Archive pour le 14 septembre, 2015

L’EXALTATION DE LA SAINTE ET VIVIFIANTE CROIX

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IL CULTO ALLA RELIQUIA DELLA CROCE E IL CULTO ALLE CROCI E AI CROCIFISSI

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IL CULTO ALLA RELIQUIA DELLA CROCE

e il culto alle croci e ai crocifissi

di Padre Felice Artuso

L’imperatore Costantino I, concessa ai cristiani la libertà del culto pubblico, invia a Gerusalemme i suoi architetti Gustato e Zenobio, incaricandoli di erigere un complesso di edifici sull’area del Calvario e della tomba di Gesù. Macario, vescovo di Gerusalemme, indica a loro e a Elena, madre dell’imperatore, i luoghi della passione e della sepoltura del Signore. Iniziati gli scavi di sterro, alcuni scritti leggendari attestano che comparve una croce, la quale su serio accertamento sarebbe appartenuta a Gesù. Arbitra del gioioso evento, Elena lascia un consistente reperto della Santa Croce alla chiesa madre, un altro se lo porta a Roma e un terzo lo dona al figlio Costantino. «Tutte le fonti coeve sottolineano come Elena facesse suddividere il reperto ritrovato poco prima di mettersi in viaggio per Roma: un terzo della croce rimase a Gerusalemme, un altro terzo lo portò con sé a Roma, l’ultimo terzo infine lo fece recapitare al figlio», residente a Costantinopoli, nuova capitale dell’impero . Il vescovo di Gerusalemme custodisce in un’apposita cassetta il reperto della croce, impreziosito di gemme e lo espone alla venerazione dei fedeli in queste tre ricorrenze annuali: il Venerdì Santo, il 3 maggio, giorno del prodigioso ritrovamento della reliquia ed il 14 settembre, giorno della consacrazione della basilica. Nelle prime ore del mattino egli sale sul Martirio (Calvario), accompagnato dal clero, pone il legno della croce di Gesù alla vista di tutti, lo incensa ed invoca il Signore con molti Kyrie Eleison. Presiede quindi la celebrazione eucaristica, conferendovi una caratteristica eminentemente pasquale in cui unisce il passato al presente, l’esodo degli ebrei all’esodo dei cristiani. Conclusa la celebrazione, lascia la reliquia alla venerazione dei devoti, i quali la baciano con affetto e la ornano di lumini, di verde e di fiori. Riconoscono con questi semplici gesti che il Signore se ne è servito per donare a tutti gli uomini la salvezza eterna. La pellegrina Egeria dà questa informazione su come si svolgeva il rito dell’ostensione della santa croce: «Il vescovo siede sulla cattedra, davanti a lui si mette un tavolo coperto da un telo di lino, i diaconi sono in piedi intorno al tavolo: viene portata una cassetta dorata in cui c’è il santo legno della croce, la si apre e la sia espone. Si mette sul tavolo il legno della croce e l’iscrizione» . Per soddisfare la richiesta delle chiese locali o delle singole persone, il legno della croce viene diviso e frammentato. San Cirillo di Gerusalemme durante una catechesi sul Calvario afferma, infatti, con un tono un po’ enfatico: «Del legno della croce ormai si trovano dei pezzettini in tutto il mondo» . In una successiva catechesi asserisce: «Il legno della croce da qui è stato distribuito in frammenti per tutto il mondo» . Nella Città Santa si conserva ovviamente il pezzo più ampio della santa croce.
Nelle guerre d’invasione i vincitori s’impossessano non solo dei beni immobili, ma anche dei preziosi dei perdenti. Nella Bibbia si narra che i filistei prevalgono sugli ebrei, ritirano l’arca santa, la collocano nel loro tempio e se la tengono per sette mesi (1Sam 5,1-2; 6,1). Nel 614 il re persiano Cosroe II occupa Gerusalemme, la saccheggia e massacra parecchi nemici. Cattura inoltre il vescovo Zaccaria e lo deporta nella sua capitale assieme a migliaia di cristiani. Prende anche la reliquia della croce, la trasporta in Persia e la colloca accanto al suo trono. Eraclio, imperatore bizantino, reagisce, organizzando un contrattacco. Nel 627 vince le truppe di Cosroe, ricupera il legno della croce e lo trasferisce a Gerusalemme. Gli islamici non tollerano lo smacco di Eraclio. Si organizzano, premono minacciosi sui confini dell’impero bizantino e riescono ad avanzare nel territorio nemico. Considerato il pericolo che i musulmani si impadroniscano del legno della croce, nel 635 l’imperatore lo trasporta a Costantinopoli.
