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Old Woman Reading a Bible

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L’ANZIANO NELLA BIBBIA

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L’ANZIANO NELLA BIBBIA

( A cura di Mons. Lino Baracco e don Alberto Chiadò )

Per la Bibbia, la vecchiaia e la morte compaiono sulla scena dell’umanità con il primo uomo.
Afferma la Genesi che « l’intera vita di Adamo fu di novecentotrenta anni, poi morì » ( Gen 5,5 ).
La storia di Dio con il suo popolo è inaugurata proprio da una coppia di persone anziane: Sara la sterile e Abramo carico di anni non si aspetta nulla dall’avvenire ( Gen 11,29s ).
In tutta la S. Scrittura l’anzianità merita grande rispetto: nel libro del profeta Daniele, Dio stesso è chiamato il « Vegliardo » ( Dn 7,9-22 ).
Il termine ebraico che definisce la persona anziana e che all’origine indica « colui che porta la barba », fa riferimento sia al vecchio che all’anziano, con una concezione e un ruolo diversificati.
I vecchi hanno visto i loro anni moltiplicarsi, sono riconoscibili dai capelli bianchi o grigi e meritano onore ( Lv 19,32; Pr 20,29 ).
Gli anziani svolgono un ruolo fondamentale nella società israelitica e devono prendere decisioni importanti nella vita politica e sociale; il Deuteronomio attribuisce loro una funzione giuridica di primo piano ( Dt 19 ).
Però non tutti gli « anziani » sono « vecchi », anche se più che quarantenni e viceversa la nozione di anzianità, anzi della vecchiaia, oscilla tra i cinquanta e i settant’anni: Le donne anziane forse erano più numerose.
I mezzi di sussistenza delle persone da 60 anni in poi dovevano essere molto scarsi.
Vediamo ora alcune immagini emblematiche dell’anzianità nell’Antico Testamento, da cui emerge che la vecchiaia è dono di Dio, non idealizzando un’età carica di acciacchi e affanni, e considerando che l’anzianità riserva molte sorprese in bene e in male.
Infine ricorderemo i compiti sociali e i carismi propri dell’età anziana.

1. La vecchiaia come dono di Dio
Per vivere in modo positivo la vecchiaia, si deve innanzi tutto accettare il fatto che si è vecchi.
Tuttavia occorre avere coscienza che essa è spesso carica di problemi, paure, sofferenze – non ultima la prossimità della morte.
La vecchiaia è corona del giusto ( Pr 10,27 ).
« I giusti nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi » ( Sal 92,15 ), come Abramo e gli altri patriarchi amici di Dio.
Il giusto muore « sazio di giorni » ( Gen 25,8 ) cosciente che la sua vita è stata piena ( Sir 44,14-15 ).
Un esempio è Tobia morto a 112 anni: Aveva 62 anni quando divenne cieco: dopo la sua guarigione visse nella felicità, praticò l’elemosina e continuò sempre a benedire Dio e a celebrare la sua grandezza ( Tb 14,2 ).
La stessa morte è vissuta nella benedizione riconoscente, attorniata dai figli e nipoti a cui si dà esempio anche nel morire ( vedi Giacobbe, Gen 49 ).
La morte è vissuta anche come sereno martirio, piuttosto che accettare l’idolatria, lasciando così nobile esempio ai giovani ( vedi Eleazaro in 2 Mac 6,23-28: « …preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa »).
Quell’incamminarsi deciso verso la morte dà la misura della statura morale dell’anziano, un esempio per i giovani che cercano modelli che incarnino i valori e le convinzioni, prima ancora di proclamarli.

