LO SPIRITO SANTO: NOVITÀ E FEDELTÀ DI DIO. DUE INTERVENTI DEL CARDINAL CARLO MARIA MARTINI
di Guido Formigoni
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Il cardinal Carlo Maria Martini ci ha abituati ad appuntamenti fuori dell’ordinario con le consuete proposte della « lettera pastorale » del settembre di ogni anno, e del « discorso alla città » della vigilia della festa di Sant’Ambrogio. Intrecciati sempre tra loro, pur nel loro rivolgersi prevalentemente e rispettivamente alla comunità cristiana e alla società civile, tali due appuntamenti annuali sono di tutto rilievo non solo per la diocesi ambrosiana. Essi godono anche di un certo riscontro mass-mediologico, che risalta in un quadro abbastanza lacunoso e occasionale della generale attenzione dell’opinione pubblica rispetto alle vicende ecclesiali (anche se non sempre tale riscontro è perspicuo e attento).
La lettera pastorale di quest’anno 1997-98, intitolata Tre racconti dello Spirito. Lettera pastorale per verificarci sui doni del Consolatore, è stata dedicata allo Spirito Santo, in coerenza con l’indicazione papale della scansione tematica degli anni di preparazione al Giubileo (dopo l’anno dedicato alla figura del Cristo). Il discorso di Sant’Ambrogio ha invece insistito sull’icona del « servo inutile », tratta dal vangelo proclamato nell’occasione (Lc 17, 7-10), per presentare il programma Alla fine del millennio: servi inutili, liberi, umili e grati (come suona il titolo del discorso). Tutti e due i testi sono fittamente trapuntati di riferimenti vissuti alla storia e all’eredità di Sant’Ambrogio, nell’anno del sedicesimo centenario della sua morte. Fin qui i dati della cronaca, che come si vede hanno un significato non soltanto esteriore.
Lo Spirito all’opera nei cuori umani e nel mondo
La lettera pastorale, costruita con l’ormai consueto tono colloquiale di questi testi, prende le mosse da una serie di esperienze personali e racconti autobiografici, che portano l’arcivescovo a porre una domanda decisiva: « dove si trovano nel nostro tempo autentiche esperienze dello Spirito, simili a quelle dei primi cristiani? ». La risposta a questa impegnativa domanda non è banalizzata ed edulcorante, come ci si poteva facilmente attendere. Tanto più che il cardinale parla qui di una esperienza « spirituale » non in senso vago e intimistico, ma come « incontro con il mistero vivente qui e ora ». Lo Spirito è quella realtà viva che rende possibile l’incontro con l’insondabile e l’indicibile, il mistero di Dio.
Ma la risposta non è nemmeno scoraggiante. Lo Spirito c’è. Ci sono nella storia delle persone e della Chiesa i segni della sua presenza, i suoi doni: la vivacità, la dedizione, il coraggio, il senso comunitario, la creatività, la sapienza delle cose e del tempo. Queste realtà, e tutte quelle alluse dalla tradizionale elencazione dei sette doni dello Spirito, sono presenti sia in esperienze ordinarie di vita cristiana (individuale e comunitaria) che nelle occasioni e nei quadri eccezionali di vita ecclesiale (come ad esempio in movimenti, gruppi e cenacoli amicali « forti »). Questo appare già un messaggio forte dell’arcivescovo, che invita a considerare con grande libertà il classico dilemma istituzione-carisma, pesantezza-libertà, ripetitività-creatività. Lo Spirito soffia letteralmente dove vuole, e non si può escludere né una né l’altra dimensione di queste solo apparenti contrapposizioni. Nell’istituzione e nel movimento lo spazio dello Spirito è possibile. Va però ricordato che, da una parte e dall’altra, ci sono gli ostacoli alla manifestazione piena dello Spirito: la sclerotizzazione, la rassegnazione all’abitudine, la perdita di vigore nella banalizzazione del sacro, fanno da contrappunto ai rischi della chiusura in se stessi, come chiesa nella chiesa, nell’orgogliosa autosufficienza di ogni esperienza « forte » e fuori dall’ordinario. Ciascuno è quindi chiamato alla verifica sui rischi più facilmente incontrabili nella propria esperienza.
