Archive pour avril, 2015

1A DOMENICA: S. PASQUA – T. DI PASQUA 2015 – OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/7-Pasqua/1a-Domenica-S_Pasqua-B-2015/10-01a-Domenica-S_Pasqua-B-2015-UD.htm

1A DOMENICA: S. PASQUA – T. DI PASQUA 2015 – OMELIA

Per cominciare

Pasqua, festa delle feste, trionfo della fede. Domenica che dà senso a tutte le altre domeniche. Mistero che ci rivela profondamente chi è Gesù, la sua identità ultima e il nostro destino, l’irrompere di Dio nella Storia e nella nostra vita.

La Parola di Dio

Atti degli apostoli 10,34a.37-43. « Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui », dice Pietro a Cornelio, dando ragione della propria fede e di ciò che ha vissuto dopo la Pasqua del Signore. « Dio lo ha risuscitato al terzo giorno », racconta Pietro, « e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti ». È la fede degli apostoli che ora si manifesta così diversa e sicura, dopo l’abbandono e il tradimento.
Colossesi 3,1-4. « Cercate le cose di lassù », dice Paolo ai Colossesi, dal momento che siete anche voi risorti con Cristo. Datevi a una vita nuova per condividere la gloria di Gesù.
1 Corinzi 5,6b-8. Di fronte a un grave scandalo tra i cristiani di Corinto, Paolo interviene duramente perché un seme negativo non guasti quella comunità. Poi esorta tutti non solo a evitare il male, ma a diventare lievito di vita nuova, a essere con la propria vita testimoni del Signore Risorto.
Giovanni 20,1-9. È l’alba del primo giorno della settimana, e Maria di Magdala va a prendersi cura di un cadavere, ma trova la tomba vuota e va a dirlo agli apostoli. Corrono alla tomba Pietro e Giovanni, si rendono conto di tutto, riflettono su ciò che è successo e si accende in loro la fede. Maria rimane presso la tomba e incontrerà per prima il Risorto.

Oppure per l’anno B: Marco 16,1-7. Secondo Marco, sono tre le donne che vanno al sepolcro il mattino di Pasqua, vedono la tomba vuota, e un angelo annuncia loro la risurrezione di Gesù. L’angelo le manda ad annunciare la risurrezione agli apostoli, ma le donne, spaventate e tremanti per la paura, non dicono niente a nessuno.

Riflettere…
o « Sì, i cristiani possono dire ai loro fratelli che all’alba di un primo giorno della settimana, il 9 aprile dell’anno 783 dalla fondazione di Roma, che sarebbe diventato l’anno 30 della nostra era, alcuni discepoli di Gesù, innanzitutto delle donne, poi anche qualcuno dei dodici, hanno trovato vuota la tomba in cui era stato deposto Gesù di Nazaret, il loro rabbi condannato e crocifisso il venerdì precedente » (Enzo Bianchi). È quella tomba vuota che permette ai discepoli e alle donne di rileggere le parole dei profeti, e quelle dello stesso Gesù, per giungere alla fede nella risurrezione.
o Pasqua è prima di tutto la sorpresa di questa tomba vuota. Le donne il primo giorno della settimana vanno a completare quello che non è stato possibile fare dopo la deposizione dalla croce. Vanno per prendersi cura di un cadavere e vedono la pesante pietra ribaltata, la tomba vuota, angeli che parlano loro della risurrezione di Gesù e le invitano a farsi testimoni di lui presso gli apostoli.
o Il secondo elemento di forza della Pasqua di Gesù è la trasformazione degli apostoli. Essi, che nel momento della passione e morte si sono comportati da paurosi, da vigliacchi e traditori, sorpresi e delusi per l’umiliazione di Gesù, ora, anche se a fatica e ancora dubitando, si fanno progressivamente coraggiosi testimoni della risurrezione.
o Tutto cambia. Pietro, che non voleva lasciarsi lavare i piedi da Gesù, perché il messia non poteva abbassarsi a tanto, ed era rimasto scioccato dalla inattesa umiliazione della croce, ora eccolo sicuro di sé, testimone coraggioso, insieme agli altri apostoli. Non temono di affrontare il sinedrio e le autorità ebraiche, di essere imprigionati e maltrattati. Dicono di non poter tacere ciò che loro hanno visto con i loro occhi: affermano con decisione che Gesù è vivo ed è risorto, che è il Salvatore, il Figlio di Dio.

