http://www.moscati.it/moscati/Ital2/PMarafioti_SGius2.html
S. GIUSEPPE, UNA PATERNITÀ NELLA VERGINITÀ – II
Domenico Marafioti s.j.
La verginità di Maria
È sicuro che Maria e Giuseppe avevano preso l’impegno di vivere la loro vita insieme nella castità e nella verginità? I Padri della Chiesa non avevano dubbi, oggi molti sono perplessi e alcuni lo negano. Ma c’è una piccola frase che lo dice chiaramente. All’angelo, che le annuncia la nascita del Messia, Maria risponde: «Com’è possibile? Non conosco uomo» (Luca 1,34). Certamente Maria non dice una bugia. Allora, cosa intende dire con queste parole? La conoscenza di cui parla non è quella dei normali rapporti sociali, perché a questo livello conosceva tanti compaesani e conosceva Giuseppe.
Lei si riferisce a quella conoscenza interpersonale tra uomo e donna che si ha nell’intimità dei rapporti coniugali. Lei però era fidanzata e non dice: «Ancora non conosco uomo»; in questo caso l’angelo l’avrebbe tranquillizzata, dicendole: «Tra poco lo conoscerai e avrai un figlio». Maria invece dice: «Com’è possibile? Non conosco uomo». Naturalmente Maria sapeva bene come nascono i bambini: qualcuno glielo avrà spiegato nell’infanzia o nell’adolescenza, per farle comprendere le trasformazioni che avvenivano nel suo corpo. Oppure lo avrà capito da sola.
Se santa Teresa di Gesù Bambino lo intuì guardando gli uccellini sul prato, anche Maria di Nazaret poté impararlo collegando i segni della natura e i discorsi umani. E comunque è assurdo pensare che sarebbe arrivata al fidanzamento senza sapere cos’è il matrimonio. Sarebbe avere un’idea ben meschina di questa ragazza eccezionale! Lei dunque sapeva che è possibilissimo avere un figlio, nell’ambito di una normale vita coniugale. D’altra parte l’angelo non le spiega come nascono i bambini, ma le dice che questo bambino nascerà in modo straordinario. Allora l’unico modo comprensibile e intelligente di capire perché Maria ritenesse impossibile avere un figlio, pur essendo prossima a sposarsi, è l’impegno preso con Giuseppe davanti a Dio di non avere rapporti coniugali.
E senza rapporti coniugali, senza conoscere uomo, è davvero impossibile avere figli. La difficoltà di Maria riguarda quindi il suo rapporto con Dio. L’angelo non può chiederle di mancare di parola, di ritirare la promessa fatta, perché tutta la Scrittura parla della necessità di «fare voti al Signore e mantenerli» (cf. Salmi 75,12; 115,18-19). Questo impegno di Maria non può non coinvolgere Giuseppe. L’angelo le annunzia la nascita di un figlio quando lei è già «promessa sposa» di Giuseppe (Luca 1,27); se le sue parole significano che non conosce e non intende conoscere uomo, vuol dire che questa decisione è condivisa da Giuseppe, altrimenti lei avrebbe tratto in inganno il fidanzato e avrebbe commesso un’ingiustizia nei suoi confronti. Due mancanze che bisogna assolutamente escludere in Maria, «piena di grazia».
Sacra Famiglia, con in evidenza
S. Giuseppe patrono e difesa della Chiesa.
Non resta quindi che accettare l’ipotesi più semplice nella sua luminosa grandezza. Maria e Giuseppe, nell’esperienza di un amore totale verso Dio e di un amore spirituale tra di loro, avevano fatto dono di se stessi a Dio nella verginità. Maria non poteva ritirare questo dono senza commettere peccato, e lei non voleva peccare. All’inizio infatti aveva capito che avrebbe dovuto avere un figlio nel modo normale in cui lo hanno tutte le donne del mondo. Perciò l’angelo interviene e le trasmette la seconda parte del messaggio. Il figlio non sarebbe nato dalla sua unione con Giuseppe; l’impegno preso e il dono fatto a Dio non erano messi in discussione, rimanevano validi e andavano mantenuti. Ma Dio, a cui «nulla è impossibile», disponeva che questo figlio nascesse in maniera del tutto straordinaria, senza concorso di uomo.
Maria e Giuseppe potevano continuare a vivere il loro amore spirituale nella verginità, come avevano deciso nella fede, mentre lei poteva accettare di diventare madre del Figlio di Dio secondo la stupenda disposizione della grazia. Sarebbe diventata madre non per l’unione con un uomo, ma per l’opera dello Spirito Santo e la potenza dell’Altissimo. Rileggiamo tutto il v. 35: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio».
