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Interior of russian orthodox church. Candles under the ancient icon

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IL CUORE MATERNO DELL’ORTODOSSIA

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IL CUORE MATERNO DELL’ORTODOSSIA

Una piccola introduzione al culto mariano

di p. Vladimir Zelinskij

I volti di Maria
«Il cuore dell’ortodossia (soprattutto dell’ortodossia russa), forse, non si è mai espresso così pienamente, come nella venerazione della Madre di Dio e dei santi», dice il filosofo del XX secolo Vladimir Iliyn. «Tutta la nostalgia dell’umanità sofferente che non ha l’audacia di aprire il proprio animo davanti a Cristo per il timore di Dio, – fa eco un altro grande pensatore, Georgij Fedotov, – liberamente e con amore si versa sulla Madre di Dio. Assunta nel ramo divino fino alla dissoluzione con l’Altissimo, lei rimane, a differenza di Cristo, legata con il mondo umano, una madre compassionevole e protettrice».
Il volto ortodosso di Maria ha tante immagini che si trovano in una permanente correlazione. La Sua presenza riempie tutta la vita liturgica della Chiesa, ma anche la devozione personale dei fedeli. Sono davvero innumerevoli le espressioni della pietà mariana nell’anima ortodossa che con tante sfaccettature e sfumature portano verso lo stesso mistero: l’Incarnazione del Figlio di Dio. La Madre rivela che il senso del Verbo che si è fatto carne è davvero inesauribile e Lei fa vedere nella Sua persona la santità della carne della Creazione. La radice della venerazione di Maria è centrata nella fede e nell’amore verso il Suo Figlio, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), ma in mezzo agli uomini la luce assume la sostanza «materiale» di questo mondo. E la sua prima «materia» è stata la carne di sua Madre, piena dello Spirito. La luce di Cristo arriva come mistero insondabile, come Buona Notizia, come Volto di Cristo tornato a noi, ma anche come purezza della Vergine, tenerezza e protezione della Madre, Sua intercessione ed amore. Tutte queste sono le «sostanze» della Parola (o «impronte» dello Spirito) che entrano nell’anima e nel senso primordiale si fanno carne nell’anima come nella Chiesa.

«La maternità di Dio»
Maria è sempre presente accanto a Gesù ed illumina ciò che il grande teologo russo Sergej Bulgakov chiamò «la maternità di Dio». La rivelazione della maternità di Dio è un altro volto dell’amore di Dio. Maria è come «il canale» privilegiato dell’amore che sgorga sugli uomini. Perciò il fiume della lode e della gratitudine nei confronti di Maria non si esaurisce, anzi, con il tempo trova espressioni sempre nuove; di volta in volta si fa più ricco, più abbondante. Così i nomi delle icone esprimono a modo loro le varie sfaccettature dell’amore di Dio che parla attraverso la Vergine-Madre. Sembra che questi nomi cerchino di indovinare il Suo segreto : «La gioia inaspettata», «La ricerca dei perduti», «La Sollecitatrice per i peccatori», «Il fiume divino d’acqua viva»; «Odighitria» (Colei che guida), «Orante» (Colei che prega), «La Regina dei cieli»… e cosi via. La «fonte vivificante» delle immagini e delle parole nate in seno della fede ortodossa rivela il rapporto intimo con Dio che prende origine nella parola della Scrittura e ci porta altre immagini, che da secoli sono legate indissolubilmente con profezia a Maria : «il paradiso terrestre» (Gn 2,8-10), «il roveto ardente» (Es 3,1-8), «l’acqua dalla roccia» (Es 17,5-7) e tante altre. La fede ortodossa riconosce la Sua presenza ovunque il mistero del Dio Vivente e Misericordioso ci avvicina veramente.
Nella più profonda vita con Dio c’è un rapporto segreto fra il Figlio e la Madre, fra la Parola ed il silenzio, fra la fede fissata e conservata nelle formule conciliari ed il mistero, nascosto nella fonte stessa della fede. Dalla Parola andiamo al silenzio, da Cristo a Maria, dalla Chiesa all’anima e torniamo indietro perché lo Spirito della verità unisce queste realtà in sé come qualche cosa di inseparabile, ma anche di distinto. Il Padre stesso manda il Suo Spirito «che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3,17) e Gesù diventa concepito nei nostri cuori per mezzo della maternità di Maria. In Maria ogni cuore che «vive mediante la fede» (Rom 1,17) diventa madre e dimora della Parola.
Come dice San Massimo il Confessore: «Ogni anima che crede, concepisce e partorisce il Verbo di Dio, secondo la fede. Il Cristo è il frutto e noi tutti, siamo madri del Cristo».

