Gesù nell’orto degli ulivi

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UNA MATERNITÀ « PASQUALE »
«La pietà dei figli della Chiesa ha la certezza che Cristo risorto apparve, dapprima, a sua Madre».
Se il mistero dell’umana redenzione inizia pienamente nella Pasqua di risurrezione del Signore, Maria, la donna gloriosa degli inizi e aurora della salvezza, quale ruolo svolge in questo nuovo e definitivo evento? Quello della nuova Eva: Madre del nuovo Adamo nel suo natale e « socia generosa » del Redentore (cf LG 61) nel triduo santo, allorché accompagna e condivide il sacrificio del Figlio per «il riscatto dell’umana famiglia» (cf Prefazio, Collectio Missarum BVM 12). La nascita di Gesù capo a Betlemme guarda alla Pasqua, quando la maternità della Vergine si estende alle membra del corpo ecclesiale del Figlio e all’umanità intera; si manifesta pienamente nella Veglia pasquale e si prolunga nella Chiesa nascente riunita nel Cenacolo. Non senza fondamento omelie pasquali dei Padri parlano della Madre presente alla risurrezione del Figlio. Libri liturgici antichi riportano riferimenti mariani nella notte di Pasqua e nel Tempo pasquale. La Chiesa di Roma prevede la venerazione di lei nel triduo, nella Veglia pasquale e il giorno di Pasqua.
1. Madre del Cristo totale. Proprio a Pasqua si ha la manifestazione concreta della maternità divina della Vergine estesa alla totalità del corpo di Cristo. L’Angelo della risurrezione annuncia alle donne: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso! » (Mc 16,6), ossia l’annunciato a Maria, il « nato santo » dalla Vergine (cf Lc 1,35). Ma ora l’annuncio pasquale comprende anche i discepoli, ricevuti da Maria come figli presso la croce e « rinati santi » nel battesimo la notte di Pasqua. Ma Gesù risorto è apparso alla Madre? La Madre ha visto il Figlio risorto? Presente al Calvario, ella è presente anche nella notte della risurrezione?
Il celebre biblista Marie-Joseph Lagrange (+1938), in sintonia con molti Padri della Chiesa e altrettanti studiosi contemporanei, osserva: «La pietà dei figli della Chiesa ha la certezza che Cristo risorto apparve prima alla sua santissima Madre… Maria appartiene a un ordine trascendente dove è associata come madre alla paternità divina su Gesù». San Luigi Maria di Montfort (+1716) spiega: «Ogni vero figlio della Chiesa deve avere Dio per padre e Maria per madre » (Segreto di Maria, 11), poiché «il capo e le membra nascono da una stessa Madre» (Trattato della vera devozione a Maria, 32). Ella a Pasqua è riconosciuta madre del Risorto e dei credenti, colei che accoglie il Figlio e i figli. Ma allora la maternità di Maria è duplice?
2. Madre presso la croce. Come la nuova nascita di Gesù è preludio della sua rinascita a Pasqua, così la maternità di Maria a Betlemme, a Pasqua tende all’universalità, al pari della paternità divina di Dio. Sì! La maternità di Maria è duplice e fondata su un duplice annuncio. Per Giovanni Paolo II la profezia di Simeone nella Presentazione al Tempio: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35), è il «secondo annuncio a Maria» (Redemptoris Mater = RM 16), preludio alla sua partecipazione materna alla croce redentiva. Leone XIII (+1903) specifica: «Maria ricevette un duplice annuncio della sua stessa maternità: dall’Angelo, nella casa di Nazaret, e da Gesù, figlio suo, sulla croce [...] Maria accettò ed eseguì di gran cuore le parti di quel singolare ufficio di madre».
Anche Benedetto XVI accentua la novità della maternità di Maria. Nell’enciclica Spe salvi la elogia: «Dalla croce ricevesti una nuova missione.Apartire dalla croce diventasti madre di tutti coloro che vogliono credere nel tuo figlio Gesù. [...] La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede» (n. 50).
