Archive pour le 20 avril, 2015

È morto l’ex Rabbino Capo di Roma Elio Toaff, vedere articolo e foto, link

È morto l'ex Rabbino Capo di Roma Elio Toaff, vedere articolo e foto, link dans † Elio Toaff Toaff-86

http://www.panorama.it/news/cronaca/e-morto-elio-toaff-ex-rabbino-capo-di-roma/

http://www.casapreghiera.it/engdoc/presentation.htm

Publié dans:† Elio Toaff |on 20 avril, 2015 |Pas de commentaires »

PAPA GIOVANNI PAOLO II – 1989 – MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

http://disf.org/giovanni-paolo-ii-giornata-mondiale-pace-1990

PACE CON DIO CREATORE, PACE CON TUTTO IL CREATO, MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE ANNO 1990, SULLA QUESTIONE ECOLOGICA

PAPA GIOVANNI PAOLO II – 8 DICEMBRE 1989

Messaggio per la giornata mondiale della pace 1990

In questo messaggio, Giovanni Paolo II riepiloga i punti fondamentali di quella che potremmo chiamare “una visione cristiana del problema ecologico”. I principali punti sottolineati sono i seguenti:

Il problema ecologico è un problema etico-morale e non può essere risolto solamente con strumenti legislativi. – Occorre evitare due opposti estremismi: quello dell’individualismo egoista ed irresponsabile e quello di un naturismo immanente dove il centro non è più l’uomo e la sua dignità trascendente, ma la natura stessa. – Il rispetto per la vita è la norma di ogni vero progresso e la premessa necessaria di ogni preoccupazione ecologica: la preoccupazione per un ambiente sicuro fonda la sua validità, e le corrispondenti misure legislative la loro esigibilità, in quanto l’ambiente è un diritto della persona. – Per la soluzione del problema ecologico è necessario un riferimento al principio di solidarietà, cioè alla responsabilità della comunità internazionale nella gestione (produzione e distribuzione) delle risorse del pianeta. – Occorre educare al rispetto della natura come valore etico ed anche teologico. – Bisogna saper riconoscere nel valore estetico del creato la partecipazione del bello come trascendentale divino; esiste un collegamento fra un’adeguata educazione estetica e la conservazione di un ambiente sano ed adeguato alla persona umana.
1. Si avverte ai nostri giorni la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata, oltre che dalla corsa agli armamenti, dai conflitti regionali e dalle ingiustizie tuttora esistenti nei popoli e tra le nazioni, anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle sue risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita. Tale situazione genera un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo, di accaparramento e di prevaricazione.
Di fronte al diffuso degrado ambientale l’umanità si rende ormai conto che non si può continuare ad usare i beni della terra come nel passato. L’opinione pubblica ed i responsabili politici ne sono preoccupati, mentre studiosi delle più diverse discipline ne esaminano le cause. Sta così formandosi una coscienza ecologica, che non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete.

2. Non pochi valori etici, di fondamentale importanza per lo sviluppo di una società pacifica, hanno una diretta relazione con la questione ambientale. L’interdipendenza delle molte sfide, che il mondo odierno deve affrontare, conferma l’esigenza di soluzioni coordinate, basate su una coerente visione morale del mondo.
Per il cristiano una tale visione poggia sulle convinzioni religiose attinte alla Rivelazione. Ecco perché, all’inizio di questo messaggio, desidero richiamare il racconto biblico della creazione, e mi auguro che coloro i quali non condividono le nostre convinzioni di fede possano egualmente trovarvi utili spunti per una comune linea di riflessione e di impegno.

