Archive pour le 12 juin, 2015

Parable of th mustard seed

Parable of th mustard seed dans immagini sacre mustardseed3

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Publié dans:immagini sacre |on 12 juin, 2015 |Pas de commentaires »

COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA TRATTO DA UNA ESEGESI

http://www.ildialogo.org/esegesi/esegesitxt_1339677064.htm

COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA TRATTO DA UNA ESEGESI

di Paolo Farinella, prete

La 1a lettura è un brano del profeta Ezechiele, un sacerdote di Gerusalemme, deportato in esilio a Babilonia insieme al re Ioachin dopo la disfatta del regno di Giuda ad opera di Nabucodònosor nel sec. VI a.C. Il profeta, uomo dalla fervente ed esuberante fantasia, si dedica a consolare il suo popolo oppresso e depresso, attento a quanto sta accadendo sullo scacchiere delle grandi potenze. Si profila all’orizzonte un nuovo impero, la Persia di Ciro (555-530 a.C.) che minaccia la stabilità di Babilonia che sconfiggerà una quarantina d’anni dopo, aprendo così uno spiraglio di speranza per i popoli esiliati. Il profeta s’inserisce in queste coordinate storiche per preannunciare un possibile ritorno e per mantenere alto il morale del popolo ebreo, parla per immagini, non fidandosi dell’ambiente che lo circonda.
Babilonia è equiparata ad un aquila che «venne sul Libano e strappò la cima del cedro» (Ez 17,3), cioè la tribù di Giuda1. Ora nella nuova condizione storica, un’altra aquila si profila all’orizzonte e Israele può ben sperare di mettere fine al suo esilio in terra straniera. Il nuovo re, Ciro, che il profeta Isaia non esita per lo stesso motivo a definire «il Cristo» del Signore (cf Is 45,1) nel 538 con un editto concederà la libertà ai popoli sottomessi da Babilonia, compreso Israele che viene autorizzato a ricostruire Gerusalemme e il suo tempio. Il popolo oppresso nell’oracolo del profeta diventa un «ramoscello» che il Signore prenderà «cima del cedro» (Ez 17,22) per piantarlo nuovamente nella terra promessa, rinnovando così una immagine antica che richiama il primo esodo: «una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata (Sal 80/79,9) e ripreso dal profeta Isaia come garanzia per il casato di Davide: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» (Is 11,1).
Il tema dell’albero è ricorrente nella Bibbia, da quello della vita nel giardino di Eden (cf Gen 2,9) che non è più un albero mitico, ma il «segno» dell’obbedienza alla parola del Signore (cf Gen 3,22) a quello dell’Apocalisse che porta frutto di eternità (cf Ap 2,7; 22,1-2.14.19). Sullo sfondo di questo sviluppo si svilupperà la riflessione del sapiente che privilegia la prospettiva morale come appello alla coscienza e quindi usando l’immagine dell’albero in chiave desacralizzata (cf Pr 3,18; 11,30; 13,12; 15,4). Il tema dell’albero cambia prospettiva con i profeti che la usano in chiave storica: l’albero è Israele che porta i frutti dell’alleanza (Is 5,1-7; Ger 2,21; Ez 15; 17,22; 19,10-14; Sal 80/79,9-20). L’esilio in Assiria o in Babilonia è espresso con l’immagine della recisione dell’albero che non porta frutto e viene gettato via (cf Gv 15,2.4.6), ma Dio non può venire meno alla sua fedeltà e allora interviene ancora e ripianta Israele nuovamente nella terra dei Padri (cf Ez 17,20-24).
Accanto a questa corrente profetica si sviluppa anche un secondo pensiero profetico che paragona il Re e di conseguenza anche il Messia ad un albero (cf Gdc 9,7-21; Dn 4,7-9; Ez 31,8-9); questo pensiero è comune in oriente perché espone l’idea della salvezza dei molti che trae origine dalla vita di uno solo: è la sostituzione vicaria per cui il re è la personificazione di tutto il suo popolo e ciò che vive lui, appartiene anche al popolo di diritto. I due destini sono connessi vitalmente. La riflessione d’Israele però non si ferma per cui anche il giusto, cioè colui che vive di e in Dio, è equiparato ad un albero rigoglioso e fruttifero: «È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo» (Sal 1,3; 92/93,13-14; Ct 2,1-3; Sir 24,12-22) perché è un albero che nell’econmia escatologica, Dio stesso irrigherà e renderà fecondo come mai (cf Ez 47,1-12).

