Archive pour le 27 mars, 2015

Domenica delle Palme e della Passione del Signore

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DOMENICA DELLE PALME – Gianfranco Ravasi

http://www.suoredimariabambina.org/tempoliturgico/tempoliturgico201503_8.html

DOMENICA DELLE PALME

Gianfranco Ravasi

Isaia 60, 4-7; Filippesi 2, 6-11; Marco 14,1 – 15,47

La liturgia di oggi ci presenta a commento del racconto della passione di Marco un brano tratto dal Libro delle consolazioni di Isaia e un inno della Chiesa primitiva che Paolo ha inserito nella lettera ai Filippesi.
Nel contesto dell’annuncio di speranza e di consolazione del Secondo Isaia (Is 40-55) si inseriscono i quattro Carmi del Servo di Jahweh nei quali la Chiesa ha sempre visto una prefigurazione del Messia, e soprattutto della sua passione. In effetti il terzo di questi Carmi, quello che leggiamo in questa domenica, è una composizione autobiografica che racconta l’esperienza di persecuzione di cui è vittima il profeta. Annunciatore della Parola di Dio agli sfiduciati (v. 4), ai quali si presenta come modello di costanza nella speranza, il profeta subisce persecuzione e violenza. È percosso sulla schiena, secondo il trattamento riservato agli stolti e alle bestie (Gb 16, 7-11; Prov 10, 13; 19, 29) lui che è il sapiente per eccellenza perché porta la Parola di Dio.
L’inno cristologico della lettera ai Filippesi era, con ogni probabilità, originariamente una professione di fede molto antica ad uso liturgico che Paolo inserisce nella lettera per invitare i cristiani di quella comunità a vivere secondo uno stile ispirato alla vita di Cristo.
Si parte proprio dalla preesistenza e dalla divinità (v, 6) per sottolineare il senso della vicenda terrena del Cristo. Egli da quella condizione si è abbassato, ha «svuotato» se stesso facendosi «servo», come l’uomo che è servo del peccato, e condividendo anche la morte (vv. 7-8), cioè la radicalità estrema della realtà umana. Fin qui il soggetto è stato Gesù; d’ora in poi l’inno descrive l’intervento di Dio su questa storia: il soggetto sarà il Padre.
«Perciò» il Padre lo ha esaltato al di sopra di tutto (v. 9), lo ha fatto oggetto di adorazione universale (v. 10) e gli ha dato il titolo di «Signore» (v. 11), termine col quale la Bibbia greca traduceva Jahweh (Kyrios).
La professione di fede nella divinità di Cristo è in stretta connessione con la sua vicenda terrena. Nelle coppie terminologiche «condizione di Dio» — «simile all’uomo» e «servo» — «Signore» è racchiuso il mistero di Gesù Cristo nostro Signore. Proprio perché il Cristo ha attraversato l’intera vicenda umana, l’uomo può essere recuperato a Dio e riconquistato nella sua totalità.
E, parallelamente, solo la vicenda di Gesù e in particolare la croce ci permettono di incontrare Dio che si rivela nel suo Figlio.
Guidati da queste due chiavi di lettura possiamo allora accingerci a leggere il racconto della passione. Andremo a cercare un uomo trattato come un buffone, rifiutato dai suoi contemporanei e che invece parla a nome di Dio (prima lettura), e un uomo che attraverso la sua vicenda mostrerà il vero volto di Dio, perché egli solo può dire di Dio Abbà-Padre (seconda lettura).
Con l’arresto (14, 43-51) Gesù è abbandonato dai discepoli che fuggono spaventati: il racconto del giovanetto che fugge nudo sembra il tipo dell’atteggiamento di chi finora ha seguito Gesù, ma non ha ancora capito quale mistero racchiuda veramente quest’uomo.
Quella domanda sulla vera identità di Gesù che ha fatto da motivo conduttore per tutto il vangelo di Marco comincia a ricevere ora una risposta definitiva: la croce dirà veramente chi egli sia. Durante il processo (14, 52-65) Gesù svela la sua vera identità, per la prima volta dice chiaramente che egli è il Figlio di Dio. Di fronte a questa rivelazione scattano però il rifiuto e la condanna del Sinedrio e il rinnegamento di Pietro (14, 66-72).
In modo quasi ironico anche l’autorità romana riconoscerà la verità di Gesù solo nella motivazione della condanna: in una coreografia che richiama le apparizioni pubbliche dei re, con un ministro alla destra e uno alla sinistra, è crocefisso il «re dei giudei». Di fronte alla croce, però, Marco colloca il vertice tematico del suo vangelo: ora è possibile professare veramente il riconoscimento del Cristo, ora è possibile la fede. Il centurione romano per primo riconoscerà in quell’uomo crocefisso il Figlio di Dio (15, 39).
Anche noi allora dobbiamo guardare alla croce per riconoscere il Figlio di Dio, per ripulire la nostra fede dagli idoli che ci siamo fatti, magari manipolando secondo i nostri schemi il Dio della croce, per professare la nostra fede limpida assieme al centurione romano.
Il Dio della croce ci si presenta come il Dio che si «svuota» e condivide la situazione dell’uomo: questa è la lettura della sua vicenda terrena secondo la professione di fede dell’inno di Filippesi. Il Dio della croce non è il Dio che sta lassù e al quale dobbiamo strappare la vita eterna, ma è il Dio che viene quaggiù per offrirci la sua comunione. Lui si è fatto nostro fratello chiamandoci a farci fratelli gli uni degli altri, perché così siamo in comunione con lui. La via della salvezza diventa allora la via della condivisione e della solidarietà contro l’egoismo e l’individualismo.
Il Dio della croce non è nemmeno un Dio che ci strappa al mondo, che cancella la vicenda di questa storia umana, è il Dio che è venuto nella storia dell’uomo per dare ad essa un significato. Anche la morte non è più un fallimento, una fine, ma è un momento decisivo, come per Cristo è stata il momento della completa adesione a Dio. La via della salvezza allora non è la via del disinteresse per questo mondo, della fuga per cercare qualcos’altro, ma la via in cui si vive la storia per il suo vero valore: una storia che Dio ha fatto la sua storia di salvezza.
Infine il Dio della croce non è il Dio della resa dei conti, non è il Dio che giudica secondo la giustizia dell’uomo, ma è il Dio misericordioso e disponibile, che aspetta che l’uomo torni a lui come il padre della parabola di Lc 15. Non è il Dio che pianifica giustiziando i cattivi, ma che aspetta che tutti possano salvarsi: il Dio della croce vuole che nessuno si perda (Gv 3, 17). La via della salvezza è allora quella della misericordia, quella che fugge i giudizi affrettati, quella protesa a sollevare gli uomini, quella che si preoccupa di perderne il meno possibile lungo la strada.
Questa liturgia è anche un concreto invito catechetico allo studio e alla meditazione del ciclo evangelico «Passione-Pasqua», una delle prime «schede» della predicazione cristiana apostolica, uno dei primi articoli di fede del credo cristiano (1 Cor 15, 3-5; At 13). Si tratta di pagine destinate a credenti che celebrano liturgicamente la Pasqua del Signore: At 4, 24-31 presenta appunto la Commemorazione della Passione in un contesto di preghiera. Non è quindi, come abbiamo visto, una mera biografia o un racconto drammatico che voglia suscitare commozione sentimentale.
È invece una narrazione «profetica» che cerca di svelare negli eventi la presenza salvifica di Dio che, divenendo nel Figlio uomo, può salvare l’uomo. Marco in particolare ci offre un testo fortemente kerigmatico pur secondo l’ottica del «segreto messianico»; l’obbiettività dei fatti è dura, realistica, scandalosa. Ma questa paradossalità diviene annuncio di salvezza. Infatti è dalla croce che si ha la piena e più alta adesione di fede.
La Passione, allora deve diventare il vero thesaurus credentium, come scriveva l’Imitazione di Cristo.
O, come suggeriva una glossa agostiniana, la narrazione della Passione, «diretta dalla fede, deve dirigere la fede».

