La Città di Davide ai tempi del Tempio di Erode, Modello di Terrasanta (Gerusalemme)

http://www.artcurel.it/ARTCUREL/TERRASANTA/gerusalemmesimboloerealta.htm
CARD. CARLO MARIA MARTINI
GERUSALEMME : SIMBOLO E REALTA’
La Gerusalemme celeste e la Gerusalemme storica
La Gerusalemme celeste (Ap 21, 1-22, 5)
Siamo nella parte finale dell’Apocalisse, dedicata alla descrizione della Gerusalemme celeste, a cui seguirà la conclusione. Il nuovo ordine di cose, instaurato dalla morte e risurrezione di Cristo, è disegnato attraverso due grandi fasce di simboli.
Quelli della creazione e del paradiso di Genesi 1-2, dove si parla di « nuovo cielo », « nuova terra », « ogni cosa nuova ». Il profeta Isaia annunciava « una cosa nuova » (43,19), qui viene fatta « ogni cosa nuova », la nuova creazione. Al tema sono connessi i simboli del fiume nel paradiso, dell’acqua che sgorga, dell’albero che dà vita (cfr. Gen 2) e anche quelli della nuova città, descritta da Ezechiele dal capitolo 40 al 48 (risuonano pure passi del Deuteroisaia e di Zaccaria), che è senza tempio, meglio è tutta tempio, tutta dimora di Dio. Dunque, due fasce di simboli: della creazione e della restaurazione di Israele come nuova città.
Vorrei sottolineare tre momenti di questa presentazione: il momento di contrasto, il nuovo ordine di cose e i simboli più specifici della nuova città.
Il momento di contrasto
Il contrasto è evocato fin dall’inizio con le parole: » Allora io vidi » e, in seguito, con le parole: « E vidi poi venire dal cielo ». I Non si tratta però di una prima visione, perché fa parte di visioni descritte nei versetti precedenti (« vidi poi venire », « vidi ») e che annunciano la scomparsa di tutti gli elementi negativi della storia (cfr. Ap 20), riassunti nella morte e negli inferi. Tale scomparsa, annunciata poco prima, è ripresa nel nostro brano: scompariranno le lacrime, non ci sarà più morte né lutto né lamento ne affanno perché le cose di prima sono passate (21, 4 ); i vili, gli increduli, gli abietti, gli omicidi, gli immorali non entreranno nel nuovo ordine di cose (v. 8).
Viene quindi proclamato quel giudizio di Dio che è l’inizio del nuovo ordine di cose, giudizio formulato in base a due criteri: le opere compiute, registrate nel libro, e l’iniziativa salvifica divina espressa con l’immagine dell’iscrizione nel libro della vita.
Perciò i versetti immediatamente precedenti, richiamati in 21, 4.8 e anche in altri capitoli, presentano quale premessa della visione di Gerusalemme, della nuova città, lo sfondo della distruzione del male operata dalla croce di Cristo, distruzione del male che è frutto positivo della croce. La croce ha messo fuori gioco l’universo spirituale costituito dalla ribellione a Dio, per- mettendo la nascita di un ordine nuovo e di un nuovo universo di valori delineati a partire dall’inizio del capitolo 21.
Il nuovo ordine di cose
Il nuovo ordine di cose lo leggiamo in 21, 1-5, ed è presentato con le parole: « nuovo cielo e nuova terra » (« In principio Dio creò il cielo e la terra », Gen 1, 1). Un nuovo ordine spirituale e morale, nel quale siamo collocati. E la cosa nuova è anche la città santa, la nuova Gerusalemme, simbolo del nuovo ordine di grazia e di misericordia instaurato da Dio. La città discende dal cielo perché il nuovo ordine è puramente gratuito, non è opera di uomini, bensì di Dio che lo fa e lo dona.
È una città ed è pure una sposa adorna per il suo sposo, pronta per le nozze, bellissima, così come la sposa di cui parlava Ezechiele al capitolo 16, 8ss: vestita di ricami, calzata con pelli di tasso, cinto il capo di bisso, ricoperta di seta, adorna di gioielli. Così va immaginata questa sposa che nell’ Apocalisse è veramente e pienamente fedele.
