Archive pour le 26 juin, 2015

Marco 5, 21-43

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LA MORTE COME INCONTRO CON IL PADRE – GIOVANNI PAOLO II

http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01091999_p-20_it.html

LA CATECHESI DI GIOVANNI PAOLO II – (GIUBILEO 2000)

LA MORTE COME INCONTRO CON IL PADRE

Il significato della morte è stato il tema a cui il Pontefice ha volto l’attenzione, nella Catechesi di mercoledì 2 giugno. “Oggi – egli ha detto tra l’altro – è diventato difficile parlare della morte, perché la società del benessere è incline a rimuovere questa realtà il cui solo pensiero procura angoscia”. 1.Dopo aver riflettuto sul destino comune dell’umanità, quale si realizzerà alla fine dei tempi, vogliamo oggi volgere l’attenzione a un altro tema che ci riguarda da vicino: il significato della morte. Oggi è diventato difficile parlare della morte perché la società del benessere è incline a rimuovere questa realtà il cui solo pensiero procura angoscia. Infatti, come ha osservato il Concilio, “di fronte alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo” (Gaudium et spes, 18). Ma su questa realtà la Parola di Dio, seppure in modo progressivo, ci offre una luce che rischiara e consola. Nell’Antico Testamento le prime indicazioni sono offerte dalla comune esperienza dei mortali, non ancora illuminata dalla speranza di una vita beata oltre la morte. Si pensava per lo più che l’esistenza umana si concludesse nello “sheól”, luogo di ombre, incompatibile con la vita in pienezza. Molto significative a tal proposito le parole del Libro di Giobbe: “Non sono poca cosa i giorni della mia vita? Lasciami, sì ch’io possa respirare un poco, prima che me ne vada, senza ritornare, verso la terra delle tenebre e dell’ombra di morte, terra di caligine e di disordine, dove la luce è come le tenebre” (Gb 10,20-22). 2.In questa visione drammatica della morte si fa strada lentamente la rivelazione di Dio, e la riflessione umana si apre ad un nuovo orizzonte che riceverà luce piena nel Nuovo Testamento. Si comprende innanzitutto che, se la morte è quel nemico inesorabile dell’uomo, che tenta di sopraffarlo e di ricondurlo sotto il suo potere, Dio non può averla creata, perché non può godere della rovina dei viventi (cfr Sap 1,13). Il progetto originario di Dio era diverso, ma venne contrastato dal peccato commesso dall’uomo per influsso demoniaco, come spiega il Libro della Sapienza: “Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap 2,23-24). A questa concezione si richiama anche Gesù (cfr Gv 8,44) e su di essa si fonda l’insegnamento di san Paolo sulla redenzione di Cristo, nuovo Adamo (cfr Rm 5,12.17; 1 Cor 15,21). Con la sua morte e risurrezione, Gesù ha vinto il peccato e la morte che è sua conseguenza. 3.Alla luce di quanto Gesù ha compiuto, si comprende l’atteggiamento di Dio Padre di fronte alla vita e alla morte delle sue creature. Già il Salmista aveva intuito che Dio non può abbandonare i suoi servi fedeli nel sepolcro, né permettere che il suo santo veda la corruzione (cfr Sal 16,10). Isaia addita un futuro in cui Dio eliminerà la morte per sempre, asciugando “le lacrime su ogni volto” (Is 25,8) e risuscitando i morti a vita nuova: “Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa; la terra darà alla luce le ombre” (ivi, 26,19). Alla morte come realtà livellatrice di tutti i viventi viene così a sovrapporsi l’immagine della terra che, quale madre, si appresta al parto di un nuovo essere vivente e dà alla luce il giusto destinato a vivere in Dio. Per questo, anche se i giusti “agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità” (Sap 3,4). La speranza della risurrezione viene affermata magnificamente nel Secondo Libro dei Maccabei da sette fratelli e dalla loro madre, al momento di subire il martirio. Uno di loro dichiara: “Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo” (2 Mac 7,11); un altro, “ridotto in fin di vita, diceva: ‘E’ bello morire a causa degli uomini per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati’” (ivi, 7,14). Eroicamente, la loro madre li incoraggiava ad affrontare la morte con questa speranza (cfr ivi, 7,29). 4.Già nella prospettiva dell’Antico Testamento i profeti ammonivano ad attendere “il giorno del Signore” con animo retto, altrimenti esso sarebbe stato “ tenebra e non luce” (cfr Am 5,18.20). Nella rivelazione piena del Nuovo Testamento si sottolinea che tutti saranno sottoposti a giudizio (cfr 1 Pt 4,5; Rm 14,10). Ma di fronte ad esso i giusti non dovranno temere, in quanto eletti destinati a ricevere l’eredità promessa; essi saranno posti alla destra di Cristo che li chiamerà “benedetti del Padre mio” (Mt 25,34; cfr 22,14; 24,22.24). La morte che il credente sperimenta come membro del Corpo mistico dischiude la via verso il Padre, che ci ha dimostrato infatti il suo amore nella morte di Cristo, “vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,10; cfr Rm 5,7). Come ribadisce il Catechismo della Chiesa Cattolica, la morte “per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua Risurrezione” (n. 1006). Gesù “ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, … ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1,5-6). Bisogna certo passare attraverso la morte, ma ormai con la certezza che incontreremo il Padre quando “questo corpo corruttibile  si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità” (1 Cor 15,54). Allora si vedrà chiaramente che “la morte è stata inghiottita per la vittoria” (ivi) e la si potrà interpellare con atteggiamento di sfida, senza paura: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (ivi, 55). E’ proprio per questa visione cristiana della morte che san Francesco d’Assisi poteva esclamare nel Cantico delle Creature: “Laudato si, mi Signore, per sorella nostra morte corporale” (Fonti Francescane, 263). Di fronte a questa consolante prospettiva, si comprende la beatitudine annunciata dal Libro dell’Apocalisse, quasi a coronamento delle beatitudini evangeliche: “Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13).

