Archive pour le 29 septembre, 2015

Dalle « Omelie » di san Basilio Magno : Chi si gloria si glori nel Signore

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.htm 

Dalle « Omelie » di san Basilio Magno, vescovo
(Om. 20 sull’umiltà, c. 3; PG 31,530-531)
Chi si gloria si glori nel Signore

Il sapiente non si glori della sua sapienza, né il forte della sua forza, né il ricco delle sue ricchezze (cfr. Ger 9,22-23). Ma allora qual è la vera gloria, e in che cosa è grande l’uomo? Dice la Scrittura: In questo si glori colui che si gloria: se conosce e capisce che io sono il Signore.
La grandezza dell’uomo, la sua gloria e la sua maestà consistono nel conoscere ciò che è veramente grande, nell’attaccarsi ad esso e nel chiedere la gloria dal Signore della gloria. Dice infatti l’Apostolo: « Colui che si gloria, si glori nel Signore » e lo dice nel seguente contesto: « Cristo è stato costituito da Dio per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, affinché come sta scritto: Chi si gloria si glori nel Signore » (1Cor 1,31). Il perfetto e pieno gloriarsi in Dio, si verifica quando uno non si esalta per la sua giustizia, ma sa di essere destituito della vera giustizia e comprende di essere stato giustificato nella sola fede in Cristo. E proprio in questo si gloria Paolo, il quale disprezza la propria giustizia, e cerca quella che viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo cioè la giustizia nella fede. Conosce lui e la potenza della sua risurrezione, partecipa alle sue sofferenze, è reso conforme alla morte di lui per arrivare in quanto possibile alla risurrezione dai morti.
Cade ogni alterigia e ogni superbia. Niente ti è rimasto su cui poterti gloriare, o uomo, poiché la tua gloria e la tua speranza sono situate in lui, perché sia mortificato tutto quello che è tuo e tu possa ricercare la vita futura in Cristo. Abbiamo già le primizie di quella vita, ci troviamo già in essa e viviamo ormai del tutto nella grazia e nel dono di Dio. Dio è lui « che suscita in noi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni » (Fil 2,13).
È ancora Dio che, per mezzo del suo Spirito, rivela la sua sapienza destinata alla nostra gloria.
Dio ci dà la forza e il vigore nelle fatiche. « Ho faticato più di tutti loro » dice Paolo: « non io però, ma la grazia di Dio che è con me » (1Cor 15,10).
Dio scampa dai pericoli al di là di ogni speranza umana. « Noi », dice, « abbiamo ricevuto su di noi la sentenza di morte, per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte egli ci ha liberati e ci libererà per la speranza che abbiamo riposto in lui che ci libererà ancora » (2Cor 1,10).

Lamb of God, Ravenna (6th Century) – from the dome of a church

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PAPA BENEDETTO, MESSAGGIO – I BAMBINI E I MEZZI DI COMUNICAZIONE: UNA SFIDA PER L’EDUCAZIONE (2007)

http://www.totustuus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1748

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 41a GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI , 24.01.2007

I BAMBINI E I MEZZI DI COMUNICAZIONE: UNA SFIDA PER L’EDUCAZIONE

Cari Fratelli e Sorelle,

1. Il tema della 41ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, « I bambini e i mezzi di comunicazione: una sfida per l’educazione », ci invita a riflettere su due aspetti che sono di particolare rilevanza. Uno è la formazione dei bambini. L’altro, forse meno ovvio ma non meno importante, è la formazione dei media.

Le complesse sfide che l’educazione contemporanea deve affrontare sono spesso collegate alla diffusa influenza dei media nel nostro mondo. Come aspetto del fenomeno della globalizzazione e facilitati dal rapido sviluppo della tecnologia, i media delineano fortemente l’ambiente culturale (cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Il rapido sviluppo, 3). In verità, vi è chi afferma che l’influenza formativa dei media è in competizione con quella della scuola, della Chiesa e, forse, addirittura con quella della famiglia. « Per molte persone, la realtà corrisponde a ciò che i media definiscono come tale » (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Aetatis novae, 4).