La potenza di Dio che ha creato i cieli e la terra, che ha creato l’uomo e la donna e li ha resi fecondi, rende ora feconda una vergine senza nessuna partecipazione maschile, e fa nascere un uomo da una madre che rimane vergine. Maria ora capisce che questo modo nuovo di diventare madre non contraddice né l’impegno preso con Dio, né quello preso insieme a Giuseppe, e perciò accetta: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (v. 38). Quel figlio, a cui Maria aveva rinunziato per amore di Dio, ora le viene dato per grazia. La nascita verginale di Gesù indica chiaramente che quel «salvatore», che l’umanità non avrebbe mai potuto procurarsi da sé, le viene dato in modo straordinario e gratuito da Dio, come dice chiaramente il nome di Gesù: Dio salva.
Giuseppe nel dramma
Maria, saputa la buona notizia che la cugina Elisabetta sta per aveva un bambino, parte subito in fretta per andare ad aiutarla. Non sappiamo se ha avuto il tempo di incontrarsi con Giuseppe per informarlo dell’annunzio dell’angelo. Probabilmente no, qualche cosa deve averlo impedito: forse la carovana partiva d’urgenza per la Giudea, o forse Giuseppe era impegnato per lavoro nella vicina città di Sefforis. Appena arriva ad Ain Karim (?) ha la sorpresa di veder svelato il suo segreto, perché Elisabetta salutandola le dice: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Luca 1,43). Dopo le parole dell’angelo Maria non è più quella di prima, è già diventata madre e il bambino comincia a crescere e svilupparsi nel suo seno.
Nel canto del Magnificat loda il Signore onnipotente che «fa grandi cose» per salvare Israele e l’umanità, e ha guardato proprio a lei, un’umile ragazza di un paese sconosciuto, per compiere le sue meraviglie; infatti il figlio che le è stato dato realizzerà le promesse fatte ad Abramo e ai padri, per manifestare la fedeltà di Dio e la grandezza del suo amore. Nei tre mesi che rimane presso la cugina, Maria l’aiuta in tutti i lavori di casa, s’informa dell’apparizione dell’angelo a Zaccaria, vede le somiglianze e le differenze con la propria situazione, e pensa che bisogna informare Giuseppe di tutto ciò che è accaduto. Probabilmente, dopo la nascita di Giovanni Battista e la festa della sua circoncisione, Maria ritorna a Nazaret, e come prima cosa si mette in contatto con Giuseppe per raccontargli tutto.
Giuseppe vede coi suoi stessi occhi che Maria è incinta e aspetta un bambino, e sa benissimo che questo bambino non è suo. Mentre Maria parla e racconta dell’angelo, del saluto ricevuto, della descrizione di questo bambino che «sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo », e avrebbe ricevuto «il trono di Davide» per regnare per sempre, Giuseppe l’ascolta pensoso. E quando continua dicendo che questo figlio è opera dello Spirito Santo, della potenza dell’Altissimo e di nessun altro, lui rimane sospeso e la guarda negli occhi: racconta bugie o dice la verità? Li vede limpidi, sereni, sinceri, come quelli di sempre. Maria non sa mentire, ma come riuscire a credere a ciò che dice? Alla fine avrà risposto con un rapido: «Va bene, andiamo avanti, poi vedremo cosa fare», e se ne sarà tornato a casa sua perplesso e disorientato.
La lotta di Giuseppe
Quella notte naturalmente Giuseppe non chiuse occhio. Ripensava a Maria, a come l’aveva conosciuta prima di chiederla in sposa, ai discorsi fatti durante quei mesi di fidanzamento, alla fiducia e all’amore reciproco, alla comune scelta della verginità, e a quel bambino che ora portava in grembo. Si ripassava tutte le parole di Maria sull’angelo e l’opera di Dio, e rimaneva sospeso: come non credere alla sincerità di Maria? E come credere alla verità di ciò che diceva? Se lui avesse raccontato tutto questo ai suoi amici, gli avrebbero riso in faccia. Tutti sanno come nascono i bambini, se questo non era suo, era di qualcun altro!
E se Maria avesse finto e lo avesse ingannato una seconda volta? Era riuscita a convincerlo ad accettare un matrimonio nella verginità, ma ora si rendeva conto della stranezza di una tale decisione. Perché Maria lo aveva indotto a quella scelta? Aveva forse un altro uomo a cui voleva bene, e con cui aveva fatto questo figlio? Oppure qualcuno aveva abusato di lei in questi tre lunghi mesi di assenza in cui non aveva fatto sapere nulla?