Attualizzare
* Se la bellezza del creato suscita stupore, e i miracoli di Gesù ci riempiono di ammirazione, il mistero pasquale ci riempie di meraviglia e di gioia. Tutta la liturgia pasquale è attraversata da questi sentimenti e ci fa rivivere il prodigio senza precedenti che è la risurrezione di Gesù. Dall’Exultet cantato in questa notte in tutte le chiese, all’alleluja che ritorna come un ritornello di fede gioiosa: Gesù è veramente risorto! È su questo fatto che si fonda tutta la fede di noi credenti. aLeggiamo nel salmo responsoriale: « La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto prodezze… la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo… ». È Gesù la pietra scartata dai costruttori e che Dio ha glorificato.
* Questa gioia e stupore la troviamo anche in Pietro, che annuncia nella casa del centurione Cornelio le meraviglie di Dio. Pietro ricostruisce la vita di Gesù, ricorda che si è conclusa drammaticamente: « Lo uccisero appendendolo a una croce! », ma Dio si è preso la rivincita sulla crudeltà e ottusità degli uomini: Dio lo ha risuscitato il terzo giorno…
* Pietro si sente il primo testimone di questo fatto prodigioso della risurrezione dell’Eterno Vivente, che compie all’infinito gesti di risurrezione per chi crede in lui: « Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome ».
* La storia è piena di uomini di buona volontà e di profeti. Ma Gesù non è semplicemente un grande uomo, un taumaturgo, un uomo buono e misericordioso, un uomo di comunione. È il Figlio di Dio, il Signore della vita. Anche la sua morte in croce, con tutta la sua drammaticità, non farebbe di Gesù altro che un profeta straordinario e fedelissimo a Dio. È la risurrezione che toglie ogni dubbio alla sua figliolanza divina, è la sua risurrezione il sigillo che autentica pienamente da parte di Dio la sua missione.
* « Quale segno ci dai? », gli hanno chiesto. E Gesù ha risposto: « Distruggete questo tempio e io lo ricostruirò in tre giorni. E parlava del tempio del suo corpo ». « Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio ». Così Paolo ai Corinzi. Poco prima aveva detto: « Gesù apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto » (1Cor 15,5-15).
* Tutto il brano del vangelo appena proclamato è pervaso di stupore e di meraviglia. L’evangelista Matteo usa un genere letterario particolare per mettere maggiormente in evidenza la singolarità della autenticità storica della risurrezione. Le donne vanno visitare un cadavere, non si aspettano nulla. Vanno a piangere su una tomba, ma Gesù si presenta loro vivo: «  »Salute a voi! », dice. Ed esse si avvicinano, gli abbracciano i piedi e lo adorano. Gesù dice loro: « Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno » (Mt 28,9-10).
* Le donne adorano per prime e sono le prime annunciatrici del mistero, di questo evento fondamentale, quasi a sottolineare il ruolo che la donna può avere nella chiesa e soprattutto il primato dell’amore, perché è l’amore che le spinge a rimanere unite a Gesù anche dopo la sua morte.
* Gesù risorto diventa per noi principio di vita nuova. È in lui che siamo battezzati e otteniamo il perdono. È perché lui è risorto che dobbiamo elevare la nostra vita e vivere di fede: « Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, non quelle della terra », ci dice Paolo (seconda lettura). Anche noi, come gli apostoli, siamo chiamati a produrre frutti di novità, passare da una fede incerta a una fede che ci renda suoi testimoni.
* Dalla Pasqua infine un messaggio di gioia senza misura. Tutto è possibile, la gioia esiste, la vita trova un senso, il destino dell’uomo non è un tunnel senza uscita. Nonostante i quotidiani acciacchi che ci mandano in crisi, nonostante di interrogativi sul dolore e la sofferenza che ci fanno dubitare della bontà di Dio, noi siamo autorizzati a coltivare la gioia profonda che nasce da una vita che, nonostante tutto, non perde il suo senso, perché siamo oggetto di un grande amore e di un progetto più grande di noi che ci coinvolge.

