Archive pour mars, 2015

Gesù e Nicodemo

Henry_Ossawa_Tanner_-_Jesus_and_nicodemus

 

http://pixshark.com/jesus-and-nicodemus-icon.htm

Publié dans:immagini sacre |on 13 mars, 2015 |Pas de commentaires »

L’INCONTRO DI GESU’ CON NICODEMO: « RINASCERE DALL’ALTO » GV. 3,1-21

http://www.giovaniemissione.it/index.php?option=content&task=view&id=3193

L’INCONTRO DI GESU’ CON NICODEMO: « RINASCERE DALL’ALTO » GV. 3,1-21

Gv. 3,1-21
Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui».
Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».Gli disse Nicodemo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?».
Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Gli replicò Nicodemo: «Come può accadere questo?».
Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Chi rappresenta Nicodemo?
Giovanni ci racconta di Nicodemo che cerca Gesù, nella prima visita alla città santa, il primo pellegrinaggio pasquale, dopo il battesimo al Giordano e lo Spirito che lo consacra Servo di Yahvè, figlio diletto. Vedremo Nicodemo come rappresentante dell’esperienza religiosa ebraica. In questo senso Nicodemo può pure rappresentare noi cristiani di oggi, che cerchiamo un’esperienza religiosa che ci scaldi il cuore, dopo periodi di delusione e stanchezza. In particolare ascolteremo, con Nicodemo, cosa significa nascere di nuovo; vogliamo anche noi vivere l’esperienza dello Spirito, come aria che respiriamo, come vento sulle nostre vele.
Con Nicodemo e con Giovanni conserveremo nel cuore l’eco delle parole di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da donare l’unico Figlio”. Cosa significa, per noi oggi, che Dio ama tanto il mondo? Vogliamo scoprire nel volto di Gesù come Dio guarda noi, nati da donna; noi oggi, a volte inquieti nel vedere una storia umana che va avanti per conto suo come se Dio non ci mettesse mano.

Chi era Nicodemo?
Dunque, Nicodemo di Gerusalemme. È un notabile, un anziano, capofamiglia benestante; appartiene alle prime famiglie tornate da Babilonia, che hanno preso possesso delle terre migliori, lasciando a chi arriva dopo le colline seminate a sassi, dove gli altri capifamiglia aspettano in piazza di venire assunti a giornata come braccianti agricoli precari (Mt 20, 6-7).
È “maestro in Israele”, testimone della novità religiosa che la famiglia di Abramo conserva gelosamente di fronte alle altre religioni, tutte ‘pagane’. Sa che può dire la sua parola nel Consiglio del Sinedrio, dare del tu alle persone importanti del popolo. È uomo di cultura tra i colleghi Scribi, esperti di Bibbia e di leggi sociali, che sanno a chi va la casa della vedova e il campo dell’orfano.
L’iniziativa coraggiosa di Nicodemo per incontrare quel Gesù non amato da chi ha il potere nelle mani.
Nicodemo va da Gesù di notte. Fuori città, lontano dagli occhi dei colleghi. Essi provano fastidio per questo nuovo rabbì senza diploma, che viene da una Nazaret da niente, da una Galilea dei pagani da cui non è mai venuto fuori un profeta. Conosce bene il disprezzo dei colleghi per il popolo ignorante, che non conosce la Torà ed è maledetto (Gv 7, 49), e si lascia « abbindolare » da questo profeta dai sandali polverosi, che vende speranze a chi non ha roba da parte.
Nicodemo è stato colpito da Gesù, non lo cercava, non l’aspettava. A Gerusalemme la religione c’era già; il tempio era splendido, le liturgie solenni; le regole morali erano chiare fino ai dettagli. Non c’era nessun problema di fede, quella era già detta e ridetta. Restava il problema della morale, cioè di mettere in pratica i comandamenti e i precetti e le sante tradizioni. Perché c’è sempre chi cerca di farla franca con la moglie di un altro, chi non paga le decime per il tempio, chi ruba nel campo del padrone, le prostitute dei bassifondi. Piccole cose diciamo, bastano già i Farisei a ridire le regole e controllare i comportanti. Gesù era un di più, non era aspettato, tutto era già a posto.

Nicodemo si lascia affascinare da Gesù!
Ma Gesù lo ha colpito. Nessuno ha mai parlato come quest’uomo. Sembra acqua di sorgente, non quella tirata fuori dalla vecchia cisterna. Quando parla di Dio gli si illumina il volto, pare che lo veda con gli occhi. Già, come diceva Davide: “Il tuo volto, Signore, io cerco”.
Ma è vero! Gli altri esperti di religione e di riti sono fieri dei paramenti, sono protagonisti delle liturgie, sembrano incaricati di tirare l’attenzione; forse cercano solo la gloria gli uni dagli altri.

La novità di Gesù: « l’Abbà amabile »
Gesù è libero, è innamorato di Dio. Certo, lo chiama Abbà, lo chiama suo Padre; no, qui deve stare attento, gli chiederò spiegazioni. Ecco, Gesù ha spostato l’attenzione dalla Legge al volto di Dio. Siamo abituati a spiegare alla gente quello che deve fare per Dio, e Gesù spiega quello che Dio fa per l’uomo. Noi, a parte i grandi pellegrinaggi; noi abbiamo sempre il problema che la gente pratica poco, che è poco interessata. Ma quelli che vanno dietro a Gesù anche nei giorni feriali sembrano avere scoperto un Dio che attira; un Dio che, una volta incontrato, non hai più voglia di mollarlo. Gesù presenta un Dio amabile, quello che “la luce del suo volto” illumina i nostri volti, e anche i poveri sotto gli stracci sporchi si sentono importanti per Dio.