I – «E Dio vide che era cosa buona»
3. Nelle pagine della Genesi, nelle quali è consegnata la prima autorivelazione di Dio alla umanità (1-3), ricorrono come un ritornello le parole: «E Dio vide che era cosa buona». Ma quando, dopo aver creato il cielo e il mare, la terra e tutto ciò che essa contiene, Iddio crea l’uomo e la donna, l’espressione cambia notevolmente: «E Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona» (Gen 1,31). All’uomo e alla donna Dio affidò tutto il resto della creazione, ed allora come leggiamo – potè riposare «da ogni suo lavoro» (Gen 2,3).
La chiamata di Adamo ed Eva a partecipare all’attuazione del piano di Dio sulla creazione stimolava quelle capacità e quei doni che distinguono la persona umana da ogni altra creatura e, nello stesso tempo, stabiliva un ordinato rapporto tra gli uomini e l’intero creato. Fatti ad immagine e somiglianza di Dio, Adamo ed Eva avrebbero dovuto esercitare il loro dominio sulla terra (cfr. Gen 1,28) con saggezza e con amore. Essi, invece, con il loro peccato distrussero l’armonia esistente ponendosi deliberatamente contro il disegno del Creatore. Ciò portò non solo all’alienazione dell’uomo da se stesso, alla morte e al fratricidio, ma anche ad una certa ribellione della terra nei suoi confronti (cfr. Gen 3,17-19; 4,12). Tutto il creato divenne soggetto alla caducità, e da allora attende, in modo misterioso, di esser liberato per entrare nella libertà gloriosa insieme con tutti i figli di Dio (cfr. Rm 8,20-21).
4. I cristiani professano che nella morte e nella Risurrezione di Cristo si è compiuta l’opera di riconciliazione dell’umanità col Padre, a cui «piacque… riconciliare a sè tutte le cose, pacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,19-20). La creazione è stata così rinnovata (cfr. Ap 21,5), e su di essa, prima sottoposta alla «schiavitù» della morte e della corruzione (cfr. Rm 8,21), si è effusa una nuova vita, mentre noi «aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2Pt 3,13). Così il Padre «ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: cioè il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,9-10).
5. Queste considerazioni bibliche illuminano meglio il rapporto tra l’agire umano e l’integrità del creato. Quando si discosta dal disegno di Dio creatore, l’uomo provoca un disordine che inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace: «Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno» (Os 4,3).
L’esperienza di questa «sofferenza» della terra è comune anche a coloro che non condividono la nostra fede in Dio. Stanno, infatti, sotto gli occhi di tutti le crescenti devastazioni causate nel mondo della natura dal comportamento di uomini indifferenti alle esigenze recondite, eppure chiaramente avvertibili, dell’ordine e dell’armonia che lo reggono.
Ci si chiede, pertanto, con ansia se si possa ancora porre rimedio ai danni provocati. E’ evidente che un’idonea soluzione non può consistere semplicemente in una migliore gestione, o in un uso meno irrazionale delle risorse della terra. Pur riconoscendo l’utilità pratica di simili misure, sembra necessario risalire alle origini e affrontare nel suo insieme la profonda crisi morale, di cui il degrado ambientale è uno degli aspetti preoccupanti.

