Archive pour le 31 juillet, 2015

Jesus and disciples in boat

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Publié dans:immagini sacre |on 31 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

LA CONVERSIONE E IL PECCATO

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LA CONVERSIONE E IL PECCATO

ARCHIMANDRITA MARCO (DON VINCENZO)

Esistono due tipi di conversione: una conversione profonda e una superficiale.
La conversione profonda tocca tutto l’essere umano: il suo intelletto, la sua affettività, il suo volere, ecc. La conversione invece superficiale non tocca il centro dell’uomo, ma solo l’esteriorità, per cui è legata alla forma: luoghi, celebrazioni, euforia, per cui venendo a mancare queste cose, l’individuo si sentirà deluso e ingannato.
Succede che nei gruppi di preghiera o nei movimenti sorti dopo il Concilio, l’individuo scopra una realtà che nella Chiesa « ufficiale », non ha mai trovato: la gioiosa euforia della preghiera, la cordialità dei membri, l’accoglienza del presidente, ecc. Tutte cose che lasciano nell’individuo un desiderio di aderire e di cambiare vita.
Se a tutto ciò non segue una lunga catechizzazione con la relativa maturità della fede, l’individuo non persevererà, ma se a tutto ciò seguirà una volontà di approfondire e di accettare la fede nel Cristo della resurrezione e della croce (kenosi e gloria non possono essere distaccate), allora la conversione sarà autentica e duratura poiché è stata inserita nell’intimo del cuore dell’individuo e lo ha portato all’opzione fondamentale, opzione questa che è capace di far superare all’individuo ogni disperazione e ogni peccato, dandogli la forza anche del martirio.
In un convertito del genere il peccato non sarà mai tanto forte da estirpare l’opzione per Cristo, per cui, mi sembra che in tale persona non possa regnare il peccato che genera la morte, come afferma Giovanni nella sua I lettera: « Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio » (1Gv 3,9), e ancora: « Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita;…c’è però un peccato che conduce alla morte… Ogni iniquità è peccato, ma c’è il peccato che non conduce alla morte » (1Gv 5,16-17).
Cosa è dunque il peccato che conduce alla morte?
A me pare che si possa definirlo come il peccato che toglie l’opzione per Dio, cioè conduce la persona al disprezzo di Dio e del suo piano di amore la salvezza dell’uomo.
E’ il peccato di autosufficienza che porta all’odio di Dio.
Sempre Giovanni ci aiuta a capire questa tremenda realtà: « Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio » (Gv 15,22-24).
Il peccato è dunque non credere in Cristo inviato dal Padre per la salvezza dell’uomo. Non è l’ateismo il peccato, ma il disprezzo, cioè l’odio per il piano di Dio. Colui che non crede che : « Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3,16), disprezza Dio, non gliene importa niente. La fede non è credere in Dio, perché anche i demoni credono in Dio e tremano ( cfr Gc 2,19), ma credere significa accettare Dio, rivelato in Cristo, quale signore e salvatore della vita dell’uomo.
Possiamo anche dire che esistono due generi di peccato: uno dovuto alla fragilità umana, l’altro invece dovuto al cuore dell’uomo che non accetta Dio come suo signore. Questo peccato è il peccato contro lo Spirito Santo che non può essere rimesso, non perché Dio non voglia, ma perché l’uomo non vuole, questo peccato conduce alla morte, e alla morte eterna.
Il ladro pentito sulla croce ha riconosciuto la signoria di Gesù e ha ottenuto immediatamente non solo il perdono dei peccati, ma anche la remissione della pena, ed entrato lo stesso giorno in Paradiso col Signore, l’altro ladro, invece, non ha voluto riconoscere nel Crocifisso, il Messia Signore, e non ne sappiano la sorte che gli è toccata (cfr Lc 23, 39-43).
Se dunque confesseremo con la nostra bocca che Gesù è il Signore, e crederemo con il nostro cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, saremo salvi (cfr Rm 10,9).

