Caravaggio, incredulity of Saint Thomas 1531-1535

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LA MATERNA PATERNITÀ DI DIO
Durante l’Angelus del 10 settembre 1978, Giovanni Paolo primo (Papa Luciani) affermò testualmente: Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile: Dio è papà, più ancora è madre. Questa affermazione fece subito il giro del mondo, quasi che il Santo Padre (morto improvvisamente due settimane dopo), avesse affermato chissà quale nuova verità su Dio.
In realtà, già l’Antico Testamento raffigurava Dio con tratti femminili.
Il padre umano dona il timbro di appartenenza ad una tribù, ad un popolo, ad Israele. Le genealogie, da questo punto di vista, non vanno da noi considerate come una noiosa sfilza di nomi che parte sempre da un capostipite. In realtà esse servono ad esprimere l’appartenenza ad una famiglia o ad una tribù. Per le civiltà patriarcali, questo era un punto importantissimo. Pertanto, Dio, per rivelarsi all’uomo, utilizza la stessa forma letteraria “genealogica”. A Mosè si manifesta in questi termini: Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe (Esodo 3,6). In questo testo la parola “Dio” sta per padre, capostipite di un popolo che lui stesso ha generato: ora attraverso la creazione, ora attraverso una chiamata. Quando, per esempio Dio chiama Abramo, la chiamata non ha solo il senso del conferimento di una missione (Genesi 12, 1 e seguenti). Per Dio l’uomo non è solo una funzione o un compito da svolgere, ma è soprattutto una persona. Dio chiama Abramo e con lui, poi, tanti altri uomini, quasi a volerli invitare nella sua famiglia. In tal modo nasce il tema, così ampiamente sviluppato nelle pagine più antiche della Bibbia, del Dio dei padri.
E’ molto significativo, a questo punto, vedere, nella lingua ebraica, il Nome di Dio. Nella locuzione Dio dei Padri viene utilizzato quasi sempre il termine El Shaddaj. Normalmente, nelle traduzioni correnti, esso viene tradotto con Dio Onnipotente. Tuttavia, se si guarda alla sua area semantica, il titolo Shaddaj richiama il tema della fertilità e quindi della fecondità e del dinamismo della vita. Sembra essere la ritraduzione, in termini di fecondità e quindi femminili, del nome molto più diffuso che tutti conosciamo, ma che non può essere né scritto né pronunciato e che, convenzionalmente, esprimiamo con “Adonaj”. E’ l’Adonaj che crea e che creando soffia l’alito vitale sull’uomo, creatura ancora informe: e l’uomo divenne un essere vivente (Genesi 2,7).
Il titolo Shaddaj lo troviamo collegato con i temi della nascita, del nutrimento, della compassione misericordiosa, tutte realtà, queste, che fanno di Dio la matrice della famiglia e delle relazioni familiari.
Il testo su cui pongo in particolare l’attenzione, è quello che troviamo in Genesi 49, 22-26. E’ la benedizione che Giacobbe, ormai morente, dona al figlio Giuseppe:
Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe;
Germoglio di un ceppo fecondo presso una fonte,
i cui rami si stendono sul muro…
Per il Dio di tuo padre: Egli ti aiuti,
e per il Dio, l’Onnipotente (El Shaddaj): Egli ti benedica!
Con benedizioni del cielo dall’alto,
benedizioni dell’abisso nel profondo,
benedizioni delle mammelle (Shaddajm) e del grembo (Rahamìm).
Le benedizioni di tuo padre sono superiori
alle benedizioni dei monti antichi
alle attrattive dei colli perenni….
Questa immagine della fertilità paterna (e materna) di Dio, è collegata non solo con le origini delle benedizioni familiari, ma anche con quelle della creazione. La benedizione ha, nel testo, un carattere cosmico: dall’alto e dal profondo. L’acqua, vista come origine della vita, scende dall’alto come pioggia, sale dal basso come sorgente. E’ anche una benedizione che proviene dalle mammelle e dal grembo.
Mammelle: Shaddajm. Si tratta di un plurale derivato dal nome Shaddaj.