II – La crisi ecologica: un problema morale
6. Alcuni elementi della presente crisi ecologica ne rivelano in modo evidente il carattere morale. Tra essi, in primo luogo, è da annoverare l’applicazione indiscriminata dei progressi scientifici e tecnologici. Molte recenti scoperte hanno arrecato innegabili benefici all’umanità; esse, anzi, manifestano quanto sia nobile la vocazione dell’uomo a partecipare responsabilmente all’azione creatrice di Dio nel mondo. Si è, però, constatato che la applicazione di talune scoperte nell’ambito industriale ed agricolo produce, a lungo termine, effetti negativi. Ciò ha messo crudamente in rilievo come ogni intervento in un’area dell’ecosistema non possa prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle future generazioni.
Il graduale esaurimento dello strato di ozono e l’«effetto serra» hanno ormai raggiunto dimensioni critiche a causa della crescente diffusione delle industrie, delle grandi concentrazioni urbane e dei consumi energetici. Scarichi industriali, gas prodotti dalla combustione di carburanti fossili, incontrollata deforestazione, uso di alcuni tipi di diserbanti, refrigeranti e propellenti: tutto ciò – com’è noto – nuoce all’atmosfera ed all’ambiente. Ne sono derivati molteplici cambiamenti meteorologici ed atmosferici, i cui effetti vanno dai danni alla salute alla possibile futura sommersione delle terre basse.
Mentre in alcuni casi il danno forse è ormai irreversibile, in molti altri esso può ancora essere arrestato. E’ doveroso, pertanto, che l’intera comunità umana – individui, Stati ed organismi internazionali – assuma seriamente le proprie responsabilità.
7. Ma il segno più profondo e più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita, quale si avverte in molti comportamenti inquinanti. Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità del lavoratore e gli interessi economici vengono prima del bene delle singole persone, se non addirittura di quello di intere popolazioni. In questi casi, l’inquinamento o la distruzione riduttiva e innaturale, che talora configura un vero e proprio disprezzo dell’uomo.
Parimenti, delicati equilibri ecologici vengono sconvolti per un’incontrollata distruzione delle specie animali e vegetali o per un incauto sfruttamento delle risorse; e tutto ciò – giova ricordare – anche se compiuto nel nome del progresso e del benessere, non torna, in effetti, a vantaggio dell’umanità.
Infine, non si può non guardare con profonda inquietudine alle formidabili possibilità della ricerca biologica. Forse non è ancora in grado di misurare i turbamenti indotti in natura da una indiscriminata manipolazione genetica e dallo sviluppo sconsiderato di nuove specie di piante e forme di vita animale, per non parlare di inaccettabili interventi sulle origini della stessa vita umana. A nessuno sfugge come, in un settore così delicato, l’indifferenza o il rifiuto delle norme etiche fondamentali portino l’uomo alla soglia stessa dell’autodistruzione.
E’ il rispetto per la vita e, in primo luogo, per la dignità della persona umana la fondamentale norma ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico.