La gioia del creato
Tutti i credenti hanno Maria come Madre e Cristo come fratello, ma questa maternità e questa fratellanza si aprono nella rivelazione dello Spirito Santo. È lo Spirito che fa vedere anche il miracolo della creazione nella figura umana di Maria.
«In Te gioisce, Colmata di grazia, tutto il creato, la compagine degli Angeli e la progenie degli uomini, o Tempio santificato e Paradiso razionale…» (Liturgia di San Basilio). Nel pensiero liturgico Maria è vista anche come incarnazione della gioia del creato. Ella porta sempre nella Sua memoria il momento eterno quando la creazione fu proclamata dalle labbra del Signore: «la cosa buona» – e il peccato non ancora l’aveva toccata. In Maria tutto il creato si ricapitola, torna alla sua bontà iniziale, sapienziale, quella dello Spirito. In Lei il mondo appare trasfigurato.
Perciò, oltre la preghiera, una delle espressioni principali della sapienza della fede è quella dell’icona. L’icona è l’autentica voce di Maria, l’immagine di ciò che è stato veramente visto e vissuto dalla Chiesa. L’icona è un ricordo escatologico di quel Regno che Dio ci ha preparato, di quelle cose «che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo…» (1 Cor. 2,9). Queste cose si scoprono con amore e l’icona cerca di vederle. L’icona in sostanza deve divenire il luogo visibile dell’abitazione dello Spirito che entra nel cuore degli uomini. Pregare con le icone vuol dire entrare in dialogo interiore con l’immagine – nel nostro caso quella della Madre di Dio. In altre parole: con il Verbo che parla tramite il Suo silenzio, con lo Spirito che si manifesta nel volto umano. E quel volto lascia il proprio sigillo nell’esistenza di colui che entra in rapporto con Dio.
L’icona è una «teofania» che procede dalla fonte sempre nascosta della fede; essa rende testimonianza di questa fonte con la luce che essa risveglia in noi e con la quale caccia «la tristezza dei peccati». La vera immagine di Maria è quella che fa scoprire il «progetto» di Dio su di noi. Quel «progetto» è di creare un uomo aperto a Dio, trasparente per Lui stesso, un «essere deificato» – e si realizza nella santità.