E lo sposalizio, che fa parte dell’ordine nuovo, è l’alleanza richiamata al v. 3, dove è evocato Lv 26, 11 (« stabilirò la mia dimora in mezzo a voi »), insieme ad altri brani dell’Antico Testamento sull’alleanza, per dare questa visione complessiva: Dio dimorerà tra di loro, essi saranno il suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro.
Di fronte a tale visione, noi ci domandiamo: riguarda il presente o il futuro? Queste parole sono compiute?
Al v. 6 è scritto: « Ecco, sono compiute! ». Tuttavia si potrebbe pensare a un’anticipazione profetica, a un passato che riguarda il futuro.
In realtà, per il principio ermeneutico, io leggo qui molto più volentieri la descrizione di ciò che è compiuto nella morte e risurrezione di Gesù. Non quindi un ordine nuovo di cose che verrà, ma un ordine che è e che viene e nel quale tutti siamo già dentro.
Siamo già nell’alleanza, siamo già la nuova città che scende dal cielo, siamo già la sposa pronta per lo sposo, pur se non ancora in pienezza; fin da ora, nella passione e risurrezione di Cristo, tutto è compiuto e si compie in coloro che sono in lui.
Alcuni simboli della città celeste
I simboli di questo nuovo ordine di cose sono espressi soprattutto nella cosiddetta seconda descrizione della Gerusalemme celeste, che inizia al v. 9.
Sembra quasi di essere di fronte a un doppione, perché viene ripresentata la città che scende dal cielo; l’autore finale non se ne preoccupa, anzi, ritiene di dover ripetere le stesse cose proprio per farci penetrare nella coscienza che siamo in una realtà nuova instaurata dal mistero pasquale di Cristo.
Al v. 10 la santa città « che scende dal cielo, da Dio » è contemplata dal veggente mentre si trova su un monte grande e alto. Nei versetti successivi, sul simbolo base della città si sviluppano almeno cinque linee simboliche, continuamente riprese.
La prima è quella della luce, della gloria di Dio che irradia sulla città e la rende totalmente trasparente, colma della sua presenza, così da non aver più bisogno di un centro luminoso come il tempio: l’intera città è luce.
Il secondo elemento simbolico è il grande, alto muro, con le sue fondamenta, che dà le dimensioni della città.
Il terzo è quello delle dodici porte, con le loro scritte e i loro ornamenti.
Poi l’elemento del fiume, che attinge al racconto della Genesi.
Infine, gli alberi con i frutti e le foglie: l’albero della vita.
Mi limito a ripercorrere le prime due linee simboliche, nel desiderio di mostrare l’unità dell’insieme, l’unico messaggio che viene ripetutamente presentato.
La città, al v. 10, è dunque risplendente della gloria di Dio e il v. 11 commenta tale splendore, simile a quello di gemma preziosissima, quale pietra di diaspro cristallino.
Il tema della luce è ripreso al v. 18: la città è di oro puro, simile a terso cristallo; per questo (v. 23) non ha bisogno della luce del sole ne della luce della luna, dal momento che la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’agnello.
Al v. 24 la luce diviene il riferimento per tutta l’umanità: « Le nazioni cammineranno alla sua luce ».
Il nuovo ordine di cose nel quale siamo, il regno di Cristo che già si instaura, è splendore attraente della gloria del Padre e dell’agnello. È una realtà luminosa in cui vivere è bello perché dà sicurezza, respiro, chiarezza, gioia, e « non vidi alcun tempio in essa » (v. 22), perché il Signore Dio onnipotente e l’agnello so- no il suo tempio. La trasparenza di Dio è tale che Dio è percepibile in ogni luogo, lo si incontra ovunque. La conversione cristiana è propria di chi entra in questo nuovo modo di vedere le cose, di chi accoglie la rivelazione della gloria di Dio e si lascia illuminare dalla sua luce.