« Devo proprio dirlo a mio marito! »
Il cardinale Biffi racconta ciò che gli è capitato dopo una sua lezione di teologia tenuta a Milano sulla risurrezione di Gesù. È stato così convincente, che una donna alla fine è andata a sincerarsi e a chiedere conferma: « Davvero Gesù si è presentato vivo dopo essere stato ucciso? ». E alla conferma del cardinale, la donna ha concluso: « Devo proprio dirlo a mio marito! ». La settimana seguente, la signora si è ripresentata dal cardinale e gli ha detto che cosa aveva risposto suo marito: « Avrai certamente capito male! ».

Umberto DE VANNA

Gesù nell’orto degli ulivi

Gesù nell'orto degli ulivi dans immagini sacre I%20stazione

http://www.santamariagorettimestre.it/I%20stazione.html

Publié dans:immagini sacre |on 2 avril, 2015 |Pas de commentaires »

UNA MATERNITÀ « PASQUALE »

http://www.stpauls.it/madre/1204md/celebrando.htm

UNA MATERNITÀ « PASQUALE »

«La pietà dei figli della Chiesa ha la certezza che Cristo risorto apparve, dapprima, a sua Madre».

Se il mistero dell’umana redenzione inizia pienamente nella Pasqua di risurrezione del Signore, Maria, la donna gloriosa degli inizi e aurora della salvezza, quale ruolo svolge in questo nuovo e definitivo evento? Quello della nuova Eva: Madre del nuovo Adamo nel suo natale e « socia generosa » del Redentore (cf LG 61) nel triduo santo, allorché accompagna e condivide il sacrificio del Figlio per «il riscatto dell’umana famiglia» (cf Prefazio, Collectio Missarum BVM 12). La nascita di Gesù capo a Betlemme guarda alla Pasqua, quando la maternità della Vergine si estende alle membra del corpo ecclesiale del Figlio e all’umanità intera; si manifesta pienamente nella Veglia pasquale e si prolunga nella Chiesa nascente riunita nel Cenacolo. Non senza fondamento omelie pasquali dei Padri parlano della Madre presente alla risurrezione del Figlio. Libri liturgici antichi riportano riferimenti mariani nella notte di Pasqua e nel Tempo pasquale. La Chiesa di Roma prevede la venerazione di lei nel triduo, nella Veglia pasquale e il giorno di Pasqua.