Anch’io Gesù ho bisogno di parlarti!
E Nicodemo va. Sa che Gesù coi suoi amici è accampato sotto gli alberi, dorme sotto gli olivi. “Sì, Gesù, ho bisogno di parlarti, di ascoltare da te altre cose. Sono sicuro che vieni da Dio, benedetto il suo Nome. Ascoltate dalla tua bocca, le parole del Signore riprendono il sapore del miele, come diceva il nostro padre Davide. E poi, le opere che fai, di sicuro vengono dall’alto. Pare che Dio metta di nuovo mano al mondo, porti a compimento l’opera iniziata, restauri la sua casa caduta in rovina. Ci fai incontrare un Dio che si impegna per l’uomo, e vuole che la festa non finisca. E la festa sono le nozze, l’Alleanza, sentirci dentro la storia di Dio che ama il suo popolo. A volte pare che il suo braccio si sia fatto corto, che sia mutata la destra dell’Altissimo. Perché la miseria lima gli orfani e le vedove e i forestieri; i malati non hanno nessuno che li guardi; i ricchi portano animali da sacrificare al tempio, ma non si curano delle vere pecore, che è il popolo dei poveri di Yahvè. La religione vera non può essere una liturgia di sacrifici, senza la misericordia della vita. Ecco, Gesù, vorrei ascoltare da te parole che mettono luce nuova alle mie conoscenze”.
Forse hai messo i comandamenti al primo posto; prova a metterci l’Amore, cambierà tutto.
Ma non si tratta di aggiungere capitoli nuovi alle conoscenze antiche: si tratta di nascere di nuovo. Non basta mettere in bella l’insegnamento già dato, bisogna essere persone nuove, uscite inedite da un grembo che genera vita. No, non parlo del grembo della tua vecchia madre, inaridito come quello di Sara. Ciò che nasce dalla carne è carne. Bisogna nascere dallo Spirito, per essere figli di Dio, a immagine e somiglianza di chi ci ha fatti con sapienza e amore. Perché eterno è il suo amore per noi. Invece Dio dice, per bocca di Osea profeta: “L’amore del mio popolo è breve come la rugiada del mattino, che secca al primo sole”. È lo Spirito che ci fa partecipi della Vita che è in Dio. È lo Spirito che ci fa vivere al ritmo dell’Amore che Dio ha per noi. Solo chi nasce dallo Spirito può avere questa qualità di Vita, questa qualità di Amore. Cos’è la vita, senza l’Amore? Avete messo i comandamenti al primo posto; prova a metterci l’Amore, cambierà tutto. Cosa dobbiamo fare per avere questo? Ma è dono! Senti il vento tra gli alberi: non lo vedi, ma fa danzare le foglie. Lo Spirito di Dio è gratuito come il vento, come l’aria da respirare, ma fa danzare l’anima di festa.

Il segreto della felicità: sentirsi amati e poter amare.
Perché i bambini sono felici? Perché sanno di essere amati. La felicità è qui, il senso della vita è qui: sentirsi amati e poter amare. Chi si lascia colmare dall’amore, farà traboccare questo amore come sorgente che non secca, come la sorgente di Siloe che non secca nella lunga arsura estate. È Dio, questa sorgente di Siloe, come diceva Isaia. È Dio, che non desidera altro che effondere il suo amore, e colmarci, e renderci capaci di amare. Ecco: Dio ha tanto amato il mondo, da donare l’unico figlio. Sì, hai capito giusto. Dio non ha mandato il Figlio a giudicare il mondo, ma a farlo vivere.
Avete troppo insistito sulla legge. La Legge è stata data per mezzo di Mosé, la grazia e la verità per mezzo del Figlio. Grazia, gratuità, volto grazioso del nostro Dio: tu queste cose le sai. Verità è la stessa cosa che fedeltà: Dio è Amore, non può essere altro che Amore. L’Amore può essere festa, può essere dolore, ma sarà sempre soltanto amore, amore a caro prezzo. Le grandi acque non possono spegnere l’Amore, e il vento « dello spirito » le rafforza

L’anelito del rinascere di nuovo, vedi l’esperienza dell’iniziazione in Africa.
In varie luoghi dell’Africa ho notato che si realizza ancora, sebbene ora con minor durata, un antico rito di iniziazione, che permette ai ragazzi di diventare adulti e poter così assumere una vita di responsabilità con tutti i suoi diritti e doveri. In questa esperienza di iniziazione, obbligatoria per far parte del clan, viene chiesto al giovane di dire addio alla vita passata da bambino e di non voltarsi indietro quando lascia i suoi genitori per andare nella foresta, sebbene la madre pianga a causa della paura e del timore di perdere per sempre il proprio figlio.
Al giovane iniziato viene insegnata la saggezza degli antenati, i comportamenti da assumere in ogni situazione di vita; gli vengono anche presentati modelli di vita vissuta per imitarli. L’iniziato poi deve dimostrare di saper costruire la propria casa, di aver il coraggio di cacciare animali pericolosi, passare varie prove di resistenza e di isolamento e lasciarsi incidere sul proprio corpo il segno di appartenenza (v. circoncisione).
Alla fine di tutto per accedere alla comunità degli adulti, viene chiesto all’iniziato di affrontare il saggio maestro mascherato che lo aspetta sotto l’albero (simbolo della vita), il quale lo esamina bene e poi gli chiede di avvicinarsi a lui e di imitare la nascita di un bambino. Alla fine di tutto gli rivela che ora è rinato ad una nuova vita, la vita della comunità degli adulti, i quali ora possono contare su di lui in qualsiasi momento.
Da quel momento gli viene dato un nome nuovo, un padrino che lo accompagna nella vita, gli viene preparato un bagno di purificazione e lo si accoglie con danze e gioia grande. Da qui in poi potrà assumere incarichi per il bene di tutti e potersi anche formare una famiglia. Questa esperienza fatta, non potrà più dimenticarla perché viene ritenuta sacra.
Quante analogie ci sono con il nostro cammino cristiano di iniziazione (l’addio alla vita di bambino, il padrino, gli istruttori, la comunità, gli insegnamenti, le prove, le esperienze pratiche, il nome nuovo, il bagno con l’acqua, la festa, la possibilità di accedere alla vita degli adulti, vedi con i sacramenti,… ), ma ciò che più segna è la convinzione di essere rinato nuovamente.
La comunità o il clan, solo ora lo potrà ritenere una persona a pieno titolo, rimarcandogli che ha lasciato per sempre « quel bambino che era prima e le cose usate nella sua infanzia ». Ora avrà davanti a se nuovi ideali, un modo nuovo di vivere e dovrà fare scelte coraggiose e responsabili, dove potrebbe anche essere disposto a perdere la vita per il bene della sua comunità.

La rigenerazione dell’Africa o « rinascita dall’alto » in Comboni.
Che stupendi insegnamenti di vera saggezza di vita si trovano proprio in questi luoghi della terra sperduti in questo continente, ma altrettanto amati da Dio e anche dal caro Daniele Comboni. Lo stesso Comboni ci ha insegnato che Gesù lo ha chiamato a collaborare per la rigenerazione dell’Africa per mezzo degli stessi africani, cioè farla rinascere nuovamente con la forza della Parola del Vangelo e dello Spirito donato dal Salvatore. Ora se ci abita nel cuore la stessa passione del Comboni e permettiamo a Dio di farci rinascere dall’alto, possiamo dire che tocca a noi fare la nostra parte, affinché la pienezza della vita del Figlio di Dio sia offerta a tutta l’umanità.