Nei secoli successivi viene ancora ridotto in migliaia di frammenti, distribuiti in larga quantità alle cattedrali, alle pievi, alle parrocchie, ai monasteri e alle famiglie religiose. Le comunità cristiane, sparse nel mondo, imitano le forme di culto della chiesa madre, tributando alla reliquia una crescente venerazione. Gli armeni venerano un pezzo della croce nella ricorrenze festive del suo ritrovamento, del suo ricupero dai persiani, della sua esaltazione e della consacrazione della prima basilica, edificata sull’area del Golgota e della tomba di Gesù. Le chiese di rito bizantino espongono la reliquia alla pubblica venerazione il 3 maggio, durante tutta la Settimana Santa e il 14 settembre. Al primo di agosto il patriarca di Costantinopoli porta in processione il legno della croce. Le tributa onore per «tenere lontano le malattie, dovute al caldo dell’estate» e per essere «benedetti e custoditi da Dio le vie e i bastioni della città stessa» . Nel periodo delle lotte iconoclaste si allenta il culto alla reliquia. Superate le controversie, si rinnova e si rinvigorisce la devozione al sacro legno, Nel secolo XIII un anonimo di Costantinopoli attesta: «La Croce veneranda, che attualmente è conservata in sacrestia… la ornano di pietre preziose e d’argento e la rivestono d’oro. E fino ad oggi dona salute, scaccia i mali e i demoni» .
In Occidente la Chiesa amplifica il rito dell’ostensione e della venerazione della croce di Gesù, aggiungendo una pluralità di canti. Per onorare un frammento della croce, dono dell’imperatore Giustino II di Costantinopoli alla regina Radegonda, nel 570 Venanzio Fortunato compone a Poitiers gli inni “Vexilla regis prodeunt” (Procedono i vessilli del Re) e “Pange lingua gloriosi proelium certaminis” (Canta, o lingua la gloriosa battaglia). In queste composizioni liriche Venanzio attenua gli aspetti dolorosi della passione di Gesù, mentre esalta il suo battagliero eroismo e la sua trionfale vittoria sulla morte. Imprime agli inni un contenuto teologico, sacrale, poetico, ardente e retorico. Musicati e cantati nelle celebrazioni liturgiche della Settimana Santa, dell’Invenzione e dell’Esaltazione della Santa Croce, sono divenuti molto famosi, finché nella liturgia è prevalsa la lingua latina. Hanno anche avuto un grande influsso spirituale presso il popolo cristiano, bramoso di percorrere il cammino che immette nella gloria celeste.
La comunità cristiana di Roma tributa un particolare culto a questo legno, portato nell’Urbe da sant’Elena. Il papa Sergio I (687-701) d’origine orientale, verso le ore 14 del Venerdì Santo lascia il Laterano e, scalzo, si reca in processione nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, accompagnando il trasporto della reliquia, custodita in un contenitore d’oro. Giunto nella chiesa scopre il sacro reperto, lo bacia, lo posa sull’altare, lo venera assieme ai presenti, si pone con giusta umiltà dinanzi a Dio e lo ringrazia di aver scelto un atroce strumento di morte per manifestarci il suo amore per noi. Commemora quindi la passione di Gesù con l’ascolto delle letture, tratte dal vecchio Testamento e dal Vangelo di Giovanni. Terminata la funzione con un’esortazione a sperare nel Signore, datore di vita, rientra nel Laterano. I papi, successori di Sergio I, mantengono la tradizione. Cantando salmi e antifone, ogni Venerdì Santo si recano in processione alla detta basilica, dove svelano la reliquia e la espongono all’adorazione, mentre il popolo canta l’Ecce lignum crucis (Ecco il legno della croce). Conservano questo tipo di celebrazione fino all’esilio di Avignone (1305). A Roma durante l’assenza del papa rimane tuttavia l’usanza di venerare pubblicamente la reliquia ad ogni venerdì e nella celebrazione del Venerdì Santo si introduce il rito dell’adorare la croce. Nel 1629 due dei suoi grossi frammenti sono trasferiti dalla basilica della Santa Croce alla basilica di San Pietro. Qui il papa, rientrato nella sua residenza, presiede i riti del Venerdì Santo e impartisce la benedizione finale con la reliquia della croce.
Le parrocchie, che ne custodiscono un frammento, sogliono esporlo il 14 settembre e il Venerdì Santo, perché i fedeli lo venerino e preghino il Signore. Qualche comunità parrocchiale organizza una processione con il sacro reperto, per ravvivare nel paese la memoria delle volontarie e gratuite sofferenze di Gesù.
Alcuni teologi moderni consigliano di relativizzare questa forma di culto popolare, perché essa potrebbe fomentare atteggiamenti superstiziosi. Altri l’approvano, per mantenere la fedeltà e la vivacità della tradizione. San Giovanni Damasceno dà, infatti, questo consiglio: «Quando tu vedi i figli dei cristiani che venerano la croce, sappi che essi rivolgono la venerazione al Cristo crocifisso e non al legno…Quando tu vedi un cristiano che venera la croce, sappi che egli la venera a causa di Cristo crocifisso e non a causa della natura del legno» . I maestri di vita spirituale si conformano alla tradizione e ritengono utile conservarla. San Paolo della Croce offre questo consiglio, valido per ogni cristiano: «Poiché le feste si celebrano con allegrezza, così la festa della Croce degli amanti del Crocifisso si fa penando e tacendo con volto ilare e sereno, affinché tal festa sia più segreta alle creature e scoperta solamente al sommo Bene» .