E’ a tutti evidente la complessità del problema ecologico. Esistono, tuttavia, alcuni principi basilari che, nel rispetto della legittima autonomia e della specifica competenza di quanti sono in esso impegnati, possono indirizzare la ricerca verso idonee e durature soluzioni. Si tratta di principi essenziali per la costruzione di una società pacifica, la quale non può ignorare nè il rispetto per la vita, nè il senso dell’integrità del creato.

III – Alla ricerca di una soluzione
8. Teologia, filosofia e scienza concordano nella visione di un universo armonioso, cioè di un vero «cosmo», dotato di una sua integrità e di un suo interno e dinamico equilibrio. Questo ordine deve essere rispettato: l’umanità è chiamata ad esplorarlo, a scoprirlo con prudente cautela e a fame poi uso salvaguardando la sua integrità.
D’altra parte, la terra è essenzialmente un’eredità comune, i cui frutti devono essere a beneficio di tutti. «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli», ha riaffermato il Concilio Vaticano II («Gaudium et Spes», 69). Ciò ha dirette implicazioni per il nostro problema. E’ ingiusto che pochi privilegiati continuino ad accumulare beni superflui dilapidando le risorse disponibili, quando moltitudini di persone vivono in condizioni di miseria, al livello minimo di sostentamento. Ed è ora la stessa drammatica dimensione del dissesto ecologico ad insegnarci quanto la cupidigia e l’egoismo, individuali o collettivi, siano contrari all’ordine del creato, nel quale è inscritta anche la mutua interdipendenza.
9. I concetti di ordine nell’universo e di eredità comune mettono entrambi in rilievo che è necessario un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato a livello internazionale. Le dimensioni dei problemi ambientali superano, in molti casi, i confini dei singoli Stati: la loro soluzione, dunque, non può essere trovata unicamente a livello nazionale. Recentemente sono stati registrati alcuni promettenti passi verso questa auspicata azione internazionale, ma gli strumenti e gli organismi esistenti sono ancora inadeguati allo sviluppo di un piano coordinato di intervento. Ostacoli politici, forme di nazionalismo esagerato ed interessi economici, per non ricordare che alcuni fattori, rallentano, o addirittura impediscono la cooperazione internazionale e l’adozione di efficaci iniziative a lungo termine.
L’asserita necessità di un’azione concertata a livello internazionale non comporta certo una diminuzione della responsabilità dei singoli Stati. Questi, infatti, debbono non solo dare applicazione alle norme approvate insieme con le autorità di altri Stati, ma anche favorire, al loro interno, un adeguato assetto socio-economico, con particolare attenzione ai settori più vulnerabili della società. Spetta ad ogni Stato, nell’ambito del proprio territorio, il compito di prevenire il degrado dell’atmosfera e della biosfera, controllando attentamente, tra l’altro, gli effetti delle nuove scoperte tecnologiche o scientifiche, ed offrendo ai propri cittadini la garanzia di non essere esposti ad agenti inquinanti o a rifiuti tossici. Oggi si parla sempre più insistentemente del diritto ad un ambiente sicuro, come di un diritto che dovrà rientrare in un’aggiornata carta dei diritti dell’uomo.

