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SANT’AGOSTINO, LE CONFESSIONI, LIBRO XIII, LE ALLEGORIE SPIRITUALI
(questo argomento non è completo, ho stralciato la prima parte, sul sito se volte continuare)
La creazione della luce simbolo dell’illuminazione dei puri spiriti (Gn 1. 3)
3. 4. A proposito delle parole da te pronunciate all’inizio della creazione: » Sia fatta la luce », e la luce fu fatta 17, io vedo qui, senza incongruenze, la creatura spirituale, perché era già in qualche modo una vita che tu potessi illuminare. Ma come non aveva meriti nei tuoi confronti per essere una vita tale che si potesse illuminare, così neppure dopo che lo fu ebbe meriti per essere illuminata. Il suo stato d’informità non ti sarebbe piaciuto, se non fosse divenuta luce, non già mediante l’esistenza, ma la visione della luce illuminante e l’unione intima con essa. Perciò deve soltanto alla tua grazia la vita e la felicità della vita, da quando fu rivolta, con mutamento in meglio, verso ciò che non può mutarsi né in meglio né in peggio; ossia verso di te, e non altri, perché tu, e non altri, sei l’Essere semplice, per il quale la vita è felicità, essendo tu stesso la tua felicità.
Lo spirito portato sulle acque simbolo della generosità del creatore (Gn 1. 2)
4. 5. Cosa mancherebbe dunque al tuo benessere, che tu sei per te stesso, quand’anche tutte le creature non esistessero affatto o rimanessero informi? Tu non le hai create per bisogno, ma per pienezza di bontà, e per questa le hai costrette e piegate a una forma, non per completarne la tua gioia. Alla tua perfezione spiace certamente la loro imperfezione, per cui si perfezionano di te affinché ti piacciano, e non già perché tu sia imperfetto, quasi bisognoso tu pure della loro perfezione per la tua perfezione. Il tuo spirito era portato sopra le acque 18, non dalle acque, quasi riposando in esse: quando si dice che il tuo spirito riposa in qualcuno 19, questi in sé fa riposare. Era la tua volontà incorruttibile, immutabile e sufficiente a se stessa, che si portava sulla vita creata da te, vita ove il vivere non equivale a vivere felici, poiché vive anche fluttuando nella sua oscurità; che ha bisogno di volgersi al suo creatore, di vivere sempre più vicino alla fonte della vita e di vedere nella sua luce la luce 20, per essere perfetta, illuminata e felice.
La Trinità nella creazione (Gn 1. 1 s.)
5. 6. Ed ecco apparirmi in un enigma 21 la Trinità, ossia tu, Dio mio. Tu, il Padre, creasti il cielo e la terra nel principio 22 della nostra sapienza, che è la tua Sapienza, nata da te, uguale e coeterna con te; cioè nel tuo Figlio. Ho parlato lungamente del cielo del cielo, della terra invisibile e confusa, dell’abisso tenebroso, vagabondaggio delirante per l’informe creatura spirituale, quando non si fosse rivolta all’Autore di ogni forma di vita, che con la sua illuminazione la rendesse vita splendida e cielo di quel cielo 23, che venne creato più tardi fra acqua e acqua 24. Ormai coglievo nel nome di Dio il Padre che creò, nel nome di principio il Figlio in cui creò; e credendo, come credevo, nella trinità del mio Dio, la cercavo nelle sue sante parole. Ed ecco, il tuo spirito era portato sopra le acque 25. Ecco la Trinità Dio mio, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutto il creato.