Il muro è descritto, al v. 12, come grande e alto. Al v. 14 si dice che « le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello ». Mura assai singolari, che danno alla città un’impensabile altezza, misurata con una canna d’oro; la città ha una forma strana, tutta simbolica, la forma di un quadrato dove la lunghezza è uguale all’altezza e alla larghezza. Si tratta di un cubo di oltre cinquecento chilometri di lato, e le mura hanno uno spessore di oltre sei chilometri. Dunque, un’ampiezza smisurata, un’estensione e un’altezza inimmaginabili per una città. E se ne dice poi la ricchezza incalcolabile: le mura sono costruite con diaspro, le fondamenta delle mura adornate di pietre preziose.
Contempliamo così una città capace di accoglienza senza limiti, una città che dà un agio e una sicurezza che non hanno paragone. In essa si è pienamente sicuri e ci si sente molto ricchi nella sfera divina, nell’essere in Cristo, in questa luce di Dio.
Se continuassimo la riflessione sugli altri simboli, ci accorgeremmo che ciascuno aggiunge qualcosa al significato della conversione cristiana e, mentre prelude alla piena manifestazione di Dio nel suo Regno – che è indescrivibile a parole -, ci invita già a chiederci se veramente abbiamo la coscienza di vivere in questa nuova realtà, se abbiamo la coscienza della bellezza, della ricchezza, della sicurezza, della luminosità, dell’apertura, della disponibilità della realtà nella quale siamo essendo in Cristo, essendo con lui nel Padre, nel mistero trinitario.
È interessante rileggere i versetti conclusivi della descrizione dei simboli, dove viene sottolineato l’effetto del nuovo ordine di cose instaurato dalla morte e risurrezione di Gesù: « Le nazioni cammineranno alla sua luce e ire della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. Non entrerà in essa nulla di impuro, ne chi commette abominio e falsità; ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello » (vv. 24-27).
La nuova Gerusalemme è il punto di riferimento che dà senso a tutta la storia umana, è il punto di arrivo di tutte le nazioni e di tutti i popoli, è la città ideale aperta e pronta a ricevere tutti, è la città che esclude ogni impurità e ogni falsità, che affratella nazioni e popoli amano amano che vengono immersi in questa pienezza luminosa che è la manifestazione di Dio, del suo amore senza limiti. Le misure della città sono alla dismisura dell’altezza, lunghezza, larghezza della carità di Cristo e superano ogni comprensione.
Il cristiano che legge l’Apocalisse
Per il cristiano che legge l’Apocalisse, ogni pagina dei capitoli 21 e 22 è un modo di dire il suo essere in Cristo, le ricchezze che fin da ora gli sono date quale primizia, anticipo, pregustazione di ciò che sarà definitivo e in parte già lo è. Possiamo chiederci come tale ricchezza tocca l’attuale Gerusalemme storica.
Chi ama questa Gerusalemme e tutte le città storiche che partecipano alle sue sofferenze, comprende la risposta alla domanda, anche se non è facile esprimerla in maniera razionale e logica. Provo comunque a farlo: la Gerusalemme attuale è attratta dalla forza dei simboli al di là di se stessa e quindi ha un suo destino; destino di cui è simbolo, destino da cui è attirata verso la pienezza alla quale richiama continuamente con il suo nome e con la sua storia. In altre parole, c’è una permanente tensione dialettica tra la Gerusalemme storica e la Gerusalemme celeste; l’una richiama l’altra e quella celeste attrae quella della storia e, con essa, attrae tutta la storia umana.
Conclusione
Domandiamoci a che cosa ci stimola la visione che abbiamo cercato di contemplare.
A me pare che stimoli anzitutto a scoprire la pienezza in cui siamo e a esserne grati a Dio: pienezza che è il cammino storico dell’umanità, che si rivela a noi quale cammino positivo, di senso, e non soltanto di pura attesa, ma cammino già di partecipazione alle ricchezze inestimabili, inesauribili di Cristo, come singoli, come gruppo, come città, come società e come umanità.
