OMELIA XVI SETITMANA DEL t.o.

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OMELIA (19-07-2015)

don Michele Cerutti

Il Signore ci abitua con la sua Parola a non essere fermi, ma a smuoverci e lo fa con le sue provocazioni.
Lo fa oggi, in particolare, con il Profeta Geremia. Questo profeta esprime il suo oracolo contro i pastori di Israele. Essi sono colpevoli di aver mal governato il popolo di essersi disinteressati. Un oracolo che si conclude non con la minaccia, ma con la misericordia. Sì l’ultima parola non è dell’uomo è di Dio. Egli promette il Messia e la promessa viene mantenuta in Cristo Gesù. L’invettiva è rivolta ai governanti. Il rischio diventa allora quella di chi pensa di non essere toccato dall’oracolo. Papa Benedetto XVI, mercoledì delle ceneri 2013, pochi giorni prima del suo congedo dal soglio petrino, affermava la facilità con cui ci stracciamo le vesti per gli altri. La Parola di Dio ha, invece, la forza di scuotere la coscienza di tutti.
Abbiamo il compito di pensare tutte le volte che abbiamo dei ruoli da ricoprire che comportano delle responsabilità. Siamo in grado di portarli fino in fondo i nostri compiti? In ogni contesto dobbiamo portare avanti delle responsabilità e di queste rendiamo conto. Non dimentichiamo la nostra prospettiva cristiana quando ci facciamo prendere dal troppo zelo delle nostre responsabilità abbiamo il compito di ricordarci che Cristo ha vinto. La promessa messianica, a conclusione dell’oracolo, ha proprio questa prospettiva. La storia di ciascuno di noi è condotta da Cristo.
In questo mese di Luglio dovremmo ricordarci che siamo salvati da quel sangue sparso per la nostra salvezza. Paolo ne parla nella seconda lettura. Siamo dei salvati da un Dio che ha vinto il mondo. Siamo invitati a riscoprire il valore sacro di ogni persona umana anche nei momenti in cui assumiamo responsabilità nei confronti dei fratelli. Ricordiamoci che ancora oggi Cristo ha sofferto per l’uomo, ma continua a soffrire nell’uomo. C’è bisogno più che mai oggi di uomini e donne che, nel nome di Cristo, si pongano pienamente al servizio dei fratelli, con l’audacia di un amore che non calcola, pronti a spendersi nel dono della vita.
Gesù ci aiuta a comprendere questo con il suo stile indicato nel Vangelo. Prima di tutto Gesù nel Vangelo di Marco ci dice ancora una volta che per mettersi al servizio in maniera responsabile dei fratelli dobbiamo « stare con lui » (Mc 3,14). Lo fa questo invitando i discepoli a mettersi in disparte. Ogni attività deve avere inizio in Lui e compimento in Lui.
Rileggendo questo brano mi viene in mente un confratello che non conosco personalmente, ma ho potuto verificare con testimonianze. Questo confratello vive l’esperienza del carcere a Napoli come cappellano. Ogni volta che va in carcere tra i carcerati, prima di iniziare la sua missione si mette in contemplazione del Santissimo e così ogni volta che ritorna dalla sua missione si pone davanti all’Eucaristia. Il modello è quello di Don Guanella che compiva il suo ministero in questa dimensione di contemplazione all’inizio e alla fine di una giornata.
Attenzione lo « stare con Lui » o il mettersi in disparte è di tutti non solo di preti e suore. Il cristiano è chiamato a vivere lo stare con Cristo.
Penso al giudice Borsellino, di cui ricordiamo l’anniversario di uccisione, passava momenti di preghiera davanti a Gesù fermando la scorta davanti alle diverse Chiese di Palermo. Perché tutti abbiamo bisogno di Lui.
Attenzione il Signore non ci estrania. Gesù stesso nel momento in cui invita i discepoli a venire in disparte si offre alle folle che lo seguono e comprende che sono come greggi senza pastore. Gesù sa ciò di cui essi necessitano e si offre.
La spiritualità non è mai disincarnata. Oggi si propongono tante forme di spiritualità che sfociano nel New Age e che estraniano i soggetti dal contesto alla ricerca di ciò che è diverso anche dal punto di vista alimentare. La spiritualità si vive nella dimensione del comandamento dell’amore amare Dio e il prossimo.
Concludo con espressioni Bachelet scriveva nel 1973, ma attuale ancor oggi:
« E’ più che mai necessario insistere sulla unità dell’esperienza cristiana nella vita di ciascuno di noi. La pretesa di separare una dimensione « verticale » da una « orizzontale » nella vita e nell’impegno del cristiano è radicalmente contraria all’insegnamento evangelico che da’ il primato all’amore al Padre in Cristo ma ci chiede contemporaneamente, quasi a conferma di quell’amore, di amare Cristo nei fratelli. Tale unità va ancora più riscoperta e vissuta in un mondo secolarizzato, che, mentre potenzia la legittima autonomia dell’uomo nel costruire la sua civiltà, pone sempre in realtà nuovi e drammatici problemi morali e spirituali a chi voglia vivere con coerenza cristiana nella nuova civiltà che si sta costruendo ». E in un altro passo: « Per tutto questo non bastano momenti sentimentali di pietà; è necessario qualcosa di più radicato e profondo, perché il confronto con la vita quotidiana dimostrerà se la meditazione, se la preghiera gli hanno fatto vivere brevi momenti di ebbrezza spirituale (….) o gli hanno radicato così profondamente nel cuore la Parola di Dio, che questa lo sostiene e lo fortifica tutto il giorno e lo spinge ad un amore attivo, verso tutti i fratelli e verso la comunità in cui è chiamato a vivere per trasfigurarla ».

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