Di qui, prendono le mosse i tre « racconti » sul ruolo dello Spirito nei confronti di Gesù, dell’uomo e del mondo. In Gesù Cristo, lo Spirito tiene insieme la Croce e la Resurrezione, nella paradossalità della loro reciproca implicazione. Nella vicenda umana, lo Spirito è vincolo della carità e della unificazione dei diversi, ma è contemporaneamente – secondo un incisivo messaggio della tradizione orientale – anche Colui che apre alla diversità, all’inedito, all’imprevisto, al dono ricco e non preventivato. Nel mondo, Egli opera con libertà, tutto vivificando « al di là di tutte le barriere sociali, razziali, culturali, religiose ». Questa certezza chiede quindi un discernimento serio e positivo sulle condizioni dell’attualità, cogliendo la diversità molteplice della presenza e dei doni dello Spirito, nelle realtà profane e religiose, anche fuori dei confini della Chiesa visibile, senza sguardi angosciati e apocalittici al presente. Ecco allora che, ad ogni livello, l’azione dello Spirito ha a che fare con la molteplicità e la ricchezza delle forme della presenza di Dio nei cuori e nella storia degli uomini. Lo Spirito unifica e diversifica, sempre e perennemente: unifica i diversi e rende ricca e multiforme l’unità. E quindi ogni forma di unificazione realizzata nella storia è « spirituale » se non semplifica, non mortifica, non umilia la diversità e la ricchezza dell’umano e del divino.
Questa funzione cruciale dello Spirito è evidente nel successivo richiamo, che l’arcivescovo mette all’inizio della parte applicativa della sua lettera all’icona evangelica dell’ »amico importuno », tratta della parabola di Lc 11, 5-8. Colui che chiede insistentemente e scompagina le nostre certezze (e ottiene quello che chiede solo in virtù della sua insistenza) è proprio chiunque « bussa alla porta della comunità cristiana ». E’ il problema imprevisto, è l’urgenza non programmata, che sconvolgono la routine e l’ordinarietà della vita. L’accoglienza di questo appello è decisiva, sembra dire Martini, per verificare la qualità della vita « secondo lo Spirito » della comunità cristiana. L’applicazione di questa logica al nesso Chiesa istituzionale-movimenti è esplicita. La « sfida dell’amico importuno » chiede a ogni gruppo e movimento di non chiudersi e non ritenersi esaustivo di un cammino di Chiesa. Chiede insieme alla comunità territoriale, parrocchiale e diocesana, di lasciarsi interrogare e di aprirsi di fronte a presenze non istituzionali o scontate. Ma pensiamo quali altre molteplici applicazioni di questo appello sapienziale si potrebbero immaginare sul terreno della vita ecclesiale di oggi: sul terreno ecumenico, su quello dell’accoglienza dello straniero, sulla capacità di vivere il pluralismo culturale e politico senza drammi e senza trascuratezze…
La lettera è quindi conclusa con un « decalogo » rivolto alla comunità, proprio per aiutare questo discernimento comune, per verificarsi sui doni dello Spirito e la propria capacità di accoglienza. C’è da qualche tempo nelle parole e negli atti pastorali dell’arcivescovo di Milano questa forte insistenza sulla verifica comunitaria rispetto alle grandi affermazioni di un cammino ormai strutturato nel tempo. C’è probabilmente la sensazione di qualche difficoltà a questo proposito, di una discrasia tra la proclamazione e l’esperienza, tra la parola e la vita, che non può non preoccupare, particolarmente in una Chiesa fortemente istituzionalizzata quale quella milanese. Ma questo è un discorso molto delicato e che si può qui solo accennare.
