Archive pour le 10 mars, 2015

Cantico dei Cantici, di Salomone

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QUALI SEGRETI CUSTODIVA KAROL WOJTYLA?

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QUALI SEGRETI CUSTODIVA KAROL WOJTYLA?

Giovanni Paolo II è il primo slavo sulla Cattedra di Pietro, primo straniero da 500 anni, uno dei papi più giovani per uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa, un Papa proveniente da un Paese dell’Est, il Papa che ha abbattuto i sistemi totalitari del blocco comunista, cambiando la storia del mondo…
Il 2 aprile abbiamo ricordato il settimo anniversario della scomparsa di Giovanni Paolo II, tra qualche settimana, il 1 maggio, ricorderemo il 1° anniversario della sua beatificazione voluta da Benedetto XVI.
Durante queste brevi vacanze pasquali ho avuto modo di leggere due ottimi libri sul papa polacco di Cracovia, I segreti di Karol Wojtyla di Antonio Socci, e Il miracolo di Karol di Saverio Gaeta. Sono stato impressionato soprattutto dal primo anche perché non conoscevo alcuni aspetti della vita di Giovanni Paolo II. Mi riferisco ai segreti che custodiva e perché fino a oggi sono rimaste sconosciute. Il libro di Socci fa riferimento alle esperienze mistiche di Giovanni Paolo II, alla sua forza spirituale che è riuscita a cambiare il mondo, in particolare quello sotto l’impero sovietico. Socci scrive del presunto disastro nucleare imminente, scongiurato grazie all’intervento di Karol Wojtyla.
Giovanni Paolo II è il primo slavo sulla Cattedra di Pietro, primo straniero da 500 anni, uno dei papi più giovani per uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa, un Papa proveniente da un Paese dell’Est, il Papa che ha abbattuto i sistemi totalitari del blocco comunista, cambiando la storia del mondo, il Papa che ha portato la Chiesa nel terzo millennio e che, con la sua personalità, ha ridato forza al Papato suscitando lo stupore e l’ammirazione di tanti popoli, insieme all’odio di chi ha cercato di assassinarlo sul luogo stesso del martirio di San Pietro.
Il libro di Socci parla di un pontificato misteriosamente annunciato e accompagnato da una serie stupefacente di profezie, di mistici, di avvenimenti soprannaturali e di manifestazioni della Madonna. Evidente il rapporto di Karol Wojtyla con uno dei più grandi mistici del XX secolo, padre Pio da Pietrelcina. A cominciare dal suo viaggio nel 1948 a S. Giovanni Rotondo, sembra che durante la confessione Padre Pio avrebbe svelato al giovane prete che sarebbe diventato Papa, anche se poi lui da Papa ha negato questa profezia. Un particolare destino lega Wojtyla arcivescovo di Cracovia, il Papa Paolo VI e il frate del Gargano, attorno all’evento che provoca la tempesta sull’enciclica Humanae vitae, il documento contro la contraccezione che ha lasciato Paolo VI solo di fronte agli attacchi e dure critiche anche all’interno del mondo cattolico. Il 5 gennaio 1969 sulla prima pagine dell’Osservatore Romano appare un lungo articolo, firmato proprio, dall’arcivescovo di Cracovia Wojtyla per commentare e spiegare l’importanza dell’enciclica. Poi c’è padre Pio, che in quel momento drammatico per il pontificato, il 12 settembre 1968, dieci giorni prima di morire, indirizza una lettera pubblica al Papa. « L’evento è del tutto insolito e va compreso. Mai padre Pio aveva fatto una cosa simile. Quali ne erano le ragioni? Si domanda Socci. Principalmente la terribile crisi che stava esplodendo nella Chiesa. Il postconcilio, come ebbe a dire Paolo VI, si rivelò essere, anziché l’alba di un giorno radioso, una giornata buia e tempestosa. Soprattutto con la pubblicazione dell’enciclica Hunanae vitae, sulla crescita demografica del mondo e sulla morale sessuale, esplose tutta la carica di ribellione al Papato che stava covando dentro la Chiesa, anche tra teologi e pastori ». (pag. 98)
