una predisposizione, il secondo che è necessario un certo tipo di sforzo, maggiore all’inizio e sempre più leggero man mano che si procede, fino a cessare del tutto nel grado più alto. Questo lavoro consiste essenzialmente nel cercare di calmare l’irrequietezza della mente che è data, nel linguaggio classico di Teresa, dalla dispersione delle potenze, o facoltà, dell’anima: intelletto, memoria e volontà (noi potremmo dire, con un linguaggio oggi più accessibile: pensieri, ricordi e affetti). Tutto dunque nasce dall’osservazione, tipica dei mistici di tutti i paesi, che queste facoltà normalmente non sono soggette a controllo e, agendo a loro piacere, mantengono la psiche in stato di agitazione e di disordine, rendendo impossibile ogni tentativo di instaurare la pace e la calma interiori. Più precisamente, si potrebbe dire che lo stato disordinato in cui si trovano impedisce l’accesso a quel ‘fondo’ dell’anima (come per primi lo chiamano i mistici tedeschi) in cui regna sempre la quiete divina.
RACCOGLIMENTO, PRIME ‘STAZIONI’, PRIMA ACQUA Per ottenere questo risultato, lo sforzo iniziale consiste nel ‘raccoglimento’, che è un modo per tenere occupata la mente su un unico oggetto, evitando che si disperda come fa di solito. L’oggetto, indicato da Teresa, è in realtà più d’uno, ma questi si possono ridurre a tre o quattro principali. Al primo posto possiamo mettere quello più tradizionale per un cristiano, che è la meditazione, ossia l’attenta osservazione di un episodio importante della Scrittura, come per esempio la passione di Cristo. Tuttavia, in maniera piuttosto libera e originale, Teresa non si sogna nemmeno di dire che questo sia l’unico modo e ne suggerisce almeno altri tre. Uno consiste nella lettura di un libro, soffermandosi di tempo in tempo su qualcosa che attragga in modo particolare l’attenzione, l’altro nella meditazione di una propria mancanza o difficoltà e il terzo nella contemplazione della natura. “Per me bastava anche la vista dei campi, dell’acqua e dei fiori”, ci dice. 3 Poiché però sappiamo che questi inizi sono caratterizzati da sforzo, dobbiamo pensare che si debba esercitare una buona dose di volontà per mantenere l’attenzione concentrata il più possibile sull’oggetto prescelto. Scegliendo una metafora che le è cara, Teresa dirà che all’inizio della via si è simili a un giardiniere che attinga faticosamente l’acqua dal pozzo per innaffiare il giardino. In questa prima fase non mancano osservazioni rivolte ai principianti, che meritano, per l’acume con cui sono formulate, la dovuta attenzione. In particolare, viene segnalata l’importanza del fare tutto con leggerezza e allegria, senza cercare di soffocare i propri desideri, anche quando sono semplici e umanissimi desideri di riuscita nel cammino intrapreso. 4 La raccomandazione di non affidarsi in maniera acritica ai maestri spirituali (“oggi così rari e così pochi di numero”), 5 detta proprio da lei che si affidò totalmente ad alcuni di essi, mette in luce il fatto che il suo entusiasmo non fu mai disgiunto da una sicura capacità di giudizio. Metteva in guardia soprattutto contro coloro che, essendo inutilmente troppo prudenti, ostacolavano il cammino dei discepoli, costringendoli ad attenersi alle forme abituali della pratica, quando erano già pronti per passare alle forme superiori. Infine, meritano di essere ricordate, per una loro universale opportunità, tre raccomandazioni. La prima è quella di non credere che giovi al raccoglimento avere tutto quello che può sembrare necessario, in termini di silenzio o di ambiente adatto, sotto pretesto che le cure temporali disturbino l’orazione. La seconda, notevolissima per il suo anticonformismo, esprime diffidenza verso certi slanci comuni ai principianti: Quando non sapevo ancora come correggere me stessa, desideravo grandemente di fare del bene agli altri: tentazione molto comune ai principianti e che a me riuscì assai bene. Appena si è cominciato a gustare la pace e i vantaggi dell’orazione, si desidera che tutti si facciano spirituali. 6 E la terza, dello stesso genere, riguarda la preoccupazione per i difetti altrui: (a volte) l’angustia è così viva che impedisce di fare orazione, con l’aggiunta anche di credere, per nostro maggior danno, che ciò sia virtù, perfezione e grande amore di Dio… Il più sicuro per l’anima che comincia a fare orazione è di dimenticare tutto e tutti per non attendere che a se stessa e accontentare il Signore. 7 Sembra dire con ciò Teresa che l’interesse per il bene altrui non è frutto dell’entusiasmo del principiante, ma conseguenza di un serio lavoro su di sé (senza che questo significhi però sforzo eccessivo, altra caratteristica da principianti). 8 Per semplicità tralascio i particolari che riguardano alcune distinzioni graduali in questa prima fase del raccoglimento. Teresa la divide in tre livelli, nei quali è possibile esaminare diverse forme delle prime difficoltà, come la tentazione di rinunciare e l’aridità interiore, quando sembra che anche gli sforzi non abbiano effetto di alcun genere e il principiante si sente depresso e smarrito. Questi diversi stadi sono chiamati, nel Castello interiore, col termine spagnolo di moradas, cioè di soste o tappe; nelle edizioni italiane più recenti è invalso l’uso di chiamarle ‘mansioni’, dal latino del vangelo di Giovanni (14, 2), espressione di senso piuttosto dubbio in italiano, che rischia il fraintendimento. Credo perciò che sarebbe meglio tradurre con ‘stazioni’, usando il termine con cui si traduce in genere l’espressione analoga usata nel sufismo, il misticismo musulmano, che poteva non essere del tutto ignoto a Teresa, non foss’altro che per ragioni di contiguità geografica e ambientale (il regno di Granata era caduto solo 23 anni prima che lei nascesse).E passiamo ora allo stadio successivo, che è quello della ‘quiete’.