2. Il disincanto
Sembra essere la prima, insostituibile medicina contro ogni precoce invecchiamento.
Il vecchio Giacobbe dichiara al Faraone; « Gli anni del mio pellegrinaggio sono 130.
Pochi e infelici sono stati gli anni della mia vita, e non hanno raggiunto il numero degli anni dei miei padri, al tempo della loro vita nomade. » ( Gen 47,8-9 ).
Il Sal 32,3-4 descrive con realismo il decadimento biologico: « Sono diventato arido come un coccio, si sono consumate le mie ossa, svanito il mio vigore come da arsura estiva ».
Il libro di Giobbe, pone un problema teologico: si domanda se Dio sia giusto, dal momento che molti malvagi vivono una vecchiaia sana e felice, e invece molti giusti si trascinano in una vecchiaia squallida e triste oppure sono colti nel pieno vigore da una morte immatura.
Il volto veramente oscuro della vecchiaia emerge da una cupa e suggestiva rappresentazione metaforica che ne dà il Qo 12,1-8 (Qohelet significa « il predicatore »).
« Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni di cui dovrai dire:
« Non ci provo alcun gusto », prima che si oscuri il sole, la luce, la luna e le stelle (facoltà celebrali) e ritornino le nubi dopo la pioggia;
quando tremeranno i custodi della casa (le braccia) e si curveranno i gagliardi (le gambe) e cesseranno di lavorare le donne che macinano, perché rimaste in poche (i denti) e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre (gli occhi) e si chiuderanno le porte sulla strada (le orecchie);
quando si abbasserà il rumore della mola (la voce) e si attenuerà il cinguettio degli uccelli (sonno leggero) e si affievoliranno tutti i toni del canto (la sordità);
quando si avrà paura delle alture (difficoltà a salire) e degli spauracchi della strada (la difficoltà a camminare);
quando fiorirà il mandorlo (la canizie) e la locusta si trascinerà a stento (il corpo diventa pesante) e il cappero non avrà più effetto (perdita di capacità sessuale).
L’uomo se ne va nella dimora eterna e i piagnoni si aggirano per la strada; prima che si rompa il cordone d’argento e la lucerna d’oro si infranga e si rompa l’anfora alla fonte e la carrucola cada nel pozzo e ritorni la polvere alla terra, come era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato.
Vanità delle vanità, dice Qohelet e tutto è vanità ».
Anche i salmi sovente esprimono, in ambito sapienziale, i profondi interrogativi di una vita chiamata all’esistenza e alla gioia da un Dio che poi permette il disfacimento totale della sua creatura.
« Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani…
È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre?
Può Dio aver dimenticato la misericordia, aver chiuso nell’ira il suo cuore ? » ( Sal 77 ).
Gli increduli provocano: « Dov’è il tuo Dio ? » ( Sal 42,4 ); oppure il lamento esce dal profondo del cuore: « Perché mi hai abbandonato? » ( Sal 22,2 ).
L’esegesi contemporanea risalta un’interpretazione del messaggio di Qohelet che mette in luce l’eloquenza del silenzio della parola di Dio: Dio parla anche quando tace.

La brevità della vita.
Ma il disincanto degli anziani di fronte ai più tristi eventi della vita nella Bibbia deve sgorgare da una riflessione matura come quella del Sal 90 che è una meditazione sulla brevità della esistenza umana, indebolita dalle sventure e minacciata dalla morte:
« Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come un soffio.
Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica e dolore; passano presto e noi ci dileguiamo ». ( Sal 90 )
Tra le considerazioni da farsi, viene spontaneo pensare ai lunghi tratti di tempo che le persone anziane hanno a loro disposizione e che spesso non sanno come utilizzare.
Solo chi ha imparato a ritagliarsi spazi adeguati alla solitudine e per il silenzio non proverà tedio, se gli capiterà di passare ore e ore da solo. Il rimedio, secondo la Bibbia, è la meditazione, letture distensive e istruttive, audizione di musica, dialoghi e visita a persone amiche; viaggi e pellegrinaggi per aggiornarsi culturalmente e per dilatare gli spazi della carità.
Il rimedio infine, può essere la preghiera che concentra le energie e le fa convergere verso Dio, rasserena l’animo, lo innalza verso l’alto, lo apre verso i fratelli.

Bibbia è il manuale della preghiera per eccellenza!
3. Le sorprese
La vecchiaia può essere anche l’età delle sorprese: Dio ama rivelarsi in modo sempre nuovo e imprevedibile; talvolta sceglie proprio persone anziane, per farci capire che dinanzi a Lui tutte le stagioni della vita umana sono significative e preziose.
a) A non poche persone anziane – donne e uomini – Dio ha voluto donare un figlio.
Tra tutte le coppie di cui parla la Bibbia ricordiamo Abramo e Sara ( Gen 15 ), Zaccaria e Anna ( Lc 1 ).
Solo Dio può procurare tale gioia a una persona anziana, perché il servizio alla vita è possibile a ogni stagione dell’esistenza.
b) Agli occhi di Dio, le stagioni della vita umana, pur distinguendosi, non si contrappongono, né si annullano.
In un passo della Sap 4,7-16 il saggio identifica la longevità con la maturità spirituale: « il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo.
Vecchiaia veneranda non è la longevità, ma sta nella sapienza ».
Nella Bibbia ebraica la vita è inseparabile dalla « qualità della vita »: la vita è e resta dono di Dio, benedizione di Dio, che non annulla le perdite, ma arricchisce e fornisce la possibilità di crescere spiritualmente.
c) Purtroppo gli anziani talvolta diventano l’emblema della malvagità, della dissolutezza, dell’empietà.
Questo compare nella storia di Susanna ( Dn 13 ) e nella vicenda della donna adultera, nel Nuovo Testamento ( Gv 8,1-11 ).
Figure squallide di anziani che rattristano l’animo, sono pure i cosiddetti « amici » di Giobbe che si alternano nell’accusarlo.