Il pontefice si trovò solo, incompreso e sotto attacco, padre Pio con la lettera, corse in difesa del Santo Padre e della Chiesa minacciata da una delle crisi peggiori della sua storia. Non solo, il frate si offriva come vittima in difesa del Papa e della Chiesa, così dopo cinquant’anni esatti di crocifissione, padre Pio morì improvvisamente il 23 settembre del 1968. Qualcuno ha scritto: « Padre Pio è morto di crepacuore per qual che succede nella Chiesa di Dio « . Da quel momento gli anni del pontificato di Paolo Vi trascorrono nel dolore, circa 70 mila sacerdoti lasciano l’abito e altrettante religiose abbandonano i chiostri. Erano gli anni dell’ autodemolizione della Chiesa.
Ma ritorniamo a Karol Wojtyla, al papa missionario, con i suoi numerosi viaggi in 27 anni di pontificato. « Potremmo dire che si è letteralmente dato in pasto, perché gli uomini hanno bisogno di incontrare un volto concreto in cui riconoscere Gesù ». (pag. 105) Il grande filosofo contemporaneo, Renè Girard, definisce Giovanni Paolo II, un grande conquistatore di folle. Bisogna risalire ai grandi papi medioevali per trovare un pontefice con una personalità altrettanto incisiva, sconvolgente e carismatica. Anzi, per Socci, forse neanche i papi medioevali reggono il confronto con Karol il Grande.
Tra la serie di profezie, Socci cita quella di un sacerdote napoletano Dolindo Ruotolo, morto nel 1970, fu un mistico simile a padre Pio, in una lettera ravvisava la venuta di un Papa polacco che ci avrebbe liberato dal comunismo. « Il mondo va verso la rovina, ma la Polonia come ai tempi di Sobieski, per la devozione che ha al mio cuore, sarà oggi come i 20. 000 che salvarono l’Europa e il mondo dalla tirannia turca. Ora la Polonia libererà il mondo dalla più tremenda tirannia comunista. Sorge un nuovo Giovanni, con una marcia eroica spezzerà le catene, oltre i confini imposti dalla tirannide comunista ». Dodici anni dopo, in effetti, dalla Polonia, sarebbe venuto « un nuovo Giovanni », eroe disarmato, che avrebbe abbattuto, il più vasto, duraturo e mostruoso impero ateo e persecutore dei cristiani della storia, il comunismo. Il caso vuole che don Karol Wojtyla, il 2 novembre 1946, ha celebrato la sua prima messa nella cattedrale di Wawel, nella cripta di S. Leonardo, il cuore della nazione polacca, qui riposano re, regine, vescovi, poeti, ma soprattutto riposa re Giovanni III Sobieski. Wojtyla nel secondo viaggio in Polonia diceva ai polacchi riuniti a Varsavia: « come la Polonia salvò nel 1683 l’Europa dai turchi, così essa libererà un giorno l’Europa dal comunismo ».
Per Giovanni Paolo II la caduta del comunismo e la liberazione delle nazioni dal gioco del totalitarismo marxista è stato una grazia divina, voluta dalla Madonna di Fatima. Lei stessa aveva chiesto al Papa l’affidamento della Russia, compiuto il 25 marzo 1984. Secondo Socci siamo di fronte a due miracoli: il primo, senza alcun atto di violenza, da uomini inermi è stato spazzato via il più feroce impero armato fino ai denti. Il secondo: l’impero sovietico non ha scatenato una guerra che sarebbe stata certamente nucleare. Dunque, Giovanni Paolo II ci ha salvati dal comunismo ma anche da una ecatombe nucleare. Sarà un caso ma l’atto di affidamento alla Madonna di Fatima pare che abbia scongiurato una catastrofe planetaria, infatti il 13 maggio 1984, accade un incidente a Severomorsk, nel Mare del Nord, il potenziale sovietico atomico viene messo fuori uso. Sembra la firma della Madonna di Fatima così come avvenne il 13 maggio 1981, quando Maria salvò il Papa dalla pallottola del killer turco Ali Agca.
Per Socci però la minaccia nucleare resta. Giovanni Paolo II continuò sempre ad avvertire della possibilità di una « autodistruzione incalcolabile »del mondo.
Il secondo volume che ho letto traccia le qualità soprannaturali del beato, forse ancora tutte da scoprire. Per i funerali di Giovanni Paolo II, l’allora cardinale Ratzinger poteva dire: « Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice », ne siamo certi, viste le numerose testimonianze di grazie attribuite alla sua intercessione.

