Archive pour le 10 juin, 2015

DAVID AND MUSICIANS

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SALMO 103 (102) – IL MAGNIFICAT DI UN PECCATORE PERDONATO

http://www.padresalvatore.altervista.org/Salmo103.htm

SALMO 103 (102) – IL MAGNIFICAT DI UN PECCATORE PERDONATO

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia;
egli sazia di beni i tuoi giorni
e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.

Il Signore agisce con giustizia
e con diritto verso tutti gli oppressi.
Ha rivelato a Mosè le sue vie,
ai figli d’Israele le sue opere.

Buono e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Egli non continua a contestare
e non conserva per sempre il suo sdegno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.

Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
come dista l’oriente dall’occidente,
così allontana da noi le nostre colpe.
Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.

Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
Come l’erba sono i giorni dell’uomo,
come il fiore del campo, così egli fiorisce.
Lo investe il vento e più non esiste
e il suo posto non lo riconosce.

Ma la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono;
la sua giustizia per i figli dei figli,
per quanti custodiscono la sua alleanza
e ricordano di osservare i suoi precetti.
Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono
e il suo regno abbraccia l’universo.

Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli,
potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti alla voce della sua parola.
Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere,
suoi ministri, che fate il suo volere.
Benedite il Signore, voi tutte opere sue,
in ogni luogo del suo dominio.
Benedici il Signore, anima mia.

Il Sal 103 (102) è un inno di benedizione di un peccatore che ha fatto l’esperienza del perdono.
Nella liturgia ebraica, il Sal 103 è utilizzato per la festa del Kippur, il giorno, appunto dell’espiazione e del perdono.
Nella liturgia monastica lo cantiamo ai vespri del mercoledì, impostati, anch’essi, sulla tematica del perdono.
La benedizione del peccatore che ha fatto esperienza della misericordia di Dio, abbraccia, a mo’ d’inclusione, tutto il Salmo:
parte dall’intimo del singolo fedele, che si sente gratuitamente perdonato (vv. 1-2),
fino a coinvolgere Angeli e creature, in una lode veramente cosmica (vv. 20-22).