La ritardata menzione dello Spirito Santo
6. 7. Ma perché, o lume di verità, cui avvicino il mio cuore nel timore che i suoi insegnamenti siano fallaci; dissipane le tenebre e dimmi, ti supplico per la madre carità, ti supplico, dimmi: perché soltanto dopo la menzione del cielo e della terra invisibile e confusa, e delle tenebre sovrastanti l’abisso, soltanto allora la tua Scrittura ha menzionato il tuo spirito? Forse perché conveniva introdurlo così, dicendolo portato sulle acque? Non si poteva dirne questo senza menzionare prima la cosa su cui si potesse immaginare trasportato il tuo spirito, che non era portato sopra il Padre né sopra il Figlio, né l’espressione sarebbe corretta, se fosse portato sopra nulla. Quindi bisognava prima citare la cosa su cui era portato, poi lui, che non conveniva menzionare senza dire che era portato su qualcosa. Ma perché non conveniva introdurlo senza dire che era portato su qualcosa?
Il conforto dello Spirito
7. 8. D’ora innanzi chi può segua con intelletto il tuo Apostolo. Egli dice che il tuo amore è stato diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato 26, che c’insegna le cose spirituali 27, ci mostra 28 la via sovrana 29 dell’amore e piega per noi il ginocchio innanzi a te 30, affinché conosciamo la scienza sovrana dell’amore di Cristo 31. Ecco dunque perché lo Spirito, sovrano fin dall’inizio, era portato sulle acque 32. A chi parlare, come parlare del peso della passione, che ci trascina nell’abisso scosceso, e dell’elevazione della carità, che opera il tuo spirito, il quale era portato sopra le acque? A chi parlarne? come parlarne? Non si tratta di luoghi, dove siamo immersi ed emergiamo; nessuna espressione sarebbe più propria e impropria. Si tratta invece dei sentimenti, si tratta degli affetti, dell’impurità del nostro spirito, che sprofonda con l’amore degli affanni; e della santità del tuo spirito, che ci solleva con l’amore della sicurezza per farci tenere in alto 33 il cuore verso di te, ove il tuo spirito è portato sopra le acque. E giungeremo al riposo sovrano, quando la nostra anima avrà varcato le acque, che non hanno sostanza 34.
Caduta ed elevazione degli spiriti
8. 9. Sprofondò l’angelo, sprofondò l’anima dell’uomo. Così rivelarono le profonde tenebre dell’abisso, ove giacerebbe tutta la creazione spirituale, se non avessi detto fin dall’inizio: « Sia fatta la luce », e la luce non fosse stata fatta 35: se ogni spirito intelligente della tua città celeste non si fosse unito a te con l’ubbidienza e non avesse posato nel tuo spirito, che è portato immutabilmente sopra tutto ciò che è mutabile. Diversamente, lo stesso cielo del cielo 36 sarebbe un abisso tenebroso in se stesso, mentre ora è luce nel Signore 37. Anche nella miserabile inquietudine degli spiriti che sprofondano e, denudati della veste della tua luce, mostrano le proprie tenebre, tu indichi abbastanza chiaramente la grandezza cui hai chiamato la creatura razionale; poiché nulla meno di te stesso, e quindi neppure se stessa le basta per la sua felicità e il suo riposo. Tu infatti, Dio nostro, illuminerai le nostre tenebre 38. Da te proviene la nostra veste, e le nostre tenebre saranno quale il mezzodì 39. Dammi te stesso, Dio mio, restituiscimi te stesso. Io ti amo. Se così è poco, fammi amare più forte. Non posso misurare, per sapere quanto manca al mio amore perché basti a spingere la mia vita fra le tue braccia e di là non toglierla finché ripari al riparo del tuo volto 40. So questo soltanto: che tranne te, per me tutto è male, non solo fuori di me, ma anche in me stesso; e che ogni mia ricchezza, se non è il mio Dio, è povertà.