Il servo inutile: la gratuità come frutto dello Spirito
Lo stesso successivo discorso di Sant’Ambrogio può anche essere letto come un altro risvolto della verifica comunitaria sull’applicazione di quella logica profondamente « spirituale » che la lettera pastorale invitava ad acquisire. Il tema del « servo », anzi dello schiavo che non ha nessuna utilità e nessun merito se non quello di fare il proprio lavoro, è un tema apparentemente duro e lontano dalla nostra sensibilità. Ma anche in questo caso occorre sondare il mistero della coincidenza di quell’immagine con l’immagine stessa di Gesù Cristo, servo per amore. C’è quindi bisogno di un supplemento di aiuto dello Spirito, per comprendere la profondità di questo nuovo livello di unificazione della realtà.
L’arcivescovo invita a leggere nella parabola lucana non tanto l’invito alla depressione e alla sfiducia. Piuttosto, occorre scoprire come la coscienza della propria sempre rinnovata inadeguatezza rispetto alle esigenze della vita, apra umilmente al primato della Grazia sulla confidenza in se stessi. Apra quindi ai doni dello Spirito, da invocare e chiedere. L’umiltà, intesa come accoglienza continua del perdono, è condizione necessaria per mostrare capacità di gratitudine per i doni ricevuti e quindi costruire nella libertà del gratuito la propria resistenza all’avidità.
Qui si colloca il passaggio esplicito del discorso santambrosiano sull’ »omologazione dei baricentri » della politica, che ha suscitato molto interesse e una comprensibile eco. Secondo Martini, una « convergenza silenziosa di cosiddetti ‘conservatori’ e cosiddetti ‘progressisti’ avviene su linee di tendenza che costituiscono una decadenza rispetto alla nostra tradizione culturale e civile. Cadute le grandi ideologie, i diversi filoni si stanno come implicitamente accordando sulla esaltazione delle ragioni dell’individuo e sulla difesa degli interessi di gruppo ». Una cultura individualistica dei diritti privati sarebbe quindi il dato dominante, sia che si presenti in versione libertaria nella morale privata e contemporaneamente aperta all’integrazione (corporativa) tra gruppi e individui nel pubblico, sia che invece assuma un volto conservatore nella morale privata e parallelamente esprima un’istanza liberista negli affari economici e civili. « A tutt’e due le forme del pensare e dell’agire è comune il rifiuto del primato della gratuità sul possesso, dell’essere sull’avere ».
I credenti si trovano quindi, in questa situazione critica, di fronte a un richiamo forte alla libera e umile scelta per la gratuità. Precondizione di una politica che eviti l’omologazione del tempo è questo atteggiamento « spirituale ». Solo una gratuità di partenza, sembra suggerire il cardinale, permette sbocchi operativi dell’azione politica nella vera solidarietà tra diversi, basata sul recupero e la difesa dei diritti di chi non ha voce. Anche in questo caso, se occorre una radicalità di atteggiamento fondamentale, non bastano però le buone intenzioni. Chi si volesse impegnare politicamente a partire da una vita di fede, viene infatti fortemente esortato dal discorso a pensare al « disegno di costruzione globale della città di tutti », senza accontentarsi di compromessi su « proposte parziali » (potremmo dire anche su richieste « confessionali »), ma elevandosi a uno sguardo d’insieme, che punti al miglioramento dell’efficacia dello Stato e della convivenza collettiva, in ordine alla solidarietà vissuta. Si avverte nelle parole del cardinale l’avvio di un discorso che resta coscientemente da completare sul terreno politico. Resta consegnata ai laici credenti l’indicazione del « pensare politicamente », per sviluppare queste intenzioni.
Chi cerca di vivere nello Spirito e confida nella sua capacità di aprire nuovi scenari e di conciliare le diversità, ha quindi segnati di fronte a sé la proposta di un percorso esigente ma senz’altro dotato di grande interesse.