 

OMELIA 4A DOMENICA DI QUARESIMA B

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/6-Quaresima/4a-Domenica-B-2015/10-04a-Quaresima-B-2015-UD.htm

15 MARZO 2015 | 4A DOMENICA – TEMPO DI QUARESIMA B | OMELIA

4A DOMENICA – T. QUARESIMA 2015

Per cominciare
Questa è la domenica « laetare », dall’antifona con la quale inizia la celebrazione eucaristica. L’invito è quello di rallegrarsi, di esultare e di gioire. E il motivo più grande di questa gioia è lo smisurato amore di Dio per l’umanità. Amore che tocca il culmine nella vita del Figlio di Dio, che per amore ha accettato di essere innalzato sulla croce.

La Parola di Dio
2 Cronache 36,14-16.19-23. La storia di Israele è attraversata dalle sue infedeltà, ma anche dal persistente perdono di Dio. Uno dei momenti più tragici della storia di questo popolo, a causa della rinuncia alla propria identità di popolo di Dio per darsi alla imitazione degli altri popoli, è stata la deportazione in Babilonia. Ma Dio suscita un re pagano, Ciro, re di Persia, che li riporta nella terra promessa.
Efesini 2,4-10. Paolo sottolinea nella lettera agli Efesini con grande insistenza i motivi profondi della nostra gioia. Esalta la bontà di Dio, la misericordia, la sua grazia che si manifesta nella salvezza realizzata per mezzo di Gesù. Dio ci ha amati e ci resi suoi figli, comunicandoci la sua vita divina.
Giovanni 3,14-21. Il vangelo propone una parte del dialogo che Gesù ha avuto con uno dei capi dei giudei, Nicodemo. Costui viene invitato a rinascere e a guardare alla salvezza che viene dalla croce di Gesù.

Riflettere…
o Il secondo libro delle Cronache racconta la più grande catastrofe vissuta dal popolo di Israele, dopo la schiavitù in Egitto: la deportazione in Babilonia. Un esilio umiliante e tragico per un popolo che pensava di avere sempre Dio dalla propria parte. A nulla erano servite le parole dei profeti: i sacerdoti e il popolo « moltiplicarono le loro infedeltà » e la conseguenza fu la perdita di tutto, delle proprie mura, del tempio, dei palazzi, delle case, della propria storia e cultura.
o Dio permette questa terribile prova. Ma la sua fedeltà non viene meno nemmeno questa volta: suscita Ciro, re di Persia, un pagano che si mette a disposizione di Dio. E tutto può ricominciare: il ritorno e la ricostruzione, la ripresa del dialogo con Dio.
o Il brano di vangelo presenta la parte centrale del dialogo che Gesù ha avuto con Nicodemo. Nicodemo è un notabile ebreo. Incuriosito dalle opere straordinarie compiute da Gesù, vuole parlare con lui. Riconosce che è un inviato di Dio e si reca da lui di notte. A Nicodemo Gesù non si nega, anzi gli rivela il piano d’amore di Dio sul mondo, che si sta realizzando nel Figlio.
o C’è chi ha scritto che questi versetti sono tra i più importanti di tutto il quarto vangelo. Qui infatti si trova « l’affermazione chiara e precisa dell’amore di Dio come causa vera, ultima e determinante della presenza del suo Figlio nel mondo » (Felipe Ramos).
o Giovanni lo ha scritto anche nella sua prima lettera: « In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1Gv 4,9-10).
o La croce è la più grande rivelazione dell’amore di Gesù, ma anche dell’amore del Padre, che accetta che il Figlio sia innalzato sulla croce perché « chiunque crede in lui abbia la vita eterna ».
o È questo riconoscimento, questa fede che illumina e salva. Chi crede così non conosce condanna. Ma c’è chi preferisce le tenebre alla luce, perché condizionato dalle sue scelte contro Dio.

