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LA SCALA SANTA DEL PARADISO
Nella notte contemplare la luce
sr Renata Bozzetto
San Giovanni Climaco (da climax, scala: genitivo greco latinizzato come nominativo Climacus) è celebre per la sua opera La Scala Santa del Paradiso. Egli, monaco igumeno del monastero di S. Caterina sul Sinai, nella Scala descrive l’itinerario dell’esperienza spirituale che conduce alla deificazione attraverso la luce. Traccia la via dell’ascesi mistica: un percorso in salita, i cui gradini sono uguali, in numero, all’età del Signore nella sua vita terrena. Infatti, prendendo a modello quei trent’anni, egli ci presenta una scala simbolica che in trenta gradini conduce alla perfezione.
Il termine del cammino è quindi la « trasfigurazione » del cuore.
Ogni anima anelante al cielo, come cerva immunizzata dal veleno in forza del profondo desiderio di unirsi al Signore, raggiunta la cima della Scala, può bagnarsi nelle acque della teologia spirituale e snidare definitivamente le « fiere » dai loro nascondigli col fiato della sua bocca, passeggiando poi, libera, sugli alti monti dove abita la conoscenza della Trinità.
« Il presente libro – esorta san Giovanni, esperto conoscitore dell’anima umana – mostra il miglior cammino. Se lo imbocchiamo, troveremo in esso una guida sicura per chi lo segue, una scala molto stabile che conduce dalle cose terrestri alle realtà sante, e al sommo di essa vedremo affacciarsi Dio. E’ quella che io penso sia la scala di Giacobbe, « colui che ha superato » le passioni, e che contemplò mentre riposava sul giaciglio dell’ascesi. Saliamo dunque con coraggio e confidenza: così vi esorta questa scala spirituale che conduce al cielo » (S. Giovanni Climaco).
La lettura fungeva per così dire da manuale per i monaci, ma divenne in seguito assai popolare anche in ambiente laico, perché indicava la via verso la purificazione morale. Attraverso i suoi insegnamenti la vita monastica diventava paradigma della vita cristiana in quanto tale, intesa come responsabilità, vigilanza e battaglia contro il male nella « notte » dell’esistenza.
Stare davanti all’icona
L’icona « Scala Santa dei Paradiso », conservata nel monastero di S. Caterina sul Sinai (sec. XII), traduce in termini pittorici il cammino dell’anima verso la luce e sottolinea con semplici simbologie i pericoli che la « notte » nasconde.
La composizione dell’icona è costruita in modo ideale: la scala, su cui salgono i monaci superando difficoltà e prove nel cammino ascetico, divide perfettamente la scena in due parti. Nella parte superiore si collocano i monaci che salgono i gradini delle virtù, giungendo fino a Cristo che si affaccia dai cieli per accogliere i Santi asceti. Nella zona inferiore sono raffigurati i monaci che non hanno perseverato nella loro tensione verso la Luce e, quindi, precipitano, catturati dai diavoli che li trascinano nelle tenebre dell’inferno (raffigurato nella parte inferiore sotto forma di una testa oscura e mostruosa).
I diavoletti sono rappresentati con una vena più comica e grottesca che terrificante, secondo la consuetudine bizantina di evitare raffigurazioni raccapriccianti delle forze maligne.
L’Oriente accentua preferibilmente l’elemento vittorioso, pasquale. Ecco infatti apparire alla sommità della Scala Gesù Cristo dallo sguardo vivo e pensoso, intenso e colmo di misericordia nell’atto di accogliere Giovanni Climaco con gesto ampio e solenne. E’ il Pantocratore, Colui che regge tutto « l’essere », il Salvatore, Gesù di Nazareth: è il Volto visibile della Luce divina increata che spiritualizza e anima ogni forma materiale e terrena. Avvolto in vesti luminose e vivaci, Cristo si rivela vigoroso e accogliente nel contempo, così che la robustezza delle proporzioni regolari crea l’effetto di una plasticità scultorea, di un’immagine maestosa ed elevata.
San Giovanni, invece, marcia alla testa di un gran numero di monaci, decisamente orientato verso la straordinaria Luce che lo attrae e affascina: la sua figura severa, austera, delinea i tratti ideali dell’asceta: distaccato dal mondo, ma teso e assorto nella contemplazione dei mistero di Luce cui allude il fondo oro idealmente lucido e levigato, che gli antichi dichiaravano essere come « un fuoco che brilla nella notte ».