IV – L’urgenza di una nuova solidarietà
10. La crisi ecologica pone in evidenza l’urgente necessità morale di una nuova solidarietà, specialmente nei rapporti tra i paesi in via di sviluppo e i paesi altamente industrializzati. Gli Stati debbono mostrarsi sempre più solidali e fra loro complementari nel promuovere lo sviluppo di un ambiente naturale e sociale pacifico e salubre. Ai paesi da poco industrializzati, per esempio, non si può chiedere di applicare alle proprie industrie nascenti certe norme ambientali restrittive, se gli Stati industrializzati non le applicano per primi al loro interno. Da parte loro, i paesi in via di industrializzazione non possono moralmente ripetere gli errori compiuti da altri nel passato, continuando a danneggiare l’ambiente con prodotti inquinanti, deforestazioni eccessive o sfruttamento illimitato di risorse inesauribili. In questo stesso contesto è urgente trovare una soluzione al problema del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti tossici.
Nessun piano, nessuna organizzazione, tuttavia, sarà in grado di operare i cambiamenti intravisti, se i responsabili delle nazioni di tutto il mondo non saranno veramente convinti della assoluta necessità di questa nuova solidarietà, che la crisi ecologica richiede e che è essenziale per la pace. Tale esigenza offrirà opportune occasioni per consolidare le pacifiche relazioni tra gli Stati.
11. Occorre anche aggiungere che non si otterrà il giusto equilibrio ecologico, se non saranno affrontate direttamente le forme strutturali di povertà esistenti nel mondo. Ad esempio, la povertà rurale e la distribuzione della terra in molti paesi hanno portato ad un’agricoltura di mera sussistenza e all’impoverimento dei terreni. Quando la terra non produce più, molti contadini si trasferiscono in altre zone, incrementando spesso il processo di deforestazione incontrollata, o si stabiliscono in centri urbani già carenti di strutture e servizi. Inoltre, alcuni paesi fortemente indebitati stanno distruggendo il loro patrimonio naturale con la conseguenza di irrimediabile squilibri ecologici, pur di ottenere nuovi prodotti di esportazione. Di fronte a tali situazioni, tuttavia, mettere sotto accusa soltanto i poveri per gli effetti ambientali negativi da essi provocati, sarebbe un modo inaccettabile di valutare le responsabilità. Occorre, piuttosto, aiutare i poveri, a cui la terra e affidata come a tutti gli altri, a superare la loro povertà, e ciò richiede una coraggiosa riforma delle strutture e nuovi schemi nei rapporti tra gli Stati e i popoli.
12. Ma c’è un’altra pericolosa minaccia che ci sovrasta: la guerra. La scienza moderna dispone già, purtroppo, della capacità di modificare l’ambiente con intenti ostili, e tale manomissione potrebbe avere a lunga scadenza effetti imprevedibili e ancora più gravi. Nonostante che accordi internazionali proibiscano la guerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratori continua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alterare gli equilibri naturali.
Oggi qualsiasi forma di guerra su scala mondiale causerebbe incalcolabili danni ecologici. Ma anche le guerre locali o regionali, per limitate che siano, non solo distruggono le vite umane e le strutture della società, ma danneggiano la terra, rovinando i raccolti e la vegetazione e avvelenando i terreni e le acque. I sopravvissuti alla guerra si trovano nella necessità di iniziare una nuova vita in condizioni naturali molto difficili, che creano a loro volta situazioni di grave disagio sociale, con conseguenze negative anche di ordine ambientale.
13. La società odierna non troverà soluzione al problema ecologico, se non rivedrà seriamente il suo stile di vita. In molte parti del mondo essa è incline all’edonismo e al consumismo e resta indifferente ai danni che ne derivano. Come ho già osservato, la gravità della situazione ecologica rivela quanto sia profonda la crisi morale dell’uomo. Se manca il senso del valore della persona e della vita umana, ci si disinteressa degli altri e della terra. L’austerità, la temperanza, la autodisciplina e lo spirito di sacrificio devono informare la vita di ogni giorno affinché non si sia costretti da parte di tutti a subire le conseguenze negative della noncuranza dei pochi.
C’è dunque l’urgente bisogno di educare alla responsabilità ecologica: responsabilità verso gli altri; responsabilità verso l’ambiente. E un’educazione che non può essere basata semplicemente sul sentimento o su un indefinito velleitarismo. Il suo fine non può essere nè ideologico nè politico, e la sua impostazione non può poggiare sul rifiuto del mondo moderno o sul vago desiderio di un ritorno al «paradiso perduto». La vera educazione alla responsabilità comporta un’autentica conversione nel modo di pensare e nel comportamento. Al riguardo, le Chiese e le altre istituzioni religiose, gli organismi governativi, anzi tutti i componenti della società hanno un preciso ruolo da svolgere. Prima educatrice, comunque, rimane la famiglia, nella quale il fanciullo impara a rispettare il prossimo e ad amare la natura.
14. Non si può trascurare, infine, il valore estetico del creato. Il contatto con la natura è di per sè profondamente rigeneratore come la contemplazione del suo splendore dona pace e serenità. La Bibbia parla spesso della bontà e della bellezza della creazione, chiamata a dar gloria a Dio (cfr. ex gr., Gen 1,4 ss; Sal 8,2; 104[103],1ss; Sap 13,3-5; Sir 39,16.33; 43,1.9).
Forse più difficile, ma non meno intensa, può essere la contemplazione delle opere dell’ingegno umano. Anche le città possono avere una loro particolare bellezza, che deve spingere le persone a tutelare l’ambiente circostante. Una buona pianificazione urbana è un aspetto importante della protezione ambientale, e il rispetto per le caratteristiche morfologiche della terra e un indispensabile requisito per ogni insediamento ecologicamente corretto. Non va trascurata, insomma, la relazione che c’è tra un’adeguata educazione estetica e il mantenimento di un ambiente sano.