Il modello della santità
La santità nella visione ortodossa, se cerchiamo di esprimerla con la formula trinitaria, è anzitutto l’adozione nel Padre, la vita in Cristo, l’acquisizione dello Spirito Santo, ma anche la parentela con la Santa Vergine.
Uno che era davvero «carne della propria Madre», fu San Serafino di Sarov, uno dei più grandi mistici e santi russi. La figura di San Serafino porta in sé il suo segreto teologico. Egli conosceva non per sentito dire la presenza e la protezione di Maria: tante volte durante la sua vita, Ella stessa, circondata da molti santi, entrava nella sua cella (fatto attestato da molti testimoni oculari), per parlare con lui o per guarirlo. In ogni momento della sua vita Ella gli era sempre vicino.
In San Serafino dire «vita» equivaleva dire «la preghiera». La sua preghiera fu sempre «triado-centrica» e, secondo la tradizione ortodossa, con moltissime invocazioni mariane. San Serafino pregava il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma sempre davanti ad un’immagine della Madre, come se Ella dovesse portare la sua preghiera alla Santissima Trinità, come se Lei fosse mediatrice della sua supplica. Egli ha pregato per anni davanti alla sola icona chiamata «tenerezza» («u m i l e n i e» – La Vergine con le mani conserte, con gli occhi abbassati e senza il Bambino divino) e davanti ad essa morì. Un giorno la Madre di Dio apparve a Serafino in compagnia di San Giovanni Teologo e di altri santi. Rivolgendosi all’Evangelista definì il santo monaco come uno «della nostra razza» (o della nostra stirpe). La stirpe dei santi e della Madre di Dio era quella dello Spirito. Perciò tutti i doni dello Spirito – e per primo quello della fede –, sono portati o piuttosto «riempiti» da Maria, soprattutto nella vita dei santi.
Non si può neanche contare tutte le apparizioni di Maria ai santi, tutti i miracoli legati alle sue immagini nella storia della Chiesa ortodossa. A volte queste immagini nascono da un miracolo, come la salvezza inaspettata da un pericolo imminente. Le icone miracolose, quelle di Vladimir, di Kazan, di Pociaev, di Tichvin (solo in Russia si trovano alcune centinaia d’icone miracolose), tutte esprimono – in modo ogni volta diverso – il «messaggio» dell’intercessione, il segno della protezione, il mistero della mediazione.

La protezione
«La protezione», in russo «Pokrov», non è soltanto la memoria di un miracolo accaduto in passato, ma è la protezione materna – la quale fa parte della fede stessa che ci mette davanti l’occhio di Dio. Come tutte le feste, essa si ricollega ad un avvenimento mistico e storico: l’apparizione della Madre di Dio nella chiesa di Blacherne, nella Costantinopoli del X secolo. Accompagnata da una nutrita schiera di santi guidati da Giovanni Battista, Maria sarebbe stata vista da un «folle in Cristo», Andrea, e dal suo compagno Ephraim. Sollevato il suo velo (Pokrov), l’avrebbe poi disteso sui due uomini e sulla città di Costantinopoli in segno della protezione contro un attacco imminente delle nave nemiche.
L’idea della protezione è particolare nell’anima dell’ortodossia russa. Fra tutte le feste mariane (la Natività della Madre di Dio, l’Ingresso nel Tempio, L’Annunciazione, la Dormizione) anche dogmaticamente più importanti, «Pokrov» rimane una delle più amate. Nella maggior parte della Russia del Nord il «Pokrov», festeggiato il 14 ottobre (1 ott. secondo il calendario giuliano) coincide spesso con la prima nevicata. La terra si copre di un lenzuolo bianco. La bianchezza del manto di neve è come icona della purezza, di Colei che è senza macchia. Ma nello stesso tempo l’arrivo dell’inverno cela in sé una vaga angoscia: il freddo, la fame (il contadino russo doveva sempre pensare a come sopravvivere durante l’inverno). E questa angoscia si fonde con l’immagine della purezza e insieme danno origine ad una terza immagine, quella della morte. La neve è come negazione della vita precedente, un’altra vita nella prova. Ma il mistero della protezione è ancora più profondo, e la logica razionale non può esprimerlo che con il paradosso. Una delle preghiere mariane più amate nella Chiesa ortodossa, che il popolo canta spesso spontaneamente dopo il vespro, quando l’ufficio è finito, contiene la confessione: «Non abbiamo un altro aiuto, non abbiamo un’altra speranza oltre Te, la nostra Signora, speriamo in Te, lodiamo Te, siamo i tuoi servitori e non ne abbiamo vergogna.» Unico aiuto, unica speranza? Si può chiedere: ma dov’è il Cristo? Il Cristo è visto in Maria e Maria appare nel Cristo, senza confusione e senza divisione, nello stesso mistero della salvezza.