1. Madre del Cristo totale. Proprio a Pasqua si ha la manifestazione concreta della maternità divina della Vergine estesa alla totalità del corpo di Cristo. L’Angelo della risurrezione annuncia alle donne: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso! » (Mc 16,6), ossia l’annunciato a Maria, il « nato santo » dalla Vergine (cf Lc 1,35). Ma ora l’annuncio pasquale comprende anche i discepoli, ricevuti da Maria come figli presso la croce e « rinati santi » nel battesimo la notte di Pasqua. Ma Gesù risorto è apparso alla Madre? La Madre ha visto il Figlio risorto? Presente al Calvario, ella è presente anche nella notte della risurrezione?
Il celebre biblista Marie-Joseph Lagrange (+1938), in sintonia con molti Padri della Chiesa e altrettanti studiosi contemporanei, osserva: «La pietà dei figli della Chiesa ha la certezza che Cristo risorto apparve prima alla sua santissima Madre… Maria appartiene a un ordine trascendente dove è associata come madre alla paternità divina su Gesù». San Luigi Maria di Montfort (+1716) spiega: «Ogni vero figlio della Chiesa deve avere Dio per padre e Maria per madre » (Segreto di Maria, 11), poiché «il capo e le membra nascono da una stessa Madre» (Trattato della vera devozione a Maria, 32). Ella a Pasqua è riconosciuta madre del Risorto e dei credenti, colei che accoglie il Figlio e i figli. Ma allora la maternità di Maria è duplice?
2. Madre presso la croce. Come la nuova nascita di Gesù è preludio della sua rinascita a Pasqua, così la maternità di Maria a Betlemme, a Pasqua tende all’universalità, al pari della paternità divina di Dio. Sì! La maternità di Maria è duplice e fondata su un duplice annuncio. Per Giovanni Paolo II la profezia di Simeone nella Presentazione al Tempio: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35), è il «secondo annuncio a Maria» (Redemptoris Mater = RM 16), preludio alla sua partecipazione materna alla croce redentiva. Leone XIII (+1903) specifica: «Maria ricevette un duplice annuncio della sua stessa maternità: dall’Angelo, nella casa di Nazaret, e da Gesù, figlio suo, sulla croce [...] Maria accettò ed eseguì di gran cuore le parti di quel singolare ufficio di madre».
Anche Benedetto XVI accentua la novità della maternità di Maria. Nell’enciclica Spe salvi la elogia: «Dalla croce ricevesti una nuova missione.Apartire dalla croce diventasti madre di tutti coloro che vogliono credere nel tuo figlio Gesù. [...] La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede» (n. 50).
3. Maternità « pasquale ». Se l’incarnazione del Verbo è ordinata alla sua passione salvifica (cf Gv 12,27-28), anche la maternità divina di Maria è ordinata alla sua maternità pasquale. Iniziata a Nazaret, nell’ora dell’Eccomi del concepimento del Salvatore, la collaborazione della Vergine alla redenzione raggiunge il culmine a Gerusalemme, nell’ora della croce, quando ella, ricorda il Vaticano II, «soffrì profondamente con il suo Figlio unico e si associò con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data come madre al discepolo» (LG 58). Paolo VI puntualizza: la maternità di Maria a Pasqua «si dilatò assumendo sul Calvario dimensioni universali» (Marialis cultus = MC 37). Giovanni Paolo II aggiunge: «La sua maternità (è) iniziata a Nazaret ed (è stata) vissuta sommamente a Gerusalemme sotto la croce» (Tertio millennio adveniente, 54). Lo stesso Pontefice nella RM precisa: «Se già in precedenza la maternità di Maria nei riguardi degli uomini era stata delineata, ora (presso la croce) viene chiaramente precisata e stabilita: essa emerge dalla definitiva maturazione del mistero pasquale del Redentore » (n. 23). Presso la croce Maria diventa madre del « Cristo totale », capo e membra, madre universale del genere umano. Ma dove e quando si manifesta questa nuova maternità?