L’oro, « colore dei colori » di cui l’icona è interamente coperta, nel suo « brillio » e nella sua « nobile luminosità » (Andrea di Creta), significa quindi la Luce increata che investe la creatura e la trasfigura, rendendola già fin d’ora partecipe del Paradiso. La presenza dell’oro, in tal modo, è sempre un indizio del divino, del suo manifestarsi nelle forme sensibili come sublime Presenza che permea di sé il cosmo intero. La luminosità dell’oro ha inoltre la caratteristica di « abbagliare » e di « accecare ». Pur illuminando la materia accendendola di una luce misteriosa, essa costituisce come una barriera compatta che cela la prospettiva spaziale e non permette all’occhio di penetrarla, ma rende piuttosto il senso della realtà come « Mistero », mettendo l’accento su quella stupefacente Presenza di Dio che la anima.
Le semplici figure dei monaci tradiscono fisionomie di tipo orientale, espressioni tese e immote, figure dinamiche e asimmetriche, austero silenzio e intensità interiore, costruzione ascetica del mondo spirituale e insieme lieve e raffinato gusto pittorico per la pennellata in cui prevale quello sfumato che aumenta il senso della luminosità. Tutto ciò consente quel fondamentale passaggio dalla concretezza al carattere ideale che ci da di ritrovare l’elemento distintivo dell’icona: una contemplazione silenziosa, una quiete ideale, l’assenza di emozioni troppo sensibili e contrastanti. I monaci hanno mani protese in avanti quasi dovessero porgere qualcosa, forse offrire la propria vita e quella altrui; ma potrebbero essere anche mani aperte e disponibili ad accogliere il dono di Luce che dalla cima invita a salire.
In alto, a sinistra, poi, gli Angeli cantano i loro cori angelici a quanti hanno raggiunto la Pace, la Luce, il Paradiso, a cui fa contrasto il resto contraddistinto da silenzio e da un’essenzialità assorta e interiore.
« Alzati, rivestiti di luce, perché viene a te la tua Luce, la gloria di Jahweh brilla su di te … su di te risplende Jahweh » (Is 60,1-2).
Dio è Luce, cioè è principio di vita, di novità, di creazione. Dio, poi, è difesa, accoglienza e misericordia. Con questa protezione si affrontano l’incertezza e le insidie del male nella notte dell’esistenza.
« Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre’ (1Gv 1,5): sì, Egli è innanzitutto luce, un simbolo universale che esprime mirabilmente la bipolarità di Dio: è il Trascendente come la luce del sole, che è all’esterno di noi e irrompe da una fonte che non possiamo né controllare né dominare ed è, come la luce, vicino, immanente, penetrante.
Quando l’uomo si apre e abbandona pienamente al Mistero di Dio, scopre se stesso, l’intera sua storia: passato presente e futuro.
« L’uomo di luce è l’uomo dell’interiorità che avendo realizzato l’unità in se stesso è giunto alla chiarezza di Dio. Egli ama come ama Dio, o piuttosto è Dio che ama in lui. Egli irradia luce divina e dona la vita. Nell’uomo di luce si è insediato lo Spirito, di qui l’importante ruolo svolto dallo Spirito Santo presso i figli della luce. La loro particolare vocazione è inserirsi in una dimensione cosmica, poter divenire i redentori dell’universo. Così l’uomo di luce è un salvatore e ogni creatura, anche la più umile, è beneficiaria del suo dono di luce »[1].
Contemplare la Luce non può essere perciò qualcosa di passivo, ma di rivoluzionario che ti apre gli occhi il cuore la casa la vita. Ti rende appassionato, intrepido, audace, propositivo.
Pur coinvolto nella « notte » del tempo, talora intrappolato nelle quotidiane fatiche esistenziali, avverti che è necessario continuare a « salire » dalla terra al ciclo, anticipazione di piena esperienza di comunione con l’eterno.
Come? Con volto franco e sereno, a mani aperte e disponibili, giorno dopo giorno, momento per momento, cogliendo i segni di questo « oltre di Dio » che vanno vagliati attraverso quel filtro sicuro che rappresenta la più autentica specificità del Cristo: il filtro della comunione, dell’universalità, del dialogo, del perdono e della misericordia. Questa apertura « dell’oltre di Dio » ci stimolerà a fare di tutta la nostra vita una pura contemplazione. Contemplazione non come attività, ma come atteggiamento … un essere in-relazione-con.