Se, con la grazia del Signore, con gli occhi della fede, ci sforziamo di scoprire la pienezza in cui siamo, dobbiamo lasciarci trascinare da questa dinamica storica. Dinamica che ci indica dove la storia va e ci aiuta a capire come anticiparla nel- la fraternità e nella giustizia, sperando e operando affinché, attraverso la vittoria del bene sul male, anzi traendo il bene dal male, la luce della Gerusalemme celeste irradi e dia gioia e sicurezza fin da ora a tante persone che camminano con noi.
Ancora, la visione che abbiamo cercato di contemplare ci stimola a coinvolgere la Gerusalemme storica, e tutte le città che soffrono delle sue sofferenze, in questo cammino che trascina il mondo verso la definitiva pienezza.
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[Tratto da: Lettura ecumenica della Parola, 9-10 settembre 1994, in AA.VV. Gerusalemme patria di tutti, EDB, Bologna 1995]
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/88063
CANTO GREGORIANO: I PENSIERI SEGRETI DI JOSEPH RATZINGER
Sono ben spiegati da un grande esperto di musica liturgica: Giacomo Baroffio. Col gioco di un immaginario discorso scritto dall’attuale papa e di una richiesta di perdono rimasta nel cassetto del predecessore
di Sandro Magister
ROMA, 9 ottobre 2006 – Poniamo che il documento che segue sia il discorso che Benedetto XVI ha preparato in vista della prossima festa di santa Cecilia, patrona della musica, che cade ogni anno il 22 novembre.
A scovarlo e a trasmetterlo come tale a www.chiesa è stato il professor Giacomo Baroffio, uno dei maggiori specialisti al mondo di canto gregoriano e di musica liturgica.
Assieme a questo testo, Baroffio ci ha trasmesso anche un altro inedito: la richiesta di perdono che Giovanni Paolo II avrebbe scritto per la festa di santa Cecilia del 2003, ma che poi avrebbe rinunciato a pronunciare.
Al posto di quel discorso penitenziale, il 22 novembre di quell’anno papa Karol Wojtyla firmò invece – per davvero – un chirografo sulla musica sacra che Baroffio giudica molto deludente: “una commemorazione accademica che si trascina stanca da una citazione all’altra di documenti magisteriali”.
Più sotto, in questa pagina, sono riprodotti alcuni passaggi di quella richiesta di perdono di Giovanni Paolo II che non ha mai visto la luce.
Ma anche il discorso di Benedetto XVI qui dato in anteprima non sarà mai pronunciato.
Perchè quello escogitato dal professor Baroffio è un gioco.
Un gioco però molto serio.
Il pensiero di papa Joseph Ratzinger sulla musica liturgica è noto: l’ha spiegato negli anni in articoli, libri e discorsi.
Sono noti anche i bisogni, le attese e le difficoltà della Chiesa in questo campo.
L’immaginario nuovo discorso attribuito a Benedetto XVI è la logica somma di questi due dati.
Discorso non vero, dunque, ma verosimile. Ideato come gioco, ma espressivo di un sogno che con questo papa può divenire realtà.
Eccolo:
”Non lascerò deluse le vostre aspettative…”
di “Benedetto XVI, 22 novembre 2006”
Diletti fratelli nell’episcopato! Cari musicisti di Chiesa! Ho l’immensa gioia di accogliere da ogni parte d’Europa una folta rappresentanza dei musicisti impegnati nel servizio liturgico. Saluto tutti voi che siete venuti qui a nome personale o quali testimoni qualificati di numerose associazioni e gruppi. Per tutti permettetemi di porgere un cordialissimo benvenuto ai giovanissimi artisti bavaresi, i “Domspatzen” che hanno arricchito di decoro le celebrazioni che ho presieduto nel duomo di Ratisbona, e alla presidenza della “Consociatio Internationalis Musicæ Sacræ” con cui ho collaborato più volte.