No, non era serio credere al racconto di Maria, era troppo singolare e insolito. Sarebbe stato un cretino a crederle. Per nascondere la propria colpa, quali storie non è capace di raccontare una donna! E la storia dell’angelo era molto ben congegnata. Ma lui non era così stupido da bere tutto. L’indomani torna da Maria e senza mezzi termini le dice: «Senti, dimmi la verità: se nella tua vita c’è un altro uomo, dimmelo. Si aggiusta tutto, io mi ritiro, tu te ne vai con lui e non se ne parla più».
Come si sarà sentita Maria a queste parole di Giuseppe? Aveva sempre temuto che gliele dicesse, mentre in casa di Elisabetta cercava il modo giusto di fargli sapere quello che era successo. Ora vedeva che il dubbio e la preoccupazione lo facevano soffrire, e anche lei soffriva con lui; capiva che non era creduta e soffriva doppiamente. Con dolcezza e fiducia gli dice: «Giuseppe, ascolta!», e riprende a raccontare dall’inizio l’incontro con l’angelo, poi ricorda le tante nascite miracolose dell’Antico Testamento, quella di Isacco, quella di Sansone, quella di Samuele, e l’ultima recentissima di Giovanni Battista, di cui in parte era stata testimone (Genesi 15; Giuda 13; 1 Samuele 1-2; Luca 1).
«Sì- le dice Giuseppe – ma tutti questi bambini straordinari sono figli dei loro genitori, e tu sai che questo figlio non è mio!» Sì, Maria lo sapeva, Dio con lei vergine si era comportata in modo diverso dalle donne sterili; e non sapeva che cosa dire a Giuseppe per fargli superare il dubbio che lo stringeva. Alla fine disse solo: «Giuseppe, proprio questa era la difficoltà che ho fatto all’angelo, quando gli ho detto: ‘Com’è possibile? Non conosco uomo’. E lui mi ha richiamato all’onnipotenza di Dio. Forse una cosa possiamo ancora ricordare, quello che dice il profeta Isaia: Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Isaia 7,14; Matteo 1,23)».
S. Giuseppe con il Bambino Gesù (Residenza dei Padri Gesuiti del Gesù Nuovo, Napoli).
Giuseppe l’aveva guardata attentamente per tutto il tempo: Maria parlava con fervore, ma era calma e manteneva la semplicità di sempre; la vedeva anche un po’ impacciata perché non riusciva a spiegare con altre parole le cose che raccontava, ma si notava che non nascondeva nulla; era la ragazza buona che aveva sempre conosciuto, non si poteva dubitare di ciò che diceva. Nella sua incredibile e straordinaria grandezza, il discorso che faceva aveva una sua logica e limpida coerenza. Eppure c’era qualcosa che ancora non lo convinceva, aveva bisogno di prendere tempo.
Perciò le dice: «Va bene Maria, ci penserò; intanto preghiamo l’uno per l’altro». Si lasciarono, e Maria lo seguì con uno sguardo colmo di affetto e comprensione. Poi abbassò gli occhi pieni di lacrime e si mise a pregare.
Nella notte oscura
Giuseppe da questo secondo incontro, o da questa seconda serie d’incontri – perché non sappiamo quanti giorni è durata la sua lotta interiore – se ne tornava con una certezza: Maria non lo aveva tradito e nessuno aveva abusato di lei. Ma lui, Giuseppe, che c’entrava in questa storia straordinaria di Dio, degli angeli e dei padri? Lui era un ragazzo normale, un lavoratore che aveva cercato di farsi una famiglia; aveva trovato una brava ragazza, aveva scoperto la bellezza della verginità e voleva vivere con Maria in questo nuovo stato di vita.
Ma ora che Maria portava in grembo questo bambino, tutto era cambiato. Se ciò che lei diceva era vero, lui che doveva fare? Il rapporto tra loro due non era più lo stesso, perché il figlio apparteneva a lei e non a lui. Ripensava ai personaggi della Scrittura e agli interventi miracolosi di Dio nella storia d’Israele ricordati da Maria. Certo, Dio era padrone del tempo e dello spazio, e poteva agire oggi come ieri; non c’erano dubbi sulla sua onnipotenza; e se aveva deciso di compiere la redenzione del mondo, chi poteva dirgli cosa doveva fare o non fare? E certamente avrebbe potuto benissimo scegliere Maria come la «vergine» per attuare la profezia di Isaia e far nascere l’Emmanuele.