Ed ecco la “sintesi dei benefici per i quali Dio va ringraziato:
perdona i nostri peccati per mezzo della propiziazione che è il Cristo (v. 3);
ti libera dalla morte dando per la tua morte il sangue del Figlio suo (v. 4a);
ti corona della grazia d’adozione (v. 4b).
ti dona la speranza della risurrezione col pegno dello Spirito (v. 5b).
Tutto questo sono i doni dello Sposo (Cristo) alla Sposa (Chiesa), e questa non porta che la propria fede” (EUSEBIO).
Dio non si limita a togliere il peccato al suo fedele, ma si fa Go ‘el di colui che ha salvato.
Il Go ‘el, nella Bibbia, è colui che ha il dovere e il diritto di riscatto, verso un Israelita caduto in disgrazia. Questo diritto dovere spetta prioritariamente al parente più prossimo; di conseguenza, Dio, in questo suo intervenire a favore del peccatore, è “come un padre” (v. 13), in tutti i sensi. Perciò non c’è malattia (v. 3), non c’è disfacimento d’età (v. 5b), che non siano sanate da questo Padre pietoso. Tutto ciò non è in contraddizione con la sua giustizia, anzi! “Proprio perché Egli è giusto, è anche compassionevole…conosce, infatti, la nostra debolezza…”, scriveva santa Teresa di Gesù Bambino nella Lettera 226, rifacendosi proprio al versetto 14 di questo salmo.
Dio sa sempre scusarci e perdonarci, come farà Gesù, suo Figlio, dalla Croce nei confronti dei suoi uccisori (Lc 23,34).
L’attualizzazione della misericordia paterna di Dio, di cui parla il Sal 103, la troviamo espressa in modo irraggiungibile nella parabola del Padre misericordioso, conosciuta come del figlio prodigo (Lc 15,11-32).
Nel v. 8, l’espressione: “Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore”, rivela la più alta esperienza di Dio. Il perdonato percepisce il Signore nella identità più intima, quella che Dio stesso rivelò a Mosè, sul Sinai, dopo il peccato del vitello d’oro (Es 34,6). Allora, come adesso, possiamo dire, con il preconio pasquale: “Felice colpa, che ci hai fatto incontrare un tale Redentore!”. Dio perdonando si manifesta quale Egli è: Amore viscerale, fedele, materno.
Così la storia di un individuo che riceve il perdono, si inserisce nella Storia della salvezza, che ha riguardato, Mosè ed Israele (v.7), Cristo e tutte le Nazioni.
Pregando questo Salmo, possiamo percepire tutta la verità delle affermazioni di santa CATERINA da SIENA: “L’affronto più crudele che si possa fare a Dio, è quello di pensare che il delitto della creatura sia più grande della bontà del Creatore”.
È stato questo, in definitiva, il vero peccato di Giuda: credere che il suo tradimento non potesse essere perdonato dal Maestro, che moriva anche per lui.
Mi piace citare un’attualizzazione di EUSEBIO, che prende sul serio l’equiparazione della vita monastica alla vita angelica. Commentando il v. 20a: “Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli”, egli scrive:
“All’inizio lo Spirito divino invitava l’anima umana a benedire Dio. Ora, dopo aver parlato delle dimore celesti destinate ai fedeli, passa con molta naturalezza agli spiriti celesti, perché questi fanno festa per ogni peccatore che si pente (Lc 15,7.10). O anima mia, sei ben poca cosa tu per benedire il Signore, mentre questi spiriti potenti… E quelli che conducono sulla terra la vita degli angeli (cioè i monaci) han più possibilità ancora che altri di lodare Dio. Quando ci si pensa, si sarebbe tentati di dire: Lasciamo ai migliori questa cura! Cediamo il posto a persone più degne! No, ciascuno al proprio posto loda Dio nella creazione: quelli che sono fatti a immagine di Dio come te, ed anche gli esseri inanimati lo celebrano con la loro bellezza. Questo concerto incita anche me a celebrare il Creatore”.

PAPA FRANCESCO – LA FAMIGLIA – 18. FAMIGLIA E MALATTIA

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150610_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 10 giugno 2015