Conoscete tutti la mia passione per la musica e molti di voi conoscono forse le pagine dove ho fissato le riflessioni sulla liturgia e sulla musica durante la mia missione di docente universitario e il mio ministero di pastore a Monaco e a Roma. Da parte mia ho letto con interesse, talora con non celato stupore e fremito, alcune pagine che esprimevano vari giudizi, desideri e timori quando sono stato chiamato a succedere al beneamato pontefice e mio predecessore Giovanni Paolo II. Vescovo oggi di Roma, proprio perché sento una particolare propensione per la musica, permettetemi di rivolgermi a voi con familiarità e semplicità, direi quasi con la confidenza che abbatte diffidenze e timori tra amici.
È mio fermo convincimento che nella Chiesa cattolica l’impegno musicale sia scarso. Ciò dipende certamente da aspetti musicali quale, ad esempio, può essere qui in Italia, l’analfabetismo diffuso al quale sono condannati i giovani che non trovano nell’istituzione scolastica un adeguato aiuto formativo. Il problema, a mio modesto avviso, è tuttavia ben più grave e trascende il campo della musica; riguarda tutto il nostro continente e il mondo intero.
Dove non c’è profondo interesse per la musica sacra è perché prima ancora non c’è attenzione alla liturgia. Una perversa infiltrazione mondana ha stravolto l’ordine delle cose e ha favorito il sorgere e il diffondersi di un nefasto convincimento: la liturgia sarebbe una serie di operazioni culturali fatte dall’uomo secondo i propri gusti individuali, come piace, quando piace, se piace. Si è perso il senso mistico di ciò che nella Chiesa e per la vita della Chiesa è stato – ed è ancora – l’”Opus Dei”: l’opera che noi realizziamo nei confronti di Dio elevando a Lui la nostra preghiera, ma prima ancora – ed è la cosa più importante, l’essenziale – è quanto lo Spirito di Dio realizza nel nostro cuore e porta a compimento quando nella sua totalità della nostra persona siamo trasfigurati e resi capaci di rivolgerci a Dio con il dolce appellativo di “abbà”, babbo.
La liturgia non è un momento che si possa relativizzare nel cammino di fede, che si possa fare od omettere a piacimento, e neppure può essere manipolata e stravolta nell’affannosa ricerca di trovare adesione e plauso. La liturgia è un momento privilegiato e unico nella storia della salvezza: vede come protagonista Cristo Signore che ci chiama alla sua sequela attraverso il nascondimento di Nazareth e la vita pubblica negli impegni sociali, nel diffondere la buona novella delle Beatitudini e nello stupore silenzioso dell’adorazione. La liturgia è prima di tutto fare memoria della passione morte risurrezione del Signore che ha aperto il suo cuore confidando i segreti più intimi attraverso le parole del Vangelo.
Per questi motivi, cari amici, la vostra formazione di musicisti di Chiesa non può limitarsi alle esercitazioni corali, allo studio dello strumento e all’approfondimento delle tecniche compositive. Anche nel vostro itinerario formativo c’è una priorità: una rigorosa e insieme appassionata presa di contatto con la Parola di Dio. Questo impegno trova un suo sostegno nello studio della vita della Chiesa e del divenire storico dei riti liturgici, del loro significato teologico e spirituale. Queste conoscenze non devono certo limitarsi alla sfera di uno sterile nozionismo, ma sono l’inizio di un cammino verso la maturazione interiore che introduce alla sapienza spirituale, al gusto delle cose di Dio, a percepire la realtà e il valore della liturgia nella vita quotidiana.
Penserete allora: tra poco il papa ci dirà che dobbiamo cantare solo il canto gregoriano. D’istinto lo direi, e con grande commozione. Ma mi trattengono due considerazioni: la prima, tragica – conosco il peso di questa parola! – è che pochissime comunità sarebbero oggi in grado di svolgere un programma musicale impegnativo in modo dignitoso. Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: il canto gregoriano, quello che noi oggi cantiamo a una sola voce, è quanto di più difficile ci sia da interpretare in modo creativo. Penso, tra l’altro, alla linea semplice della salmodia: la sua esecuzione limpida richiede una tensione spirituale e una correttezza verbale che si acquisiscono solo in un diuturno impegno sul fronte della preghiera personale e del canto comunitario.
