Archive pour le 8 avril, 2015

I funerali di Giovanni Paolo II, foto da un aereo

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MESSA ESEQUIALE PER IL DEFUNTO ROMANO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II (8 aprile 2005) OMELIA CARD. RATZINGER

http://www.vatican.va/gpII/documents/homily-card-ratzinger_20050408_it.html

MESSA ESEQUIALE PER IL DEFUNTO ROMANO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II (8 aprile 2005)

OMELIA DELL’EM.MO CARD. JOSEPH RATZINGER

Piazza San Pietro

Venerdì, 8 aprile 2005

« Seguimi » dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. « Seguimi » – questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine.
Questi sono i sentimenti del nostro animo, Fratelli e Sorelle in Cristo, presenti in Piazza S. Pietro, nelle strade adiacenti e in diversi altri luoghi della città di Roma, popolata in questi giorni da un’immensa folla silenziosa ed orante. Tutti saluto cordialmente. A nome anche del Collegio dei Cardinali desidero rivolgere il mio deferente pensiero ai Capi di Stato, di Governo e alle delegazioni dei vari Paesi. Saluto le Autorità e i Rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane, come pure delle diverse religioni. Saluto poi gli Arcivescovi, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli tutti giunti da ogni Continente; in modo speciale i giovani, che Giovanni Paolo II amava definire futuro e speranza della Chiesa. Il mio saluto raggiunge, inoltre, quanti in ogni parte del mondo sono a noi uniti attraverso la radio e la televisione in questa corale partecipazione al solenne rito di commiato dall’amato Pontefice.
Seguimi – da giovane studente Karol Wojtyła era entusiasta della letteratura, del teatro, della poesia. Lavorando in una fabbrica chimica, circondato e minacciato dal terrore nazista, ha sentito la voce del Signore: Seguimi! In questo contesto molto particolare cominciò a leggere libri di filosofia e di teologia, entrò poi nel seminario clandestino creato dal Cardinale Sapieha e dopo la guerra poté completare i suoi studi nella facoltà teologica dell’Università Jaghellonica di Cracovia. Tante volte nelle sue lettere ai sacerdoti e nei suoi libri autobiografici ci ha parlato del suo sacerdozio, al quale fu ordinato il 1° novembre 1946. In questi testi interpreta il suo sacerdozio in particolare a partire da tre parole del Signore. Innanzitutto questa: « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga » (Gv 15, 16). La seconda parola è: « Il buon pastore offre la vita per le pecore » (Gv 10, 11). E finalmente: « Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore » (Gv 15, 9). In queste tre parole vediamo tutta l’anima del nostro Santo Padre. E’ realmente andato ovunque ed instancabilmente per portare frutto, un frutto che rimane. « Alzatevi, andiamo! », è il titolo del suo penultimo libro. « Alzatevi, andiamo! » – con queste parole ci ha risvegliato da una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi. « Alzatevi, andiamo! » dice anche oggi a noi. Il Santo Padre è stato poi sacerdote fino in fondo, perché ha offerto la sua vita a Dio per le sue pecore e per l’intera famiglia umana, in una donazione quotidiana al servizio della Chiesa e soprattutto nelle difficili prove degli ultimi mesi. Così è diventato una sola cosa con Cristo, il buon pastore che ama le sue pecore. E infine « rimanete nel mio amore »: Il Papa che ha cercato l’incontro con tutti, che ha avuto una capacità di perdono e di apertura del cuore per tutti, ci dice, anche oggi, con queste parole del Signore: Dimorando nell’amore di Cristo impariamo, alla scuola di Cristo, l’arte del vero amore.