Publié dans:meditazioni, Ortodossia |on 31 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

OMELIA XVIII DOMENICA DEL T.O.

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2 AGOSTO 2015 | 18A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO B | OMELIA

18A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO 2015

Per cominciare
Prosegue la lettura del capitolo sesto di Giovanni, iniziata domenica scorsa. Dopo lo spettacolare miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù invita la folla a riflettere su colui che ha compiuto questo prodigio e di aprirsi a un altro pane, che li sfamerà per sempre.

La parola di Dio
Esodo 16,2-4.12-15. La liberazione dall’Egitto è stata grandiosa, ma il viaggio nel deserto si fa difficile e gli ebrei si lamentano con Mosè e Aronne, che chiedono pane e carne. Dio risponde mandando al popolo la manna e le quaglie.
Efesini 4,17.20-24. Agli Efesini Paolo ricorda che sono diventati nuove creature con il battesimo, abbandonando la precedente vita pagana e la loro vecchia condotta. E li esorta a non smettere di rinnovarsi e di vivere la vita nuova.
Giovanni 6,24-35. Dopo la moltiplicazione del pane, Gesù si ritira in un luogo solitario per pregare, ma la gente continua a cercarlo. Il miracolo li ha colpiti e sono vivamente interessati a non chiudere quell’esperienza. Gesù inizia con loro un dialogo che si farà man mano più intenso, nel quale rivelerà fino in fondo la propria identità.