V – La questione ecologica: una responsabilità di tutti
15. Oggi la questione ecologica ha assunto tali dimensioni da coinvolgere la responsabilità di tutti. I vari aspetti di essa, che ho illustrato, indicano la necessità di sforzi concordati, al fine di stabilire i rispettivi doveri ed impegni dei singoli, dei popoli, degli Stati e della comunità internazionale. Ciò non solo va di pari passo con i tentativi di costruire la vera pace, ma oggettivamente li conferma e li rafforza. Inserendo la questione ecologica nel più vasto contesto della causa della pace nella società umana, ci si rende meglio conto di quanto sia importante prestare attenzione a ciò che la terra e l’atmosfera ci rivelano: nell’universo esiste un ordine che deve essere rispettato; la persona umana, dotata della possibilità di libera scelta, ha una grave responsabilità per la conservazione di questo ordine, anche in vista del benessere delle generazioni future. La crisi ecologica – ripeto ancora – è un problema morale.
Anche gli uomini e le donne che non hanno particolari convinzioni religiose, per il senso delle proprie responsabilità nei confronti del bene comune, riconoscono il loro dovere di contribuire al risanamento dell’ambiente. A maggior ragione, coloro che credono in Dio creatore e, quindi, sono convinti che nel mondo esiste un ordine ben definito e finalizzato devono sentirsi chiamati ad occuparsi del problema. I cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede. Essi, pertanto, sono consapevoli del vasto campo di cooperazione ecumenica ed interreligiosa che si apre dinanzi a loro.
16. A conclusione di questo messaggio, desidero rivolgermi direttamente ai miei fratelli e alle mie sorelle della Chiesa cattolica per ricordar loro l’importante obbligo di prendersi cura di tutto il creato. L’impegno del credente per un ambiente sano nasce direttamente dalla sua fede in Dio creatore, dalla valutazione degli effetti del peccato originale e dei peccati personali e dalla certezza di essere stato redento da Cristo. Il rispetto per la vita e per la dignità della persona umana include anche il rispetto e la cura del creato, che è chiamato ad unirsi all’uomo per glorificare Dio (cfr. Sal 148[147] et Sal 96[95]).
San Francesco d’Assisi, che nel 1979 ho proclamato celeste patrono dei cultori dell’ecologia (cfr. «Inter Sanctos»: AAS 71 [1979], 1509s), offre ai cristiani l’esempio dell’autentico e pieno rispetto per l’integrità del creato. Amico dei poveri, amato dalle creature di Dio, egli invitò tutti – animali, piante, forze naturali, anche fratello sole e sorella luna – ad onorare e lodare il Signore. Dal Poverello di Assisi ci viene la testimonianza che, essendo in pace con Dio, possiamo meglio dedicarci a costruire la pace con tutto il creato, la quale è inseparabile dalla pace tra i popoli.
Auspico che la sua ispirazione ci aiuti a conservare sempre vivo il senso della «fraternità» con tutte le cose create buone e belle da Dio onnipotente, e ci ricordi il grave dovere di rispettarle e custodirle con cura, nel quadro della più vasta e più alta fraternità umana.

