Archive pour le 11 mars, 2015

Roma, basilica di san Paolo fuori le mura: candelabro pasquale (Pietro Vassalletto e Nicola d’Angelo)

Roma, basilica di san Paolo fuori le mura: candelabro pasquale (Pietro Vassalletto e Nicola d'Angelo) dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 11 mars, 2015 |Pas de commentaires »

LO SPIRITO SANTO: NOVITÀ E FEDELTÀ DI DIO. DUE INTERVENTI DEL CARDINAL CARLO MARIA MARTINI

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LO SPIRITO SANTO: NOVITÀ E FEDELTÀ DI DIO. DUE INTERVENTI DEL CARDINAL CARLO MARIA MARTINI

di Guido Formigoni

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Il cardinal Carlo Maria Martini ci ha abituati ad appuntamenti fuori dell’ordinario con le consuete proposte della « lettera pastorale » del settembre di ogni anno, e del « discorso alla città » della vigilia della festa di Sant’Ambrogio. Intrecciati sempre tra loro, pur nel loro rivolgersi prevalentemente e rispettivamente alla comunità cristiana e alla società civile, tali due appuntamenti annuali sono di tutto rilievo non solo per la diocesi ambrosiana. Essi godono anche di un certo riscontro mass-mediologico, che risalta in un quadro abbastanza lacunoso e occasionale della generale attenzione dell’opinione pubblica rispetto alle vicende ecclesiali (anche se non sempre tale riscontro è perspicuo e attento).
La lettera pastorale di quest’anno 1997-98, intitolata Tre racconti dello Spirito. Lettera pastorale per verificarci sui doni del Consolatore, è stata dedicata allo Spirito Santo, in coerenza con l’indicazione papale della scansione tematica degli anni di preparazione al Giubileo (dopo l’anno dedicato alla figura del Cristo). Il discorso di Sant’Ambrogio ha invece insistito sull’icona del « servo inutile », tratta dal vangelo proclamato nell’occasione (Lc 17, 7-10), per presentare il programma Alla fine del millennio: servi inutili, liberi, umili e grati (come suona il titolo del discorso). Tutti e due i testi sono fittamente trapuntati di riferimenti vissuti alla storia e all’eredità di Sant’Ambrogio, nell’anno del sedicesimo centenario della sua morte. Fin qui i dati della cronaca, che come si vede hanno un significato non soltanto esteriore.