La seconda considerazione: il canto gregoriano costituisce un’esperienza fondamentale e ancora attuale nella vita della Chiesa come, in misura diversa, può dirsi anche della polifonia sacra. Ma la vitalità della Chiesa, che pure si manifesta nell’attualizzare oggi l’esperienza orante del passato (non perché è del passato, ma perché i nostri padri hanno raggiunto un valore di perenne attualità), esige una sapiente composizione sinfonica tra “nova et vetera”, tra conservare et innovare.
Alcuni di voi resteranno delusi, ma occorre fare delle scelte oculate e prudenti in questo momento particolarmente critico nella vita della comunità cristiana. Essa è smarrita, confusa, ha perso o non trova precisi punti di riferimento. Non ritengo opportuno dire che questo o quello è vietato. Penso che le catechesi del magistero ecclesiale e le norme del diritto canonico siano già sufficientemente esplicite e chiare. Sono convinto che la cosa più urgente da fare sia il ricupero dell’identità cristiana attraverso un rinnovato impegno spirituale.
Musicisti di Chiesa, prima di cantare, suonare e comporre qualche brano che serva alla glorificazione di Dio e alla santificazione della vostre assemblee, pregate, meditate sulla Parola e sui testi della sacra liturgia. Pregate. Ritagliatevi spazi di silenzio per l’adorazione, inginocchiatevi davanti all’Eucaristia, regalatevi ore di adorazione attonita. Il rinnovamento della musica sacra esige una profonda pietà che sboccia dall’ascolto della Parola e dalla preghiera che da essa deriva. Gettiamo le fondamenta per un rinnovato edificio ecclesiale che si distingua per bellezza e armonia, luminosità e trasparenza.
Affinché questo cammino trovi un impulso concreto e fattivo, vorrei rivolgere un pressante invito a voi, miei diletti fratelli nell’episcopato. Curate la formazione del clero! Aiutate i seminaristi a divenire ministri della Parola e non freddi burocrati e meri organizzatori. Sia incoraggiato ciascuno a trovare il tempo dell’”otium” necessario a coltivare le letture che non servono direttamente a passare gli esami scolastici, ma che sono necessarie alla formazione integrale della persona: letture di testi poetici, letture e ascolto della musica, letture delle opere delle arti pittoriche e scultoree, letture delle architetture che danno il senso degli spazi interiori protesi non verso l’alto, bensì verso l’Altissimo.
Nei seminari sia coltivata la musica quale scoperta ed esperienza vissuta di inedite e sconfinate vibrazioni interiori. Sia cantato ogni giorno in modo dignitoso qualche brano del patrimonio gregoriano anche nell’intento di fornire ai nuovi pastori d’anime il senso del canto liturgico. Essi acquisteranno così un solido criterio di valutazione per accogliere in futuro nuove composizioni, differenti sì nel linguaggio, ma simili nel significato spirituale.
Non vi trattengo oltre, cari amici, ma vi assicuro che siete presenti al mio cuore. Non lascerò deluse le vostre aspettative per un rinnovamento della musica sacra. Spero di potervi donare tra non molti mesi un documento ufficiale, forse un’enciclica o forse un “motu proprio”. Penso a un testo che affronti in modo positivo e sistematico le questioni della musica sacra, una “magna charta” che delinei l’universo liturgico e la sua musica, fornisca spunti di riflessione teologico-spirituali e chiare linee operative.
Cari musicisti di Chiesa! Spero di ritrovarvi presto pervasi di quella sensibilità che rende tutti voi attivi collaboratori nel campo del Signore. Bandite concordi la zizzania effimera della banalità e dello squallore, coltivate i fiori della bellezza rigogliosa che espande il profumo dello Spirito. Le vostre voci siano profezia della Parola che annuncia un’alba radiosa di speranza nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.