L’Eucarestia ed il tempo liturgico
Il mistero della protezione non si spiega, ma si chiarisce in un altro, quello dell’Eucaristia. La comunione con il Figlio nello Spirito Santo è rivolta a Dio-Padre e si svolge nella memoria e nel cuore di Maria, in cui l’unione perfetta con Dio, fu e rimane pienamente realizzata. Come dice la preghiera: «Facendo memoria della Tuttasanta, intemerata, più che benedetta, gloriosa Sovrana nostra la Madre di Dio e Semprevergine Maria insieme con tutti i santi, affidiamo noi stessi gli uni gli altri e tutta la nostra vita a Cristo Dio».
Gli ortodossi affidano a Maria anche il tempo della Chiesa con i suoi confini ben delineati. Quel tempo serve (diciamo con le parole di Platone) come «immagine mobile dell’eternità». È Maria che apre la finestra all’eternità condensata nella storia del Dio-uomo. Lei è l’accompagnatrice alla salvezza, perciò ogni preghiera indirizzata a Dio si rivolge anche a Maria, come se fosse Lei a fare sempre la mediazione di questa preghiera – che a volte può dire cose che il fedele non ha il coraggio di confessare al suo Giudice e Salvatore. Per questo motivo le preghiere, che dogmaticamente possono essere rivolte solo al Cristo, vanno spesso a Maria. In generale nell’ortodossia il linguaggio del cuore è più eloquente, più impegnativo di quello della ragione e la preghiera liturgica si azzarda spesso a pronunciare cose su cui la dogmatica tace o si esprime in modo un po’ diverso o più discreto. Questa piccola «divergenza» non è mai proclamata come principio, ma è vissuta proprio nel foro interno dell’esperienza spirituale e dà spazio al mistero mariano.
L’anno liturgico che inizia il primo settembre si apre con la prima festa mariana, quella della nascita della Madre di Dio (celebrata l’8 settembre) e finisce con la festa della Dormizione (il 15 agosto). Fra queste due feste passa tutta la storia della nascita, della vita terrestre, della Passione e della Risurrezione di Gesù Cristo. Liturgicamente tutto il tempo della Chiesa ortodossa ed il dramma della Redenzione si svolgono nell’ambito mariano creato dalle feste, dalle preghiere e dalle immagini. La preghiera e l’immagine sono i due modi umani per creare il mondo dove Dio manifesta la Sua presenza all’uomo, il tempio dell’incontro in cui il mistero dell’Incarnazione continua a vivere nella moltitudine delle sue dimore umane.

«Dimora santa», porta della salvezza
Fra di esse Maria è vista sempre come prima immagine dell’ineffabile presenza di Dio, l’abitazione splendida della divina Trinità:
«Vergine pura, – dice un inno bizantino, – noi ti esaltiamo con cantici, quale castissima dimora del Verbo, ricettacolo dello Spirito Santo e oggetto della compiacenza del Padre: per tuo mezzo, infatti, avvenne il contratto della nostra salvezza».
Questa dimora è anche un luogo dove l’uomo scopre sempre il mistero dell’amore di Dio rivolto a noi uomini. Di più: questo amore ci salva fino al punto che il nome di Maria diventa il nome della salvezza:
«Maria venerabile dimora del Signore, risolleva noi caduti nell’abisso di paurosa disperazione, di colpe e di afflizioni, perché Tu sei la salvezza dei peccatori, loro aiuto e sicura difesa, e Tu salvi i Tuoi servi» (Icona «Gioia inaspettata»).
La parola «dimora» cela in sé un triplice senso: cristocentrico, escatologico e soteriologico. Cristocentrico: perché «in Cristo… abita tutta la pienezza della divinità» (Col.2, 9) e noi adoriamo la Madre di Dio come abitazione, come luogo sacro di questa pienezza. Escatologico: perché «la pienezza della divinità» è il destino del «mondo che verrà» e noi vediamo in Maria il segno e la promessa di questa deificazione della stirpe umana quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor. 15,28). Soteriologico: perché «non vi è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (Atti, 4,12), ma il tempio dove questo nome è venerato «nello Spirito» è Maria.
Nel mondo liturgico ortodosso Maria ha tantissimi nomi che riflettono non soltanto il miracolo inesauribile della Sua presenza, ma tramite i Suoi nomi tutta la Chiesa di Cristo si fa intravedere. Così Cristo dice nel Vangelo : «Io sono la via» (cf. Gv 14,6), e la Chiesa si riversa in Maria: «Salve, o Priva di macchia, che hai generato la via della vita….» Cristo dice : «Io sono la verità» e la Chiesa in uno dei suoi inni ricorda le parole paoline (cf. Col 1,26): «Il mistero da secoli nascosto ed agli angeli stessi sconosciuto, per Te, o Madre di Dio, è stato manifestato agli uomini…». Cristo dice: «Io sono la vita» e la Chiesa canta : «Sappiamo Vergine, che sei l’albero della vita…». Alla verità aperta, proclamata rispetto al Cristo ed alla Redenzione si aggiunge un’altra verità che riguarda Maria. E spesso si tratta della stessa verità, ma che trova la sua espressione nelle preghiere mariane, poiché solo in questo modo discreto ed intimo si può esprimere la profondissima certezza della fede. Questa fede, a volte, venera Maria come un «alter ego» materno del Suo Figlio. Cristo dice: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv. 10,9), e la Chiesa glorifica continuamente Maria come porta mistica:

«Salve, unica porta per la quale solo il Verbo è passato…»
«O mistica porta della vita, purissima genitrice di Dio…»
«Madre di Dio, porta del cielo, aprici la porta della Tua misericordia…».

La salvezza entra per questa porta che è nello stesso tempo il dono fatto a Dio dagli uomini, come dice un inno del mattutino ortodosso.
«Cosa Ti offriremo, o Cristo, per esserTi mostrato sulla terra? Ognuna delle creature create da Te, Ti offre infatti la Sua riconoscenza: gli Angeli il canto; i cieli la stella; la terra una grotta; il deserto un presepio; ma noi una Vergine Madre!»

Publié dans:Maria Vergine, Ortodossia |on 28 juillet, 2015 |Pas de commentaires »

TU SEI PREZIOSO AI MIEI OCCHI (Is 43,4)

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=4672

TU SEI PREZIOSO AI MIEI OCCHI (Is 43,4)

da Giovani per i Giovani
Le parole del profeta Isaia ci interrogano: preziosi agli occhi di chi? vogliamo scoprire la preziosità del seme della nostra vita e osare l’avventura di portare frutto.
«Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni.
Io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore.
Sei degno di stima e io ti amo.
Non temere perché io sono con te.» (Is 43, 1.3-5).

GRAZIE: meraviglia e gratitudine
Il nome nella cultura ebraica indica l’identità, la persona… dire che Dio ci chiama per nome è dire la forza con cui gli apparteniamo, e la profondità della sua conoscenza di noi.
Come recita il salmo 139 il Signore ci scruta e ci conosce, alle spalle e di fronte ci circonda e pone su di noi la sua mano. Nemmeno le tenebre per lui sono oscure.
E’ Lui che ha creato le nostre viscere e ci ha intessuto nel seno di nostra madre. Ci ha fatto come un prodigio, sono stupende le sue opere, Lui ci conosce fino in fondo.
Quando ancora eravamo informi ci hanno visto i suoi occhi, quanto profondi per ciascuno di noi i suoi pensieri, quanto grande il loro numero… se li contiamo sono più della sabbia…
Tutto questo ci meraviglia, ci colma di stupore… a volte ci chiede perfino di cambiare lo sguardo su noi stessi… io un prodigio? Io amato e custodito? Con tutti i miei difetti, le mie fatiche, le mie ‘paranoie’? Noi a volte non ci amiamo… ma lui è più grande del nostro cuore.
Ma c’è qualcosa di ancora più sorprendente…
Sì, agli occhi del Signore siamo preziosi, siamo custoditi, vegliati, siamo stimati, siamo amati.
Siamo stati creati con cura, siamo conosciuti fino in fondo. E Dio ci considera così preziosi addirittura da dare tutto se stesso… “Cristo Gesù non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso […] apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce” (Fil 2,7-8). Sì in seno alla Trinità siamo così preziosi che la nostra salvezza è costata il sacrificio del Figlio, per la sua vita noi riceviamo la vita! Come non possiamo accogliere con stupore e gratitudine il Suo sguardo e le Sue cure?