Lo Spirito all’opera nei cuori umani e nel mondo
La lettera pastorale, costruita con l’ormai consueto tono colloquiale di questi testi, prende le mosse da una serie di esperienze personali e racconti autobiografici, che portano l’arcivescovo a porre una domanda decisiva: « dove si trovano nel nostro tempo autentiche esperienze dello Spirito, simili a quelle dei primi cristiani? ». La risposta a questa impegnativa domanda non è banalizzata ed edulcorante, come ci si poteva facilmente attendere. Tanto più che il cardinale parla qui di una esperienza « spirituale » non in senso vago e intimistico, ma come « incontro con il mistero vivente qui e ora ». Lo Spirito è quella realtà viva che rende possibile l’incontro con l’insondabile e l’indicibile, il mistero di Dio.
Ma la risposta non è nemmeno scoraggiante. Lo Spirito c’è. Ci sono nella storia delle persone e della Chiesa i segni della sua presenza, i suoi doni: la vivacità, la dedizione, il coraggio, il senso comunitario, la creatività, la sapienza delle cose e del tempo. Queste realtà, e tutte quelle alluse dalla tradizionale elencazione dei sette doni dello Spirito, sono presenti sia in esperienze ordinarie di vita cristiana (individuale e comunitaria) che nelle occasioni e nei quadri eccezionali di vita ecclesiale (come ad esempio in movimenti, gruppi e cenacoli amicali « forti »). Questo appare già un messaggio forte dell’arcivescovo, che invita a considerare con grande libertà il classico dilemma istituzione-carisma, pesantezza-libertà, ripetitività-creatività. Lo Spirito soffia letteralmente dove vuole, e non si può escludere né una né l’altra dimensione di queste solo apparenti contrapposizioni. Nell’istituzione e nel movimento lo spazio dello Spirito è possibile. Va però ricordato che, da una parte e dall’altra, ci sono gli ostacoli alla manifestazione piena dello Spirito: la sclerotizzazione, la rassegnazione all’abitudine, la perdita di vigore nella banalizzazione del sacro, fanno da contrappunto ai rischi della chiusura in se stessi, come chiesa nella chiesa, nell’orgogliosa autosufficienza di ogni esperienza « forte » e fuori dall’ordinario. Ciascuno è quindi chiamato alla verifica sui rischi più facilmente incontrabili nella propria esperienza.
Di qui, prendono le mosse i tre « racconti » sul ruolo dello Spirito nei confronti di Gesù, dell’uomo e del mondo. In Gesù Cristo, lo Spirito tiene insieme la Croce e la Resurrezione, nella paradossalità della loro reciproca implicazione. Nella vicenda umana, lo Spirito è vincolo della carità e della unificazione dei diversi, ma è contemporaneamente – secondo un incisivo messaggio della tradizione orientale – anche Colui che apre alla diversità, all’inedito, all’imprevisto, al dono ricco e non preventivato. Nel mondo, Egli opera con libertà, tutto vivificando « al di là di tutte le barriere sociali, razziali, culturali, religiose ». Questa certezza chiede quindi un discernimento serio e positivo sulle condizioni dell’attualità, cogliendo la diversità molteplice della presenza e dei doni dello Spirito, nelle realtà profane e religiose, anche fuori dei confini della Chiesa visibile, senza sguardi angosciati e apocalittici al presente. Ecco allora che, ad ogni livello, l’azione dello Spirito ha a che fare con la molteplicità e la ricchezza delle forme della presenza di Dio nei cuori e nella storia degli uomini. Lo Spirito unifica e diversifica, sempre e perennemente: unifica i diversi e rende ricca e multiforme l’unità. E quindi ogni forma di unificazione realizzata nella storia è « spirituale » se non semplifica, non mortifica, non umilia la diversità e la ricchezza dell’umano e del divino.
Questa funzione cruciale dello Spirito è evidente nel successivo richiamo, che l’arcivescovo mette all’inizio della parte applicativa della sua lettera all’icona evangelica dell’ »amico importuno », tratta della parabola di Lc 11, 5-8. Colui che chiede insistentemente e scompagina le nostre certezze (e ottiene quello che chiede solo in virtù della sua insistenza) è proprio chiunque « bussa alla porta della comunità cristiana ». E’ il problema imprevisto, è l’urgenza non programmata, che sconvolgono la routine e l’ordinarietà della vita. L’accoglienza di questo appello è decisiva, sembra dire Martini, per verificare la qualità della vita « secondo lo Spirito » della comunità cristiana. L’applicazione di questa logica al nesso Chiesa istituzionale-movimenti è esplicita. La « sfida dell’amico importuno » chiede a ogni gruppo e movimento di non chiudersi e non ritenersi esaustivo di un cammino di Chiesa. Chiede insieme alla comunità territoriale, parrocchiale e diocesana, di lasciarsi interrogare e di aprirsi di fronte a presenze non istituzionali o scontate. Ma pensiamo quali altre molteplici applicazioni di questo appello sapienziale si potrebbero immaginare sul terreno della vita ecclesiale di oggi: sul terreno ecumenico, su quello dell’accoglienza dello straniero, sulla capacità di vivere il pluralismo culturale e politico senza drammi e senza trascuratezze…
La lettera è quindi conclusa con un « decalogo » rivolto alla comunità, proprio per aiutare questo discernimento comune, per verificarsi sui doni dello Spirito e la propria capacità di accoglienza. C’è da qualche tempo nelle parole e negli atti pastorali dell’arcivescovo di Milano questa forte insistenza sulla verifica comunitaria rispetto alle grandi affermazioni di un cammino ormai strutturato nel tempo. C’è probabilmente la sensazione di qualche difficoltà a questo proposito, di una discrasia tra la proclamazione e l’esperienza, tra la parola e la vita, che non può non preoccupare, particolarmente in una Chiesa fortemente istituzionalizzata quale quella milanese. Ma questo è un discorso molto delicato e che si può qui solo accennare.