Attualizzare
* Anche in questa quarta domenica di quaresima al centro della Parola di Dio c’è Gesù. Un Gesù che si rivela di domenica in domenica: nelle tentazioni, nella trasfigurazione, nel desiderio di purificare la vita religiosa del popolo. E oggi nel suo amore senza misura.
* È la domenica « laetare » e la liturgia ci rimanda alla fonte della nostra gioia, all’annuncio esplicito e profondo dell’amore di Dio. Dio ci ama, Dio ci ha tanto amati: sono le espressioni che ritornano più frequenti nelle tre letture. Al centro, l’espressione del vangelo che toglie il velo al progetto di Dio sull’umanità: Dio ci ha tanto amati da consegnare il suo Figlio unigenito.
* Come si manifesta, come ci coinvolge l’amore di Dio? All’inizio, prima del tempo, l’amore di Dio era per così dire chiuso all’interno delle tre persone della Trinità. Ma anche là, in qualche modo, noi eravamo presenti: « In lui (in Cristo) Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo », dice Paolo, « predestinandoci a essere per lui figli adottivi… » (Ef 1,4-5). « Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele… » (Ger 31,3).
aDio poi si è manifestato nel suo amore attraverso la sua creazione. È stato un manifestarsi libero, gratuito, creativo. Libero della libertà di Dio: ed è stato un manifestarsi per noi straordinario nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo.
* La creazione ci mostra a volte il suo volto ambivalente. C’è anche la sofferenza dovuta alla malvagità umana, e c’è la sofferenza intollerabile degli innocenti. Non tutto ci è chiaro nella pur incredibile magnificenza della creazione. C’è qualcosa che ci sfugge: Bisogna « lasciare a Dio di essere Dio » (Von Balthasar).
* Dio poi ha creato per amore l’uomo e lo ha fatto a sua immagine e somiglianza. L’uomo è davvero un pensiero d’amore di Dio rivestito di carne.
aPer questo l’amore è il fine ultimo della nostra vita, è ciò per cui siano stati creati ed è ciò che può farci pienamente felici.
* Tra Dio e l’uomo il rapporto d’amore non è pacifico e non è stato facile. Il suo amore, l’unico totalmente gratuito e disinteressato, non è sempre stato ricambiato dall’uomo. La storia della salvezza di ieri e di oggi è piena del racconto della infedeltà dell’uomo.
* La prima lettura ne è un esempio. La schiavitù di Babilonia é stata una conseguenza dell’infedeltà di Israele e nello stesso tempo il mezzo di cui Dio si è servito per recuperare l’amore del suo popolo.
* Un terzo grande momento in cui si è rivelato l’amore di Dio è l’incarnazione. Dio si è fatto uomo come noi. Per parlarci e coinvolgerci, ha scelto la strada più audace, attraversando i cieli, eliminando la distanza infinita che ci separa.
* Infine Dio ha scelto per amore la strada della croce, che, come si diceva, è insieme dimostrazione dell’amore infinito del Padre e del Figlio. La croce è in particolare la dimostrazione dell’amore senza limiti di Gesù, che ha scelto per sé il compito di indicarci la strada della salvezza. « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici » (Gv 15,13). È morto per noi, perché si rivelasse il suo amore in modo pieno e noi comprendessimo che l’amore è superamento di noi, è fedeltà, è scelta della strada stretta che porta a un supplemento di amore.
* La vita eterna, che è la vita divina in noi, e la salvezza eterna, dove consumeremo per sempre l’amore di Dio, si conquistano guardando la croce. « Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna » (Gv 3,14-15).
* Dice Gesù: « La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce » (Gv 3,19). È questa la storia dell’uomo sulla terra, la nostra storia personale, in cui fedeltà e infedeltà entrano in gioco. Chi opera il male rimane nelle tenebre, chi fa il bene diventa luminoso.
* L’amore di Dio si manifesta infine nella vita della chiesa. Siamo soliti sottolineare i limiti della chiesa-istituzione, gli intollerabili difetti dei cristiani, che diventano ostacolo alla fede. Ma la comunità cristiana, nella sua fedeltà quotidiana, soprattutto nella testimonianza dei suoi figli migliori, i santi, è una grande prova dello Spirito che l’ha fatta nascere e la sostiene. L’amore vissuto in ogni secolo da un numero grande di cristiani generosi è la prova più convincente dell’amore che ha dato vita al mondo. « L’amore esiste. È raro, ma esiste. Ed è l’unica prova dell’esistenza di Dio » (Jonesco)
* La quaresima è questo tempo di esercizio positivo per scoprire il significato della croce e per vivere nella luce. Alla nostra debolezza e incoerenza viene in soccorso l’esempio di Nicodemo, protagonista del vangelo. Invita Gesù di notte per non compromettersi, ma poi lo difende quando vogliono imprigionarlo senza un adeguato giudizio: «  »La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa? » (Gv 7,51). Durante il giudizio riesce a fare poco. Ma poi coraggiosamente ricupera il corpo di Gesù e gli dà sepoltura. La tradizione vuole che Pietro lo abbia poi battezzato e sia morto martire. È oggi nell’elenco dei santi. Un cammino di rinascita che è stato forse lento, ma è riuscito.

La testimonianza dei santi
Affermava il Card. Shuster, arcivescovo di Milano: « La gente, quando passa davanti alle chiese e ci vede, non si ferma, come se non avessimo nulla da insegnare, ossia come se non portassimo novità di vita, che vale la pena di abbracciare… Così pure, quando passa davanti ai nostri oratori, non si ferma, perché ha trovato posti più divertenti. Ma quando vede passare « un santo » si ferma per ammirarlo e invidiarlo, come un richiamo a un paradiso perduto ».

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA

DUC DE BERRY, HEURES, « UN TEMPO PER PIANTARE »

 DUC DE BERRY, HEURES,

http://www.artbible.net/1T/Ecc0000_Portrait_misc/pages/15%20DUC%20DE%20BERRY%20UN%20TEMPS%20POUR%20PLANTER%20HEURES.htm

Publié dans:immagini sacre |on 12 mars, 2015 |Pas de commentaires »

LA QUARESIMA CON SANT’AGOSTINO

http://www.augustinus.it/varie/quaresima/

LA QUARESIMA CON SANT’AGOSTINO

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto
per essere tentato dal diavolo.
(Mt 4, 1)
Come per la disobbedienza di uno solo sono stati costituiti peccatori,
così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
(Rom 5, 19)

INTRODUZIONE
Dai tempi di Adamo l’uomo è chiamato a dar prova della sua fedeltà a Dio di fronte alle tentazioni del maligno. La capacità di scegliere Dio al posto di Satana è messa sempre in discussione. Ecco allora ci viene in aiuto l’insegnamento di Cristo tentato nel deserto: « se Egli non avesse vinto il tentatore, in qual modo tu avresti imparato a combattere contro il tentatore? ». Le tre tentazioni diaboliche riassumono i tre lati deboli della vita dell’uomo: il possesso e l’accumulo spropositato di beni materiali (le pietre da trasformare in pane); la ricerca di un potere egoistico ed oppressivo (il possesso dei regni della terra); il desiderio di onnipotenza (rifiuto di adorare Dio). Per vincere queste prove l’uomo dispone di uno strumento infallibile: la Parola di Dio. Riscriviamo allora un detto di Agostino: quando sei colto dai morsi della fame – e noi aggiungiamo anche della tentazione – lascia che la Parola di Dio divenga il tuo pane di vita.

 

DALLE « ESPOSIZIONI SUI SALMI » DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (En. in Ps. 90, d. 2, 6-7)