2. Il rapporto tra bambini, media ed educazione può essere considerato da due prospettive: la formazione dei bambini da parte dei media e la formazione dei bambini per rispondere in modo appropriato ai media. Emerge una specie di reciprocità che punta alle responsabilità dei media come industria e al bisogno di una partecipazione attiva e critica da parte dei lettori, degli spettatori e degli ascoltatori. Dentro questo contesto, l’adeguata formazione ad un uso corretto dei media è essenziale per lo sviluppo culturale, morale e spirituale dei bambini.

In che modo questo bene comune deve essere protetto e promosso? Educare i bambini ad essere selettivi nell’uso dei media è responsabilità dei genitori, della Chiesa e della scuola. Il ruolo dei genitori è di primaria importanza. Essi hanno il diritto e il dovere di garantire un uso prudente dei media, formando la coscienza dei loro bambini affinché siano in grado di esprimere giudizi validi e obiettivi che li guideranno nello scegliere o rifiutare i programmi proposti (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 76). Nel fare questo, i genitori dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti dalla scuola e dalla parrocchia, nella certezza che questo difficile, sebbene gratificante, aspetto dell’essere genitori è sostenuto dall’intera comunità.

L’educazione ai media dovrebbe essere positiva. Ponendo i bambini di fronte a quello che è esteticamente e moralmente eccellente, essi vengono aiutati a sviluppare la propria opinione, la prudenza e la capacità di discernimento. È qui importante riconoscere il valore fondamentale dell’esempio dei genitori e i vantaggi nell’introdurre i giovani ai classici della letteratura infantile, alle belle arti e alla musica nobile. Mentre la letteratura popolare avrà sempre il proprio posto nella cultura, la tentazione di far sensazione non dovrebbe essere passivamente accettata nei luoghi di insegnamento. La bellezza, quasi specchio del divino, ispira e vivifica i cuori e le menti giovanili, mentre la bruttezza e la volgarità hanno un impatto deprimente sugli atteggiamenti ed i comportamenti.

Come l’educazione in generale, quella ai media richiede formazione nell’esercizio della libertà. Si tratta di una responsabilità impegnativa. Troppo spesso la libertà è presentata come un’instancabile ricerca del piacere o di nuove esperienze. Questa è una condanna, non una liberazione! La vera libertà non condannerebbe mai un individuo – soprattutto un bambino – all’insaziabile ricerca della novità. Alla luce della verità, l’autentica libertà viene sperimentata come una risposta definitiva al « sì » di Dio all’umanità, chiamandoci a scegliere, non indiscriminatamente ma deliberatamente, tutto quello che è buono, vero e bello. I genitori sono i guardiani di questa libertà e, dando gradualmente una maggiore libertà ai loro bambini, li introducono alla profonda gioia della vita (cf. Discorso al V Incontro Mondiale delle Famiglie, Valencia, 8 Luglio 2006).

3. Questo desiderio profondamente sentito di genitori ed insegnanti di educare i bambini nella via della bellezza, della verità e della bontà può essere sostenuto dall’industria dei media solo nella misura in cui promuove la dignità fondamentale dell’essere umano, il vero valore del matrimonio e della vita familiare, le conquiste positive ed i traguardi dell’umanità. Da qui, la necessità che i media siano impegnati nell’effettiva formazione e nel rispetto dell’etica viene visto con particolare interesse ed urgenza non solo dai genitori, ma anche da coloro che hanno un senso di responsabilità civica.

Mentre si afferma che molti operatori dei media vogliono fare quello che è giusto (cf. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Etica nelle comunicazioni sociali, 4), occorre riconoscere che quanti lavorano in questo settore si confrontano con « pressioni psicologiche e dilemmi etici speciali » (Aetatis novae, 19) che a volte vedono la competitività commerciale costringere i comunicatori ad abbassare gli standard. Ogni tendenza a produrre programmi – compresi film d’animazione e video games – che in nome del divertimento esaltano la violenza, riflettono comportamenti anti-sociali o volgarizzano la sessualità umana, è perversione, ancor di più quando questi programmi sono rivolti a bambini e adolescenti. Come spiegare questo « divertimento » agli innumerevoli giovani innocenti che sono nella realtà vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’abuso? A tale proposito, tutti dovrebbero riflettere sul contrasto tra Cristo che « prendendoli fra le braccia (i bambini) e imponendo loro le mani li benediceva » (Mc 10,16) e quello che chi scandalizza uno di questi piccoli per lui « è meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino » (Lc 17,2). Faccio nuovamente appello ai responsabili dell’industria dei media, affinché formino ed incoraggino i produttori a salvaguardare il bene comune, a sostenere la verità, a proteggere la dignità umana individuale e a promuovere il rispetto per le necessità della famiglia.