4. Il carisma
Quale apporto possono e devono dare alla comunità sia civile che religiosa gli anziani, tenendo conto anche del ricco contributo che ci proviene dalla Bibbia.
a) Anzitutto « rileggere » la propria vita con quel supplemento di saggezza che essi hanno acquisito col volgere degli anni.
Vedi il Sal 73: il giusto capisce che, nonostante le sue sofferenze o difficoltà, ha una sorte migliore dell’empio che in terra ha goduto di tanta prosperità.
Questa posizione di particolare dignità comporta per tutti l’obbligo di rendere onore all’anziano e alla sua sapienza: « Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona dell’anziano e temi il tuo Dio. Io sono il Signore ». ( Lv 19,92 )
L’apostolo Paolo prescrive a Timoteo: « Non riprendere duramente un uomo anziano, ma esortalo come fosse tuo padre; i più giovani come fratelli; le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza » ( 1 Tm 5,1-2 )
L’onore da rendere all’anziano è strettamente connesso al quarto comandamento: « Onora tuo padre e tua madre ».

b) Poi il prezioso servizio di « consigliare ».
Si legge in Sir 25: « Come si addice la sapienza dei vecchi, il discernimento e il consiglio alle persone eminenti ».
L’anziano ha anche l’importante ruolo di trasmettere la Rivelazione di Dio alle giovani generazioni; egli è la tradizione vivente della storia sacra.
Nell’Esodo, il più giovane della famiglia deve alzarsi e chiedere al più anziano la memoria dell’evento costitutivo del popolo ebraico, la Pasqua ( Es 12 ).
Anche il Sal 44,2: « O Dio, noi udimmo con le nostre orecchie i nostri padri ci hanno raccontato l’opera da Te compiuta nei loro giorni ». Vedi anche Sal 92.
Possiamo dedurre dai testi esaminati quanto sia importante nella Bibbia il rapporto tra anziani e le giovani generazioni, a diversi livelli, ma con prospettive sostanzialmente identiche.
A livello genetico la continuità della vita dell’anziano nel giovane assicura il futuro, la sopravvivenza personale del padre nel figlio e la perpetuità della famiglia.
Noi occidentali usiamo il cognome, cioè il nome della famiglia, della razza, dell’etnia…, gli orientali indicano il riferimento immediato al proprio genitore: Isacco figlio di Abramo.
A livello carismatico la benedizione di Dio per sé e per gli altri, di cui è portatore il padre anziano, passando nel figlio, permette alla storia di Dio con il popolo eletto di essere storia di salvezza per tutta l’umanità.
A livello etico l’anziano che si propone come modello al giovane, assicura la continuità dell’identità più profonda di un popolo, quella culturale, religiosa e morale.
Questo se la generazione nuova ha dei punti di riferimento etici nelle generazioni che la precedono.
c) Agli anziani compete anche un certo modo di pregare, trasformando i loro anni in un cantico di lode e di ringraziamento a Dio, datore di ogni bene e sorgente di ogni dono.

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PAPA FRANCESCO – LA FAMIGLIA – 6. I NONNI (I)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150304_udienza-generale.html

(Papa Francesco nella catechesi di ieri cita una visita di Papa Benedetto ad una comunità di anziani, metto il link: 
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2012/november/documents/hf_ben-xvi_spe_20121112_viva-anziani.html )

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 4 marzo 2015

LA FAMIGLIA – 6. I NONNI (I)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