OMELIA (28-06-2015) :

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/34910.html

OMELIA (28-06-2015)

FR. MASSIMO ROSSI

Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi. Le creature del mondo sono buone; in esse non c’è veleno di morte. Questa dichiarazione del Libro della Sapienza sprizza ottimismo e positività da tutti i pori! Questa dichiarazione del Libro della Sapienza smentisce tutti coloro che credono e insegnano che, se Dio ha creato tutto, ha creato anche il male; (smentisce tutti coloro che credono e insegnano) che Dio mette alla prova la (nostra) fede inviando sofferenze e calamità; (smentisce tutti coloro che credono e insegnano) che Dio provoca la rovina dei malvagi… Affermazioni come queste ridimensionano non poco la bontà infinita di Dio e al tempo stesso insinuano la malizia nel nostro DNA, quel veleno di morte che ammorba ogni atto, ogni parola, ogni pensiero umano… Mentre scrivevo l’omelia, la radio trasmetteva la notizia della tragedia di un barcone carico di profughi, salpato dalla Libia e rovesciatosi nel Golfo di Sicilia, provocando la morte di più di 700 persone, tra le quali, 50 bambini… All’improvviso l’euforia si è spenta. Come si fa a parlare della bontà di Dio e delle sue creature, quando si ascoltano notizie come questa? Lo scenario apocalittico cui assistiamo ormai da dieci anni e più non è imputabile a cause naturali; è una catastrofe provocata, favorita, alimentata dai calcoli politici, dagli interessi economici; in altri termini, dall’egoismo e dalla prepotenza degli uomini… E siamo colti anche noi, dalla tentazione di concludere che, alla luce di quanto accade oggi, come nei secoli passati, le parole che leggiamo e ascoltiamo a Messa, anche queste sono solo parole! Tutt’al più, si tratta pii desideri di uomini e donne sull’orlo della disperazione, i quali hanno bisogno, abbiamo bisogno di credere che Dio è buono, almeno Lui, e che non tutti gli uomini e le donne sono cattivi, schiavi del denaro, persone squallide, bestie più che persone… Eppure, il Vangelo ci chiede di continuare a credere nella bontà di Dio. La fede è necessaria proprio quando la situazione precipita, quando, umanamente parlando, le speranze non sono più sostenibili: quando una figlia, per la quale avevamo chiesto a Dio la guarigione, muore, quale speranza rimane? organizziamo un bel funerale, preghiamo per la pace dell’anima sua e la rassegnazione dei familiari. Invece, Gesù esorta il capo della sinagoga a non temere, la fede può ancora sostenere la sua preghiera. C’è sempre un buon motivo per continuare a pregare! e Dio può veramente aiutarci! Ma perché Dio ci possa aiutare, è necessario mantenere aperto il canale di comunicazione con Lui, e questo canale, questa comunicazione si chiama fede. Se avete fatto attenzione, il pensiero che muove la donna affetta da emorragie a toccare il mantello di Gesù non è soltanto la guarigione, ma la salvezza: la salvezza è categoria molto più vasta che la salute fisica. È come se la donna avesse firmato un assegno in bianco senza cifra, e chiedesse al Signore di scrivere Lui la cifra. È come se la donna avesse detto a Dio, in cuor suo: « Io lo so che tu mi ascolti, io lo so che farai qualcosa per il mio bene, ma so anche che Tu conosci meglio di me qual è il mio bene. Dunque, io ti prego, e lascio a te la decisione di cosa fare, di quale aiuto darmi. ». E, come la donna emorroissa continua a credere nella potenza risanatrice di Gesù, anche il padre della bambina continua a credere in Gesù, nonostante l’apparente