Archive pour le 26 septembre, 2015

San Sergio di Radonez

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SAN SERGIO DI RADONEZ EREMITA, EGUMENO – 25 SETTEMBRE

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SAN SERGIO DI RADONEZ EREMITA, EGUMENO

25 SETTEMBRE

Rostov, Russia, 1314 c. – Monastero della Trinità, Serghiev Posad, Russia, 25 settembre 1392

Sergio e i suoi genitori furono scacciati dalla loro casa dalla guerra civile e dovettero guadagnarsi da vivere facendo i contadini a Radonez, a nord-est di Mosca. A vent’anni Sergio inizia un’esperienza di eremitaggio, insieme al fratello Stefano, nella vicina foresta. Presto altri uomini si uniscono a loro e nel 1354 si trasformano in monaci, conducendo vita comune. Nasce così il monastero della Santa Trinità (Troice-Lavra), punto di riferimento per il monachesimo della Russia settentrionale. Sergio fonda anche altre case religiose, direttamente o indirettamente. Nel 1375 rifiuta la sede metropolitana di Mosca, ma continua a usare la sua influenza per mantenere la pace fra i principi rivali. È stato uno dei primi santi russi a cui furono attribuite visioni mistiche. Attraverso il suo discepolo Nil Sorskij si diffuse l’esicasmo, la preghiera del cuore resa celebre dai «Racconti di un pellegrino russo»: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me». Il monastero della Trinità di Serghiev Posad è ancora oggi meta di pellegrinaggi. Fu canonizzato in Russia prima del 1449. (Avvenire)

Etimologia: Sergio = che salva, custodisce, seminatore, dal latino

Martirologio Romano: Nel monastero della Santissima Trinità a Mosca in Russia, san Sergio di Radonez, che, dopo aver condotto vita eremitica in foreste selvagge, abbracciò la vita cenobitica e, eletto egúmeno, la propagò, mostrandosi uomo mite, consigliere di príncipi e consolatore dei fedeli.

Ascolta da RadioRai:

Sergio e i suoi genitori furono scacciati dalla loro casa dalla guerra civile e dovettero guadagnarsi da vivere facendo i contadini a Radonezh, a nord-est di Mosca. A vent’anni Sergio iniziò una vita da eremita, insieme a suo fratello Stefano, nella vicina foresta; in seguito altri uomini si unirono a loro, e ciò che ci vien detto di questi eremiti ricorda i primi seguaci di san Francesco d’Assisi, specialmente per quanto riguarda il loro atteggiamento verso la natura selvaggia – nonostante le differenze climatiche e di altro genere fra l’Umbria e la Russia centrale. Uno scrittore russo ha detto che il loro capo « odora di fresco legno d’abete ».
Nel 1354 essi si trasformarono in monaci che conducevano una vera e propria vita comune; questo cambiamento provocò dei dissensi che avrebbero potuto spaccare per sempre la comunità se non fosse stato per la condotta disinteressata di san Sergio. Questo monastero della Santa Trinità (Troice-Lavra) divenne per il monachesimo della Russia settentrionale quello che le Grotte di san Teodosio erano state per la provináa di Kiev nel sud. Sergio fondò altre case religiose, direttamente o indirettamente, e la sua fama si diffuse moltissimo; nel 1375 rifiutò la sede metropolitana di Mosca, ma usò la sua influenza per mantenere la pace fra i prinápi rivali. Quando (secondo la tradizione) Dimitrij Donskoj, principe di Mosca nel 1380, lo consultò per chiedere se doveva continuare la sua rivolta armata contro i signori tartari, Sergio lo incoraggiò ad andare avanti: ciò portò alla grande vittoria di Kulikovo. San Sergio è il più amato di tutti i santi russi, non soltanto per l’influenza che ebbe in un periodo critico della storia russa, ma anche per il tipo d’uomo che era. Per il carattere, se non per l’origine, era un tipico « santo contadino »: semplice, umile, serio e gentile, un « buon vicino ». Insegnò ai suoi monaci che servire gli altri faceva parte della loro vocazione, e le persone che indicò loro come modelli erano gli uomini dell’antichità che avevano fuggito il mondo ma aiutavano il loro prossimo; veniva posta un’enfasi particolare sulla povertà personale e comune e sullo sradicamento dell’ostinazione.
San Sergio fu uno dei primi santi russi a cui furono attribuite visioni mistiche (visioni della Beata Vergine connesse con la liturgia eucaristica) e, come in san Serafino di Sarov, talvolta compariva in lui una certa trasfigurazione fisica attraverso la luce. Il popolo lo vedeva come un uomo scelto da Dio, sul quale riposava visibilmente la grazia dello Spirito; ancor oggi molta gente va in pellegriaggio al suo santuario nel monastero della Trinità di Serghiev Posad.
Fu canonizzato in Russia prima del 1449.