3. Maternità « pasquale ». Se l’incarnazione del Verbo è ordinata alla sua passione salvifica (cf Gv 12,27-28), anche la maternità divina di Maria è ordinata alla sua maternità pasquale. Iniziata a Nazaret, nell’ora dell’Eccomi del concepimento del Salvatore, la collaborazione della Vergine alla redenzione raggiunge il culmine a Gerusalemme, nell’ora della croce, quando ella, ricorda il Vaticano II, «soffrì profondamente con il suo Figlio unico e si associò con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data come madre al discepolo» (LG 58). Paolo VI puntualizza: la maternità di Maria a Pasqua «si dilatò assumendo sul Calvario dimensioni universali» (Marialis cultus = MC 37). Giovanni Paolo II aggiunge: «La sua maternità (è) iniziata a Nazaret ed (è stata) vissuta sommamente a Gerusalemme sotto la croce» (Tertio millennio adveniente, 54). Lo stesso Pontefice nella RM precisa: «Se già in precedenza la maternità di Maria nei riguardi degli uomini era stata delineata, ora (presso la croce) viene chiaramente precisata e stabilita: essa emerge dalla definitiva maturazione del mistero pasquale del Redentore » (n. 23). Presso la croce Maria diventa madre del « Cristo totale », capo e membra, madre universale del genere umano. Ma dove e quando si manifesta questa nuova maternità?
4. «La Madre rivede le membra che ha generato»: Veglia pasquale. Il cappellano della Vergine, Ildefonso di Toledo (+667), dà per scontata la teofania del Risorto alla Madre. E in questa luce pasquale illustra la nuova maternità di Maria. In una inlatio (prefazio) ispanica della Messa del sabato dell’ottava di Pasqua, Ildefonso esclama: «Agnoscit Mater membra quae genuit » («La Madre riconosce le membra che ha generato»): nel corpo glorioso del Figlio, la notte di Pasqua ella rivede sia le membra generate a Betlemme che quelle ricevute il Venerdì santo dal Figlio morente sulla croce. Ildefonso considera pure la maternità della Chiesa quando la notte di Pasqua amministra i sacramenti dell’iniziazione. In una inlatio della Veglia pasquale egli narra che la Chiesa partorisce senza dolore i cristiani, come Maria senza dolore aveva partorito Gesù a Betlemme. Ciò significa che la maternità di Maria si perpetua nella maternità della Chiesa. E nel battesimo dei credenti la Vergine rivede se stessa quale loro madre. Chiamata presso la croce del Figlio a essere madre dei suoi discepoli, la Vergine dalla risurrezione si prende cura di loro per delineare in essi i tratti fisionomici del Figlio primogenito (cf MC 57). Montfort invoca lo Spirito: «Spirito Santo, ricordati di generare e formare figli di Dio con Maria [...] Hai formato in lei e con lei il capo degli eletti, perciò con lei e in lei devi formare tutte le sue membra » (Preghiera infocata, 15).
5. Accogliere la Madre del Risorto come propria madre. Se Maria accoglie i battezzati come propri figli, anch’essi hanno il dovere di accoglierla come propria madre. L’accoglienza di lei è espressione dell’obbedienza della fede, risposta a una scena di rivelazione, riguarda la vita di grazia. Nell’antichità Origene (ca. +254) affermava: «Maria ha un solo figlio: questi (Giovanni) è Gesù che tu (Madre) hai partorito ». Ella ha l’incarico di generare Gesù in Giovanni. Ma Giovanni deve diventare Gesù stesso, per divenire figlio di Maria. Al contrario, chi non accoglie la madre Maria, non diventa come Cristo, non comprende Cristo. E chi dovesse trascurare la Vergine, non possederebbe una fede integrale. Sant’Ambrogio di Milano (+397) sosteneva che accogliere filialmente Maria fa parte degli impegni della pietà del discepolo, poiché Gesù sulla croce «consegna il suo testamento domestico». Sant’Agostino (+430) esortava: la Madre del Signore va accolta tra i propri doveri, ai quali bisogna attendere con dedizione. Per san Luigi di Montfort la consacrazione a Cristo per le mani della sua santissima Madre, consente di far «entrare Maria nella nostra casa» (Amore dell’Eterna Sapienza, 211). Seguendo Montfort, Giovanni Paolo II specifica: «Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie « fra le sue cose proprie » la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore» (RM 45). Ma Giovanni Paolo II chiede che Maria madre sia accolta nell’Eucaristia (domenicale e quotidiana): in essa Gesù «consegna ciascuno di noi» a sua Madre (cf Ecclesia de Eucharistia, 57).