La catechesi di oggi e quella di mercoledì prossimo sono dedicate agli anziani, che, nell’ambito della famiglia, sono i nonni, gli zii. Oggi riflettiamo sulla problematica condizione attuale degli anziani, e la prossima volta, cioè il prossimo mercoledì, più in positivo, sulla vocazione contenuta in questa età della vita.
Grazie ai progressi della medicina la vita si è allungata: ma la società non si è “allargata” alla vita! Il numero degli anziani si è moltiplicato, ma le nostre società non si sono organizzate abbastanza per fare posto a loro, con giusto rispetto e concreta considerazione per la loro fragilità e la loro dignità. Finché siamo giovani, siamo indotti a ignorare la vecchiaia, come se fosse una malattia da tenere lontana; quando poi diventiamo anziani, specialmente se siamo poveri, se siamo malati soli, sperimentiamo le lacune di una società programmata sull’efficienza, che conseguentemente ignora gli anziani. E gli anziani sono una ricchezza, non si possono ignorare.
Benedetto XVI, visitando una casa per anziani, usò parole chiare e profetiche, diceva così: «La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune» (12 novembre 2012). E’ vero, l’attenzione agli anziani fa la differenza di una civiltà. In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è posto per l’anziano? Questa civiltà andrà avanti se saprà rispettare la saggezza, la sapienza degli anziani. In una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani o sono scartati perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte.
In Occidente, gli studiosi presentano il secolo attuale come il secolo dell’invecchiamento: i figli diminuiscono, i vecchi aumentano. Questo sbilanciamento ci interpella, anzi, è una grande sfida per la società contemporanea. Eppure una cultura del profitto insiste nel far apparire i vecchi come un peso, una “zavorra”. Non solo non producono, pensa questa cultura, ma sono un onere: insomma, qual è il risultato di pensare così? Vanno scartati. E’ brutto vedere gli anziani scartati, è una cosa brutta, è peccato! Non si osa dirlo apertamente, ma lo si fa! C’è qualcosa di vile in questa assuefazione alla cultura dello scarto. Ma noi siamo abituati a scartare gente. Vogliamo rimuovere la nostra accresciuta paura della debolezza e della vulnerabilità; ma così facendo aumentiamo negli anziani l’angoscia di essere mal sopportati e abbandonati.
Già nel mio ministero a Buenos Aires ho toccato con mano questa realtà con i suoi problemi: «Gli anziani sono abbandonati, e non solo nella precarietà materiale. Sono abbandonati nella egoistica incapacità di accettare i loro limiti che riflettono i nostri limiti, nelle numerose difficoltà che oggi debbono superare per sopravvivere in una civiltà che non permette loro di partecipare, di dire la propria, né di essere referenti secondo il modello consumistico del “soltanto i giovani possono essere utili e possono godere”. Questi anziani dovrebbero invece essere, per tutta la società, la riserva sapienziale del nostro popolo. Gli anziani sono la riserva sapienziale del nostro popolo! Con quanta facilità si mette a dormire la coscienza quando non c’è amore!» (Solo l’amore ci può salvare, Città del Vaticano 2013, p. 83). E così succede. Io ricordo, quando visitavo le case di riposo, parlavo con ognuno e tante volte ho sentito questo: “Come sta lei? E i suoi figli? – Bene, bene – Quanti ne ha? – Tanti. – E vengono a visitarla? – Sì, sì, sempre, sì, vengono. – Quando sono venuti l’ultima volta?”. Ricordo un’anziana che mi diceva: “Mah, per Natale”. Eravamo in agosto! Otto mesi senza essere visitati dai figli, otto mesi abbandonata! Questo si chiama peccato mortale, capito? Una volta da bambino, la nonna ci raccontava una storia di un nonno anziano che nel mangiare si sporcava perché non poteva portare bene il cucchiaio con la minestra alla bocca. E il figlio, ossia il papà della famiglia, aveva deciso di spostarlo dalla tavola comune e ha fatto un tavolino in cucina, dove non si vedeva, perché mangiasse da solo. E così non avrebbe fatto una brutta figura quando venivano gli amici a pranzo o a cena. Pochi giorni dopo, arrivò a casa e trovò il suo figlio più piccolo che giocava con il legno e il martello e i chiodi, faceva qualcosa lì, disse: “Ma cosa fai? – Faccio un tavolo, papà. – Un tavolo, perché? – Per averlo quando tu diventi anziano, così tu puoi mangiare lì”. I bambini hanno più coscienza di noi!
Nella tradizione della Chiesa vi è un bagaglio di sapienza che ha sempre sostenuto una cultura di vicinanza agli anziani, una disposizione all’accompagnamento affettuoso e solidale in questa parte finale della vita. Tale tradizione è radicata nella Sacra Scrittura, come attestano ad esempio queste espressioni del Libro del Siracide: «Non trascurare i discorsi dei vecchi, perché anch’essi hanno imparato dai loro padri; da loro imparerai il discernimento e come rispondere nel momento del bisogno» (Sir 8,9).
La Chiesa non può e non vuole conformarsi ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia. Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità.
Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Sono uomini e donne dai quali abbiamo ricevuto molto. L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo. E se noi non impariamo a trattare bene gli anziani, così tratteranno a noi.
Fragili siamo un po’ tutti, i vecchi. Alcuni, però, sono particolarmente deboli, molti sono soli, e segnati dalla malattia. Alcuni dipendono da cure indispensabili e dall’attenzione degli altri. Faremo per questo un passo indietro?, li abbandoneremo al loro destino? Una società senza prossimità, dove la gratuità e l’affetto senza contropartita – anche fra estranei – vanno scomparendo, è una società perversa. La Chiesa, fedele alla Parola di Dio, non può tollerare queste degenerazioni. Una comunità cristiana in cui prossimità e gratuità non fossero più considerate indispensabili, perderebbe con esse la sua anima. Dove non c’è onore per gli anziani, non c’è futuro per i giovani.

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