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OMELIA XXVI DOMENICA DEL T.O.

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27 SETTEMBRE 2015 | 26A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B | OMELIA

26A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO 2015

Per cominciare
La parola di Dio ci spinge a guardare con animo grande il cammino della storia e ci esorta alla tolleranza. L’impegno di seminare il bene nel mondo non è esclusivo dei cristiani, che sono chiamati a riconoscere la retta intenzione di chi fa il bene anche senza etichette. Marco mette poi in bocca a Gesù parole fortissime contro chi dà scandalo ai piccoli.

La parola di Dio
Numeri 11,25-29. Mosè convoca settanta anziani, perché condividano con lui la responsabilità di governare sul popolo. Nella tenda del convegno, essi ricevono lo spirito di Mosè, per parlare al popolo. Lo stesso dono dello spirito scende anche su due persone rimaste fuori dall’accampamento. Giosuè non tollera questa cosa, che non gli sembra corretta. Ma Mosè non è d’accordo, e dice: « Fossero tutti profeti nel popolo del Signore! ».
Giacomo 5,1-6. Termina con questa domenica la lettera di Giacomo. Questa volta, con il tono degli antichi profeti, Giacomo alza duramente la voce contro i ricchi ingiusti, che accumulano beni su beni e costringono i loro lavoratori a una vita miserabile. « Vi siete ingrassati per il giorno della strage! », dice.
Marco 9,38-43.45.47-48. Il vangelo ci presenta l’intolleranza di Giovanni e degli apostoli, che non accettano che altri possano fare guarigioni in nome di Gesù, che invece dice loro: « Chi non è contro di noi, è per noi ». Seguono poi parole severissime contro chi scandalizza i piccoli. Si deve essere disposti a qualunque sacrificio per evitare di recare danno a queste persone deboli nella fede.

Riflettere…
o Mosè è alla guida del popolo, ma viene preso dallo scoraggiamento. I problemi sono tanti e lui si trova tutto solo a dirigere gli israeliti, i quali si lamentano e si ribellano. Il Signore gli propone di radunare settanta persone che siano in grado di aiutarlo, imporrà il suo spirito anche su di loro ed essi lo aiuteranno nel governo sul popolo (Nm 11,16-18).
o I settanta si riuniscono nella tenda e Dio fa scendere su di loro lo spirito e cominciarono a profetizzare. Ma due uomini, Eldad e Medad, che facevano parte dei settanta, ma non hanno preso parte alla cerimonia, ricevono lo stesso spirito e si comportano come gli altri, profetando anch’essi. La cosa non piace a tutti e Giosuè se ne fa interprete e chiede a Mosè di impedirglielo. Abbiamo sentito la risposta. Mosè gli dice: « Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore! ».
o Il vangelo di questa domenica presenta un caso analogo che si è presentato a Gesù e agli apostoli. C’è un tale che si comporta da esorcista servendosi del nome di Gesù e gli apostoli reagiscono con risentimento e gelosia. Questa volta non è Pietro, ma Giovanni a farsi interprete del sentimento comune, scatta e ne parla a Gesù: « Non è ammissibile, non è corretto che costui lo faccia, sfruttando il tuo nome, dal momento che non ti appartiene, non essendosi messo al tuo seguito ».
o La risposta di Gesù è disarmante e di spirito ben diverso. « Non ci seguiva », non è dei nostri, dice Giovanni, « e volevamo impedirglielo ». Gesù risponde: « Non glielo impedite: chi non è contro di noi è per noi. Se lui fa miracoli usando il mio nome, non parlerà certamente male di me! ».
o Quanto alla lettera di Giacomo, ne concludiamo in questa domenica la lettura, che ci è stata proposta sin dalla domenica 22ª. Per cinque domeniche abbiamo letto buona parte dei cinque capitoli che la compongono e sono stati sempre testi estremamente concreti, a volte provocatori, come quello di questa domenica.
o Molte volte nella Bibbia, soprattutto nella parola dei profeti, primo fra tutti Amos, troviamo parole dure nei confronti dei ricchi. Ma nessuno li condanna con tanta violenza come fa Giacomo. Si tratta di una condanna senza mezze misure, che si direbbe che si estenda sia ai ricchi che sono buoni, quanto ai ricchi che non lo sono.
o Abbiamo sentito il tono delle sue parole. Merita riprenderle: « Voi, ricchi, piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco ».
o Giacomo si rifà all’origine della ricchezza, accumulata spesso con l’ingiustizia e il sopruso sui poveri: « Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente ».
o Come nella parabola del ricco epulone, Giacomo assicura che su di loro cadrà la mano della giustizia di Dio: « Sulla terra siete vissuti in mezzo a piaceri e delizie, ma vi siete ingrassati per il giorno della strage ». Una paurosa denuncia che si spiega per le scelte di vita dei primi cristiani, che hanno preso alla lettera le parole di Gesù: « Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo » (Lc 14,33).