Il culto alle croci e ai crocifissi
I cristiani delle prime generazioni veneravano privatamente i graffiti della croce di Gesù, provocando la meraviglia e la derisione dei pagani . Infatti, un graffito sul Palatino, scoperto nel secolo scorso, raffigura un crocifisso con la testa d’asino e accanto un devoto in atto di adorazione. Sotto il graffito c’è un’iscrizione, che spiega la sarcastica immagine: ”Alessandro adora il proprio dio”.
Nel 394 l’imperatore Teodosio emana un editto, in cui riconosce che il cristianesimo è l’unica religione di Stato. Per rafforzare la consapevolezza della loro identità, i cristiani installano pertanto una croce nei luoghi di culto e nei locali statali, Erigono in particolare una grande e preziosa croce sul Calvario. Nei giorni festivi salgono sull’altura e onorano questa croce, ornandola di lampade e di torce .
Per mantenersi sempre protesi verso il Signore, i Padri della Chiesa raccomandano ai cristiani di venerare la raffigurazione della croce, che ricorda il martirio di Gesù. Il vescovo Niceta in una catechesi battesimale argomenta: «Ti seducono i piaceri del mondo? Rivolgiti alla croce di Cristo con più slancio, per trovare sollievo nella dolcezza di quella Vita che pendette dalla croce» . «Volgi il tuo cuore sempre al cielo, spera nella risurrezione. Desidera che si compia la promessa. Orgoglioso e fiducioso nella croce di Cristo e nella sua gloriosa passione, risponderai al nemico fieramente esorcizzandolo, quando ti assale lo spirito incutendoti terrore…» . San Leone Magno esorta: «Ammaestrato dall’esperienza, ogni fedele si armi della croce, perché sia stimato degno di Cristo» . San Sofronio osserva: «Cristo riconosce come verissimo suo adoratore colui che si è crocifisso per il mondo e nei fatti si mostra vero amico della croce…La croce viene innalzata; e chi non si alzerà misticamente da terra? Dove il redentore viene innalzato, là va di slancio anche il redento, desiderando sempre essere con chi l’ha salvato e ricevere da lui imperitura difesa» .
I cristiani d’Oriente e d’Occidente di ogni etnia si abituano ad inchinarsi davanti ai crocifissi dipinti o a tutto tondo. Li baciano con fede, li ornano con fiori, addobbi e ceri. Elevano specialmente inni di lode e d’invocazione al Signore crocifisso e glorioso. In un’omelia Giorgio di Nicomedia del secolo IX asserisce: o Signore, «bacio le tue sofferenze, per mezzo delle quali sono stato liberato dalle mie ignominiose sofferenze. Bacio la tua croce, per mezzo della quale hai condannato il peccato e mi hai liberato da una condanna di morte. Bacio quei chiodi, per mezzo dei quali hai allontanato da me il castigo proveniente dalla maledizione. Bacio i fori delle tue membra, per mezzo dei quali sono state sanate le ferite della mia disobbedienza» .
San Francesco d’Assisi eleva questa preghiera al Crocifisso di san Damiano: «Altissimo e glorioso Dio, illumini el core mio. Dame fede diricta, speranza certa, carità perfecta e humiltà profonda, senno e cognoscimento che io servo i tuoi comandamenti» . Passando nei crocicchi delle strade, esorta i suoi frati, che vedono un crocifisso, di recitare questa preghiera: «Ti lodiamo, o Cristo, e ti benediciamo per tutte le chiese sparse nel mondo, perché le hai redente per mezzo della tua santa croce» . Se si togliessero i crocifissi dai luoghi pubblici, si distruggerebbe la tradizione cristiana, si creerebbe un impoverimento culturale e si smarrirebbe la caratteristica di un popolo.
I cristiani venerano principalmente la croce di Cristo ad ogni Venerdì Santo. Ad un’ora stabilita si radunano in chiesa, spoglia di fiori e di decorazioni. Durante la celebrazione della Liturgia della Parola riconoscono che le loro infedeltà sono state la causa della morte del Signore, rivivono le sue sofferenze e quelle dei propri fratelli, sparsi nel mondo. Partecipano poi all’austero rito dell’adorazione della croce, nel quale il celebrante in tre riprese e con voce sempre più sonora proclama: “Ecco il legno della croce a cui fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo” . Con lentezza e compostezza si avvicinano quindi alla croce, posta in un luogo accessibile, ponendovi un bacio affettuoso, mentre un coro canta quest’antifona, che unisce meravigliosamente i due aspetti del mistero pasquale: «Adoriamo la tua Croce, Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa risurrezione. Dal legno della Croce è venuta la gioia in tutto il mondo». Il coro, se c’è, può proseguire il canto degli emozionanti improperi. Composti dalla chiesa bizantina, presentano Gesù che parla all’assemblea orante. Le ricorda di averle elargito una litania di benefici, ma essa si è mostrata irriconoscente e ingrata: «Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho contristato? Rispondimi» .