SPUNTI PASTORALI
1. Il Dio della croce è il Dio «svuotato» (11 lettura), solidale con l’uomo sino alla frontiera estrema, quella della morte. Da questa vicinanza estrema nasce una diversa concezione di Dio: egli non sta lassù, isolato nella sua splendida sfera trascendente, ma si fa solidale e fratello.
Da questa vicinanza estrema nasce una diversa concezione dell’uomo: la «carne» e la storia dell’uomo hanno un senso, contengono un seme di divinità e di eternità che sta crescendo e fiorendo.
Il mondo e l’uomo sono ora santi e consacrati dal passaggio di Dio: è nata la «storia della salvezza». Da questa vicinanza estrema nasce anche una diversa concezione del destino: alla visione del Dio giudice si sostituisce quella del Dio che ama e che si dona per riscattare dal male il suo fratello più debole. Scriveva J. Moltmann nella sua nota opera II Dio crocifisso: «Il Dio della libertà, il vero Dio, non lo si conosce dalla potenza e dalla gloria che egli manifesta nel mondo ma dalla sua impotenza e agonia sofferte sul legno della vergogna, sulla croce di Gesù. Gli dei del potere e dell’opulenza, che vivono nel mondo e nella sua storia, stanno dall’altra parte della croce, perché è in loro nome che Gesù viene crocifisso».