Grembo: Raham: da questo vocabolo i profeti trarranno la nozione di misericordia (Rahamim)= viscere di misericordia.
Dall’uso di questi vocaboli appare chiaramente l’immagine di Dio che è Padre, ma che ha le sembianze della madre e della fertilità. Dalle sue mammelle l’uomo succhia il nutrimento per la vita, e dal suo seno, dentro il quale, secondo il Vangelo di Giovanni, c’è anche il Figlio (Giovanni, 1, 18), nascono le benedizioni.
Quando Dio, avvolto nella nube, appare sul monte Sinai a Mosè, proclama Egli stesso il Suo Nome: Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e fedeltà…(Esodo, 34, 6). Qui, sia pure in altri termini, si auto presenta con la stessa immagine. Dio ridona la vita, o meglio, il coraggio della vita, ad un Mosè esausto, che sente su di sé tutto il peso di un fallimento, lo benedice donandogli la sua hesed, (grazia) e le sue “viscere” (rahamim).
I profeti svilupperanno questa immagine di Dio. Lo splendido capitolo 11 del profeta Osea, per esempio, è una pagina di commovente tenerezza divina. Dio è Padre, perché datore della vita (la creazione), ed è capostipite di un popolo con cui, stringendo un patto di eterna alleanza, intesse una storia di amore. La storia della salvezza, altro non è che lo svolgersi, nel tempo, di tale amore.
Al di là del suo peccato, sempre perdonato, sia pure attraverso la purificazione, il popolo di Israele diventa così il cantore della materna paternità di Dio, soprattutto nella preghiera salmica.
O Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome sulla terra! (Salmo 8, 2).
Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla! (Salmo 23, 2).
Dio è Colui il cui volto suscita desiderio e nostalgia di conoscenza::
Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio Volto”: il tuo Volto, Signore, io cerco (Salmo 27, 8).
O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia! (Salmo 63, 2).
Dio è l’anelito di ogni ricerca, perché in Lui sono tutte le nostre sorgenti (Salmo 87, 7).
E’ il Dio dell’Alleanza e della verità, del quale Giobbe può dire: Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto…(Giobbe, 42,5).
Ora anche i nostri occhi lo vedono nel Figlio del suo Amore (Colossesi 1, 13), nel suo Figlio che era in principio presso di Lui e che era la luce vittoriosa sulle tenebre (Giovanni, 1, 1 e seguenti). Egli è consustanziale al Padre: Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre! (Giovanni, 14, 9). Egli è Colui che al grido degli infermi: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me”, risponde versando su di essi le “viscere” di misericordia e di pietà amorosa.
A questo Padre aneliamo, alla sua casa tendiamo, mentre lo amiamo con tutte le forze, con tutta la mente, con tutta la volontà. A Lui saliamo sorretti da Cristo Gesù, sospinti dal fuoco dello Spirito, sapendo già che, in virtù della redenzione operata da Figlio suo, siamo avvolti dalla sua benedizione, che è più grande dei monti altissimi e dei colli eterni.
In Gesù abbiamo l’Icona della sua tenerezza materna e della sua paternità amorosa.
Gesù è il grembo da cui nasciamo alla vita del Padre, per mezzo dello Spirito.
Gesù è la perfetta immagine delle “mammelle” del Padre: da Lui infatti, succhiamo il latte della grazia per crescere nell’amore. Come bambini appena nati desideriamo avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale possiamo crescere verso la salvezza, se davvero abbiamo gustato quanto è buono il Signore! (1Pietro, 2-3).
Padre, conoscerti è giustizia perfetta,
conoscere la tua potenza
è la radice della nostra immortalità!
(Sapienza 15, 3).
Facci comprendere la preziosità della vita, perché essa non è nostra, ma ci è stata donata da Te, Padre celeste. Onorarla, accoglierla, benedirla, è la lode più grande che possiamo far salire in Gesù Cristo a Te, Padre della vita.
Mi piace concludere con un aneddoto, che ho trovato fra tanti miei appunti. Non so a quale collezione corrisponda.
Un giorno Dio si stancò degli uomini.