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MESSA DELLA ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE – OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II (1984)

https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/1984/documents/hf_jp-ii_hom_19840914_messa-halifax.html

VIAGGIO APOSTOLICO IN CANADA

MESSA DELLA ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Central Commons (Halifax)

Venerdì, 14 settembre 1984

Ti adoriamo o Cristo e ti lodiamo,
perché con la tua croce hai redento il mondo. Alleluia.

Cari fratelli e sorelle.
1. Come rappresentanti del popolo di Dio nell’arcidiocesi di Halifax, di Cap Breton, di tutta la Nuova Scozia e dell’Isola Principe Edward, siete riuniti in questa acclamazione della liturgia con l’arcivescovo Hayes, con gli altri vescovi e con la Chiesa in tutto il mondo. La Chiesa cattolica celebra oggi la festa dell’Esaltazione della croce di Cristo. Come il Cristo crocifisso è innalzato dalla fede nei cuori di tutti coloro che credono, così egli innalza quegli stessi cuori con una speranza che non può essere distrutta. Poiché la croce è il segno della redenzione, e nella redenzione è contenuta la promessa della risurrezione e l’inizio della nuova vita: l’elevazione dei cuori umani.
All’inizio del mio ufficio nella sede di san Pietro ho cercato di proclamare questa verità con l’enciclica Redemptor Hominis. In questa stessa verità desidero oggi essere unito a tutti voi nell’adorazione della croce di Cristo:
“Non dimenticate le opere di Dio” (cf. Sal 78, 7).
2. Per conformarci all’acclamazione dell’odierna liturgia, seguiamo attentamente il sentiero tracciato da queste sante parole nelle quali ci viene annunciato il mistero dell’Esaltazione della croce.
In primo luogo, in queste parole è contenuto il significato del Vecchio Testamento. Secondo sant’Agostino, il Vecchio Testamento contiene ciò che è pienamente rivelato nel nuovo. Qui abbiamo l’immagine del serpente di bronzo al quale si riferì Gesù nella sua conversazione con Nicodemo. Il Signore stesso ha rivelato il significato di quest’immagine dicendo: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-15).
Durante il cammino del popolo di Israele dall’Egitto alla Terra Promessa – poiché la gente si lamentava – Dio mandò un’invasione di serpenti velenosi a causa della quale molti perirono. Quando i sopravvissuti compresero la loro colpa chiesero a Mosè di intercedere presso Dio: “Prega il Signore che allontani da noi questi serpenti” (Nm 21, 7).
Mosè pregò e ricevette dal Signore quest’ordine: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta. Chiunque dopo essere stato morso lo guarderà, resterà in vita” (Nm 21, 8). Mosè obbedì all’ordine. Il serpente di bronzo posto sull’asta rappresentò la salvezza dalla morte per tutti coloro che venivano morsi dai serpenti.
Nel libro della Genesi il serpente era il simbolo dello spirito del male. Ma adesso, per una sorprendente inversione, il serpente di bronzo issato nel deserto diventa una raffigurazione del Cristo, issato sulla croce.
La festa dell’Esaltazione della croce richiama alle nostre menti e, in un certo senso, rende attuale, l’elevazione di Cristo sulla croce. La festa è l’elevazione del Cristo redentore: chiunque crede nel Cristo crocifisso avrà la vita eterna.
L’elevazione di Cristo sulla croce costituisce l’inizio dell’elevazione dell’umanità attraverso la croce. E il compimento ultimo dell’elevazione è la vita eterna.
3. Questo evento del Vecchio Testamento è richiamato nel tema centrale del Vangelo di san Giovanni.
Perché la croce e il Cristo crocifisso sono la porta alla vita eterna?
Perché in lui – nel Cristo crocifisso – è manifestato nella sua pienezza l’amore di Dio per il mondo, per l’uomo.