2. Davanti alla croce di Cristo sfila l’umanità con la sua risposta: c’è il rifiuto drammatico di Giuda, l’odio implacabile del potere sinedrale, la fragilità traditrice di Pietro, la paura del giovinetto anonimo, ma c’è anche il vertice dell’amore e della fede, quello del centurione romano che accoglie nella sua pro-fessione di fede (Mc 15, 39) le parole rivelatrici pronunziate da Gesù durante il suo processo. Si chiude così l’itinerario di tutti i credenti: «Veramente costui è Figlio di Dio!».Dio.

da: Gianfranco Ravasi – Celebrare e vivere la Parola

OMELIA 29 MARZO – DOMENICA DELLE PALME

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/25108.html

OMELIA 29 MARZO – DOMENICA DELLE PALME

mons. Antonio Riboldi

Domenica delle Palme

Ci volle un gran coraggio – che è la natura dell’amore – da parte di Gesù per entrare in Gerusalemme quel giorno delle Palme. Lui sapeva molto bene e lo avevano avvertito i suoi, gli Apostoli, che il vaso dell’odio e della volontà di toglierLo di mezzo, in coloro che Gesù, disturbava, perché addirittura metteva in crisi la religione dei padri come da loro era interpretata e insegnata, ormai traboccava. Non si sapeva come questo odio potesse esplodere, ma gli Apostoli percepivano che questa volta poteva succedere qualcosa di tragico; certo non immaginavano neppure che sarebbe finita, come poi accadrà, con l’arresto, la passione e la morte in croce del loro amato Maestro. Eppure Gesù li aveva preparati alla Sua fine.
Aveva detto che Lui un giorno sarebbe salito a Gerusalemme e lì gli scribi e i farisei – ossia quei custodi della legge che Gesù non esitava a definire ‘ipocriti’ per il fatto che erano esigenti nel pretendere l’osservanza della legge, che trasgredivano con facilità, ‘nascondendosi’ dietro un’immagine di un Dio padrone e non il vero Dio d’Israele, che sempre è stato per il Suo popolo un Padre premuroso – innocente, Lo avrebbero fatto arrestare, flagellare e condannare a morte, con la sola colpa di essere la VERITA’ e l’AMORE.
Più volte Gesù aveva affermato che sarebbe stato arrestato e messo a morte, ma che poi il terzo giorno sarebbe risorto, e, con la sua morte e resurrezione, avrebbe aperto a tutti la possibilità della resurrezione, la nostra resurrezione!
Chissà con quanta tristezza nel cuore Gesù andava con il suo pensiero alla sorte che gli sarebbe toccata. E fa una grande impressione, al solo leggere il Vangelo, pensare a Gesù che nella notte del Giovedì, dopo avere celebrato la Pasqua con i suoi, si ritira solo nel Getsemani a pregare, chiedendo la compagnia dei tre diletti apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni.
Quante volte, anche noi, nel momento del dolore e della prova, ci sentiamo come Gesù che suda sangue e cerca la compagnia e il sostegno degli amici, che erano a due passi da Lui.
Ma li trova addormentati. Era davvero solo a soffrire: una sofferenza che, sapendo quello che Lo attendeva, gli fa dire: ‘Padre, se è possibile, passi da me questo calice ‘.
Una preghiera che, se fosse stata accolta dal Padre, avrebbe annullato la nostra possibilità di partecipare alla resurrezione.
Ma Gesù è l’Amore, un Amore che non conosce confini e limiti, ecco dunque la sua consapevole scelta e decisione, come uomo e come Dio: ‘ma si compia in me la tua volontà ».
Suscita tanta tristezza il racconto di Gesù che cerca conforto negli apostoli, che aveva scelto, con cui aveva condiviso tutto, volendoli in quel sublime momento vicino a Sé, e… li trova addormentati! Sono scene che richiamano tante volte la nostra storia nel dolore.
Quante volte cerchiamo compagnia e conforto e troviamo solitudine! E, ancor peggio, quante volte siamo ‘addormentati’ di fronte alle richieste di aiuto di chi è nel dolore!!
Quanti insegnamenti ci offre Gesù per la nostra vita, quando soffriamo o quando dovremmo essere un sostegno per chi soffre.
Ma Gesù conosce la nostra debolezza e non si scandalizza. Infatti solo qualche giorno prima della Sua Passione, si era abbandonato all’amore espresso da chi lo accoglieva portando le palme.
Oggi, ricordiamo quel momento di festa, in cui prevalse in tutti un senso o una voglia di pace.
E’ bello anche per noi metterci al seguito di Gesù nel solenne ingresso in Gerusalemme.
Così lo racconta Marco:
« Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il Monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse: ‘Andate nel villaggio, che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale mai nessuno è salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: ‘Perché fate questo?’ rispondete: ‘Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito’.
Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada e lo sciolsero.
E alcuni dei presenti però dissero loro: ‘Perché fate questo?’. Risposero: ‘Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito’ e li lasciarono fare.
Essi condussero l’asinello da Gesù e vi gettarono sopra i loro mantelli ed Egli vi montò sopra.
E molti stendevano i propri mantelli sulla strada ed altri delle fronde che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi e venivano dietro, gridavano: ‘Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! ‘. (Mc. 11, 1-10)
E’ stato davvero un atto di gioia e coraggio quello di Gesù, osannato da gente semplice che vedeva in Lui il Messia che suscitava tanta speranza: una speranza che non ha le sue basi nella pomposità degli uomini, che amano esibirsi, ma nella semplicità che ha radici nella povertà di spirito.
Sono davvero gli umili, la gente semplice, quella che, anche oggi, ‘vede’ oltre le apparenze e fa festa a Gesù, che è tra di noi.
Entrare nella vita, cavalcando un asino e attorniato da gente modesta, non so se possiamo chiamarlo, secondo i nostri parametri moderni, un ‘trionfo’. Noi siamo abituati ad altro ed è per questo che non riusciamo a scorgere ed accogliere la bellezza della Pasqua.
Ma per i credenti ci si commuove oggi, celebrando la domenica delle Palme, anche solo tentando di intuire i sentimenti nel cuore di GESÙ, che, conoscendo le Scritture sul Servo sofferente, ben sapeva ciò che lo attendeva in settimana: non più la dolcezza e spontaneità dei ‘piccolì, ma la furia dell’odio di altri che non Lo sopportavano.
Il racconto della passione di Gesù, che la Chiesa ci offre oggi, in chi sa entrare nello spirito del Vangelo, ha sempre un effetto profondo nel suo cuore.
Subito ci viene da identificarci con qualche personaggio che ha un ruolo, più o meno importante nella vicenda. Viene da chiederci « Io chi sono? ». Forse Pietro che nel pericolo Lo rinnega? O Maria di Magdala che lo segue nella via del Calvario fin sotto la croce, condividendo dolore e umiliazione? O Pilato che si lava le mani per non avere fastidi, anche se questo suo non assumersi responsabilità, significa aprire la strada a ingiustizie e crimini? O forse, seppur in momenti diversi, un po’ di ciascuno di loro vive in noi?
Per questo, nonostante le nostre fragilità e le nostre infedeltà, siamo chiamati, come ogni uomo, ad accompagnare Gesù sul Calvario, per essere inondati dal fiume di misericordia che sgorga dal suo costato. Sarà questo lo spirito con cui vogliamo vivere in questa settimana Santa?
Lo auguro di cuore a tutti per uscire ‘nuovi’, davvero risorti a vita nuova nella Pasqua.
Auguri di una buona e santa Settimana!
INVITO ALLA PARTECIPAZIONE, NELLA FEDE, AI RITI DELLA SETTIMANA SANTA.
Chiamiamo, quella che precede la Pasqua, Settimana santa, perché in essa non solo ricordiamo, ma siamo chiamati a partecipare alle stupende liturgie, in cui si compiono i Misteri che si celebrano. Partecipando alle varie celebrazioni, si ha come l’impressione di vedere all’opera l’amore di Dio, che, per associarci di nuovo alla Sua famiglia, ‘si serve’ del Figlio per farci persone nuove, degne di far parte della Loro stessa famiglia, compiendo atti che non sono un ricordo, ma memoria attuale e fondamenta della vita della Sua Chiesa.
Non è concepibile per un fedele fermarsi al ‘folklore’ esterno, che tante volte circonda le varie liturgie. Basta pensare ai cosiddetti ‘sepolcri’, che si allestiscono, la sera del giovedì santo, o alle tante ‘scenografie’ della Via Crucis nella notte della Pasqua di Resurrezione.
Sono simboli o rappresentazioni degli avvenimenti, ma occorre, nella fede, ‘entrare e partecipare’ alla grande Opera divina, al Mistero, che si compie.
Non dobbiamo restare solo spettatori, ma diventare credenti, che vogliono farsi coinvolgere, con tutto il loro essere, dal Mistero di Amore che è la Pasqua di resurrezione di Cristo e nostra.
GIOVEDÌ SANTO: in tutte le cattedrali delle Diocesi al mattino i presbiteri celebrano la festa del sacerdozio, alla presenza e in comunione con il proprio vescovo.
La S. Messa è detta del S. Crisma, perché vengono benedetti e consacrati gli OLI SANTI.
Alla sera vi è la solenne celebrazione Eucaristica, definita ‘In Coena Domini’, ossia ‘nella Cena del Signore’. È la solennità della ‘prima Comunioné della Chiesa, rappresentata dagli Apostoli, con il