(Giovanni Paolo II) 2012 – autore: Domenica Bonvegna

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 10 mars, 2015 |Pas de commentaires »

STAREC SILVANO DELL’ATHOS : LE LACRIME DI ADAMO

http://www.gianfrancobertagni.it/Discipline/misticacristiana.htm

STAREC SILVANO DELL’ATHOS

LE LACRIME DI ADAMO

Adamo, padre dell’umanità, in paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così, dopo esser stato cacciato dal paradiso a causa del suo peccato e aver perso l’amore di Dio, soffriva amaramente e levava profondi gemiti.
Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.
La sua anima era tormentata da un unico pensiero: “Ho amareggiato il Dio che amo”.
Non l’Eden, non la sua bellezza rimpiangeva, ma la perdita dell’amore di Dio che a ogni istante attrae insaziabilmente l’anima a Dio.
Così ogni anima, che ha conosciuto Dio nello Spirito santo e ha poi smarrito la grazia, prova lo stesso dolore di Adamo.
L’anima soffre e si tormenta per aver amareggiato il Signore che ama.

Adamo gemeva, sperduto su una terra che non gli procurava gioia; aveva nostalgia di Dio e gridava:
“L’anima mia ha sete del Signore, in lacrime lo cerco. Come potrei non cercarlo?
“Quando ero con Dio, l’anima mia si rallegrava nella pace e l’avversario non poteva farmi alcun male. Ora invece lo spirito malvagio si è impadronito di me e tormenta l’anima mia. Ecco perché l’anima mia si strugge per il Signore fino a morire e non accetta conforto alcuno; il mio spirito anela a Dio e nulla di terreno lo consola; ho desiderio ardente di rivedere Dio (cf. Sal 42,2 ss.), di goderlo fino a saziarmene.
“Nemmeno per un attimo posso dimenticarmi di lui, l’anima mia langue per lui, gemo dal grande dolore. Abbi pietà di me, o Dio, pietà della tua creatura caduta”.
Così gemeva Adamo, e un fiume di lacrime gli solcava il volto, scorreva sul petto e cadeva a terra. Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.
Bestie e uccelli erano ammutoliti di dolore.
E Adamo gemeva: per il suo peccato tutti avevano perduto la pace e l’amore.

Grande fu il dolore di Adamo dopo la cacciata dal paradiso, ma più grande ancora quando vide il figlio Abele ucciso da Caino. Per l’immane sofferenza piangeva, pensando: “Allora da me usciranno popoli, si moltiplicheranno sulla terra, ma solo per soffrire tutti, per vivere nell’inimicizia e uccidersi a vicenda”
Come oceano immenso era il suo dolore: solo le anime che hanno conosciuto il Signore e il suo ineffabile amore possono capirlo.
Io pure ho perso la grazia, e con Adamo imploro: “Abbi pietà di me, Signore. Donami lo spirito di umiltà e di amore”.
Come è grande l’amore del Signore! Chi ti ha conosciuto non si stanca di cercarti, e giorno e notte grida: “Desidero te, Signore, in lacrime ti cerco. Come potrei non cercarti? Sei tu che mi hai permesso di conoscerti nello Spirito santo e ora questa divina conoscenza attira incessantemente la mia anima a te”.

Adamo piangeva:

“Il silenzio del deserto,
non mi rallegra.
La bellezza di boschi e prati,
non mi dà riposo.
Il canto degli uccelli,
non lenisce il mio dolore.
Nulla, più nulla mi dà gioia.
L’anima mia è affranta
da un dolore troppo grande.
Ho offeso Dio, il mio amato.
E se ancora il Signore
mi accogliesse in paradiso,
anche là piangerei e soffrirei.
Perché ho amareggiato il Dio che amo”.

Adamo, cacciato dal paradiso, sentiva sgorgare dal cuore trafitto fiumi di lacrime. Così piange ogni anima che ha conosciuto Dio e gli dice:

“Dove sei, Signore?
Dove sei, mia luce?
Dove si è nascosta la bellezza del tuo volto?
Da troppo tempo l’anima mia
non vede la tua luce,
afflitta ti cerca.
Nell’anima mia non lo vedo. Perché?
In me non dimora. Cosa glielo impedisce?
In me non c’è l’umiltà di Cristo
né l’amore per i nemici”.