La tentazione di Cristo è di grande ammaestramento per il cristiano

Il Signore fu battezzato; dopo il battesimo fu tentato e infine digiunò per quaranta giorni, per adempiere un mistero di cui spesso vi ho parlato. Non si possono dire tutte le cose in una volta per non sciupare del tempo prezioso. Dopo quaranta giorni il Signore ebbe fame. Avrebbe potuto anche non provare mai la fame; ma, se cosìavesse fatto, in qual modo sarebbe stato tentato? E se egli non avesse vinto il tentatore, in qual modo avresti tu imparato a combattere contro il tentatore? Ebbe fame, ho detto; e subito, il tentatore: Di’ a queste pietre che diventino pani, se sei il Figlio di Dio (Mt 4, 3). Era forse una gran cosa per il Signore Gesù Cristo cambiare le pietre in pane? Non fu lui che con cinque pani saziò tante migliaia di persone? (cf. Mt 14, 17-21). Quella volta creò il pane dal nulla. Donde fu presa infatti una così grande quantità di cibo che bastò a saziare tante migliaia di persone? Le fonti del pane erano nelle mani del Signore. Non c’è niente di strano in questo: infatti, colui che di cinque pani ne fece tanti da saziare tutte quelle migliaia di persone, è lo stesso che ogni giorno trasforma pochi grani nascosti in terra in messi sterminate. Anche questi sono miracoli del Signore ma, siccome avvengono di continuo, noi non diamo loro importanza. Ebbene, fratelli, era forse impossibile al Signore fare dei pani con le pietre? Con le pietre egli fa degli uomini, come diceva lo stesso Giovanni Battista. Dio è capace di suscitare da queste pietre figli per Abramo (Mt 3, 9). Perché dunque non operò il miracolo? Per insegnarti come devi rispondere al tentatore. Poni il caso che ti trovi nell’afflizione. Ecco venire il tentatore e suggerirti: Tu sei cristiano e appartieni a Cristo; perché ti avrà ora abbandonato? Perché non ti manda il suo aiuto? Ricordati del medico. Talora egli taglia e per questo sembra che abbandoni; ma non abbandona. Come capitò a Paolo, il quale non fu esaudito proprio perché doveva essere esaudito. Paolo dice infatti che non fu esaudita la preghiera con cui chiedeva gli fosse tolto il pungiglione della carne, l’angelo di satana che lo schiaffeggiava, e aggiunge: Per questo pregai tre volte il Signore affinché me lo togliesse. In risposta egli mi disse: Ti basta la mia grazia, infatti la virtù si perfeziona nella debolezza (2 Cor 12, 8-9). Siate perciò forti, fratelli! Se talvolta siete tentati da qualche strettezza, è Dio che vi flagella per mettervi alla prova: egli che vi ha preparato e vi conserva l’eredità eterna. E non lasciate che il diavolo vi dica: Se tu fossi giusto, non ti manderebbe forse Dio il pane per mezzo di un corvo, come lo mandò ad Elia (1 Re 17, 6)? Non hai forse letto le parole: Mai ho visto il giusto abbandonato né la sua discendenza mendicare il pane (Sal 36, 25)? Rispondi al diavolo: È vero quello che dice la Scrittura: Mai ho visto il giusto abbandonato né la sua discendenza mendicare il pane; ho infatti un mio pane che tu non conosci. Quale pane? Ascolta il Signore: Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola di Dio (Mt 4, 4). Non credi che la parola di Dio sia pane? Se non fosse pane il Verbo di Dio, per cui mezzo sono state fatte tutte le cose, il Signore non direbbe: Io sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo (Gv 6, 41). Hai dunque imparato che cosa devi rispondere al tentatore quando sei colto dai morsi della fame.

E che dirai se il diavolo ti tenta dicendoti: Se tu fossi cristiano faresti miracoli come ne fecero, molti antichi cristiani? Ingannato da questo malvagio suggerimento, ti potrebbe venire la voglia di tentare il Signore Dio tuo, dicendogli: Se sono cristiano, se lo sono dinanzi ai tuoi occhi e tu mi annoveri nel numero dei tuoi, concedimi di fare anch’io qualcuna delle gesta che compirono i tuoi santi. Hai tentato Dio pensando che non saresti cristiano se non facessi tali cose. Molti sono caduti proprio per il desiderio di tali gesta portentose… Ebbene, che cosa devi rispondere per non tentare Dio se il diavolo ti tentasse dicendoti: Fa’ miracoli? Rispondi ciò che rispose il Signore. Il diavolo gli disse: Gettati giù, perché sta scritto che egli ha comandato ai suoi angeli di occuparsi di te, di sollevarti nelle loro mani perché tu non inciampi con il piede nella pietra (Mt 4, 6). Voleva suggerirgli: Se ti butterai giù gli angeli ti sosterranno. Poteva certamente accadere, fratelli, che, se il Signore si fosse buttato nel vuoto, gli angeli devotamente avrebbero sostenuto la sua carne. Invece egli che cosa rispose? Sta scritto anche: Non tenterai il Signore Dio tuo (Mt 4, 7). Tu mi credi un uomo, rispose. Per questo infatti il diavolo gli si era avvicinato, per provare se fosse o no Figlio di Dio. Egli vedeva solo la carne, mentre la maestà si palesava attraverso le opere, e gli angeli gliene avevano reso testimonianza. Il diavolo dunque lo vedeva mortale e per questo lo tentò; ma la tentazione di Cristo è stata di grande ammaestramento per il cristiano. Che cosa è dunque ciò che sta scritto? Non tenterai il Signore Dio tuo! Non tentiamo perciò il Signore dicendo: Se apparteniamo a te, concedici di fare miracoli.

IN BREVE…
(Cristo) si è fatto per noi via in questo esilio, in modo che noi camminando in lui non ci smarriamo, non veniamo meno, non ci imbattiamo nei ladroni, non cadiamo nelle trappole. (En. in Ps. 90, d. 2, 1)

 

CARD. RAVASI: IL GIOCO ESSENZA DELL’UMANITÀ E ANALOGIA PER PARLARE DELLA FEDE

http://it.radiovaticana.va/storico/2013/10/21/card._ravasi_il_gioco_essenza_dellumanit%C3%A0_e_analogia_per_parlare/it1-739171

CARD. RAVASI: IL GIOCO ESSENZA DELL’UMANITÀ E ANALOGIA PER PARLARE DELLA FEDe

“Gratuità e libertà sono caratteristiche del gioco”, che “nel senso più ampio e creativo del termine appartiene all’essenza stessa dell’umanità”. Per questo “il credente dovrebbe capire meglio il significato autentico del gioco, e il gioco dovrebbe essere un’analogia per parlare della fede”. Lo ha detto il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, il card. Gianfranco Ravasi, nella sua relazione di apertura del seminario internazionale “Believers in the World of Sports” (Credenti nel mondo dello sport), promosso oggi dal Pontificio Consiglio in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei. Nella cornice dell’Anno della fede – riferisce l’agenzia Sir – la giornata di studio, di confronto e testimonianze sul valore educativo, culturale e spirituale dell’esperienza sportiva, riunisce presso la sede del dicastero vaticano responsabili dello sport professionistico e dell’associazionismo sportivo cattolico, con un’attenzione particolare al rapporto sport-disabilità. Parte dalle Scritture il cardinale, per illustrare il racconto della creazione nel Genesi come “atto di gioco di Dio”, e rammentare ai presenti che nel Libro dei Proverbi “la metafora del gioco è una via per rappresentare la sapienza creatrice di Dio”, e San Paolo assimila l’immagine della corsa nello stadio alla vita del cristiano, proteso verso il traguardo “ultimo”. Teologia e antropologia del gioco, il filo conduttore della riflessione del card. Ravasi, che avverte, poiché “il tema della libertà è fondamentale, il peccato è sempre in agguato”. Di qui tre “degenerazioni”. La prima: “il gioco che diventa guadagno, commercializzazione, pubblicità per produrre risultati economici”, oppure “degenera psicologicamente”, ed ecco il richiamo alla ludopatia, in Italia vera emergenza sociale causa di “distruzione di molte famiglie”. Ma anche la libertà “può ammalarsi, e si ammala nel tifo”, è il monito di Ravasi, un termine che “già alla base ha un’accezione negativa perché in greco indica la febbre, la vanità”. E spesso il tifo fa rima “con razzismo e violenza”. Anche la terza componente del gioco, la corporeità, può ammalarsi. Così il corpo, “che non è solo un insieme di cellule, ma è ciò che siamo, la nostra persona”, ridotto dalla “cultura contemporanea ad oggetto”, può cadere in preda “alla cura maniacale, all’anoressia o alla bulimia o, in ambito sportivo al doping”. Un pensiero, infine, anche alla “categoria dell’inutile”, giacché il gioco, come l’arte, “in un certo senso è inutile, perché non produce nulla”. Come la religione, “chiamata non a produrre, ma a cambiare i cuori”. Eppure, è la conclusione del card. Ravasi, “senza la religione, senza l’arte, ma anche senza il gioco, il mondo sarebbe molto più povero e disperato”. (R.P.)