Riflettere…
o La prima lettura di questa domenica, tratta dall’Esodo, si collega indubbiamente al vangelo. Il riferimento è alla manna e alle quaglie, ma anche alla figura di Mosè. Nell’episodio di Cafarnao la manna viene nominata cinque volte come simbolo del « pane di vita ». Ma in Giovanni è ben presente anche Mosè, che è ricordato per ben 13 volte nel suo vangelo.
o La manna, cibo che scende dal cielo, è stato un segno prodigioso dell’amore di Dio e venne considerata in seguito un cibo spirituale, che rimandava a significati più alti: « Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore » (Dt 8,2-3).
o Secondo alcuni biblisti, quaglie e manna potrebbero essere fenomeni naturali, essendo presenti ancora al giorno d’oggi. Le quaglie emigrano a stormi fra l’Africa, l’Arabia e i paesi del Mediterraneo e sostano anche nella penisola del Sinai. Quanto alla manna, sarebbe la secrezione biancastra di un arbusto che cresce nel deserto del Sinai, la Tamarix mannifera. « Dio avrebbe dunque nutrito il suo popolo facendogli trovare questi alimenti lungo il cammino; divennero il segno della sua protezione e del suo amore. Le quaglie e la manna apparvero, ai credenti, doni del cielo » (Ferdinando Armellini).
o Il capitolo sesto di Giovanni, che stiamo leggendo da domenica scorsa, è specialissimo. Non solo perché si distende per oltre 70 versetti (la liturgia, oltre a questa, ce lo proporrà nelle prossime tre domeniche), ma perché Gesù si concede alle folle intrecciando un dialogo spiritualmente ricchissimo e con gente che non appare particolarmente preparata a comprenderlo. Gesù si rivela loro apertamente, così come ha fatto con la samaritana, alla quale ha detto qualcosa che richiama da vicino questo momento: « Se uno beve l’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna » (Gv 4, 14).
o La folla va in cerca di Gesù. Lo cercano perché hanno mangiato e si sono saziati. Sono semplicemente curiosi e soprattutto interessati al pane materiale, al miracolo sensazionale. Non vanno oltre nei significati possibili del clamoroso prodigio a cui hanno assistito e partecipato. Sono perfino disposti a riconoscere che Gesù è l’atteso messia e a farlo re, perché scuota il giogo del dominio straniero e risolva i loro problemi. Ma non saranno disposti ad andare oltre.
o Il dialogo comincia con una domanda banale: « Rabbì, quando sei venuto qua? ». Gesù invece li provoca e li invita a « darsi da fare » non per ottenere ancora quel pane materiale destinato a perire, ma ad aprirsi a lui, che può dare un pane « che dura per la vita eterna ».
o La folla ancora una volta non pare capire, o non intende ancora sbilanciarsi, e domanda: « Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? ». Gesù risponde senza mezzi termini: Dovete credere che « io sono il pane che discende dal cielo, mandato dal Padre e che dà la vita al mondo. Pane che sfama per sempre ».
o Ma alla folla non basta il miracolo grandioso compiuto da Gesù, chiede nuovi segni per poter credere, segni più convincenti. Come se la moltiplicazione dei pani e dei pesci non reggesse il confronto con il miracolo della manna e delle quaglie dati al popolo da Mosè nel deserto per 40 anni.
o Gesù gioca quindi a carte scoperte e dice: « Sono io la manna che aspettavate ». Tra gli ebrei vi era una credenza secondo la quale il messia sarebbe venuto in una festa di Pasqua e allora sarebbe cominciata a cadere la manna dal cielo. Gesù precisa che non è stato Mosè a dare agli esiliati il pane del cielo, perché Mosè stesso se ne è cibato, come gli altri. È stato il Signore a dare la manna. Mosè ha solo riconosciuto l’origine del dono e ha invitato il popolo a ringraziare.
o Ed ecco l’invito proposto nel modo più esplicito: sollevatevi dal pane materiale, che può soddisfare la fame soltanto per un giorno e datevi a bisogni più alti. Voi cercate qualcosa che al momento vi interessa molto, ma ciò di cui avete bisogno è altro e non lo sapete.
o Certo nutrirsi ha la sua importanza. E Gesù lo ha ben dimostrato facendo il miracolo. Ma il suo non è stato soltanto un gesto di umanità, di solidarietà sociale. Agli ascoltatori, che credono di essere esonerati dalla fatica per il cibo quotidiano chiedendo: « Signore, dacci sempre questo pane » – esattamente come la Samaritana aveva chiesto l’acqua promessa per sentirsi sollevata dall’impegno di andare al pozzo ogni giorno (Gv 4,15) – Gesù chiarisce fino in fondo il senso del discorso: « Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! ». Egli è venuto da Dio, perché coloro che lo accolgono « abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza » (Gv 10,10).
o Dal punto di vista teologico, tutta la scena è orientata verso una fede esplicita nei confronti di Gesù e nello stesso tempo ha un chiaro significo eucaristico. Un’indicazione ci viene anche dal fatto che dal versetto 23 si parla di « pane » al singolare e non dei « pani ». E per esprimere l’azione di grazie, Gesù usa il verbo eucharisteo.