Dal Vaticano, 8 dicembre dell’anno 1989.

MARTIN BUBER – LA REALIZZAZIONE DEL REGNO DI DIO

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=126303

MARTIN BUBER, – LA REALIZZAZIONE DEL REGNO DI DIO

Con « Nessuno può servire due signori » non intese che si potesse servire Dio e Roma. Intendeva che ribellione e rivoluzione sono inutili e sono condannate a consumarsi in se stesse finché non sia nata dal rinnovamento dell’anima una nuova vera forma di convivenza umana.

Il regno di Dio è la ventura società, in cui tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia saranno sazi, e che può scaturire non dalla sola grazia divina, ma unicamente dalla sua cooperazione con la volontà umana e dalla misteriosa unione di ambedue. Gesù, per quanto possa in altri punti distaccarsi dalla dottrina tradizionale, vuole, come i profeti d’Israele, non abolire ma compiere la società; egli non vuole fuggire come gli esseni dalla comunità laica, bensì costruire in verità la Comunità vera, spirituale.
Dio vuole essere realizzato nel mondo e nel consorzio laico mediante la loro fiamme a purificazione e la loro perfezione rappresentativa; il mondo è la casa devastata, che deve esser preparata per lo spirito; prima che ciò sia accaduto, lo spirito non ha dove posare il capo: questa sapienza d’abisso è il più profondo ebraismo di Gesù. E nondimeno ci è stata tramandata una parola di lui che sembra esserne il contrasto. È la parola con cui egli risponde a chi gli domanda se si deve dare all’imperatore il tributo: «Date all’imperatore quello che è dell’imperatore, e a Dio quello ch’è di Dio». Qui pare espressa una separazione fra mondo e spirito, fra la realtà corrotta e gigantesca, di cui bisogna accettare l’esistenza, e la pura idealità, per la quale noi siamo redenti; a quella devesi pagare il tributo della vita esterna, a questa appartiene il cuore.
Ma questa separazione è solo apparente. Gesù aveva dinanzi a sé non più uno Stato che si poteva tentare di fondere nella sua totalità, guardando negli occhi il suo dominatore come faceva il profeta di fronte al re di Giuda o d’Israele, non uno Stato che si poteva colpire e vincere con l’idea; era Roma, era il nudo Stato che non conosceva e non riconosceva nulla al di fuori di sé, che neppure gli dei tollerava se non come custodi della sua potenza e della sua legge, quando non preferiva di alzare alla dignità di Dio perfino il suo imperatore; era l’unione coattiva che aveva sostituito ogni associazione naturale; era la violenza legalizzata, il sacrilegio sanzionato, il meccanismo che aveva messo la maschera dell’organico, l’organizzazione con la maschera dello spirito. Di fronte a questa macchina massiccia stava la volontà ebraica di realizzazione, la volontà della vera collettività risuscitata con nuova forza e grandezza, in una triplice forma: col ritirarsi in disparte e col salvare la legge affinché la missione divina che era racchiusa in essa fosse preservata per tempi migliori. [...]
[Gesù] che pronunciò la parola: «Nessuno può servire due signori» non intese che si potesse servire Dio e Roma. Intendeva che ribellione e rivoluzione sono inutili e sono condannate a consumarsi in se stesse finché non sia nata dal rinnovamento dell’anima una nuova vera forma di convivenza umana, che, acquistando sempre più vigore, sia destinata a sconquassare la vecchia compagine obbrobriosa.
Un’altra delle sue parole «Non fate opposizione al male!» significa: opponetevi al male facendo il bene, non colpite il regno del male, ma unitevi subito per il regno del bene; allora verrà il tempo in cui il male non potrà più opporsi a voi, non perché voi lo abbiate vinto, ma perché lo avete redento. Gesù voleva costruire sull’ebraismo il tempio della vera collettività alla cui sola vista le mura del regno di violenza sarebbero dovute crollare.
Ma non così egli fu compreso dalle generazioni seguenti. Una interpretazione enormemente erronea della sua dottrina riempie due millenni della storia spirituale dell’Occidente. La concezione ebraica del mondo unito, vinto dal turbamento e dal disordine, ma che può essere redento da questi suoi mali grazie alla volontà umana che lotta; la concezione secondo cui la volontà umana si eleva in questo processo fino a quella divina, e l’immagine si compie, e si concreta in verità l’eterna nascita di Dio: questa vera concezione ebraica viene sostituita dall’idea di un dissidio di principio insormontabile fra volontà umana e grazia divina.
La volontà decaduta, è vero, ma capace – grazie al mistero della conversione – di forza salvatrice illimitata, e vocata ad un’opera salvatrice illimitata, si trasforma in volontà onninamente cattiva e incapace di sollevarsi con le proprie forze; non essa, in tutta la sua contraddizione e in tutte le sue possibilità, è la via verso Dio, bensì tale è la fede e l’aspettativa nel contatto della grazia. Il male non più «guscio» che deve essere forato, bensì una potenza elementare a cui il bene sta di fronte come un grande avversario. Lo Stato non è più la condensazione della traviata volontà sociale, e perciò penetrabile e redimi bile dalla giusta volontà; ma esso è, come per Agostino, il regno dei dannati in eterno, da cui gli eletti debbono perciò separarsi in eterno; oppure, come per Tommaso, un gradino ed una scuola preliminare della vera collettività, che è una collettività ecclesiastica.