La spinta dell’amore
9. 10. Ma il Padre o il Figlio non erano portati sulle acque? Se si pensa a un corpo nello spazio, neppure lo Spirito Santo lo era; se invece alla sovranità immutabile della divinità su ogni cosa mutabile, sia il Padre, sia il Figlio, sia lo Spirito Santo era portato sopra le acque 41. Perché dunque fu detto soltanto del tuo spirito? Perché fu detto soltanto di lui, come di un luogo ov’era, mentre non è un luogo? Di lui solo fu detto che è dono tuo 42, il dono ove riposiamo, ove ti godiamo. Il nostro riposo è il nostro luogo. Là ci solleva l’amore, e il tuo spirito buono 43 eleva la nostra bassezza, strappandola alle porte della morte 44. Nella buona volontà è la nostra pace 45. Ogni corpo a motivo del suo peso tende al luogo che gli è proprio. Un peso non trascina soltanto al basso, ma al luogo che gli è proprio. Il fuoco tende verso l’alto, la pietra verso il basso, spinti entrambi dal loro peso a cercare il loro luogo. L’olio versato dentro l’acqua s’innalza sopra l’acqua, l’acqua versata sopra l’olio s’immerge sotto l’olio, spinti entrambi dal loro peso a cercare il loro luogo. Fuori dell’ordine regna l’inquietudine, nell’ordine la quiete. Il mio peso è il mio amore; esso mi porta dovunque mi porto. Il tuo Dono ci accende e ci porta verso l’alto. Noi ardiamo e ci muoviamo. Saliamo la salita del cuore 46 cantando il cantico dei gradini 47. Del tuo fuoco, del tuo buon fuoco ardiamo e ci muoviamo, salendo verso la pace di Gerusalemme. Quale gioia per me udire queste parole: « Andremo alla casa del Signore » 48! Là collocati dalla buona volontà, nulla desidereremo, se non di rimanervi in eterno 49.
Beatitudine degli angeli
10. 11. Beata la creatura che non conobbe stato diverso. Ma pure il suo stato sarebbe diverso, se, appena creata, il tuo Dono, che è portato sopra tutto ciò che è mutevole, non l’avesse immediatamente elevata con quel tuo appello: « Sia fatta la luce », e non fosse stata fatta la luce 50. Per noi il tempo in cui fummo tenebre è distinto da quello in cui diveniamo luce 51; per essa invece fu detto soltanto quale sarebbe stata, se non fosse stata illuminata. La presentazione che ne fa la Scrittura, come dapprima ondeggiante e tenebrosa 52, dà risalto alla causa che ne produsse il mutamento, per il quale, rivolta al lume inestinguibile 53, fu luce. Chi lo può, capisca, a te chieda. Perché molesta me 54, quasi io illumini qualche uomo che viene in questo mondo 55?
Immagine umana della Trinità
11. 12. Ma la Trinità onnipotente, chi la comprenderà? Eppure chi non parla di lei, se almeno parla di lei? Raramente l’anima che parla di lei sa di cosa parla. Si discute, ci si batte, ma nessuno, se non ha pace, vede questa visione. Vorrei invitare gli uomini a riflettere su tre cose presenti in se stessi, ben diverse dalla Trinità, ma che indico loro come esercizio, come prova e constatazione che possono fare, di quanto ne siano lontani. Alludo all’esistenza, alla conoscenza e alla volontà umana. Io esisto, so e voglio; esisto sapendo e volendo, so di esistere e volere, voglio esistere e sapere. Come sia inscindibile la vita in queste tre facoltà e siano un’unica vita, un’unica intelligenza e un’unica essenza, come infine non si possa stabilire questa distinzione, che pure esiste, lo veda chi può. Ciascuno è davanti a se stesso; guardi in se stesso, veda 56 e mi risponda. Ma quand’anche avrà scoperto su ciò qualcosa e saprà esprimerlo, non s’illuda di aver scoperto finalmente l’Essere che sovrasta immutabile il mondo, immutabilmente esiste, immutabilmente sa e immutabilmente vuole. L’esistenza anche in Dio di queste tre facoltà costituisce la sua trinità, o questa triplice facoltà si trova in ognuna delle tre persone, così da essere tre in ognuna? o entrambi i casi si verificano in modi mirabili entro una semplicità molteplice, essendo la Trinità in sé per sé fine infinito, così da essere una cosa sola, e come tale conoscersi e bastarsi immutabilmente nella grande abbondanza della sua unità? Chi potrebbe avere facilmente questo concetto? chi esprimerlo in qualche modo? e pronunciarsi, in qualsiasi modo temerariamente?