4. «La Madre rivede le membra che ha generato»: Veglia pasquale. Il cappellano della Vergine, Ildefonso di Toledo (+667), dà per scontata la teofania del Risorto alla Madre. E in questa luce pasquale illustra la nuova maternità di Maria. In una inlatio (prefazio) ispanica della Messa del sabato dell’ottava di Pasqua, Ildefonso esclama: «Agnoscit Mater membra quae genuit » («La Madre riconosce le membra che ha generato»): nel corpo glorioso del Figlio, la notte di Pasqua ella rivede sia le membra generate a Betlemme che quelle ricevute il Venerdì santo dal Figlio morente sulla croce. Ildefonso considera pure la maternità della Chiesa quando la notte di Pasqua amministra i sacramenti dell’iniziazione. In una inlatio della Veglia pasquale egli narra che la Chiesa partorisce senza dolore i cristiani, come Maria senza dolore aveva partorito Gesù a Betlemme. Ciò significa che la maternità di Maria si perpetua nella maternità della Chiesa. E nel battesimo dei credenti la Vergine rivede se stessa quale loro madre. Chiamata presso la croce del Figlio a essere madre dei suoi discepoli, la Vergine dalla risurrezione si prende cura di loro per delineare in essi i tratti fisionomici del Figlio primogenito (cf MC 57). Montfort invoca lo Spirito: «Spirito Santo, ricordati di generare e formare figli di Dio con Maria [...] Hai formato in lei e con lei il capo degli eletti, perciò con lei e in lei devi formare tutte le sue membra » (Preghiera infocata, 15).
5. Accogliere la Madre del Risorto come propria madre. Se Maria accoglie i battezzati come propri figli, anch’essi hanno il dovere di accoglierla come propria madre. L’accoglienza di lei è espressione dell’obbedienza della fede, risposta a una scena di rivelazione, riguarda la vita di grazia. Nell’antichità Origene (ca. +254) affermava: «Maria ha un solo figlio: questi (Giovanni) è Gesù che tu (Madre) hai partorito ». Ella ha l’incarico di generare Gesù in Giovanni. Ma Giovanni deve diventare Gesù stesso, per divenire figlio di Maria. Al contrario, chi non accoglie la madre Maria, non diventa come Cristo, non comprende Cristo. E chi dovesse trascurare la Vergine, non possederebbe una fede integrale. Sant’Ambrogio di Milano (+397) sosteneva che accogliere filialmente Maria fa parte degli impegni della pietà del discepolo, poiché Gesù sulla croce «consegna il suo testamento domestico». Sant’Agostino (+430) esortava: la Madre del Signore va accolta tra i propri doveri, ai quali bisogna attendere con dedizione. Per san Luigi di Montfort la consacrazione a Cristo per le mani della sua santissima Madre, consente di far «entrare Maria nella nostra casa» (Amore dell’Eterna Sapienza, 211). Seguendo Montfort, Giovanni Paolo II specifica: «Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie « fra le sue cose proprie » la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore» (RM 45). Ma Giovanni Paolo II chiede che Maria madre sia accolta nell’Eucaristia (domenicale e quotidiana): in essa Gesù «consegna ciascuno di noi» a sua Madre (cf Ecclesia de Eucharistia, 57).