4. La Chiesa stessa, alla luce del messaggio della salvezza che le è stato affidato, è anche maestra di umanità e vede con favore l’opportunità di offrire assistenza ai genitori, agli educatori, ai comunicatori ed ai giovani. Le parrocchie ed i programmi delle scuole oggi dovrebbero essere all’avanguardia per quanto riguarda l’educazione ai media. Soprattutto, la Chiesa vuole condividere una visione in cui la dignità umana sia il centro di ogni valida comunicazione. « Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno » (Deus caritas est, 18).

Dal Vaticano, 24 gennaio 2007, Festa di San Francesco di Sales.

BENEDICTUS PP. XVI

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LETTERA ENCICLICA DIVES IN MISERICORDIA – GIOVANNI PAOLO II – CAPITOLO I CHI VEDE ME, VEDE IL PADRE (cfr Gv 14,9)

http://www.maranatha.it/Testi/GiovPaoloII/Testi6Page.htm

LETTERA ENCICLICA DIVES IN MISERICORDIA DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II
SULLA MISERICORDIA DIVINA – (METTO SOLO IL PRIMO CAPITOLO)

Venerati Fratelli, carissimi Figli e Figlie,

salute e Apostolica Benedizione!

CAPITOLO I
CHI VEDE ME, VEDE IL PADRE
(cfr Gv 14,9)

1. Rivelazione della misericordia
«Dio ricco di misericordia» (Ef2,4) è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l’ha manifestato e fatto conoscere. (Gv1,18) (Eb1,1) Memorabile al riguardo è il momento in cui Filippo, uno dei dodici apostoli, rivolgendosi a Cristo, disse: «Signore, mostraci il Padre e ci basta»; e Gesù così gli rispose: «Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto…? Chi ha visto me, ha visto il Padre». (Gv14,8) Queste parole furono pronunciate durante il discorso di addio, al termine della cena pasquale, a cui seguirono gli eventi di quei santi giorni durante i quali doveva una volta per sempre trovar conferma il fatto che «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo». (Ef2,4)
Seguendo la dottrina del Concilio Vaticano II e aderendo alle particolari necessità dei tempi in cui viviamo, ho dedicato l’enciclica Redemptor hominis alla verità intorno all’uomo, che nella sua pienezza e profondità ci viene rivelata in Cristo. Un’esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili, mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è «misericordioso e Dio di ogni consolazione». Si legge infatti nella costituzione Gaudium et spes: «Cristo, che è il nuovo Adamo… svela… pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»: egli lo fa «proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore». Le parole citate attestano chiaramente che la manifestazione dell’uomo, nella piena dignità della sua natura, non può aver luogo senza il riferimento–non soltanto concettuale, ma integralmente esistenziale a Dio. L’uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore.
È per questo che conviene ora volgerci a quel mistero: lo suggeriscono molteplici esperienze della Chiesa e dell’uomo contemporaneo; lo esigono anche le invocazioni di tanti cuori umani, le loro sofferenze e speranze, le loro angosce ed attese. Se è vero che ogni uomo, in un certo senso, è la via della Chiesa, come ho affermato nell’enciclica Redemptor hominis, al tempo stesso il Vangelo e tutta la tradizione ci indicano costantemente che dobbiamo percorrere questa via con ogni uomo cosi come Cristo l’ha tracciata, rivelando in se stesso il Padre e il suo amore. In Gesù Cristo ogni cammino verso l’uomo, quale è stato una volta per sempre assegnato alla Chiesa nel mutevole contesto dei tempi, è simultaneamente un andare incontro al Padre e al suo amore. Il Concilio Vaticano II ha confermato questa verità a misura dei nostri tempi.
Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull’uomo, quanto più è, per cosi dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l’antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell’uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio. Se dunque nella fase attuale della storia della Chiesa, ci proponiamo come compito preminente di attuare la dottrina del grande Concilio, dobbiamo appunto richiamarci a questo principio con fede, con mente aperta e col cuore. Già nella citata mia enciclica ho cercato di rilevare che l’approfondimento e il multiforme arricchimento della coscienza della Chiesa, frutto del medesimo Concilio, deve aprire più ampiamente il nostro intelletto ed il nostro cuore a Cristo stesso. Oggi desidero dire che l’apertura verso Cristo, che come Redentore del mondo rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso, non può compiersi altrimenti che attraverso un sempre più maturo riferimento al Padre ed al suo amore.