Nella stessa conversazione con Nicodemo Cristo dice: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3, 16-17).
La salvezza del Figlio di Dio attraverso l’elevazione sulla croce ha la sua sorgente eterna nell’amore. È l’amore del Padre che manda il Figlio; egli offre suo Figlio per la salvezza del mondo. Nello stesso tempo è l’amore del Figlio il quale non “giudica” il mondo, ma sacrifica se stesso per l’amore verso il Padre e per la salvezza del mondo. Dando se stesso al Padre per mezzo del sacrificio della croce egli offre al contempo se stesso al mondo: ad ogni singola persona e all’umanità intera.
La croce contiene in sé il mistero della salvezza, perché nella croce l’amore viene innalzato. Questo significa l’elevazione dell’amore al punto supremo nella storia del mondo: nella croce l’amore è sublimato e la croce è allo stesso tempo sublimata attraverso l’amore. E dall’altezza della croce l’amore discende a noi. Sì: “La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull’uomo. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo” (Ioannis Pauli PP. II, Dives in Misericordia, 8).
4. All’avvento del Vangelo di Giovanni la liturgia della festa di oggi aggiunge la presentazione fatta da Paolo nella sua lettera ai Filippesi. L’apostolo parla di uno svuotamento di Cristo attraverso la croce; e allo stesso tempo dell’elevazione di Cristo al di sopra di tutte le cose; e anche questo ha avuto il suo inizio nella stessa croce:
“Gesù Cristo . . . spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, e apparso in forma umana, umiliò se stesso ancora di più facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 6-11).
La croce è il segno della più profonda umiliazione di Cristo. Agli occhi del popolo di quel tempo costituiva il segno di una morte infamante. Solo gli schiavi potevano essere puniti con una morte simile, non gli uomini liberi. Cristo, invece, accetta volentieri questa morte, la morte sulla croce. Eppure questa morte diviene il principio della risurrezione. Nella risurrezione il servo crocifisso di Jahvè viene innalzato: egli viene innalzato su tutto il creato.
Nello stesso tempo anche la croce è innalzata. Essa cessa di essere il segno di una morte infamante e diventa il segno della risurrezione, cioè della vita. Attraverso il segno della croce, non è il servo o lo schiavo che parla, ma il Signore di tutta la creazione.
5. Questi tre elementi dell’odierna liturgia, il Vecchio Testamento, l’inno cristologico di Paolo e il Vangelo di Giovanni, formano assieme la grande ricchezza del mistero del trionfo della croce.
Trovandoci immersi in questo mistero con la Chiesa, che attraverso il mondo celebra oggi l’Esaltazione della santa croce, desidero dividere con voi, in una maniera speciale, le sue ricchezze, cari fratelli e sorelle dell’arcidiocesi di Halifax, caro popolo della Nuova Scozia, dell’Isola Edward e di tutto il Canada.
Sì, desidero dividere con voi tutte le ricchezze di quella croce santa – che, quale stendardo di salvezza – fu piantata sul vostro suolo 450 anni fa. Da allora la croce ha trionfato in questa terra e, attraverso la collaborazione di migliaia di canadesi, il messaggio di liberazione e di salvezza della croce, è stato diffuso ai confini della terra.
6. Nello stesso tempo desidero rendere omaggio al contributo missionario dei figli e delle figlie del Canada che hanno dato la loro vita così “perché la parola del Signore si diffonda, e sia glorificata come lo è anche tra voi” (2 Ts 3,1). Rendo omaggio alla fede e all’amore che li ha motivati, e al potere della croce che ha dato loro la forza di andare avanti ed eseguire il comando di Cristo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 20).
