LA VOCE SILENZIOSA DI DIO – GIANFRANCO RAVASI

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LA VOCE SILENZIOSA DI DIO - GIANFRANCO RAVASI

Nella steppa desolata, tra le pietre arroventate dal sole, avanza un uomo. Barcolla, ormai prosciugato nelle sue energie vitali dal caldo implacabile. Ecco, da lontano una specie di miraggio, un albero solitario di ginepro.
Quel viandante s’accascia sotto la sua ombra e s’abbandona alla “dolce morte” del deserto, privo com’è di forze e con la gola consumata dall’aridità.
Forse i nostri lettori sanno già dare un nome a questa figura e collocarla nella cornice delle aspre solitudini del monte Horeb-Sinai: si tratta, infatti, dei profeta Elia e di una tappa decisiva della sua esistenza travagliata, tappa narrata nel capitolo 19 del Primo Libro dei Re.

È a quel testo che rimandiamo anche per scoprire il sorprendente esito di questa vicenda che si consuma tra le pietraie di quella regione bruciata dal sole. Noi, però, vorremmo ora giungere alla meta terminale di quel pellegrinaggio che Elia compie alle sorgenti di Israele, alla culla da cui era nato il popolo di Dio, cioè al Sinai.
Lassù il profeta ritroverà non solo la sua vocazione, che, a causa della ternbile persecuzione della regina Gezabele, era entrata in crisi, ma anche il suo Dio.
E non quel Dio che Elia s’aspettava, cioè il Signore della vittoria, della potenza, del trionfo sui suoi nemici.
Egli, infatti, immaginava che il Signore fosse «nel vento impetuoso e gagliardo, capace di spaccare i monti e di infrangere le rocce.
Ma il Signore non era nel vento.
Dopo il vento ci fu un terremoto. Ma il Signore non era nel terremoto.
Dopo il terremoto ci fu un fuoco. Ma il Signore non era nel fuoco».
È a questo punto che si schiude il mistero di Dio in modo inatteso. «Dopo il fuoco ci fu qol demamah daqqah. Appena l’udì, Elia si coprì il volto col mantello», consapevole di essere davanti al Dio invisibile il cui sguardo noi non siamo in grado di sostenere (1 Re 19,11-13).
Ora che cosa significano quelle tre parole ebraiche?
Qol vuol dire « voce, suono »;
demamah “silenzio” ;
daqqah “sottile”.
Ebbene, Dio è una “voce silenziosa”.
Questa è la stupefacente rivelazione di Dio.
L’antica versione greca detta dei Settanta, seguita da molte Bibbie moderne, ha sminuito la forza grandiosa dell’originale ebraico traducendo: «ci fu un mormorio di vento leggero». Dio è, invece, una voce che ha il suo vertice non nel clamore, bensì nel silenzio, nel mistero, nella trascendenza. Eppure egli non è muto perché quel silenzio è “bianco”: come il bianco racchiude in sé tutti i colori, così il silenzio divino è la sintesi di tutte le parole.
Il profeta, che è per eccellenza l’uomo della parola, impara che l’apice della rivelazione divina è nell’intimità mistica. In appendice ricordiamo che la scena di Elia al Sinai, accasciato sotto il ginepro e sostenuto dall’angelo di Dio è stata resa spesso dall’arte: ricordiamo, ad esempio, Guido Reni nella cattedrale di Ravenna (1619-21) e Giovanni Battista Tiepolo nel palazzo arcivescovile di Udine (1725).

Publié dans : CAR. GIANFRANCO RAVASI |le 12 octobre, 2015 |Pas de Commentaires »

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