SGUARDO: di Dio e degli altri
Le nostre relazioni sono porte aperte al mistero… o porte che lo pre-cludono. I nostri gesti, i nostri sguardi, le nostre mani collaborano e intessono con il Signore la preziosità della nostra vita che davvero si percepisce negli intrecci con tanti altri sguardi, nel lasciarsi amare e toccare da tanti altri volti.
“Pochi giorni fa una persona a me cara, nel sentirmi raccontare un sogno che si stava realizzando e che avrebbe portato ad un forte distacco da lei, improvvisamente ha lasciato scendere delle lacrime dai suoi occhi, ha iniziato a piangere. Imbarazzata mi ha chiesto scusa di questa sua debolezza, ma alla fine sono stato io a ringraziarla per quelle lacrime.
Quando qualcuno piange per te, per quello che sei, per il possibile distacco che potrà avvenire, si spalanca la verità di quella frase: Tu sei prezioso ai miei occhi… essa diviene realtà in un momento e intravedi in quegli occhi un’amore più grande, quello di Dio, che mischiandosi con quello umano vuole gridare a tutti: Tu sei prezioso ai miei occhi.”
Lo stupore di ciò che siamo per un altro, l’amore che viene accolto, o la gratitudine che vediamo nascere in un cuore amico, ci fanno percepire quanto in noi c’è qualcosa di grande, che ci supera, che non ci appartiene interamente… noi siamo più di quello che ‘ci siamo dati’, siamo di più di quello che da calcoli umani appare… siamo di più…
“Se provo a fare associazione di idee, penso ad episodi, situazione per capire in che momento e in che modo mi sento preziosa ecco che il centro dell’attenzione si sposta da me. La cosa può sembrare strana e devo dire che un mi sono stupita anch’io…mi sento preziosa quando faccio qualcosa che è prezioso per gli altri.”
“Mi sento preziosa quando i miei sforzi, il mio impegno, la mia dedizione hanno fatto qualcosa di grande. Potendo gioire della gioia di questa persona.”

BELLO!
Nel momento in cui diventiamo dono si spalanca il cuore alla gratitudine per ciò che di più grande si realizza a partire dal nostro piccolo gesto. La disponibilità spalanca la possibilità al Signore della vita di operare in noi e attorno a noi. In un certo senso diventiamo simili a Lui che è amore donato senza limiti! E noi siamo fatti per assomigliarGli! E’ qui che partecipiamo al mistero della bellezza … che si impone a tutti per la sua realtà, e allo stesso tempo parla a noi personalmente toccandoci il cuore.
“C’è la Festa da preparare, ti piacerebbe aiutarci per fare qualcosa di Bello?”. Già a questo punto il cuore si allarga perché qualcuno ha pensato proprio a te! L’idea di pensare e preparare qualcosa di grande e di bello, e soprattutto per tanti ragazzi, mi affascina e mi prende! E allora penso, lavoro, condivido, e pian piano salta fuori cosa fare, chi contattare, sorprese, momenti belli, i giochi, chi si occupa di cosa. […]
Finisce anche la Festa, anche se in realtà mi sembra di non averne preso parte: le battute, i momenti, le scene, i giochi, li sapevo a memoria, ma non ho visto niente!
E invece… uscendo i ragazzi mi passano vicino urlando, saltando e travolgendo ciò che capita a tiro, ma abbracciati, felici, pieni di gioia per la bella esperienza. Ho pensato: “E’ stata veramente una Bella Festa!”…
Il dono e la bellezza legati come le radici e il frutto: uno nascosto e silenzioso, l’altra splendente ed eloquente!
“Mi sono sentita preziosa… nel sacrificio per gli altri innanzitutto, ma secondo me conta come lo fai, non quanto grande sia o quanto importante… come l’ essere piccola e nascosta, senza vantarsi di essere al centro dell’ attenzione, perchè è proprio quando siamo piccoli che riusciamo ad essere grandi, e bastano gli occhi di un bambino che ti guarda mentre sei in coda alla cassa di un supermercato, o il sentirti serena perchè sai che hai fatto tutto quello che avevi in tuo potere per cambiare le cose, a farti capire che sei preziosa…
e anche mentre si prega, mi è capitato… non accontentarsi di una vita legata all’ abitudine e alla mediocrità, perchè oltre c’ è qualcosa, e per arrivare a costruire un grattacielo occorre avere la forza e la pazienza di cominciare dal mattone…”