OMELIA XI DOMENICA DEL T.O. : IL REGNO DI DIO È COME IL SEME CHE CRESCE E SI ESPANDE

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/8-Ordinario/11-Domenica-B-2015/08-11a-Domenica-B-2015-MM.htm

14 GIUGNO 2015 | 11A DOMENICA – T. ORDINARIO B | OMELIA

IL REGNO DI DIO È COME IL SEME CHE CRESCE E SI ESPANDE

Il brano del profeta Ezechiele e quello del Vangelo di Marco, che abbiamo ascoltato, sono tra loro strettamente collegati, per le immagini che usano (l’albero che cresce ed il seme, insignificante in sé, che diventa pianta), e per il messaggio che trasmettono (il Regno di Dio cresce e si espande in modo miracoloso).
Con la caduta del regno di Giuda nel 587 a. C. e la fine della dinastia di Davide, le speranze del popolo di Israele nella promessa del Messia, sembravano tramontate. Ma il profeta Ezechiele assicura che ciò che sembra umanamente impossibile, Dio lo farà: dalla cima del cedro abbattuto (che simboleggia la fine della dinastia di Davide) Dio prenderà un ramoscello (il Messia) e lo pianterà sul monte Sion, e « metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico ». Cioè: il regno del Messia sarà grande e aperto a tutti i popoli. Tutto questo è possibile solo grazie alla potenza di Dio; « Io, il Signore, ho parlato e lo farò » dice il Signore.
Con queste parole il profeta Ezechiele intende trasmettere al popolo di Israele, esiliato in Babilonia, un messaggio di fiducia e di speranza.
Analogo è il messaggio che ci viene dal brano del Vangelo di Marco, attraverso le parabole del seme che germoglia, indipendentemente dall’attività del contadino, e del granello di senapa che si sviluppa e diventa albero, nonostante sia il più piccolo tra i semi.
Le due parabole ci spiegano alcuni aspetti del Regno di Dio, un po’ paradossali e molto lontani dal nostro modo abituale di giudicare le cose.
L’espressione « Regno di Dio » era molto familiare presso gli Ebrei del tempo di Gesù, ed indicava la sovranità regale di Dio sul popolo di Israele che aveva coscienza di essere « proprietà di Dio »; che aveva stretto un patto di alleanza con Dio del quale aveva più volte, nel corso della storia, sperimentato l’intervento di salvezza contro i propri nemici.
L’espressione « Regno di Dio » aveva quindi un significato politico, tanto che i re stessi ricevevano l’autorità dall’alto e governava in nome di Dio. Dio era il re di Israele!
Sulle labbra di Gesù invece « Regno di Dio » non ha un significato politico, ma indica una realtà del tutto spirituale, anzi soprannaturale; significa la sovranità che Dio instaura sulle anime, mediante la liberazione dal peccato e dal dominio di Satana, con il dono della partecipazione alla stessa vita divina, per opera di Gesù.
Già dall’inizio della sua predicazione Gesù annuncia che il « Regno di Dio », così inteso, è lo scopo della sua missione, e che esso cresce silenziosamente fino alla sua piena maturazione, come il ramoscello di cedro di cui parla Ezechiele.
Con la parabola del granello di senapa Gesù insegna che il « Regno di Dio », cioè l’opera della salvezza dell’umanità, (il bene) inizia in maniera modesta, poco appariscente, ma diventa una realtà grandiosa, imponente, mondiale. E questo non per la capacità e l’organizzazione degli uomini, ma per la potenza intrinseca che il seme ha in se stesso.
Le parabole di Gesù sono quindi un invito alla fiducia, perché il Regno, la grazia di Dio, il bene, come il seme gettato nel terreno ed il granello di senapa, hanno una enorme potenzialità intrinseca.
Anche San Paolo, nel brano della sua seconda lettera ai Corinzi, invita alla fiducia, nonostante le tante difficoltà che lui stesso incontra nel suo apostolato.
Così è per noi. La grazia del Battesimo ci ha introdotti nel « Regno di Dio »; siamo rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo; Dio ha cominciato a regnare in noi; siamo sua proprietà. Agli occhi umani il « Regno di Dio », la vita divina in noi, è per nulla appariscente, ma è una realtà grandiosa: la ss. Trinità abita in noi!
San Paolo ci ricorda anche che dobbiamo essere riconoscenti del dono ricevuto, del quale un giorno dovremo rendere conto: « Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute, sia in bene che in male ».
Il pensiero del giudizio di Dio, del dover rendere conto del dono ricevuto, è salutare, ma il motivo che ci deve spingere ad agire sempre « come piace al Signore », e per « essere a Lui graditi », è l’amore.
Poiché sappiamo di essere amati da Dio, vogliamo ricambiarlo con il nostro amore.
Maria, la prima collaboratrice del « Regno di Dio », che in settimana onoreremo come Consolatrice nostra, ci aiuti ad essere operatori di bene, fiduciosi che il Signore dà sempre incremento a quanto seminiamo, con amore, nel suo nome.

D. Mario MORRA SDB

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