Attualizzare
* Gesù si rivela e si direbbe che lo faccia di preferenza con la gente semplice, meno complicata, a volte nemmeno in grado di capire. Pensiamo al discorso così profondo che ha intessuto con la samaritana (Gv 4,1-26), che poi si fa annunciatrice entusiasta del messia tra i suoi compaesani.
* Ma si rivela anche al notabile Nicodemo, che è incuriosito dalle parole e dai miracoli di Gesù. Anche quest’uomo trova difficile comprendere e accettare fino in fondo ciò che Gesù dice. In seguito però prenderà le sue difese davanti al sinedrio (Gv 7,50) e alla fine si occuperà della sepoltura di Gesù (Gv 19,39).
* Quella folla si ferma al miracolo, le basta il miracolo. Non immagina e non cerca altro che il prodigio e la possibilità di perpetuarlo. Così si erano comportati i dieci lebbrosi guariti da Gesù: solo uno, un samaritano, comprende e torna indietro per « lodare Dio a gran voce, e per prostrarsi davanti a lui, ai suoi piedi, per ringraziarlo » (Lc 17,15). Solo questo samaritano ha capito che più importante della guarigione è colui che ha il potere di guarire.
* Gesù si rivela come colui che è in grado di saziare la fame e spegnere la sete di ogni uomo. Noi ci rivolgiamo a tante fonti, siamo afferrati e spesso bloccati nella espansione del nostro spirito da tante cose che ci appesantiscono e ci condizionano.
* Dio ci dà anche il pane, cioè il necessario per vivere, e spesso anche di più, ma noi gli chiediamo altro, e ci comportiamo come bambini capricciosi che non vengono ascoltati nelle loro richieste, anche le più banali e inutili. Eppure Dio che « non esaurisce i nostri desideri, è fedele alle sue promesse » (Dietrich Bonhoeffer) e risponderà al nostro profondo bisogno di felicità e di autenticità.
* Altre volte non abbiamo fame, siamo sazi, indifferenti, apatici. È la malattia del consumismo. « Assicuratevi di portare con voi tutto il superfluo per il vostro inutile viaggio », ha scritto con ironia in vista dell’estate il quotidiano spagnolo El Pais.
* In compenso siamo denutriti nella fede. Non abbiamo il desiderio di ricercare, di approfondire, di vivere in una dimensione più a misura della nostra grandezza di figli di Dio. Ci basta il benessere assicurato, il conto in banca, una bella casa… Un piatto pieno di carne, la bocca piena di manna. Troppo poco per dare un senso alla nostra vita, per spegnere la nostra fame e la nostra sete. « Appena compresi che Dio esiste, capii che non potevo far altro che vivere per lui. Dio è così grande, c’è una tale differenza fra Dio e tutto ciò che non è Dio… » (Charles de Foucauld).
* Incontriamo oggi Gesù nella sua parola e nell’eucaristia. La parola diventa paradigmatica, le situazioni, i « sì » e i « no » attorno a Gesù, diventano i nostri « sì » e i nostri « no ». Le sue parole, che ci vengono riproposte, ci interpellano, ci sfidano, ci invitano a metterci sempre di più al suo seguito, alla sua scuola, a crescere nella fede in lui.
* La moltiplicazione dei pani si collega sicuramente all’eucaristia. Essa è il segno più esplicito che Gesù ci ha lasciato alla vigilia della sua Pasqua. Saremo invitati a rifletterci nelle prossime domeniche. Diciamo sin d’ora che non dobbiamo cadere nel facile tranello nel quale caddero i presenti alla moltiplicazione del pane. Dobbiamo vedere il pane e il vino dell’altare con fede, lasciandoci accompagnare dai riti, ma senza bloccarci nell’umile segno che è l’ostia, un piccolo pezzo di pane azzimo; e nemmeno nei vari riti che accompagnano la consacrazione.
* L’eucaristia non è solo un rito, né un oggetto di pietà, come un rosario o una candela. È Cristo stesso da vedere con gli occhi della fede. Il fatto strepitoso che Gesù continua a realizzare in ogni messa, ci faccia scoprire il suo volto con fede nuova, la possibilità di una esistenza più significativa, una nuova amicizia con Dio.

Il primo impulso dell’essere umano verso la felicità
« Nel suo essere frutto della terra e del lavoro dell’uomo, della natura e della cultura, il pane esprime il bisogno, ciò che davvero è necessario per vivere. Non a caso la parola pane indica cibo essenziale e non superfluo: quando diciamo che non c’è pane, evochiamo fame e carestia.
Chi mangia il pane con un altro non condivide solo lo sfamarsi, ma inizia con il condividere la fame, il desiderio di mangiare, che è anche il primo impulso dell’essere umano verso la felicità. E in tutto questo impariamo che la nostra fame non è solo di pane, ma anche di parole che escono dalla bocca dell’altro: abbiamo bisogno che il pane venga da noi spezzato e offerto a un altro, che un altro ci offra a sua volta il pane, che insieme possiamo consumarlo e gioire, abbiamo soprattutto bisogno che un Altro ci dica che vuole che noi viviamo, che vuole non la nostra morte ma, al contrario, salvarci dalla morte » (Enzo Bianchi, Il pane di ieri).

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA

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