Il servo inutile: la gratuità come frutto dello Spirito
Lo stesso successivo discorso di Sant’Ambrogio può anche essere letto come un altro risvolto della verifica comunitaria sull’applicazione di quella logica profondamente « spirituale » che la lettera pastorale invitava ad acquisire. Il tema del « servo », anzi dello schiavo che non ha nessuna utilità e nessun merito se non quello di fare il proprio lavoro, è un tema apparentemente duro e lontano dalla nostra sensibilità. Ma anche in questo caso occorre sondare il mistero della coincidenza di quell’immagine con l’immagine stessa di Gesù Cristo, servo per amore. C’è quindi bisogno di un supplemento di aiuto dello Spirito, per comprendere la profondità di questo nuovo livello di unificazione della realtà.
L’arcivescovo invita a leggere nella parabola lucana non tanto l’invito alla depressione e alla sfiducia. Piuttosto, occorre scoprire come la coscienza della propria sempre rinnovata inadeguatezza rispetto alle esigenze della vita, apra umilmente al primato della Grazia sulla confidenza in se stessi. Apra quindi ai doni dello Spirito, da invocare e chiedere. L’umiltà, intesa come accoglienza continua del perdono, è condizione necessaria per mostrare capacità di gratitudine per i doni ricevuti e quindi costruire nella libertà del gratuito la propria resistenza all’avidità.
Qui si colloca il passaggio esplicito del discorso santambrosiano sull’ »omologazione dei baricentri » della politica, che ha suscitato molto interesse e una comprensibile eco. Secondo Martini, una « convergenza silenziosa di cosiddetti ‘conservatori’ e cosiddetti ‘progressisti’ avviene su linee di tendenza che costituiscono una decadenza rispetto alla nostra tradizione culturale e civile. Cadute le grandi ideologie, i diversi filoni si stanno come implicitamente accordando sulla esaltazione delle ragioni dell’individuo e sulla difesa degli interessi di gruppo ». Una cultura individualistica dei diritti privati sarebbe quindi il dato dominante, sia che si presenti in versione libertaria nella morale privata e contemporaneamente aperta all’integrazione (corporativa) tra gruppi e individui nel pubblico, sia che invece assuma un volto conservatore nella morale privata e parallelamente esprima un’istanza liberista negli affari economici e civili. « A tutt’e due le forme del pensare e dell’agire è comune il rifiuto del primato della gratuità sul possesso, dell’essere sull’avere ».
I credenti si trovano quindi, in questa situazione critica, di fronte a un richiamo forte alla libera e umile scelta per la gratuità. Precondizione di una politica che eviti l’omologazione del tempo è questo atteggiamento « spirituale ». Solo una gratuità di partenza, sembra suggerire il cardinale, permette sbocchi operativi dell’azione politica nella vera solidarietà tra diversi, basata sul recupero e la difesa dei diritti di chi non ha voce. Anche in questo caso, se occorre una radicalità di atteggiamento fondamentale, non bastano però le buone intenzioni. Chi si volesse impegnare politicamente a partire da una vita di fede, viene infatti fortemente esortato dal discorso a pensare al « disegno di costruzione globale della città di tutti », senza accontentarsi di compromessi su « proposte parziali » (potremmo dire anche su richieste « confessionali »), ma elevandosi a uno sguardo d’insieme, che punti al miglioramento dell’efficacia dello Stato e della convivenza collettiva, in ordine alla solidarietà vissuta. Si avverte nelle parole del cardinale l’avvio di un discorso che resta coscientemente da completare sul terreno politico. Resta consegnata ai laici credenti l’indicazione del « pensare politicamente », per sviluppare queste intenzioni.
Chi cerca di vivere nello Spirito e confida nella sua capacità di aprire nuovi scenari e di conciliare le diversità, ha quindi segnati di fronte a sé la proposta di un percorso esigente ma senz’altro dotato di grande interesse.

PAPA FRANCESCO: LA FAMIGLIA – 7. I NONNI (II)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150311_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 11 marzo 2015