IL SEME
Il seme è una bella metafora! Nel seme è presente tutta la futura pianta, ma non ne è la ‘brutta copia’, è pienamente promessa, desiderio e realtà… ad un tempo. Il seme è ‘un tutto’ e allo stesso tempo è chiamato a crescere. Importanti saranno il sole, l’acqua, le cure di un buon agricoltore perché possa fiorire il germoglio che poi crescerà ancora per divenire una pianta matura.
Così è per la nostra vita, siamo un po’ un seme che contiene i tratti, i desideri, le possibilità per la realizzazione piena… a patto però che si lasci innaffiare, che si lasci riscaldare, che si lasci raddrizzare da mani attente. Non c’è un tempo ‘incompiuto’, ogni tempo è pienezza e chiede di essere vissuto in una costante apertura, nella disponibilità ad essere coltivato, a portare frutto…
Nella disponibilità ad essere dono!
Un saggio educatore sa donare quella fiducia indispensabile per fiorire, per osare la scommessa dell’uscire da sé, dona quell’amore forte e liberante che fa sentire preziosi e unici, stimati e “capaci di” . Per questo l’educazione è un arte, come diceva don Bosco, che va a toccare le corde più profonde e collabora alla realizzazione di tutta la persona.
Il Signore per primo però è un sapiente educatore, ai cui occhi nulla rimane nascosto (Sir 17,13) ma che può realizzare in pienezza i suoi progetti per noi solo se gli lasciamo pienamente spazio ‘gli occhi del Signore sono su coloro che lo amano’ (Sir 34,16) e ‘Il Signore veglia su chi lo teme’(Sal 3,18). E non a caso la sventura maggiore è allontanarsi volontariamente ottenendo di essere scacciato dai suoi occhi (cfr Gn 2,5).
Il piccolo seme della nostra vita ha bisogno di uno sguardo amorevole per germogliare e avere fiducia!
Non temiamo i sogni grandi, non lasciamoli spegnere dalle delusioni… non lasciamo seccare i germogli promettenti che osano l’avventura della vita piena, donata, che amano la bellezza e rischiano l’impegno e il sacrificio di parteciparvi.
“Lasciate che questa sera io vi ripeta: ciascuno di voi se resta unito a Cristo, può compiere grandi cose. Ecco perché, cari amici, non dovete aver paura di sognare ad occhi aperti grandi progetti di bene e non dovete lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà. Cristo ha fiducia in voi e desidera che possiate realizzare ogni vostro più nobile ed alto sogno di autentica felicità. Niente è impossibile per chi si fida di Dio e si affida a Dio. Guardate alla giovane Maria!” (Benedetto XVI alla veglia di Loreto).
L’augurio allora è di restare nel Suo sguardo per scoprire che siamo veramente preziosi, e di prestare i nostri occhi a Lui perchè questo avvenga in ogni persona che ogni giorno incontriamo.

(GxG Magazine) novembre 2007 – autore: sr Francesca Venturelli

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