Siate piccole luci in salita: grida l’icona! E si tratta di un atteggiamento, oserei dire, immutabile, di silenzioso sorriso, di apertura e disponibilità totale a Dio che ci penetra, ci possiede, ci ama.
Un’attitudine di misericordia, di benevolenza, di servizio e di pace per gli uomini e le cose del mondo. Infatti è sempre nello sbriciolarsi della giornata che si gioca la contemplazione: nelle dure ore del lavoro, nell’accettare le contrarietà quotidiane come un dono di Dio, nell’interessamento sincero e amorevole per gli altri. Nel sacrificarci per far contento chi ci vive accanto, nella benevolenza verso tutti, nella gioia di vedere le cose belle, nella stanchezza e nel sonno accettati o vinti secondo la necessità del momento.
Salire e scendere la Scala Santa del Paradiso: un movimento perenne tra terra e cielo in compagnia di tanti, tutti a mani tese… Così più che accrescere in noi « conoscenza » impariamo a stabilirci nella « comunione »; una comunione che quanto più è totale e assoluta, espressa nel fare la volontà del Padre, tanto più ci penetra del Mistero luminoso di Dio.
Ciò che conta è non cessare di avanzare, né lamentare stanchezza ma salire e salire con determinazione incontro a Colui che è sorgente di pace e gioia senza fine.
Cessa allora la necessità di esprimersi e rimane quella di « essere ».
« Ti ringrazio, Adonaj, perché hai illuminato il mio volto in vista dell’Alleanza e dalla fossa hai liberato l’anima mia. Ti ho cercato quale stabile aurora e tu mi sei apparso all’alba »: così canta l’inno IV di Qumran (vv. 5-6).
Pregare l’icona
Per vivere questa esperienza spirituale è fondamentale la determinazione per un silenzio interiore tale da permettere al Mistero di penetrarti, coinvolgerti e trasformarti.
Poi, per aiutarti a entrare con fiducioso coraggio in questa esperienza di fede, poniti in atteggiamento di umile amore davanti all’icona.
L’umile amore è quella eccezionale realtà che unisce in maniera indissolubile il Creatore con la creatura e perciò l’icona con colui che in essa si comunica.
« Come coloro che vedono la luce sono nella luce e partecipano del suo splendore, così coloro che vedono Dio sono in Dio, partecipando del suo splendore. Perché lo splendore di Dio vivifica » (S. Ireneo di Lione).
Di fronte alla manifestazione e alla percezione interiore della santità di Dio, osserva le tue reazioni e confrontati con Is.6,1-8.
Chiediti: ho esperienza di cambiamenti, di « trasfigurazioni » nella mia vita? Quando? Come? A cosa o a chi li attribuisco?
Sintetizzo le esperienze che mi hanno « illuminato »: com’è accaduto?
Cosa chiamo nella mia vita « luce », « giorno », e quali situazioni di notte ho sperimentato essere poi portatrici di luce? Osservo e ringrazio.
Ripercorro i vari scalini dell’icona: salire, salire con … ascoltare, prendere fiato, non voltarsi indietro, non distrarsi, contemplare, tenere teso il filo del desiderio per giungere in cima, ridiscendere per « farmi carico di… » e poi risalire.
Faccio lettura sapienziale delle parole della Piccola Sorella Magdeleine di Gesù: « E se tutto è triste attorno a noi, se tutto è oscuro, guarderemo più in alto, altissimo, là dove saremo riuniti nello stesso amore. Là dove Certosini, Domenicani, Francescani, Gesuiti, Trappisti saranno fusi nella stessa armonia, dove ciascuno avrà la sua nota …, non la stessa, perché non sarebbe armonioso… E noi saremo la piccola nota in sordina di cui si potrebbe fare benissimo a meno, ma che all’insieme da qualcosa di dolce, di argentino, come i campanellini di montagna… »[2].
Prego. Ringrazio. Mi congedo.
[1] MARIE MAGDELEINE DAVY, Le thème de la lumière dans le iudaisme, le cìiristia-nisme et l’isiam, Paris 1976, p.275.
[2] MAGDELEINE DI GESÙ, Gesù per le strade del mondo – I PARTE, Piemme, p.124.