 

Roma, basilica di san Paolo fuori le mura: candelabro pasquale (Pietro Vassalletto e Nicola d’Angelo)

Roma, basilica di san Paolo fuori le mura: candelabro pasquale (Pietro Vassalletto e Nicola d'Angelo) dans immagini sacre

http://commons.wikimedia.org/wiki/File:S_Paolo_FLM_-_portacero_Vassalletto_1120811.JPG

Publié dans:immagini sacre |on 11 mars, 2015 |Pas de commentaires »

LO SPIRITO SANTO: NOVITÀ E FEDELTÀ DI DIO. DUE INTERVENTI DEL CARDINAL CARLO MARIA MARTINI

http://www.il-margine.it/Rivista/Archivio/1997/10/Lo-Spirito-Santo-novit%C3%A0-e-fedelt%C3%A0-di-Dio.-Due-interventi-del-cardinal-Carlo-Maria-Martini

LO SPIRITO SANTO: NOVITÀ E FEDELTÀ DI DIO. DUE INTERVENTI DEL CARDINAL CARLO MARIA MARTINI

di Guido Formigoni

argomenti:
Il cardinal Carlo Maria Martini ci ha abituati ad appuntamenti fuori dell’ordinario con le consuete proposte della « lettera pastorale » del settembre di ogni anno, e del « discorso alla città » della vigilia della festa di Sant’Ambrogio. Intrecciati sempre tra loro, pur nel loro rivolgersi prevalentemente e rispettivamente alla comunità cristiana e alla società civile, tali due appuntamenti annuali sono di tutto rilievo non solo per la diocesi ambrosiana. Essi godono anche di un certo riscontro mass-mediologico, che risalta in un quadro abbastanza lacunoso e occasionale della generale attenzione dell’opinione pubblica rispetto alle vicende ecclesiali (anche se non sempre tale riscontro è perspicuo e attento).
La lettera pastorale di quest’anno 1997-98, intitolata Tre racconti dello Spirito. Lettera pastorale per verificarci sui doni del Consolatore, è stata dedicata allo Spirito Santo, in coerenza con l’indicazione papale della scansione tematica degli anni di preparazione al Giubileo (dopo l’anno dedicato alla figura del Cristo). Il discorso di Sant’Ambrogio ha invece insistito sull’icona del « servo inutile », tratta dal vangelo proclamato nell’occasione (Lc 17, 7-10), per presentare il programma Alla fine del millennio: servi inutili, liberi, umili e grati (come suona il titolo del discorso). Tutti e due i testi sono fittamente trapuntati di riferimenti vissuti alla storia e all’eredità di Sant’Ambrogio, nell’anno del sedicesimo centenario della sua morte. Fin qui i dati della cronaca, che come si vede hanno un significato non soltanto esteriore.