Attualizzare
* Spesso, quando si partecipa all’eucaristia domenicale, sentiamo parole di consolazione, esortazioni che ci fanno stare bene e che ci fanno uscire dalla chiesa più sereni. In questa domenica si direbbe che non è così. La parola di Dio oggi è per tutti un pugno allo stomaco. Soprattutto le parole di Giacomo, ma anche le severissime e inquietanti parole di Gesù.
* Di Giacomo abbiamo già detto. L’apostolo scombussola i cristiani con le sue parole che non lasciano scampo e colpiscono ogni ipocrisia o superficialità nelle proprie scelte di vita. Questa volta ha parole di fuoco contro coloro che vivono nel lusso più sfrenato, arrogante, volgare, insolente verso gli altri, soprattutto i più svantaggiati. Già qualche domenica fa Giacomo diceva: « Se un ricco entra in chiesa, vi sprofondate in gentilezze, mentre al povero dite: siediti qui, ai piedi del mio sgabello ». Per lunghi secoli la comunità cristiana ha guardato con diffidenza i ricchi, come a coloro che sono incoerentemente compromessi con le cose di questo mondo. Poi la storia è cambiata, fino a capovolgersi. Anche oggi chi non ha nulla spesso non vale nulla neanche agli occhi dei cristiani. Chi davvero è povero, e veste poveramente, non osa nemmeno entrare nelle nostre chiese.
* Sicuramente dobbiamo guardare con riconoscenza a quei ricchi che mettono a disposizione i loro beni a favore della società, trafficandoli, dando lavoro, aiutando l’umanità a crescere. Ma non si può negare che vengono facilmente a trovarsi nel pericolo di subire innumerevoli tentazioni contro i più sani progetti di vita. San Giovanni Bosco quando andava a bussare alla porta dei ricchi per ottenere aiuto a favore dei suoi ragazzi, sapeva di essere di aiuto anzitutto a loro, che metteva nell’occasione di usare in modo positivo il loro denaro.
* Ritornando sul vangelo di oggi, dobbiamo riconoscere che quelle di Gesù non sono parole meno severe di quelle Giacomo, quando afferma: « Se la sua mano o il tuo piede sono motivo di scandalo, tagliali… e se il tuo occhio è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con una mano sola, con un piede solo, con un occhio solo, anziché essere gettato intero nella Geenna, dove il verme non muore e il fuoco non si estingue ».
* È chiaro che Gesù non invita a mutilarsi per evitare il peccato. A Gesù interessa una vita nuova. Chiede di liberarsi da tutto ciò che diventa un ostacolo per vivere in comunione con Dio. Di fronte a questo impegno ciascuno deve avere il coraggio di tagliare sul vivo la sua condotta di vita,.
* Spesso noi parliamo di « scandalo » quando qualcosa di riprovevole e di nascosto viene alla luce pubblicamente, senza rispettare la cosiddetta privacy. Gesù invece fa riferimento al comportamento di chi fa il male per condurre altri a fare il male. E le sue parole sono così dure, perché di fronte a questo comportamento perfido e per così dire diabolico di indurre un altro a comportarsi male, non c’è moderazione che tenga. Conclude Gesù con estrema gravità: « Sarebbe meglio per lui che gli venisse messa al collo una macina da mulino e fosse gettato nel mare ».
* Tutto questo soprattutto quando si tratta di piccoli nella fede, di persone indifese, incapaci di rispondere alle provocazioni e ai cattivi comportamenti. Nella categoria dei piccoli dobbiamo sicuramente inserire i bambini, i più indifesi, spesso vittime di un clima diseducativo creato dagli adulti, coinvolti nelle crisi delle loro famiglie in difficoltà, oggetto di attenzioni da parte di persone che sono esse stesse disorientate e malate.
* Fin qui ci portano i pensieri più severi che sgorgano dalla parola di Dio odierna. Ma c’è un altro insegnamento che ci viene proposto da Mosè (prima lettura), e soprattutto dalle parole di Gesù: ci si deve rallegrare del bene che viene compiuto, chiunque lo faccia, anche se costui « non è dei nostri ».