irreparabilità del suo dramma. Quello che impariamo da questa pagina di Vangelo è che anche quando i nostri occhi non sono più in grado di vedere soluzioni ai problemi, anche quando sembra che tutto sia ormai perduto, Dio conosce vie di salvezza, soluzioni ulteriori. Del resto, anche gli apostoli, Pietro in testa, non capirono subito che cosa Gesù stava facendo, lo avrebbero capito soltanto dopo, a cose fatte (cfr. Gv 13). Il gesto della lavanda dei piedi fu per Gesù l’occasione per dichiarare ai Dodici che il Padre aveva comunicato al Figlio i suoi progetti, progetti di bene, ma questi progetti non erano, non sono immediatamente chiari…bisognava fidarsi, bisogna fidarsi! La fede si accorda a Dio, prima che intervenga, non dopo, una volta verificato il Suo intervento e la conformità dello stesso alle nostre preghiere. Anzi, è la fede (preventiva) che muove, per così dire, Dio ad agire per il bene nostro. L’episodio del paralitico calato dal tetto, col suo lettuccio, davanti a Gesù, affinché lo guarisse, è paradigmatico: il desiderio del miracolo era implicito; ma Gesù risponde: « Ti sono perdonati i tuoi peccati. » (Mc 2,1-12), lasciando verosimilmente sbigottito il malato e, con lui, i suoi amici… I farisei e i dottori della Legge presenti rimasero addirittura scandalizzati: « Chi si crede d’essere? Soltanto Dio può perdonare i peccati! ». In verità, il concetto cristiano di salvezza riguarda essenzialmente il perdono dei peccati. Ma, come al solito, le vie del Signore, i suoi pensieri sono molto, molto lontani dalle nostre vie e dai nostri pensieri. Noi pensiamo alla salute del corpo; Dio punta alla salvezza dell’anima. Il corpo è destinato a perire; l’anima, invece, è immortale. Il versetto conclusivo del Vangelo è ad un tempo tenero e assurdo: il Signore ordina ai genitori che diano da mangiare alla bambina: un indizio che Dio ha a cuore l’integrità di tutta la persona, non solo la parte spirituale. La raccomandazione insistente di mantenere il segreto su quanto era avvenuto è poco realista, dal momento che tutta la casa era affollata di parenti e conoscenti accorsi per manifestare il loro cordoglio alla famiglia… Inoltre il paese non dev’essere stato un grande paese. Infine quella bambina era figlia del capo della sinagoga, un uomo in vista, conosciuto e stimato da tutti… Come si poteva impedire che la notizia trapelasse? In realtà non si trattava di tener nascosta la notizia, ma di evitare che il miracolo assumesse un rilievo esagerato rispetto al suo valore reale; mi spiego: richiamare in vita un cadavere, un fatto certamente straordinario, non risolveva tuttavia il problema della morte! Sarebbe stata la risurrezione di Cristo a togliere l’ultima parola alla morte. Soltanto allora, quando cioè Gesù fosse risorto dai morti, l’annuncio della Pasqua avrebbe potuto risuonare in tutto il suo vigore, in tutta la sua portata salvifica. La Pasqua del Signore produce un cambiamento sostanziale nel cammino del Vangelo: dal silenzio spaventato si passa all’annuncio coraggioso; dal segreto, alla proclamazione apertis verbis. E qui casca l’asino! Siamo ancora poco chiari nell’annunciare il Vangelo, poco coraggiosi, troppo diplomatici… C’è ancora parecchio rispetto umano nella nostra predicazione… Rinnegare sé stessi! forse è questo il segreto dello specifico cristiano, ciò che chiamiamo ?differenza cristiana’. Imploriamo la forza dello Spirito Santo, l’unico vero, grande miracolo che Dio ha fatto a noi e per noi.

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