Lo Spirito all’opera nei cuori umani e nel mondo
La lettera pastorale, costruita con l’ormai consueto tono colloquiale di questi testi, prende le mosse da una serie di esperienze personali e racconti autobiografici, che portano l’arcivescovo a porre una domanda decisiva: « dove si trovano nel nostro tempo autentiche esperienze dello Spirito, simili a quelle dei primi cristiani? ». La risposta a questa impegnativa domanda non è banalizzata ed edulcorante, come ci si poteva facilmente attendere. Tanto più che il cardinale parla qui di una esperienza « spirituale » non in senso vago e intimistico, ma come « incontro con il mistero vivente qui e ora ». Lo Spirito è quella realtà viva che rende possibile l’incontro con l’insondabile e l’indicibile, il mistero di Dio.
Ma la risposta non è nemmeno scoraggiante. Lo Spirito c’è. Ci sono nella storia delle persone e della Chiesa i segni della sua presenza, i suoi doni: la vivacità, la dedizione, il coraggio, il senso comunitario, la creatività, la sapienza delle cose e del tempo. Queste realtà, e tutte quelle alluse dalla tradizionale elencazione dei sette doni dello Spirito, sono presenti sia in esperienze ordinarie di vita cristiana (individuale e comunitaria) che nelle occasioni e nei quadri eccezionali di vita ecclesiale (come ad esempio in movimenti, gruppi e cenacoli amicali « forti »). Questo appare già un messaggio forte dell’arcivescovo, che invita a considerare con grande libertà il classico dilemma istituzione-carisma, pesantezza-libertà, ripetitività-creatività. Lo Spirito soffia letteralmente dove vuole, e non si può escludere né una né l’altra dimensione di queste solo apparenti contrapposizioni. Nell’istituzione e nel movimento lo spazio dello Spirito è possibile. Va però ricordato che, da una parte e dall’altra, ci sono gli ostacoli alla manifestazione piena dello Spirito: la sclerotizzazione, la rassegnazione all’abitudine, la perdita di vigore nella banalizzazione del sacro, fanno da contrappunto ai rischi della chiusura in se stessi, come chiesa nella chiesa, nell’orgogliosa autosufficienza di ogni esperienza « forte » e fuori dall’ordinario. Ciascuno è quindi chiamato alla verifica sui rischi più facilmente incontrabili nella propria esperienza.
Di qui, prendono le mosse i tre « racconti » sul ruolo dello Spirito nei confronti di Gesù, dell’uomo e del mondo. In Gesù Cristo, lo Spirito tiene insieme la Croce e la Resurrezione, nella paradossalità della loro reciproca implicazione. Nella vicenda umana, lo Spirito è vincolo della carità e della unificazione dei diversi, ma è contemporaneamente – secondo un incisivo messaggio della tradizione orientale – anche Colui che apre alla diversità, all’inedito, all’imprevisto, al dono ricco e non preventivato. Nel mondo, Egli opera con libertà, tutto vivificando « al di là di tutte le barriere sociali, razziali, culturali, religiose ». Questa certezza chiede quindi un discernimento serio e positivo sulle condizioni dell’attualità, cogliendo la diversità molteplice della presenza e dei doni dello Spirito, nelle realtà profane e religiose, anche fuori dei confini della Chiesa visibile, senza sguardi angosciati e apocalittici al presente. Ecco allora che, ad ogni livello, l’azione dello Spirito ha a che fare con la molteplicità e la ricchezza delle forme della presenza di Dio nei cuori e nella storia degli uomini. Lo Spirito unifica e diversifica, sempre e perennemente: unifica i diversi e rende ricca e multiforme l’unità. E quindi ogni forma di unificazione realizzata nella storia è « spirituale » se non semplifica, non mortifica, non umilia la diversità e la ricchezza dell’umano e del divino.
Questa funzione cruciale dello Spirito è evidente nel successivo richiamo, che l’arcivescovo mette all’inizio della parte applicativa della sua lettera all’icona evangelica dell’ »amico importuno », tratta della parabola di Lc 11, 5-8. Colui che chiede insistentemente e scompagina le nostre certezze (e ottiene quello che chiede solo in virtù della sua insistenza) è proprio chiunque « bussa alla porta della comunità cristiana ». E’ il problema imprevisto, è l’urgenza non programmata, che sconvolgono la routine e l’ordinarietà della vita. L’accoglienza di questo appello è decisiva, sembra dire Martini, per verificare la qualità della vita « secondo lo Spirito » della comunità cristiana. L’applicazione di questa logica al nesso Chiesa istituzionale-movimenti è esplicita. La « sfida dell’amico importuno » chiede a ogni gruppo e movimento di non chiudersi e non ritenersi esaustivo di un cammino di Chiesa. Chiede insieme alla comunità territoriale, parrocchiale e diocesana, di lasciarsi interrogare e di aprirsi di fronte a presenze non istituzionali o scontate. Ma pensiamo quali altre molteplici applicazioni di questo appello sapienziale si potrebbero immaginare sul terreno della vita ecclesiale di oggi: sul terreno ecumenico, su quello dell’accoglienza dello straniero, sulla capacità di vivere il pluralismo culturale e politico senza drammi e senza trascuratezze…
La lettera è quindi conclusa con un « decalogo » rivolto alla comunità, proprio per aiutare questo discernimento comune, per verificarsi sui doni dello Spirito e la propria capacità di accoglienza. C’è da qualche tempo nelle parole e negli atti pastorali dell’arcivescovo di Milano questa forte insistenza sulla verifica comunitaria rispetto alle grandi affermazioni di un cammino ormai strutturato nel tempo. C’è probabilmente la sensazione di qualche difficoltà a questo proposito, di una discrasia tra la proclamazione e l’esperienza, tra la parola e la vita, che non può non preoccupare, particolarmente in una Chiesa fortemente istituzionalizzata quale quella milanese. Ma questo è un discorso molto delicato e che si può qui solo accennare.

Il servo inutile: la gratuità come frutto dello Spirito
Lo stesso successivo discorso di Sant’Ambrogio può anche essere letto come un altro risvolto della verifica comunitaria sull’applicazione di quella logica profondamente « spirituale » che la lettera pastorale invitava ad acquisire. Il tema del « servo », anzi dello schiavo che non ha nessuna utilità e nessun merito se non quello di fare il proprio lavoro, è un tema apparentemente duro e lontano dalla nostra sensibilità. Ma anche in questo caso occorre sondare il mistero della coincidenza di quell’immagine con l’immagine stessa di Gesù Cristo, servo per amore. C’è quindi bisogno di un supplemento di aiuto dello Spirito, per comprendere la profondità di questo nuovo livello di unificazione della realtà.
L’arcivescovo invita a leggere nella parabola lucana non tanto l’invito alla depressione e alla sfiducia. Piuttosto, occorre scoprire come la coscienza della propria sempre rinnovata inadeguatezza rispetto alle esigenze della vita, apra umilmente al primato della Grazia sulla confidenza in se stessi. Apra quindi ai doni dello Spirito, da invocare e chiedere. L’umiltà, intesa come accoglienza continua del perdono, è condizione necessaria per mostrare capacità di gratitudine per i doni ricevuti e quindi costruire nella libertà del gratuito la propria resistenza all’avidità.
Qui si colloca il passaggio esplicito del discorso santambrosiano sull’ »omologazione dei baricentri » della politica, che ha suscitato molto interesse e una comprensibile eco. Secondo Martini, una « convergenza silenziosa di cosiddetti ‘conservatori’ e cosiddetti ‘progressisti’ avviene su linee di tendenza che costituiscono una decadenza rispetto alla nostra tradizione culturale e civile. Cadute le grandi ideologie, i diversi filoni si stanno come implicitamente accordando sulla esaltazione delle ragioni dell’individuo e sulla difesa degli interessi di gruppo ». Una cultura individualistica dei diritti privati sarebbe quindi il dato dominante, sia che si presenti in versione libertaria nella morale privata e contemporaneamente aperta all’integrazione (corporativa) tra gruppi e individui nel pubblico, sia che invece assuma un volto conservatore nella morale privata e parallelamente esprima un’istanza liberista negli affari economici e civili. « A tutt’e due le forme del pensare e dell’agire è comune il rifiuto del primato della gratuità sul possesso, dell’essere sull’avere ».
I credenti si trovano quindi, in questa situazione critica, di fronte a un richiamo forte alla libera e umile scelta per la gratuità. Precondizione di una politica che eviti l’omologazione del tempo è questo atteggiamento « spirituale ». Solo una gratuità di partenza, sembra suggerire il cardinale, permette sbocchi operativi dell’azione politica nella vera solidarietà tra diversi, basata sul recupero e la difesa dei diritti di chi non ha voce. Anche in questo caso, se occorre una radicalità di atteggiamento fondamentale, non bastano però le buone intenzioni. Chi si volesse impegnare politicamente a partire da una vita di fede, viene infatti fortemente esortato dal discorso a pensare al « disegno di costruzione globale della città di tutti », senza accontentarsi di compromessi su « proposte parziali » (potremmo dire anche su richieste « confessionali »), ma elevandosi a uno sguardo d’insieme, che punti al miglioramento dell’efficacia dello Stato e della convivenza collettiva, in ordine alla solidarietà vissuta. Si avverte nelle parole del cardinale l’avvio di un discorso che resta coscientemente da completare sul terreno politico. Resta consegnata ai laici credenti l’indicazione del « pensare politicamente », per sviluppare queste intenzioni.
Chi cerca di vivere nello Spirito e confida nella sua capacità di aprire nuovi scenari e di conciliare le diversità, ha quindi segnati di fronte a sé la proposta di un percorso esigente ma senz’altro dotato di grande interesse.