Su questo anche lui era d’accordo, perché le ragazze come Maria erano poche, anzi non ce n’era nessuna! Ma se davvero Maria portava in seno il Figlio di Dio, chi era lui per portare madre e figlio a casa sua? Ricordava che quando Davide aveva voluto portare l’arca dell’alleanza a Gerusalemme, qualcuno si era avvicinato, l’aveva toccata ed era morto sul colpo (2 Samuele 6,1-11). No, non era più possibile stare accanto a Maria. Anche se in fondo gli dispiaceva, doveva comunque rimandarla a casa. Se la rimandava pubblicamente, però, avrebbe dovuto spiegare che quel figlio non era suo, e tutti avrebbero pensato che Maria lo aveva tradito e l’avrebbero accusata di adulterio, col rischio non improbabile che la volessero lapidare. No, l’avrebbe rimandata in segreto, perché lei continuasse la sua vita seguendo i messaggi del cielo, mentre lui avrebbe cercato di farsi una vita normale sulla terra.
Questo dice esattamente il vangelo di Matteo: «Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto» (Matteo 1,19).
La chiamata alla paternità spirituale
Dio però vede la difficoltà in cui si trova Giuseppe e non lo abbandona. Lo prepara ad accogliere la sua parola e gli viene incontro con la sua grazia, perché abbia una risposta spirituale al problema squisitamente spirituale in cui si trova. Gli manda in sogno un angelo, come aveva fatto con altri grandi personaggi biblici: «Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Matteo 1,19-21).
Dio manda un angelo a Giuseppe come lo aveva mandato a Maria; diverso è solo il momento, non di giorno, ma nel sonno. Dio non lascia soli nella ricerca del bene da fare, ma viene incontro a ognuno con la sua grazia e dà i segni giusti per riconoscere la sua volontà. L’angelo dice a Giuseppe come sono esattamente le cose e qual è la sua parte in questa opera di Dio. Anzitutto gli conferma che il figlio di Maria è opera dello Spirito Santo, in modo da eliminare ogni dubbio residuo; poi gli dice che non deve aver alcun timore di entrare in questo disegno di salvezza, perché lui ha un compito importante quasi quanto quello di Maria: lei sta dando la vita fisica al Messia; lui gli deve dare la vita sociale e religiosa.
Giuseppe deve inserire il figlio di Maria nel tessuto sociale del popolo d’Israele e gli deve trasmettere le promesse divine fatte alla famiglia di Davide. Perciò sarà lui a dare il nome al figlio di Maria, riconoscendolo come figlio proprio, e lo chiamerà Gesù per far sapere a tutti che Dio salva. Così Giuseppe viene confermato nella sua scelta di vita verginale accanto a Maria, e viene chiamato a vivere una nuova paternità spirituale nei confronti di Gesù. Come Maria anche Giuseppe rinunzia ai propri progetti, accetta la vocazione che gli viene da Dio; si affida alla sua parola, come gli antichi patriarchi, e mette la propria vita a servizio di Gesù e del progetto di salvezza per l’umanità.
Al mattino presto Giuseppe corre alla casa della fidanzata, la chiama e le dice raggiante: «Maria, quello che mi hai detto è tutto vero, stanotte me lo ha confermato un angelo!». Quale gioia esplose nel cuore di tutti e due! Spontaneamente si sono trovati l’una tra le braccia dell’altro, mentre sentivano che l’amore di Gesù li stringeva con una forza potente piena di dolcezza per sempre. Dopo un po’ si sono asciugati gli occhi colmi di lacrime di commozione, e Giuseppe disse: «Presto, prepariamo tutto e cominciamo a vivere insieme, come avevamo deciso».
Questo infatti dice il Vangelo: «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Matteo 1,24). Così si conclude quello che potremmo chiamare il percorso vocazionale di Giuseppe: un giovane che pensa al matrimonio come prima e normale vocazione umana; che scopre la bellezza della verginità nel rapporto personale con l’assoluto di Dio; che si trova di fronte l’imprevedibile della novità di un progetto divino non facile da comprendere; e che nell’ubbidienza alla parola di Dio accetta la paternità spirituale verso Gesù, il figlio di Maria, che lui accoglie in tutti i sensi come figlio proprio.
La decisione di Giuseppe fa nascere la famiglia di Nazaret. Essa, così normale tra le tante famiglie del paese, e così eccezionale per la vocazione e la missione, rimane il prototipo di ogni famiglia cristiana.