Sconfinato, indescrivibile amore: questo è Dio.
Adamo andava errando sulla terra: nel cuore lacrime amare, la mente continuamente in Dio. E quando il corpo esausto non aveva più lacrime da piangere, era lo spirito ad ardere per Dio, non potendo dimenticare il paradiso e la sua bellezza. Ma l’anima di Adamo amava Dio più di ogni altra cosa e, forte di questo amore, a lui incessantemente anelava.
Adamo, di te io scrivo; ma tu vedi che troppo debole è la mia mente per capire l’ardore del tuo desiderio di Dio e il peso della tua penitenza.
Adamo, tu vedi quanto io, tuo figlio, soffro sulla terra. In me non c’è più fuoco ormai, la fiamma del mio amore si sta spegnendo.
Adamo, canta per noi il cantico del Signore: l’anima mia esulti di gioia nel Signore (cf. Lc 1,47), si levi a cantarlo e glorificarlo, come nei cieli lo lodano i cherubini, i serafini e tutte le potenze celesti.
Adamo, nostro padre, canta per noi il cantico del Signore: tutta la terra lo senta, tutti i tuoi figli levino i loro cuori a Dio, gioiscano al dolce suono dell’inno del cielo, dimentichino le sofferenze della terra.
Adamo, nostro padre, narra il Signore a noi, tuoi figli! L’anima tua conosceva Dio, conosceva la dolcezza e la gioia del paradiso. E ora tu dimori nei cieli e contempli la gloria del Signore.
Narraci come il Signore nostro è glorificato per la sua passione, come vengono cantati i cantici in cielo, come sono dolci gli inni proclamati nello Spirito santo.
Narraci la gloria di Dio, quanto è misericordioso, quanto ama la sua creatura.
Narraci della santa Madre di Dio, quanto è esaltata nei cieli, quali inni la proclamano beata.
Narraci come gioiscono i santi lassù, come risplendono di grazia, come amano il Signore, con quale santa umiltà stanno davanti al suo trono.
Adamo, consola e rallegra le nostre anime affrante.
Narraci: cosa vedi nei cieli?
Non rispondi?
Perché questo silenzio?
Eppure, la terra intera è avvolta di sofferenza.
Tanto ti assorbe l’amore divino da non poterti ricordare di noi?
Oppure vedi la Madre di Dio nella gloria e non puoi distogliere gli occhi da quella celeste visione e per questo lasci i tuoi figli nella desolazione, orfani di una parola di affetto? È per questo che non ci consoli e non ci permetti di scordare le amarezze della nostra vita terrena?
Adamo, nostro padre, non rispondi?
Il dolore dei tuoi figli sulla terra tu lo vedi.
Perché dunque questo silenzio? Perché?

Adamo risponde:
“Figli miei, amati, non turbate la mia pace. Non posso distogliermi dalla visione di Dio. L’anima mia, ferita dall’amore del Signore, si delizia della sua bontà. Chi vive nella luce del volto del Signore non può ricordarsi delle cose terrene”.

Adamo, nostro padre, hai forse abbandonato noi, tuoi figli ormai orfani? Ci hai lasciati immersi nell’abisso dei mali della terra?
Narraci: come piacere a Dio?
Ascolta i tuoi figli dispersi sulla terra: il loro spirito si disperde nei pensieri del loro cuore (cf. Lc 1,5 1) e non può accogliere la divinità. Molti si sono allontanati da Dio, vivono nelle tenebre e camminano verso gli abissi dell’inferno.
“Non turbate la mia estasi. Contemplo la Madre di Dio nella gloria e non posso distrarre la mente da questa visione per parlare con voi. Contemplo anche i santi profeti e apostoli e sono pervaso di stupore perché li vedo in tutto simili al Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio.
“Cammino nell’Eden e ovunque contemplo la gloria del Signore: egli vive in me e mi ha reso simile a lui. A tal punto il Signore glorifica l’uomo!”.

Adamo, parla con noi! Siamo tuoi figli e qui sulla terra soffriamo.
Narraci come ereditare il paradiso, affinché noi pure, come te, possiamo contemplare la gloria del Signore. Le anime nostre soffrono per la lontananza dal Signore, mentre tu nei cieli ti rallegri ed esulti nella gloria divina.
Ti supplichiamo: consolaci!