PAPA FRANCESCO: LA FAMIGLIA – 7. I NONNI (II)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150311_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 11 marzo 2015

LA FAMIGLIA – 7. I NONNI (II)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Nella catechesi di oggi proseguiamo la riflessione sui nonni, considerando il valore e l’importanza del loro ruolo nella famiglia. Lo faccio immedesimandomi in queste persone, perché anch’io appartengo a questa fascia di età.
Quando sono stato nelle Filippine, il popolo filippino mi salutava dicendo: “Lolo Kiko” – cioè nonno Francesco – “Lolo Kiko”, dicevano! Una prima cosa è importante sottolineare: è vero che la società tende a scartarci, ma di certo non il Signore. Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di “tirare i remi in barca”. Questo periodo della vita è diverso dai precedenti, non c’è dubbio; dobbiamo anche un po’ “inventarcelo”, perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente, a dare ad esso, a questo momento della vita, il suo pieno valore. Una volta, in effetti, non era così normale avere tempo a disposizione; oggi lo è molto di più. E anche la spiritualità cristiana è stata colta un po’ di sorpresa, e si tratta di delineare una spiritualità delle persone anziane. Ma grazie a Dio non mancano le testimonianze di santi e sante anziani!
Sono stato molto colpito dalla “Giornata per gli anziani” che abbiamo fatto qui in Piazza San Pietro lo scorso anno, la piazza era piena. Ho ascoltato storie di anziani che si spendono per gli altri, e anche storie di coppie di sposi, che dicevano: “Facciamo il 50.mo di matrimonio, facciamo il 60.mo di matrimonio”. È importante farlo vedere ai giovani che si stancano presto; è importante la testimonianza degli anziani nella fedeltà. E in questa piazza erano tanti quel giorno. E’ una riflessione da continuare, in ambito sia ecclesiale che civile. Il Vangelo ci viene incontro con un’immagine molto bella commovente e incoraggiante. E’ l’immagine di Simeone e di Anna, dei quali ci parla il vangelo dell’infanzia di Gesù composto da san Luca. Erano certamente anziani, il “vecchio” Simeone e la “profetessa” Anna che aveva 84 anni. Non nascondeva l’età questa donna. Il Vangelo dice che aspettavano la venuta di Dio ogni giorno, con grande fedeltà, da lunghi anni. Volevano proprio vederlo quel giorno, coglierne i segni, intuirne l’inizio. Forse erano anche un po’ rassegnati, ormai, a morire prima: quella lunga attesa continuava però a occupare tutta la loro vita, non avevano impegni più importanti di questo: aspettare il Signore e pregare. Ebbene, quando Maria e Giuseppe giunsero al tempio per adempiere le disposizioni della Legge, Simeone e Anna si mossero di slancio, animati dallo Spirito Santo (cfr Lc 2,27). Il peso dell’età e dell’attesa sparì in un momento. Essi riconobbero il Bambino, e scoprirono una nuova forza, per un nuovo compito: rendere grazie e rendere testimonianza per questo Segno di Dio. Simeone improvvisò un bellissimo inno di giubilo (cfr Lc 2,29-32) – è stato un poeta in quel momento – e Anna divenne la prima predicatrice di Gesù: «parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2,38).
Cari nonni, cari anziani, mettiamoci nella scia di questi vecchi straordinari! Diventiamo anche noi un po’ poeti della preghiera: prendiamo gusto a cercare parole nostre, riappropriamoci di quelle che ci insegna la Parola di Dio. E’ un grande dono per la Chiesa, la preghiera dei nonni e degli anziani! La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza! Una grande iniezione di saggezza anche per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo indaffarata, troppo presa, troppo distratta. Qualcuno deve pur cantare, anche per loro, cantare i segni di Dio, proclamare i segni di Dio, pregare per loro! Guardiamo a Benedetto XVI, che ha scelto di passare nella preghiera e nell’ascolto di Dio l’ultimo tratto della sua vita! E’ bello questo! Un grande credente del secolo scorso, di tradizione ortodossa, Olivier Clément, diceva: “Una civiltà dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è terrificante, noi abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia ci è data per questo”. Abbiamo bisogno di anziani che preghino perché la vecchiaia ci è data proprio per questo. E’ una cosa bella la preghiera degli anziani.
Noi possiamo ringraziare il Signore per i benefici ricevuti, e riempire il vuoto dell’ingratitudine che lo circonda. Possiamo intercedere per le attese delle nuove generazioni e dare dignità alla memoria e ai sacrifici di quelle passate. Noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore è una vita arida. Possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta. Possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di sé stessi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. I nonni e le nonne formano la “corale” permanente di un grande santuario spirituale, dove la preghiera di supplica e il canto di lode sostengono la comunità che lavora e lotta nel campo della vita.
La preghiera, infine, purifica incessantemente il cuore. La lode e la supplica a Dio prevengono l’indurimento del cuore nel risentimento e nell’egoismo. Com’è brutto il cinismo di un anziano che ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita! Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere al giovane in cerca del senso della fede e della vita! E’ veramente la missione dei nonni, la vocazione degli anziani. Le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale, per i giovani. E loro lo sanno. Le parole che la mia nonna mi consegnò per iscritto il giorno della mia ordinazione sacerdotale, le porto ancora con me, sempre nel breviario e le leggo spesso e mi fa bene.
Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani! E questo è quello che oggi chiedo al Signore, questo abbraccio!

Cantico dei Cantici, di Salomone

 Cantico dei Cantici, di Salomone dans immagini sacre CanticoBIG

http://www.sforzapalagiano.it/NiscalBibbia/Bibbia/3-LibriSapienziali/26-CanticoPage.htm

Publié dans:immagini sacre |on 10 mars, 2015 |Pas de commentaires »
1...345678

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31