Corpo e Sangue di Gesù, donato per sempre quella sera. Una Cena che è la grande manifestazione di Dio che si fa Dono, Pane di Vita, per noi: ‘Mistero grande della fede’.
È qui che si misura quanto conta l’Eucarestia per noi: se poco o se tanto. Ognuno deve chiederselo. Durante la S. Messa vi è la lavanda dei piedi: da Gesù impariamo cosa voglia dire ‘essere servi’ del fratello, chinandosi con gioia per ‘lavargli i piedi’. Non è dare cose, ma ‘donare noi stessi’, la nostra attenzione, il nostro ascolto, il nostro tempo, la nostra accoglienza….
Segue quindi l’esposizione del SS. mo Sacramento per l’adorazione, in quello che un tempo si chiamava ‘sepolcrò.
Al Gloria vengono ‘legate’ le campane che non suoneranno più fino alla Resurrezione.
VENERDÌ SANTO: alle tre del pomeriggio si legge il Passio, quindi vi è il bacio della Croce, come atto di devozione ed amore e la S. Comunione. In tanti luoghi dopo si partecipa alla Via Crucis per le vie cittadine. Noi con chi siamo, il venerdì santo?
Con Maria, Giovanni e le donne a ricordare in Chiesa la passione e baciare il Crocifisso, in attesa della speranza… della resurrezione? O siamo vittime della paura, propria di chi fugge perché non trova più una ragione nella speranza e nel perdono? Ma, se così, dove possiamo andare?
Oppure, Dio non voglia, siamo tra quelli che giocano la vita sull’egoismo, a cui non interessa più che Dio abbia fatto dono del Figlio, per permetterci di uscire dal sepolcro dei nostri peccati e tornare a conoscere la vera vita, senza avere consapevolezza che questa è la vera strada per crocifiggersi… ma senza speranza?
Non si può conoscere la bellezza della vita, se non si conosce l’amore e….. Colui che è l’Amore! SABATO SANTO: la Chiesa, in attesa della resurrezione ‘tace’. Normalmente verso mezzanotte si celebra la Pasqua di Resurrezione, preceduta dalle letture che sono il racconto dell’amore di Dio verso di noi. Si accende il cero pasquale che sarà esposto come segno di Cristo, Luce del mondo. Fino al canto del Gloria e il rinnovato suono delle campane, espressione della gioia ritrovata per la Resurrezione del Maestro, anticipazione della nostra stessa resurrezione.
SONO GIORNI CHE RACCONTANO, CELEBRANO E FANNO MEMORIA – CIOÈ ATTUALIZZANO – LA NOSTRA. SALVEZZA. È UN GRANDE ATTO DI FEDE E DI RINGRAZIAMENTO PARTECIPARE.
Noi ci saremo?
Invochiamo lo Spirito, che ci introduca nel cuore del Mistero della Settimana santa.
Consentiamo a Dio, con fiducia nella Sua Misericordia, di operare nella nostra esistenza, donandoci la Sua pienezza di Vita eterna, oggi quaggiù e domani presso di Lui.

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