LA FAMIGLIA – 7. I NONNI (II)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Nella catechesi di oggi proseguiamo la riflessione sui nonni, considerando il valore e l’importanza del loro ruolo nella famiglia. Lo faccio immedesimandomi in queste persone, perché anch’io appartengo a questa fascia di età.
Quando sono stato nelle Filippine, il popolo filippino mi salutava dicendo: “Lolo Kiko” – cioè nonno Francesco – “Lolo Kiko”, dicevano! Una prima cosa è importante sottolineare: è vero che la società tende a scartarci, ma di certo non il Signore. Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di “tirare i remi in barca”. Questo periodo della vita è diverso dai precedenti, non c’è dubbio; dobbiamo anche un po’ “inventarcelo”, perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente, a dare ad esso, a questo momento della vita, il suo pieno valore. Una volta, in effetti, non era così normale avere tempo a disposizione; oggi lo è molto di più. E anche la spiritualità cristiana è stata colta un po’ di sorpresa, e si tratta di delineare una spiritualità delle persone anziane. Ma grazie a Dio non mancano le testimonianze di santi e sante anziani!
Sono stato molto colpito dalla “Giornata per gli anziani” che abbiamo fatto qui in Piazza San Pietro lo scorso anno, la piazza era piena. Ho ascoltato storie di anziani che si spendono per gli altri, e anche storie di coppie di sposi, che dicevano: “Facciamo il 50.mo di matrimonio, facciamo il 60.mo di matrimonio”. È importante farlo vedere ai giovani che si stancano presto; è importante la testimonianza degli anziani nella fedeltà. E in questa piazza erano tanti quel giorno. E’ una riflessione da continuare, in ambito sia ecclesiale che civile. Il Vangelo ci viene incontro con un’immagine molto bella commovente e incoraggiante. E’ l’immagine di Simeone e di Anna, dei quali ci parla il vangelo dell’infanzia di Gesù composto da san Luca. Erano certamente anziani, il “vecchio” Simeone e la “profetessa” Anna che aveva 84 anni. Non nascondeva l’età questa donna. Il Vangelo dice che aspettavano la venuta di Dio ogni giorno, con grande fedeltà, da lunghi anni. Volevano proprio vederlo quel giorno, coglierne i segni, intuirne l’inizio. Forse erano anche un po’ rassegnati, ormai, a morire prima: quella lunga attesa continuava però a occupare tutta la loro vita, non avevano impegni più importanti di questo: aspettare il Signore e pregare. Ebbene, quando Maria e Giuseppe giunsero al tempio per adempiere le disposizioni della Legge, Simeone e Anna si mossero di slancio, animati dallo Spirito Santo (cfr Lc 2,27). Il peso dell’età e dell’attesa sparì in un momento. Essi riconobbero il Bambino, e scoprirono una nuova forza, per un nuovo compito: rendere grazie e rendere testimonianza per questo Segno di Dio. Simeone improvvisò un bellissimo inno di giubilo (cfr Lc 2,29-32) – è stato un poeta in quel momento – e Anna divenne la prima predicatrice di Gesù: «parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2,38).
Cari nonni, cari anziani, mettiamoci nella scia di questi vecchi straordinari! Diventiamo anche noi un po’ poeti della preghiera: prendiamo gusto a cercare parole nostre, riappropriamoci di quelle che ci insegna la Parola di Dio. E’ un grande dono per la Chiesa, la preghiera dei nonni e degli anziani! La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza! Una grande iniezione di saggezza anche per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo indaffarata, troppo presa, troppo distratta. Qualcuno deve pur cantare, anche per loro, cantare i segni di Dio, proclamare i segni di Dio, pregare per loro! Guardiamo a Benedetto XVI, che ha scelto di passare nella preghiera e nell’ascolto di Dio l’ultimo tratto della sua vita! E’ bello questo! Un grande credente del secolo scorso, di tradizione ortodossa, Olivier Clément, diceva: “Una civiltà dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è terrificante, noi abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia ci è data per questo”. Abbiamo bisogno di anziani che preghino perché la vecchiaia ci è data proprio per questo. E’ una cosa bella la preghiera degli anziani.
Noi possiamo ringraziare il Signore per i benefici ricevuti, e riempire il vuoto dell’ingratitudine che lo circonda. Possiamo intercedere per le attese delle nuove generazioni e dare dignità alla memoria e ai sacrifici di quelle passate. Noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore è una vita arida. Possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta. Possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di sé stessi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. I nonni e le nonne formano la “corale” permanente di un grande santuario spirituale, dove la preghiera di supplica e il canto di lode sostengono la comunità che lavora e lotta nel campo della vita.
La preghiera, infine, purifica incessantemente il cuore. La lode e la supplica a Dio prevengono l’indurimento del cuore nel risentimento e nell’egoismo. Com’è brutto il cinismo di un anziano che ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita! Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere al giovane in cerca del senso della fede e della vita! E’ veramente la missione dei nonni, la vocazione degli anziani. Le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale, per i giovani. E loro lo sanno. Le parole che la mia nonna mi consegnò per iscritto il giorno della mia ordinazione sacerdotale, le porto ancora con me, sempre nel breviario e le leggo spesso e mi fa bene.
Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani! E questo è quello che oggi chiedo al Signore, questo abbraccio!

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