2. Incarnazione della misericordia
Dio, che «abita una luce inaccessibile», parla nello stesso tempo all’uomo col linguaggio di tutto il cosmo: «Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità». Questa indiretta e imperfetta conoscenza, opera dell’intelletto che cerca Dio per mezzo delle creature attraverso il mondo visibile, non è ancora «visione del Padre». «Dio nessuno l’ha mai visto», scrive san Giovanni per dar maggior rilievo alla verità secondo cui «proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». Questa «rivelazione» manifesta Dio nell’insondabile mistero del suo essere –uno e trino– circondato di «luce inaccessibile». Mediante questa «rivelazione» di Cristo, tuttavia, conosciamo Dio innanzitutto nel suo rapporto di amore verso l’uomo: nella sua «filantropia». È proprio qui che «le sue perfezioni invisibili» diventano in modo particolare «visibili», incomparabilmente più visibili che attraverso tutte le altre «opere da lui compiute»: esse diventano visibili in Cristo e per mezzo di Cristo, per il tramite delle sue azioni e parole e, infine, mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione.
In tal modo, in Cristo e mediante Cristo, diventa anche particolarmente visibile Dio nella sua misericordia, cioè si mette in risalto quell’attributo della divinità che già l’Antico Testamento, valendosi di diversi concetti e termini, ha definito «misericordia». Cristo conferisce a tutta la tradizione veterotestamentaria della misericordia divina un significato definitivo. Non soltanto parla di essa e la spiega con l’uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifca. Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia. Per chi la vede in lui –e in lui la trova– Dio diventa particolarmente «visibile» quale Padre «ricco di misericordia».
La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra. Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superfìcialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia. A questo proposito possiamo, tuttavia, rifarci con profitto all’immagine «della condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo» qual è delineata all’inizio della Costituzione Gaudium et spes. Vi leggiamo, tra l’altro, le seguenti frasi: «Stando cosi le cose, il mondo si presenta oggi potente e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio. Inoltre, l’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli».
La situazione del mondo contemporaneo manifesta non soltanto trasformazioni tali da far sperare in un futuro migliore dell’uomo sulla terra, ma rivela pure molteplici minacce che oltrepassano di molto quelle finora conosciute. Senza cessare di denunciare tali minacce in diverse circostanze (come negli interventi all’ONU, all’UNESCO, alla FAO ed altrove), la Chiesa deve esaminarle, al tempo stesso, alla luce della verità ricevuta da Dio.
Rivelata in Cristo, la verità intorno a Dio «Padre delle misericordie» ci consente di «vederlo» particolarmente vicino all’uomo, soprattutto quando questi soffre, quando viene minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza e della sua dignità. Ed è per questo che, nell’odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio. Essi sono spinti certamente a farlo da Cristo stesso, il quale mediante il suo Spirito opera nell’intimo dei cuori umani. Rivelato da lui, infatti, il mistero di Dio «Padre delle misericordie» diventa, nel contesto delle odierne minacce contro l’uomo, quasi un singolare appello che s’indirizza alla Chiesa.
Nella presente enciclica desidero accogliere questo appello; desidero attingere all’eterno ed insieme, per la sua semplicità e profondità, incomparabile linguaggio della rivelazione e della fede, per esprimere proprio con esso ancora una volta dinanzi a Dio ed agli uomini le grandi preoccupazioni del nostro tempo.
Infatti, la rivelazione e la fede ci insegnano non tanto a meditare in astratto il mistero di Dio come «Padre delle misericordie», ma a ricorrere a questa stessa misericordia nel nome di Cristo e in unione con lui. Cristo non ha forse detto che il nostro Padre, il quale «vede nel segreto», attende, si direbbe, continuamente che noi, richiamandoci a lui in ogni necessità, scrutiamo sempre il suo mistero: il mistero del Padre e del suo amore? Desidero quindi che queste considerazioni rendano più vicino a tutti tale mistero e diventino, nello stesso tempo, un vibrante appello della Chiesa per la misericordia di cui l’uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno. E ne hanno bisogno anche se sovente non lo sanno.

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