Seguimi! Nel luglio 1958 comincia per il giovane sacerdote Karol Wojtyła una nuova tappa nel cammino con il Signore e dietro il Signore. Karol si era recato come di solito con un gruppo di giovani appassionati di canoa ai laghi Masuri per una vacanza da vivere insieme. Ma portava con sé una lettera che lo invitava a presentarsi al Primate di Polonia, Cardinale Wyszyński e poteva indovinare lo scopo dell’incontro: la sua nomina a Vescovo ausiliare di Cracovia. Lasciare l’insegnamento accademico, lasciare questa stimolante comunione con i giovani, lasciare il grande agone intellettuale per conoscere ed interpretare il mistero della creatura uomo, per rendere presente nel mondo di oggi l’interpretazione cristiana del nostro essere – tutto ciò doveva apparirgli come un perdere se stesso, perdere proprio quanto era divenuto l’identità umana di questo giovane sacerdote. Seguimi – Karol Wojtyła accettò, sentendo nella chiamata della Chiesa la voce di Cristo. E si è poi reso conto di come è vera la parola del Signore: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà » (Lc 17, 33). Il nostro Papa – lo sappiamo tutti – non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sé; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi. Proprio in tal modo ha potuto sperimentare come tutto quanto aveva consegnato nelle mani del Signore è ritornato in modo nuovo: l’amore alla parola, alla poesia, alle lettere fu una parte essenziale della sua missione pastorale e ha dato nuova freschezza, nuova attualità, nuova attrazione all’annuncio del Vangelo, proprio anche quando esso è segno di contraddizione.
Seguimi! Nell’ottobre 1978 il Cardinale Wojtyła ode di nuovo la voce del Signore. Si rinnova il dialogo con Pietro riportato nel Vangelo di questa celebrazione: « Simone di Giovanni, mi ami? Pasci le mie pecorelle! » Alla domanda del Signore: Karol mi ami?, l’Arcivescovo di Cracovia rispose dal profondo del suo cuore: « Signore, tu sai tutto: Tu sai che ti amo ». L’amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre; chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze puramente umane: Essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale. Non è qui il momento di parlare dei singoli contenuti di questo Pontificato così ricco. Vorrei solo leggere due passi della liturgia di oggi, nei quali appaiono elementi centrali del suo annuncio. Nella prima lettura dice San Pietro – e dice il Papa con San Pietro – a noi: « In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è Signore di tutti » (Atti 10, 34-36). E, nella seconda lettura, San Paolo – e con San Paolo il nostro Papa defunto – ci esorta ad alta voce: « Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi » (Fil 4, 1).
Seguimi! Insieme al mandato di pascere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio. Con questa parola conclusiva e riassuntiva del dialogo sull’amore e sul mandato di pastore universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto dell’ultima cena. Qui Gesù aveva detto: « Dove vado io voi non potete venire ». Disse Pietro: « Signore, dove vai? ». Gli rispose Gesù: « Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi » (Gv 13, 33.36). Gesù dalla cena va alla croce, va alla risurrezione – entra nel mistero pasquale; Pietro ancora non lo può seguire. Adesso – dopo la risurrezione – è venuto questo momento, questo « più tardi ». Pascendo il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale, va verso la croce e la risurrezione. Il Signore lo dice con queste parole, « … quando eri più giovane… andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi » (Gv 21, 18). Nel primo periodo del suo pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso la verità delle parole: « Un altro ti cingerà… ». E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell’amore che va fino alla fine (cf Gv 13, 1).
Egli ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia. Scrive nel suo ultimo libro: Il limite imposto al male « è in definitiva la divina misericordia » (« Memoria e identità », pag. 70). E riflettendo sull’attentato dice: « Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l’ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell’amore…E’ la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell’amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene » (pag. 199). Animato da questa visione, il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo.
Divina Misericordia: Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: « Ecco tua madre! ». Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l’ha accolta nell’intimo del suo essere (eis ta idia: Gv 19, 27) – Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo.
Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un’ultima volta ha dato la benedizione « Urbi et orbi ». Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Amen. 