La vera collettività ha da realizzarsi non più nella vita perfetta degli uomini con gli uomini, nella laicità chiarificata, ma nella Chiesa; essa è per principio divisa, come collettività dello spirito, dal consorzio del mondo; come collettività della grazia, da quello della natura. Anche il protestantesimo ha accettato questa divisione; anche per esso la vita è scissa in due regni, quello delle opere e quello della fede; esso vuole l’esistenza della Chiesa accanto allo Stato, non la fusione di ambedue in una unità più alta, quella della vera collettività. Solo nella mistica continuano la loro vita il sentimento dell’esistenza indivisa, l’idea della relatività del male e dell’assolutezza dell’anima umana; ma ad esso manca l’elemento dell’attività nell’assoluto, la tendenza della realizzazione della vita indivisa nel mondo umano, nel mondo della convivenza.
Così i popoli dell’Occidente, accogliendo con la dottrina di Gesù la dottrina ebraica, non ne hanno presa la sostanza; la tendenza alla realizzazione non è penetrata nelle basi spirituali della vita dei popoli. È vero che la loro fiamma divampava sempre nuovamente nella passione delle comunità eretiche e dei settari che volevano iniziare il regno di Dio; ma essa si spense sempre nell’aria che respirano i popoli, nell’atmosfera del compromesso con il dualismo. È l’atmosfera in cui è immerso ancora il nostro tempo, l’atmosfera del dualismo della verità e della realtà, dell’idea e del fatto, della morale e della politica; è l’atmosfera in cui il cristianesimo ha dato per tanto tempo all’imperatore romano quello che era «dell’imperatore», finché non ebbe più nulla da rifiutargli; in cui il cristianesimo per tanto tempo non si è opposto al male, finché fu costretto a riconoscere, quando tentò di resistere ai suoi eccessi più frenetici, che era diventato impotente a qualunque resistenza.
Ma non dimentichiamo che è stato pure un ebreo, un ebreo rappresentativo, colui per la cui opera si produsse questa rifrazione dell’ebraismo nella sua trasmissione ai popoli. Per comprendere giustamente questo violento dominatore dello spirito, bisogna ricercare in lui l’elementare psiche dell’ebreo, dalla quale sorge sempre di nuovo la tendenza alla realizzazione. Questa psiche primordiale ha per centro il sentimento elementare di quel dissidio interno che è proprio, in qualche misura, di tutti gli uomini, ma che gli ebrei però posseggono con una particolare forza, e della volontà di superarlo mediante la realizzazione dell’unità. Saulo, uomo di Tarso, ha espresso questo immanente dissidio in modo talmente rigido e preciso, come nessun altro uomo, nelle fati di che parole che sono un’introduzione all’aeon cristiano: «Poiché non riconosco quello che compio; non quello che voglio io faccio, sì faccio quello che odio».
Ma questa coscienza terribile e paradossale non è per lui quella che fu una volta per l’ebreo e dovrà diventarlo di nuovo: una spinta sovrumana a tentare un assalto che sembra impossibile, a perforare il guscio e, nell’unificazione della propria volontà, realizzare quella divina; essa non è per lui il terreno vacillante su cui può unicamente appoggiarsi la scala che barcolla su ogni terreno fermo, la scala celeste; essa è per lui bensì una rinuncia titanica.
Quest’uomo fa la somma di tutta la delusione immensa che ha prodotto nell’ebraismo fino ai suoi giorni la tendenza alla realizzazione; accanto al calcolo razionale egli fa il calcolo umano e dichiara che non possiamo compiere nulla, nulla da noi stessi, ma unicamente per mezzo della grazia di Dio; oppure ciò che significa per lui lo stesso, facendoci credenti e seguaci di colui in cui è stata visibilmente la grazia, di quell’uno che, come è detto, «non conobbe verun peccato».
Il fatto che allora non si conosceva, come sembra, nulla di preciso dei primi trent’anni di vita di Gesù; che anche la leggenda reca i segni del tempo delle sue lotte e dei suoi superamenti solo per il simbolo della triplice tentazione; questa armonia concretatasi apparentemente senza un precedente dissidio ha agevolato a Paolo la sua ideologia. Egli trasmette la dottrina di Gesù ai popoli dopo averla trasformata alla luce di questa ideologia, porge loro il dolce veleno di una fede che deve sdegnare le opere, dispensare il credente dalla realizzazione e stabilire nel mondo il dualismo. È l’età di Paolo: le cui convulsioni mortali, noi, che viviamo oggi, riguardiamo con occhi di stupore.
Link utili:
http://www.jesuschrist.it
(L’autore) I filosofi e Cristo – autore: Martin Buber

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31