LA FAMIGLIA – 18. FAMIGLIA E MALATTIA

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

continuiamo con le catechesi sulla famiglia, e in questa catechesi vorrei toccare un aspetto molto comune nella vita delle nostre famiglie, quello della malattia. E’ un’esperienza della nostra fragilità, che viviamo per lo più in famiglia, fin da bambini, e poi soprattutto da anziani, quando arrivano gli acciacchi. Nell’ambito dei legami familiari, la malattia delle persone cui vogliamo bene è patita con un “di più” di sofferenza e di angoscia. E’ l’amore che ci fa sentire questo “di più”. Tante volte per un padre e una madre, è più difficile sopportare il male di un figlio, di una figlia, che non il proprio. La famiglia, possiamo dire, è stata da sempre l’“ospedale” più vicino. Ancora oggi, in tante parti del mondo, l’ospedale è un privilegio per pochi, e spesso è lontano. Sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne che garantiscono le cure e aiutano a guarire.
Nei Vangeli, molte pagine raccontano gli incontri di Gesù con i malati e il suo impegno a guarirli. Egli si presenta pubblicamente come uno che lotta contro la malattia e che è venuto per guarire l’uomo da ogni male: il male dello spirito e il male del corpo. E’ davvero commovente la scena evangelica appena accennata dal Vangelo di Marco. Dice cosi: «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati» (1,29). Se penso alle grandi città contemporanee, mi chiedo dove sono le porte davanti a cui portare i malati sperando che vengano guariti! Gesù non si è mai sottratto alla loro cura. Non è mai passato oltre, non ha mai voltato la faccia da un’altra parte. E quando un padre o una madre, oppure anche semplicemente persone amiche gli portavano davanti un malato perché lo toccasse e lo guarisse, non metteva tempo in mezzo; la guarigione veniva prima della legge, anche di quella così sacra come il riposo del sabato (cfr Mc 3,1-6). I dottori della legge rimproveravano Gesù perché guariva il sabato, faceva il bene il sabato. Ma l’amore di Gesù era dare la salute, fare il bene: e questo va sempre al primo posto!
Gesù manda i discepoli a compiere la sua stessa opera e dona loro il potere di guarire, ossia di avvicinarsi ai malati e di prendersene cura fino in fondo (cfr Mt 10,1). Dobbiamo tener bene a mente quel che disse ai discepoli nell’episodio del cieco nato (Gv 9,1-5). I discepoli – con il cieco lì davanti! – discutevano su chi avesse peccato, perché era nato cieco, lui o i suoi genitori, per provocare la sua cecità. Il Signore disse chiaramente: né lui, né i suoi genitori; è così perché si manifestino in lui le opere di Dio. E lo guarì. Ecco la gloria di Dio! Ecco il compito della Chiesa! Aiutare i malati, non perdersi in chiacchiere, aiutare sempre, consolare, sollevare, essere vicino ai malati; è questo il compito.
La Chiesa invita alla preghiera continua per i propri cari colpiti dal male. La preghiera per i malati non deve mai mancare. Anzi dobbiamo pregare di più, sia personalmente sia in comunità. Pensiamo all’episodio evangelico della donna Cananea (cfr Mt 15,21-28). E’ una donna pagana, non è del popolo di Israele, ma una pagana che supplica Gesù di guarire la figlia. Gesù, per mettere alla prova la sua fede, dapprima risponde duramente: “Non posso, devo pensare prima alle pecore di Israele”. La donna non recede – una mamma, quando chiede aiuto per la sua creatura, non cede mai; tutti sappiamo che le mamme lottano per i figli – e risponde: “Anche ai cagnolini, quando i padroni si sono sfamati, si dà qualcosa!”, come per dire: “Almeno trattami come una cagnolina!”. Allora Gesù le dice: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (v. 28).
Di fronte alla malattia, anche in famiglia sorgono difficoltà, a causa della debolezza umana. Ma, in genere, il tempo della malattia fa crescere la forza dei legami familiari. E penso a quanto è importante educare i figli fin da piccoli alla solidarietà nel tempo della malattia. Un’educazione che tiene al riparo dalla sensibilità per la malattia umana, inaridisce il cuore. E fa sì che i ragazzi siano “anestetizzati” verso la sofferenza altrui, incapaci di confrontarsi con la sofferenza e di vivere l’esperienza del limite. Quante volte noi vediamo arrivare a lavoro un uomo, una donna con una faccia stanca, con un atteggiamento stanco e quando gli si chiede “Che cosa succede?”, risponde: “ Ho dormito soltanto due ore perché a casa facciamo il turno per essere vicino al bimbo, alla bimba, al malato, al nonno, alla nonna”. E la giornata continua con il lavoro. Queste cose sono eroiche, sono l’eroicità delle famiglie! Quelle eroicità nascoste che si fanno con tenerezza e con coraggio quando in casa c’è qualcuno ammalato.
La debolezza e la sofferenza dei nostri affetti più cari e più sacri, possono essere, per i nostri figli e i nostri nipoti, una scuola di vita – è importante educare i figli, i nipoti a capire questa vicinanza nella malattia in famiglia – e lo diventano quando i momenti della malattia sono accompagnati dalla preghiera e dalla vicinanza affettuosa e premurosa dei familiari. La comunità cristiana sa bene che la famiglia, nella prova della malattia, non va lasciata sola. E dobbiamo dire grazie al Signore per quelle belle esperienze di fraternità ecclesiale che aiutano le famiglie ad attraversare il difficile momento del dolore e della sofferenza. Questa vicinanza cristiana, da famiglia a famiglia, è un vero tesoro per la parrocchia; un tesoro di sapienza, che aiuta le famiglie nei momenti difficili e fa capire il Regno di Dio meglio di tanti discorsi! Sono carezze di Dio.

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