“Figli miei, perché gridate a me?
“Il Signore vi ama e vi ha dato i comandamenti della salvezza. Osservateli, soprattutto amatevi gli uni gli altri (cf. Gv 13,34): così troverete riposo in Dio. In ogni istante pentitevi dei vostri peccati: così sarete ritenuti degni di andarvene incontro a Cristo. Il Signore ha detto: ‘Amo quelli che mi amano’ (cf. Gv 14,21) e ‘glorificherò quelli che mi glorificano’ (1Sam 2,30)”.

Adamo, prega per noi, tuoi figli!
L’anima nostra è oppressa da molti mali.
Adamo, nostro padre, nei cieli tu contempli il Signore che è seduto nella gloria alla destra del Padre; vedi i cherubini, i serafini e i santi tutti; ascolti canti celesti e l’anima tua è rapita da tanta dolcezza. Ma noi, quaggiù, esclusi dalla grazia, siamo costantemente afflitti e abbiamo sete di Dio.
Si estingue in noi il fuoco dell’amore del Signore, siamo oppressi dal peso delle nostre colpe. Una tua parola ci sia di conforto; canta a noi un canto che ascolti nei cieli: lo senta la terra intera e gli uomini tutti dimentichino le loro miserie.
Adamo, la tristezza ci opprime!

“Figli miei, non turbate la mia pace. Passato è il tempo delle mie sofferenze. Nella dolcezza dello Spirito santo e nelle delizie del paradiso, come ricordarmi della terra?
“Questo solo vi dirò: Il Signore vi ama: vivete nell’amore! ‘Obbedite ai vostri superiori’ (Eb 13,17), umiliate i vostri cuori.
“Lo Spirito di Dio allora porrà la sua tenda in voi (cf . Gv 1,14). Viene nella quiete e all’anima dona pace; muto (cf. Sal 19,4), testimonia la sua salvezza.
“Cantate a Dio con amore e umiltà di spirito: di questo si rallegra il Signore”.
Adamo, nostro padre, che fare?
Cantare, cantiamo. Ma in noi né amore né umiltà.

“Pentitevi davanti al Signore, e pregate. Concederà ogni cosa agli uomini che tanto ama (cf. Gv 3,16). Anch’io mi sono pentito e ho sofferto per aver amareggiato il Signore, perché per i miei peccati la pace e la gioia erano state tolte dalla faccia della terra. Un fiume di lacrime solcava il mio volto, mi scorreva sul petto e cadeva a terra; il deserto intero riecheggiava dei miei singhiozzi. Non potete penetrare l’abisso della mia afflizione, né il mio pianto a causa di Dio e del paradiso. In paradiso ero felice: lo Spirito di Dio mi colmava di gioia, mi preservava libero da sofferenze.

“Ma, cacciato dal paradiso,
fiere e uccelli, che prima mi amavano,
presero a temermi e a fuggire lontano;
pensieri malvagi mi laceravano il cuore;
freddo e fame mi tormentavano;
il sole mi bruciava,
il vento mi sferzava,
la pioggia mi inzuppava:
ero sfinito dalle malattie
e da tutte le disgrazie della terra.
Ma tutto sopportavo, sperando in Dio
contro ogni speranza (cf. Rm 4,18).

“Figli miei, sopportate anche voi le fatiche della penitenza; amate le afflizioni; sottomettete il corpo con l’ascesi e la sobrietà; umiliatevi e amate i nemici (cf. Mt 5,44): lo Spirito santo dimorerà in voi. Allora conoscerete e troverete il regno di Dio.
“Ma non turbate la mia pace. Per l’amore di Dio non posso ricordarmi della terra. Ho dimenticato tutte le cose terrene, persino lo stesso paradiso da me perduto, perché contemplo la gloria eterna del Signore e la gloria dei santi che risplendono della stessa luce del volto di Dio”.

Adamo, canta per noi, cantaci il canto celeste: la terra intera lo ascolti e goda della pace di Dio. Sono inni soavi, cantati nello Spirito santo e noi desideriamo ascoltarli.

Adamo aveva perduto il paradiso terrestre. In lacrime lo cercava:
“Paradiso mio, paradiso mio, paradiso meraviglioso!”.
Ma il Signore nel suo amore gli fece dono, sulla croce (cf. Lc 23,43), di un paradiso migliore di quello perduto, un paradiso celeste dove rifulge la luce increata della santa Trinità.
Come contraccambiare l’amore del Signore per noi (cf. Sal 116,12)?

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