Lo seccavano in continuazione, chiedendogli qualsiasi cosa. Allora decise di nascondersi per un po’ di tempo. Radunò tutti i suoi consiglieri e chiese loro: “Dove mi posso nascondere? Qual è il luogo migliore?”. Alcuni risposero: “Sulla cima della montagna più alta della terra”. Altri: “No, nasconditi nel fondo del mare, nessuno ti troverà”. Altri: “No, nasconditi sul lato oscuro della luna: questo è il posto migliore. Come riusciranno a trovarti là?”. Allora Dio si rivolse al suo Angelo più intelligente e lo interrogò: “Tu, dove mi consigli di nascondermi?”.
L’Angelo intelligente, sorridendo, rispose: “Nasconditi nel cuore dell’uomo: è l’unico posto dove essi non vanno…”.
Drammaticamente parlando, forse è vero! L’uomo non sa più visitare il suo cuore, non ne conosce più il linguaggio. Ma Dio è venuto ad abitare proprio lì.
Impariamo le vie del cuore per conoscere il suo Volto maternamente paterno: ci sentiremo ripetere: “Finalmente! Ti aspettavo da tanto tempo per dirti solo che ti amo di un amore infinito, tu mia creatura più bella, fatta a mia immagine e somiglianza!”.
Amen.
http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20150412.shtml
OMELIA II DOMENICA DI PASQUA
padre Ermes Ronchi
CREDERE SENZA AVER VISTO
E’ la domenica di Tommaso e di una beatitudine che sento mia: Beati quelli che non hanno visto eppure credono! Le altre le ho sentite difficili, cose per pochi coraggiosi, per pochi affamati di immenso. Questa è una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia. Siamo noi quelli di cui parla Gesù, noi che non abbiamo visto epÈ pure di otto giorni in otto giorni continuiamo a radunarci nel suo nome, a distanza di millenni e a prossimità di cuore; di noi scrive Pietro: «voi lo amate pur senza averlo visto». Otto giorni dopo venne Gesù, a porte chiuse. C’è aria di paura in quella casa, paura dei Giudei, ma soprattutto paura di se stessi, di come lo avevano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta. Mi conforta pensare che, se anche trova chiuso, non se ne va’. Otto giorni dopo è ancora lì: l’abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare.
Viene e sta in mezzo a loro. Non chiede di essere celebrato, adorato. Non viene per ricevere, ma per dare. È il suo stile inconfondibile. Sono due le cose che porta: la pace e lo Spirito.
Pace a voi. Non un semplice augurio o una promessa futura, ma una affermazione: la pace è a voi, vi appartiene, è già dentro di voi, è un sogno iniziato e che non si fermerà più. Io vi porto questo shalom che è pienezza di vita. Non una vita più facile, bensì più piena e appassionata, ferita e vibrante, ferita e luminosa, piagata e guaritrice. La pace adesso.
Soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo. Su quel pugno di creature, chiuse e impaurite, scende il vento delle origini, il vento che soffiava sugli abissi, che scuote le porte chiuse: ecco io vi mando!
Scende lo Spirito di Gesù, il suo segreto, il suo mistero, ciò che lo fa vivere, il suo respiro stesso: vivrete di ciò di cui vivo io. Lo ha sperimentato Paolo: non son più io che vivo, è Cristo che vive in me. Lo ha comunicato a tutti: Voi siete già stati risuscitati con Cristo (Col 3,1). Già risorti adesso, per una eternità che già mette le sue prime gemme. In quel soffio Gesù trasmette la sua forza: con lo Spirito di Dio voi farete le cose di Dio. E la prima delle cose da Dio è il perdono.
Tommaso, metti qua il tuo dito nel foro dei chiodi, stendi la mano, tocca! Le ferite del Risorto, feritoie d’amore: nel corpo del crocifisso l’amore ha scritto il suo racconto con l’alfabeto delle ferite, indelebili ormai come lo è l’amore.
Gesù che non si scandalizza dei miei dubbi, ma mi tende le sue mani. A Tommaso basta questo gesto. Non è scritto che abbia toccato. Perché Colui che ti tende la mano, che non ti giudica ma ti incoraggia, è Gesù. Non ti puoi sbagliare!