L’umanità morta e risorta, nei primi tre versetti della Genesi
12. 13. Procedi nella tua confessione, o mia fede. Di’ al Signore Dio tuo: « Santo, santo, santo Signore Dio mio » 57. Nel tuo nome siamo stati battezzati 58, Padre e Figlio e Spirito Santo; nel tuo nome battezziamo, Padre e Figlio e Spirito Santo 59. Anche presso di noi nel suo Cristo Dio creò il cielo e la terra 60, ossia i membri spirituali e carnali della sua Chiesa ; anche la nostra terra prima di ricevere la forma della dottrina era invisibile e confusa 61, e noi eravamo immersi nelle tenebre dell’ignoranza, perché hai ammaestrato l’uomo per la sua cattiveria 62 e i tuoi giudizi sono un abisso profondo 63. Ma poiché il tuo spirito era portato sopra l’acqua 64, la tua misericordia non abbandonò la nostra miseria. Dicesti: « Sia fatta la luce 65: fate penitenza, poiché il regno dei cieli è vicino. Fate penitenza 66: sia fatta la luce ». Nell’intimo turbamento della nostra anima ci siamo ricordati di te, Signore, dalle rive del Giordano e dal monte uguale a te, però rimpicciolito per noi 67. Provammo disgusto delle nostre tenebre e ci volgemmo verso di te 68: e fu fatta la luce 69. Ed eccoci un tempo tenebre, ora invece luce nel Signore 70.
L’attesa della Chiesa militante
13. 14. Tuttavia finora siamo luce per la fede, non ancora per la visione 71. Nella speranza fummo salvati, e una speranza che si vede, non è speranza 72. L’abisso chiama ancora l’abisso, ma ormai con la voce delle tue cateratte 73. Chi dice ancora: « Non potei parlarvi come a esseri spirituali, ma carnali » 74, pensa di non aver ancora capito nemmeno lui. Dimentico delle cose che stanno dietro le spalle, si protende verso quelle che stanno innanzi 75 e geme sotto il peso del suo fardello 76. La sua anima ha sete del Dio vivo come i cervi delle fonti d’acqua. Perciò dice: « Quando giungerò? » 77. Desideroso di essere rivestito della sua abitazione celeste 78, così apostrofa l’abisso inferiore: « Non uniformatevi a questo secolo, riformatevi invece, rinnovando il vostro cuore » 79; e così: « Non dovete divenire fanciulli di mente, ma siate piccoli nella malizia per essere perfetti di mente » 80; e così: « O galati insensati, chi vi ha incantato? » 81. Ma non è più la sua voce; è la tua, sei tu, che hai mandato il tuo spirito dal cielo 82 per mezzo di Colui, che ascendendo in alto 83 aprì le cateratte dei suoi doni 84, affinché la piena del fiume rallegrasse la tua città 85. Per lei sospira l’amico dello sposo 86, avendo già con sé le primizie dello spirito, ma ancora gemebondo fra sé nell’attesa dell’adozione, la redenzione del suo corpo 87. Per lei sospira, poiché è membro della sposa; per lei si affanna 88, poiché è amico dello sposo; per lei si affanna, non per sé, poiché con la voce delle tue cateratte, non con la voce sua, invoca l’altro abisso, oggetto del suo affanno e del suo timore. Teme che come il serpente ingannò Eva con la sua astuzia, così anche i loro pensieri non si corrompano allontanandosi dalla castità, che è nel nostro Sposo 89, il tuo unigenito. Ma quale non sarà lo splendore della sua luce, allorché lo vedremo com’è 90, e saranno passate le lacrime, che sono divenute il pane dei miei giorni e delle mie notti, mentre mi si chiede quotidianamente: « Ov’è il tuo Dio? » 91.