DIETRICH BONHOEFFER († 9 aprile 1945)

http://www.filosofico.net/bonhoeffer.htm

DIETRICH BONHOEFFER († 9 aprile 1945)

A cura di Diego Fusaro

Con l’avvento del nazismo al potere, la Chiesa protestante si adattava a convivere con esso, seguendo l’insegnamento impartito da Lutero stesso, secondo cui il vero cristiano deve essere fedele al potere temporale. Tuttavia, la vita e la personalità eroica di Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) testimoniarono l’assoluta incompatibilità fra il dettato evangelico e il torbido e fosco paganesimo del regime hitleriano. Bonhoeffer fu infatti tra i principali promotori della cosiddetta  » Chiesa confessante che rappresentò in Germania la resistenza cristiana al nazismo e, coinvolto nel fallito attentato a Hitler compiuto dal gruppo di Von Stauffenberg e Canaris, venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenburg. La meditazione teologica di Bonhoeffer appare intimamente coerente con la sua vita in quanto, mentre s’innesta in modo conseguente sul filone barthiano e sulla nozione dell’assoluta alterità di Dio, svolge un tema lasciato da Barth in posizione secondaria: quello dell’ impegno concreto dell’uomo nella storia . In una situazione in cui tutto, nel mondo moderno, porta l’uomo a non riconoscersi più nel messaggio cristiano, la riflessione di Bonhoeffer muove dalla domanda su come sia ancora possibile professare il Vangelo. Di qui il suo sforzo, da un lato, di accettare sino in fondo l’autonomia dell’umana, la sua « maggiore età », cioè il retaggio della cultura moderna dall’illuminismo in poi e, dall’altro, di prospettare la possibilità di un cristianesimo « non religioso », che richieda di vivere il Vangelo in un mondo totalmente secolarizzato e lontano da Dio.  » Vivere in nome di Dio e di fronte a Dio senza Dio  » è la formula in cui si condensa questo tentativo di accogliere senza mezzi termini le istanze dell’umanesimo ateo e di scorgere la presenza di Dio non nella debolezza, ma nella pienezza e nella forza dell’umano. Nelle sue opere (fra le quali le più note sono certamente l’ « Etica », il capolavoro incompiuto, e la densa raccolta di lettere degli ultimi anni, pubblicata postuma nel 1951 dal titolo « Resistenza e resa ») tutto ruota intorno alla domanda di fondo: chi è Cristo oggi per noi, abitatori di un mondo che ha imparato a fare a meno dell’ipotesi Dio poiché è finalmente diventato « adulto? Oppure, detto in altri termini, come e perché volgerci ancora a Dio, quando la nostra attuale condizione è di poterne fare a benissimo a meno? Non vi è infatti alcun dubbio, per Bonhoeffer, che non vi sia più alcun bisogno di un Dio « tappabuchi » cui l’uomo ricorra per darsi sicurezza nelle sue crisi e nelle sue debolezze.  » Io vorrei parlare di Dio non ai confini ma nel centro, non nella debolezza ma nella forza, non nella morte e nella colpa ma nella vita e nella bontà dell’uomo. Giunto ai limiti, mi pare meglio tacere e lasciare irrisolto l’irrisolubile. La fede nella risurrezione non è la soluzione del problema della morte. L’aldilà di Dio non è l’aldilà delle nostre possibilità di conoscenza. La trascendenza della gnoseologia non ha nulla a che fare con la trascendenza di Dio. Egli è al di là in mezzo alla nostra vita. La chiesa non risiede là dove la capacità dell’uomo non ce la fa più, ai confini, ma in mezzo al villaggio  » (« Resistenza e resa », lettera 16.7 del 1944). Ora, questa operazione che rassicura l’uomo nelle sue incertezze era propria della religione, la quale, su questo piano, non ha più nulla da dire. E’ dunque necessario abbandonare la religione come via d’accesso a Dio; ma ciò non vuol dire abbandonare la fede , che può essere davvero ritrovata solo sganciandola dal suo rapporto religioso. Bonhoeffer procede così ad una radicale distinzione tra religione e fede . Se la religione aveva fatto leva sulla debolezza dell’uomo per convincerlo della necessità dell’ipotesi Dio, la fede ricorderà invece che Gesù Cristo ci ha chiamati alla vita e non ha inteso fondare una religione (ipotesi radicalmente opposta a quella di Nietzsche, per cui la fede cristiana ammazza la vita). Si tratta, insomma, di scoprire il nuovo (o il vero) volto di Dio in un quadro di riferimento dove la rinuncia cosciente del « Deus ex machina », che è un residuo pagano, conduce a vedere nella vicenda cristica la presenza concreta e storica di un Dio che si è abbandonato al potere degli uomini, salvandoli con la sua morte e con la sua sofferenza. E’ dunque per seguire l’esempio di Cristo che gli uomini hanno non solo il diritto ma il dovere di assumere sino in fondo la loro umanità, di realizzare in pieno quella vita che Cristo ha riscattato per loro con la morte: è per questo che un’ etica cristiana non deve respingere la vita, ma affermarla ed esserle fedele. E’ questo il tema che percorre l’ « Etica » di Bonhoeffer il quale, nel rifiutare ogni forma di morale astratta e di legalismo etico, muove (anche sulla scorta di un’operazione d’innesto del pensiero di Nietzsche sul tronco del Vangelo) a richiamare l’uomo all’amore per la vita e alla responsabilità che esso comporta. Nel suo amore per il mondo, Cristo lo riconduce al Padre, ma proprio così ne fonda la libertà e la responsabilità, chiamando l’uomo a un impegno che in ogni scelta concreta riaffermi e rinforzi l’amore per tutta la realtà. L’uomo, dunque, non può e non deve rifiutare le realtà « penultime » (o umane e naturali) in nome di quelle « ultime » (o sovrannaturali) ma, pur con l’occhio rivolte alle seconde, deve agire completamente all’interno delle prime. L’atteggiamento contrario non è che un autoinganno o menzogna, poiché è falso promettere il regno di Dio laddove non siano stati soddisfatti i bisogni primari dell’uomo, sia fisici sia morali sia sociali, e non ci si sia impegnati fino in fondo per correggere le storture del mondo. Compito dell’etica cristiana sarà allora non di distogliere l’uomo da questo impegno, ma di ricordargli che soltanto esercitandolo egli potrà aprirsi la strada verso la comprensione e la conquista delle realtà « ultime »; ma, al tempo stesso, di rammentargli che il rischio dell’agire nella storia sta nella permanente tentazione di farsi fine a se stesso, escludendo le realtà ultime e affermando semplicemente l’ideologia dell’umanesimo ateo. Insomma, per trovare Dio non è necessario espungere l’uomo, ma per trovar l’uomo non bisogna espungere Dio: lo sforzo dell’etica di Bonhoeffer sta tutto nel tentativo di affermare insieme Dio e l’uomo , e proprio per questo essa può dirsi un’ etica cristologica , il che ne rende illegittime le ricorrenti letture in chiave unilateralmente mondana e immanentistica.

Publié dans:Dietrich Bonhoeffer |on 8 avril, 2015 |Pas de commentaires »

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