Sergio Gaspari, smm
LA PASSIONE DI CRISTO, RAGIONE DELLA NOSTRA FIEREZZA
Sant’Agostino *
Sant’Agostino (354-430), vescovo di Ippona, è Romano in tutta la sua cultura. Pensatore geniale, ci ha lasciato un’opera monumentale di valore inestimabile. Filosofo, teologo, pastore di anime, uomo di intensa spiritualità, egli è il Dottore della grazia, ed ancor più, il Dottore della carità. Il suo pensiero, qualunque sia il genere di opera in cui si sviluppa, è legato alla passione, alla morte e alla risurrezione del Signore.
La Passione di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo è una testimonianza di gloria ed un insegnamento di pazienza e di rassegnazione. Che cosa non può aspettarsi dalla grazia divina il cuore dei credenti, per i quali il Figlio unico e coeterno del Padre non solo si è accontentato di nascere uomo fra gli uomini, ma ha anche voluto morire per mano degli uomini da lui stesso creati? Grandi sono le promesse del Signore. Ma ciò che ha compiuto per noi ed il cui ricordo rinnoviamo continuamente, è assai più grande ancora. Donde erano e chi erano quegli empi per i quali Cristo è morto? Ha loro offerto la sua morte: chi mai potrebbe dubitare che darà ai giusti la sua vita? Perché la debolezza umana esita a credere che verrà un giorno in cui gli uomini vivranno con Dio? Ciò che è già avvenuto è di gran lunga più incredibile: Dio è morto per gli uomini.
Chi è Cristo, se non ciò che la Sacra Scrittura dice: In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio? (Gv. 1, 1). Questo Verbo di Dio si è fatto carne, ed abitò tra noi (Gv. 1, 14). Egli non avrebbe avuto in sé alcunché di mortale, se non avesse preso da noi una carne mortale. Così, !’immortale poté morire; così, egli volle donare la sua vita ai mortali. In seguito, farà partecipare della sua vita coloro la cui condizione ha in un primo tempo condivisa. Alla nostra sola essenza di uomini non apparteneva la possibilità di vivere, come alla sua non apparteneva quella di morire. Fece dunque con noi questo scambio mirabile: prese da noi ciò per cui è morto, mentre noi prendiamo da lui ciò per cui vivremo…
Non solo non dobbiamo provare vergogna per la morte di Dio nostro Signore, ma dobbiamo ricavarne la più grande fiducia e la più grande fierezza. Nel ricevere da noi la morte che ha trovato in noi, ci ha fedelmente promesso di darci la vita in lui, quella vita che non potevamo avere da noi stessi. E se colui che è senza peccato ci ha amati al punto da subire per noi, peccatori, ciò che avremmo meritato per il nostro peccato, come potrà non darci ciò che è giustizia, lui che ci giustifica e ci discolpa? Come non darà ai giusti la loro ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse e che ha subito la pena dei colpevoli? Riconosciamo senza timori, fratelli miei, e proclamiamo che Cristo è stato crocifisso per noi. Diciamolo senza timore e con gioia, senza vergogna e con fierezza. L’apostolo Paolo l’ha visto, lui che ne ha fatto un titolo di gloria. Dopo aver rammentato le grandi e numerose grazie ricevute da Cristo, non dice che si vanta di queste meraviglie, bensì afferma: Quanto a me, non sia mai che mi glorii d’altro se non della croce del Signore nostro Gesù Cristo (Gal. 6, 14).
* Trattato sulla Passione del Signore (Serm. Guelferb. 3): PLS 2, 545-546.