Sergio Gaspari, smm

Publié dans:Maria Vergine, SETTIMANA SANTA |on 2 avril, 2015 |Pas de commentaires »

LA PASSIONE DI CRISTO, RAGIONE DELLA NOSTRA FIEREZZA Sant’Agostino *

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_f.htm#LA PASSIONE DI CRISTO, RAGIONE DELLA NOSTRA FIEREZZA

LA PASSIONE DI CRISTO, RAGIONE DELLA NOSTRA FIEREZZA

Sant’Agostino *

Sant’Agostino (354-430), vescovo di Ippona, è Romano in tutta la sua cultura. Pensatore geniale, ci ha lasciato un’opera monumentale di valore inestimabile. Filosofo, teologo, pastore di anime, uomo di intensa spiritualità, egli è il Dottore della grazia, ed ancor più, il Dottore della carità. Il suo pensiero, qualunque sia il genere di opera in cui si sviluppa, è legato alla passione, alla morte e alla risurrezione del Signore.

La Passione di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo è una testimonianza di gloria ed un insegnamento di pazienza e di rassegnazione. Che cosa non può aspettarsi dalla grazia divina il cuore dei credenti, per i quali il Figlio unico e coeterno del Padre non solo si è accontentato di nascere uomo fra gli uomini, ma ha anche voluto morire per mano degli uomini da lui stesso creati? Grandi sono le promesse del Signore. Ma ciò che ha compiuto per noi ed il cui ricordo rinnoviamo continuamente, è assai più grande ancora. Donde erano e chi erano quegli empi per i quali Cristo è morto? Ha loro offerto la sua morte: chi mai potrebbe dubitare che darà ai giusti la sua vita? Perché la debolezza umana esita a credere che verrà un giorno in cui gli uomini vivranno con Dio? Ciò che è già avvenuto è di gran lunga più incredibile: Dio è morto per gli uomini.
Chi è Cristo, se non ciò che la Sacra Scrittura dice: In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio? (Gv. 1, 1). Questo Verbo di Dio si è fatto carne, ed abitò tra noi (Gv. 1, 14). Egli non avrebbe avuto in sé alcunché di mortale, se non avesse preso da noi una carne mortale. Così, !’immortale poté morire; così, egli volle donare la sua vita ai mortali. In seguito, farà partecipare della sua vita coloro la cui condizione ha in un primo tempo condivisa. Alla nostra sola essenza di uomini non apparteneva la possibilità di vivere, come alla sua non apparteneva quella di morire. Fece dunque con noi questo scambio mirabile: prese da noi ciò per cui è morto, mentre noi prendiamo da lui ciò per cui vivremo…
Non solo non dobbiamo provare vergogna per la morte di Dio nostro Signore, ma dobbiamo ricavarne la più grande fiducia e la più grande fierezza. Nel ricevere da noi la morte che ha trovato in noi, ci ha fedelmente promesso di darci la vita in lui, quella vita che non potevamo avere da noi stessi. E se colui che è senza peccato ci ha amati al punto da subire per noi, peccatori, ciò che avremmo meritato per il nostro peccato, come potrà non darci ciò che è giustizia, lui che ci giustifica e ci discolpa? Come non darà ai giusti la loro ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse e che ha subito la pena dei colpevoli? Riconosciamo senza timori, fratelli miei, e proclamiamo che Cristo è stato crocifisso per noi. Diciamolo senza timore e con gioia, senza vergogna e con fierezza. L’apostolo Paolo l’ha visto, lui che ne ha fatto un titolo di gloria. Dopo aver rammentato le grandi e numerose grazie ricevute da Cristo, non dice che si vanta di queste meraviglie, bensì afferma: Quanto a me, non sia mai che mi glorii d’altro se non della croce del Signore nostro Gesù Cristo (Gal. 6, 14).