E nel rendere omaggio ai vostri missionari, rendo parimenti omaggio alle comunità sparse per il mondo che hanno accolto il loro messaggio e segnato le loro tombe con la croce di Cristo. La Chiesa è grata per l’ospitalità loro concessa di un luogo di sepoltura, da dove essi attendono la definitiva esaltazione della croce santa nella gloria della risurrezione e della vita eterna.
Esprimo profonda gratitudine per lo zelo che ha caratterizzato la Chiesa in Canada e vi ringrazio per le preghiere, i contributi e le varie attività attraverso le quali voi sorreggete la causa missionaria. In particolare vi ringrazio per la vostra generosità verso la missione di aiuto delle società da parte della Santa Sede.
7. L’evangelizzazione resta per sempre il sacro retaggio del Canada, che vanta realmente una storia gloriosa dell’attività missionaria in patria e all’estero. L’evangelizzazione deve continuare ad essere esercitata attraverso l’impegno personale, predicando la speranza nelle promesse di Gesù e con la proclamazione dell’amore fraterno. Sarà sempre connessa con l’impianto e l’edificazione della Chiesa e avrà una profonda relazione con lo sviluppo e la libertà come espressione del progresso umano. Al centro di questo messaggio, tuttavia, c’è un’esplicita proclamazione di salvezza in Gesù Cristo, quella salvezza determinata dalla croce. Ecco le parole di Paolo VI: “L’evangelizzazione conterrà sempre – anche come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo – una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso” (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 27).
La Chiesa in Canada sarà se stessa se proclamerà fra tutti i suoi membri, con paole e fatti, l’esaltazione della croce, e sempre che, in patria e all’estero, essa sia una Chiesa evangelizzante.
Anche se queste parole vengono da me, c’è un altro che parla ovunque ai cuori dei giovani. È lo stesso Spirito Santo, ed è lui che fa pressione su ciascuno di noi, come membro di Cristo, per indurci ad abbracciare e a portare la buona novella dell’amore di Dio. Ma ad alcuni lo Spirito Santo sta proponendo il comando di Gesù nella sua forma specifica missionaria: andate a reclutare discepoli di tutte le nazioni. Dinanzi alla Chiesa intera, io, Giovanni Paolo II, proclamo ancora una volta l’assoluto valore della vocazione missionaria. E assicuro tutti i chiamati alla vita ecclesiastica e religiosa che nostro Signore Gesù Cristo è pronto ad accettare e rendere fruttuoso il sacrificio speciale delle loro vite, nel celibato, per l’esaltazione della croce.
8. Oggi la Chiesa, annunciando il Vangelo, rivive in un certo qual modo tutto il periodo che ha inizio il mercoledì delle Ceneri, raggiunge il suo apice durante la Settimana Santa e a Pasqua e prosegue nelle settimane successive fino alla Pentecoste. La festa dell’Esaltazione della santa croce è come il compendio di tutto il mistero pasquale di nostro Signore Gesù Cristo.
La croce è gloriosa perché su di essa il Cristo si è innalzato. Attraverso di essa, il Cristo ha innalzato l’uomo. Sulla croce ogni uomo è veramente elevato alla sua piena dignità, alla dignità del suo fine ultimo in Dio.
Attraverso la croce, inoltre, è rivelata la potenza dell’amore che eleva l’uomo, che lo esalta.
Veramente tutto il disegno di Dio sulla vita cristiana è condensato qui in un modo meraviglioso: il disegno di Dio e il suo senso! Diamo la nostra adesione al disegno di Dio e al suo senso! Ritroviamo il posto della croce nella nostra vita e nella nostra società.

Parliamo della croce in modo particolare a tutti coloro che soffrono, e trasmettiamo il suo messaggio di speranza ai giovani. Continuiamo a proclamare fino ai confini della terra il suo potere salvifico: “Exaltatio Crucis!”: la gloria della santa croce!
Fratelli e sorelle: “Non dimenticate mai le opere del Signore”! Amen.

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