* Questo è l’insegnamento che Gesù dà ai suoi apostoli, meschinamente invidiosi di chi fa il bene. Anche la fede, dice Gesù, se non è ben capita, rischia di diventare ghetto, dividere il mondo in buoni e cattivi, schierarsi in gruppi contrapposti.
* Così dice in sostanza già Mosè di fronte all’invidia e al disagio del giovane Giosuè. Questo insegna Gesù agli apostoli, che di fronte a uno che scaccia i demoni nel suo nome e ci riesce, vogliono impedirglielo. È curioso che Giovanni dica: « Non ci seguiva », non è dei nostri. Non dice Giovanni che « non segue Gesù », ma che « non segue loro », cioè gli apostoli, come se essi fossero i soli destinatari di ciò che riguarda Gesù. Chissà quante volte nelle vicende di ogni tempo questa mentalità ristretta e campanilistica si è espressa, anche nelle nostre comunità cristiane.
* A questo punto Gesù fa una promessa consolante a chi fa il bene. Dice che chi dà anche solo un bicchiere d’acqua nel suo nome, non perderà la sua ricompensa. È interessante che Gesù attribuisca questo gesto di generosità compiuto verso i suoi apostoli, a uno qualunque (« chiunque »). Non si tratta dunque necessariamente di un cristiano, ma di una persona comune che incontra forse per la prima volta i missionari del vangelo e offre loro un bicchiere d’acqua, un po’ di ospitalità. Questo gesto generoso, dice Gesù, non rimarrà inosservato e senza frutto.
* Dobbiamo dunque riconoscere il bene che c’è in ogni persona, riconoscere il mistero che c’è in ogni uomo. Gandhi diceva: « Chi vive fino in fondo la propria religione, arriva a Dio ». Forse non è sempre così, ma è un fatto che c’è tanta gente in ogni parte del mondo che fa il bene e con animo disinteressato, senza aspettarsi il più delle volte nemmeno il paradiso.
* « Molti di quelli che sembrano essere fuori della chiesa sono dentro, molti di quelli che sembrano essere dentro sono fuori », dice sant’Agostino. « Giovanni agisce come un uomo senza speranza e senza la coscienza che la salvezza è in atto in tutto l’universo e coinvolge ogni persona che si rende disponibile » (mons. Luciano Pacomio). Ci sono alcuni che si comportano nella sostanza da cristiani più di noi, che ci diciamo cristiani, che abbiamo ricevuto i sacramenti e andiamo a messa ogni domenica. Ci sono per così dire due chiese: una visibile e una invisibile, che solo Dio conosce ed è fatta da coloro che servono Dio e i loro simili senza etichette. Sono persone impegnate, che spesso combattono battaglie contro le forze del male e quindi sono sicuramente alleati del vangelo e danno una mano a Gesù e alla chiesa per costruire il regno di Dio.
* C’è chi non riesce ad accettare che ci sia qualcuno magari di un’altra religione che si comporta bene come noi, e a volte più di noi. C’è sempre qualcuno che è incapace di riconoscere l’onestà intellettuale degli altri o che non riesce a vedere il bene che viene fatto da altri. C’è anche chi cerca lo scontro a ogni costo, chi vede avversari ovunque, chi ha la polemica facile, chi è un « solitario » per temperamento.
* Nelle nostre comunità siamo in tanti a metterci al servizio, e ci sforziamo di farlo con diligenza. Ma a volte nascono gelosie, invidie ed esclusioni, campanilismi tra gruppi, associazioni, confraternite. Dobbiamo esaminarci, perché possono essere il segno evidente che quel servizio lo abbiamo scelto e lo conduciamo in modo non del tutto disinteressato, forse inconsapevolmente per affermare noi stessi.
Anche un carcerato può insegnare qualcosa
Il cardinal Angelo Comastri racconta: « Quando a Roma mi occupavo di carcerati, ne ho invitato uno, un giovane, perché raccontasse la sua esperienza negativa a un gruppo di cristiani. Ne parlò umilmente, era mortificato e pentito. Ma alla fine una signora mi avvicinò e mi disse: « Dobbiamo proprio prendere esempio da gente così, per la nostra vita? »".

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA

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