* Trattato sulla Passione del Signore (Serm. Guelferb. 3): PLS 2, 545-546.

Romanino, Ultima cena

Romanino, Ultima cena dans immagini sacre

http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Romanino_Ultima_cena_Pisogne.JPG

Publié dans:immagini sacre |on 1 avril, 2015 |Pas de commentaires »

GIOVEDÌ SANTO. EUCARISTIA E SERVIZIO…

http://agostinoclerici.it/2012/04/05/giovedi-santo-eucaristia-e-servizio/

GIOVEDÌ SANTO. EUCARISTIA E SERVIZIO…

5 APRILE 2012 DI AGOSTINO CLERICI

«Per trovare Dio bisogna cercarlo, perché è nascosto: e dopo averlo trovato, dobbiamo cercarlo ancora, perché è immenso». Questa bellissima espressione di sant’Agostino ci accompagnerà in questo Triduo pasquale, come un segnavia sul sentiero di montagna. Credo che, all’uomo di oggi è venuta a mancare proprio questa dimensione del cercare Dio: l’autosufficienza emargina Dio dalla vita come la peggiore delle persecuzioni.
Ecco, allora, stasera, il nostro Dio nascosto ci si manifesta in due gesti sublimi e inaspettati. Dapprima, quello che noi chiamiamo Eucaristia. Nascosto in un pasto, in un mangiare insieme di cui noi cristiani abbiamo smarrito il significato. Sazi ed ebbri di tutto, non sentiamo più i morsi della fame e della sete di Lui. Non scandalizzatevi, se vi dico che abbiamo confuso l’Eucaristia con la Messa. Mi direte: sono la stessa cosa! Sì, ma con il precetto della Messa abbiamo depotenziato il dono dell’Eucaristia. Con la scusa che bisogna andare a Messa, abbiamo dimenticato che l’Eucaristia è la convocazione di Dio, è il luogo in cui chi lo cerca lo trova perché Egli, il nascosto, ha deciso di farsi trovare qui.
Stasera abbiamo la fortuna di celebrare, per così dire, l’origine della Messa, di attingere direttamente all’Eucaristia. Che cosa fa Gesù, in prossimità della sua morte e della sua risurrezione? Raduna i suoi per una cena e, nel segno del pane e del vino, offre da mangiare se stesso, la sua carne e il suo sangue. Non finirò mai di dirvi che quella cena è Eucaristia solo perché Gesù, di lì a poche ore, realizzerà quel segno nella morte di croce, nel dono della sua vita effettivamente fatto. Ma quel segno ci è dato da celebrare in futuro proprio come memoria di quel dono e come esempio da imitare: «Fate questo in memoria di me». Il «questo» da fare non è tanto un rito, quanto un modo di vivere. Gesù vuole dirci: ripetete questo gesto simbolico e fate nella realtà quello che esso simboleggia, siate voi oggi il pane spezzato ed il vino versato, siate voi oggi quello che è stato il mio corpo sulla croce. Come facciamo a mettere qualunque altra cosa – il lavoro, la famiglia, il divertimento, lo sport – prima o addirittura al posto dell’Eucaristia, io non lo so… Ma accade. E accadrà sempre più se non metteremo l’Eucaristia prima della Messa, se non ci preoccuperemo della vita prima che del precetto. Da questo punto di vita è vero che qui si celebra soltanto la Messa, perché l’Eucaristia la si vive altrove, nelle nostre famiglie in una dedizione d’amore più convinto tra i coniugi e tra genitori e figli. La Messa – sia essa lunga o breve – ha una durata limitata. L’Eucaristia la estende nella vita, la fa diventare vita, e nasconde nuovamente la presenza di Dio nell’amore concreto e quotidiano.
Ed ecco il secondo segno davanti al quale sostiamo stasera e che ci manifesta il Dio nascosto che si fa trovare. Non più un gesto anticipatore come quello eucaristico del pane e del vino, ma un gesto reale di servizio, in cui la sporcizia accumulata dai piedi finisce nell’acqua del catino restando come attaccata alle mani che lavano e purificano. Il gesto della lavanda dei piedi dice l’autenticità dell’amore e in un certo senso lo verifica. Gesù, in quell’ultima sera della sua vita terrena, volle farsi maestro di un amore che non si limita ai «ti amo» detti con la bocca e che non è nemmeno la sostanza un po’ dolciastra del cuore. No, egli vuole insegnare l’amore che si mette in ginocchio, l’amore che si misura quando i piedi dell’altro sono sporchi e tu arrivi sino al catino in un gesto di supremo servizio. Non spaventiamoci se un amore così non ci va bene, se ci crea qualche problema. Non lo capirono neanche i discepoli, e Pietro diede voce a quella incomprensione. Non voleva lasciarsi lavare i piedi, perché credeva di amare Gesù e non sentiva alcun bisogno di quel gesto, non era abbastanza umile per lasciarsi servire dal suo Maestro. Lasciarsi amare è ancora più difficile che amare… E poi Gesù è il Signore e il Signore non lava i piedi ai suoi discepoli! Eccolo, allora, il Dio nascosto che si svela, che si lascia trovare, e si lascia trovare da noi in un gesto inaspettato, che genera una nuova immagine di Dio: «Sì, sono il Signore, ma è Signore solo chi serve, farsi schiavo è libertà» (come diciamo in un canto). Il servizio è l’estendersi dell’Eucaristia nella vita quotidiana, è il suo concretizzarsi nella carne. Il modo migliore di vivere la Messa che si è celebrata è servire e lasciarsi servire, amare e lasciarsi amare. Pensate a quanto sarebbero più belle le nostre famiglie, a quanto sarebbe più serena la vita di coppia e le relazioni tra genitori e figli, se questa fosse davvero la legge che le governa: «Ama e lasciati amare, mettiti al servizio e lasciati lavare i piedi».
Vorrei dire una parola particolare a questi bambini che si preparano alla Messa di Prima Comunione e a cui tra poco laverò i piedi. Vorrei dirvi che la vostra prima Eucaristia comincia stasera, come la prima Eucaristia degli apostoli cominciò con la lavanda dei piedi. Stasera è per voi un momento intenso di catechismo: dal gesto che riceverete, potete imparare molto su che cosa è veramente l’Eucaristia, su chi è veramente Gesù. Davvero voi cominciate stasera a fare la Comunione, lasciandovi lavare i piedi da me che, qui, indegnamente, sto al posto di Gesù e ripeto il gesto che egli ha compiuto. Se andando a casa, sarete più attenti ad avere meno pretese e ad essere più servizievoli, questo sarà il modo migliore per prepararvi a ricevere Gesù.

Publié dans:meditazioni, SETTIMANA SANTA |on 1 avril, 2015 |Pas de commentaires »

SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE – OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI (2012)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120405_coena-domini.html

SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano

Giovedì Santo, 5 aprile 2012

Cari fratelli e sorelle!

Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato. Cerchiamo in quest’ora di capire più profondamente qualcosa di questi eventi, perché in essi si svolge il mistero della nostra Redenzione.
Gesù esce nella notte. La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà. Egli entra nella notte. La notte, in ultima analisi, è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita. Gesù entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità.
Durante questo cammino, Egli ha cantato con i suoi Apostoli i Salmi della liberazione e della redenzione di Israele, che rievocavano la prima Pasqua in Egitto, la notte della liberazione. Ora Egli va, come è solito fare, per pregare da solo e per parlare come Figlio con il Padre. Ma, diversamente dal solito, vuole sapere di avere vicino a sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono i tre che avevano fatto esperienza della sua Trasfigurazione – il trasparire luminoso della gloria di Dio attraverso la sua figura umana – e che Lo avevano visto al centro tra la Legge e i Profeti, tra Mosè ed Elia. Avevano sentito come Egli parlava con entrambi del suo “esodo” a Gerusalemme. L’esodo di Gesù a Gerusalemme – quale parola misteriosa! L’esodo di Israele dall’Egitto era stato l’evento della fuga e della liberazione del popolo di Dio. Quale aspetto avrebbe avuto l’esodo di Gesù, in cui il senso di quel dramma storico avrebbe dovuto compiersi definitivamente? Ora i discepoli diventavano testimoni del primo tratto di tale esodo – dell’estrema umiliazione, che tuttavia era il passo essenziale dell’uscire verso la libertà e la vita nuova, a cui l’esodo mira. I discepoli, la cui vicinanza Gesù cercò in quell’ora di estremo travaglio come elemento di sostegno umano, si addormentarono presto. Sentirono tuttavia alcuni frammenti delle parole di preghiera di Gesù e osservarono il suo atteggiamento. Ambedue le cose si impressero profondamente nel loro animo ed essi le trasmisero ai cristiani per sempre. Gesù chiama Dio “Abbà”. Ciò significa – come essi aggiungono – “Padre”. Non è, però, la forma usuale per la parola “padre”, bensì una parola del linguaggio dei bambini – una parola affettuosa con cui non si osava rivolgersi a Dio. È il linguaggio di Colui che è veramente “bambino”, Figlio del Padre, di Colui che si trova nella comunione con Dio, nella più profonda unità con Lui.
Se ci domandiamo in che cosa consista l’elemento più caratteristico della figura di Gesù nei Vangeli, dobbiamo dire: è il suo rapporto con Dio. Egli sta sempre in comunione con Dio. L’essere con il Padre è il nucleo della sua personalità. Attraverso Cristo conosciamo Dio veramente. “Dio, nessuno lo ha mai visto”, dice san Giovanni. Colui “che è nel seno del Padre … lo ha rivelato” (1,18). Ora conosciamo Dio così come è veramente. Egli è Padre, e questo in una bontà assoluta alla quale possiamo affidarci. L’evangelista Marco, che ha conservato i ricordi di san Pietro, ci racconta che Gesù, all’appellativo “Abbà”, ha ancora aggiunto: Tutto è possibile a te, tu puoi tutto (cfr 14,36). Colui che è la Bontà, è al contempo potere, è onnipotente. Il potere è bontà e la bontà è potere. Questa fiducia la possiamo imparare dalla preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi.
Prima di riflettere sul contenuto della richiesta di Gesù, dobbiamo ancora rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli Evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che Egli “cadde faccia a terra” (Mt 26,39; cfr Mc 14,35), assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che Egli vinca.
Gesù lotta con il Padre. Egli lotta con se stesso. E lotta per noi. Sperimenta l’angoscia di fronte al potere della morte. Questo è innanzitutto semplicemente lo sconvolgimento, proprio dell’uomo e anzi di ogni creatura vivente, davanti alla presenza della morte. In Gesù, tuttavia, si tratta di qualcosa di più. Egli allunga lo sguardo nelle notti del male. Vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l’infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere. È lo sconvolgimento del totalmente Puro e Santo di fronte all’intero profluvio del male di questo mondo, che si riversa su di Lui. Egli vede anche me e prega anche per me. Così questo momento dell’angoscia mortale di Gesù è un elemento essenziale nel processo della Redenzione. La Lettera agli Ebrei, pertanto, ha qualificato la lotta di Gesù sul Monte degli Ulivi come un evento sacerdotale. In questa preghiera di Gesù, pervasa da angoscia mortale, il Signore compie l’ufficio del sacerdote: prende su di sé il peccato dell’umanità, tutti noi, e ci porta presso il Padre.
Infine, dobbiamo ancora prestare attenzione al contenuto della preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Gesù dice: “Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). La volontà naturale dell’Uomo Gesù indietreggia spaventata davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato. Tuttavia, in quanto Figlio, depone questa volontà umana nella volontà del Padre: non io, ma tu. Con ciò Egli ha trasformato l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo. L’atteggiamento di Adamo era stato: Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio. Questa superbia è la vera essenza del peccato. Pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da Lui – questo è il nostro pensiero – solo allora saremmo liberi. È questa la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita. Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà. Preghiamo il Signore di introdurci in questo “sì” alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi. Amen.

1...45678

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31