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Gesù grida a Dio nel dolore!

Gesù grida a Dio nel dolore! dans immagini sacre Gospel-Sacrifice

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Publié dans:immagini sacre |on 4 mars, 2015 |Pas de commentaires »

SALMO 6 – SUPPLICA DI UN UOMO GRAVEMENTE AMMALATO

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SALMO 6 – SUPPLICA DI UN UOMO GRAVEMENTE AMMALATO

[1] Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Sull’ottava. Salmo. Di Davide

[2] Signore, non punirmi nel tuo sdegno, non castigarmi nel tuo furore.
[3] Pietà di me, Signore: vengo meno; risanami, Signore: tremano le mie ossa.
[4] L’anima mia è tutta sconvolta, ma tu, Signore, fino a quando…?
[5] Volgiti, Signore, a liberarmi,
salvami per la tua misericordia.
[6] Nessuno tra i morti ti ricorda.
Chi negli inferi canta le tue lodi?
[7] Sono stremato dai lungi lamenti,
ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio,
irroro di lacrime il mio letto.
[8] I miei occhi si consumano nel dolore,
invecchio fra tanti miei oppressori.
[9] Via da me voi tutti che fate il male,
il Signore ascolta la voce del mio pianto.
[10] II Signore ascolta la mia supplica,
il Signore accoglie la mia preghiera.
[11] Arrossiscano e tremino i miei nemici, confusi, indietreggino all’istante.

Il salmo 6 è una supplica individuale di un uomo gravemente malato. L’esperienza che l’orante fa è quella amara della malattia e delle sue sofferenze, di un’angoscia interiore e del timore della morte, la coscienza di una ostilità perversa, la consapevolezza del peccato. Questo intreccio esistenziale, le relazioni fra tutti questi fattori somatici e spirituali, ci permetteranno di meditare questo salmo. Una classificazione tradizionale ha inserito questo salmo tra i sette salmi penitenziali (6; 32; 38; 51; 102; 130; 143). La ragione è tematica ed ha alle sue spalle una conferma nell’uso liturgico.
È un salmo che ci parla dell’ira di Dio: « Signore, non punirmi nel tuo sdegno, non castigarmi nel tuo furore » (v 2). Non è facile farci un’idea dell’ira di Dio; è una cosa che esula dal nostro linguaggio ordinario. Come posiamo sentirci invitati alla preghiera da questa menzione cruda dell’ira, del furore, dello sdegno di Dio? Sembra che questo salmo rappresenti come una chiusura di orizzonti sulla vita presente dell’uomo. Al v .6 si dice: « Nessuno tra i morti ti ricorda, chi negli inferi canta le tue lodi? ». Sembra che chi recita questo salmo non si preoccupi di un avvenire dell’uomo oltre la vita, ma abbia una visione limitata, una chiusura di orizzonti sulla vita presente. Il Nuovo Testamento ha completamente trasformato questa visione, ponendo chiaramante l’orizzonte della vita dell’uomo nella vita senza fine. E’ un salmo che fu composto per essere recitato dai malati, ma nessuno di noi può presumere di poter entrare nella psicologia di un malato grave, tentato di disperazione, di solitudine, di chiusura. Solo chi l’ha provato può avere un’idea di questo stato d’animo.
Un dramma con tre personaggi: Dio, il sofferente, i nemici. C’è un uomo in uno stato di grande prostrazione fisica e morale che attraverso lo sfogo libero del cuore a Dio, chiede di essere liberato dai nemici. Che cos’è il lamento? E’ il grido dell’uomo che sente venire meno il vivere in senso specifico, cioè la salute, il progetto di vita, la propria capacità di amare, la propria dignità. Allora l’uomo grida a Dio: « Non abbandonarmi, ritorna, voglio tornare a lodarti ». Quello che l’uomo sperimenta in questo degradarsi del vivere di cui ha paura, è chiamato l’ira di Dio, lo sdegno di Dio, il non vivere è l’essere abbandonati da Dio. E allora grida: « Abbi pietà di me, Signore, vengo meno… » (C 3 – 6). Il lamento è l’opposto della lode, della chiarezza, della coscienza dell’uomo che il vivere è lodare Dio.
Nella Bibbia troviamo personaggi che hanno pregato così: in gran parte dei salmi di lamento Davide ha pregato così, ma non da disperato. Il profeta Geremia ha scritto lamenti molto simili a questo salmo. Giobbe nella sua sofferenza fisica e morale si è espresso così. Gesù sulla croce ha detto: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». Ogni cristiano può ripetere l’esperienza di Davide, di Geremia, di Gesù. Quando noi recitiamo questo salmo ci uniamo a tutti coloro che soffrono; forse non possiamo raggiungere la loro sofferenza; ma ci possiamo ugualmente unire al lamento universale di coloro che invocano Dio perché venga a salvarli.
I nemici. Possono essere nemici molto diversi: nemici politici, popoli conquistatori, oppressori, ma anche nemici privati, prepotenti, sfruttatori. Nei salmi i nemici sono sempre figure un pò vaghe; non hanno un volto preciso, però sono sempre uomini senza Dio. Sono il segno dell’impossibilità del mondo di vivere senza amore e senza lode; sono il segno del male.

v. 2 .l’orante cerca un Dio che sia un pedagogo comprensivo; rifugge da un Dio giudice adirato. Si potrebbe tradurre: « riprendimi senza ira, correggimi senza collera ». Si può vedere Ger 10, 24: « Correggici, Signore, con misura, non farci venir meno con la tua collera ». Oppure Sap 12,2: « Per questo correggi poco a poco chi cade ».

vv. 3-4 « Vengo meno… tremano le mie ossa ». Il verbo indica lo slogamento per cui le ossa sono disarticolate, il respiro affannoso e ansimante, l’animo agghiacciato dalla paura. L’interrogativo: « e tu, Signore, fino a quando? » che appare anche in altri salmi (Sal 12; Sal 90, 13; Sal 79, 5 sulla sorte di Gerusalemme), ha l’effetto di mettere in risalto la situazione drammatica nel senso che l’indugio di Dio nell’intervenire, può rendere mortale la malattia.

v. 5 Curare è salvare la vita che è in gioco nella malattia che affligge l’orante. Nel Nuovo Testamento la guarigione viene chiamata salvezza: « La tua fede ti ha salvato » (la guarigione del cieco di Gerico: Mc 10. 52).

v. 6 Il Signore è un Dio dei viventi: cf il testo classico di Is 38, 18: « poiché non ti lodano gli inferi, né la morte ti canta inni; quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà ».

v. 7 L’immagine è il giaciglio dell’orante che dilaga in lacrime. Il pianto è l’espressione del dolore interiore, come in Lam 1, 2; 2, 11. 18.

v. 8 I continui gemiti prostrano l’orante come se il travaglio faticoso di una vita fosse gemere, travaglio sterile, senza esiti. A causa del pianto gli occhi si consumano ed invecchiano.

v. 9 Dopo i cinque imperativi indirizzati a Dio « non punirmi, non castigarmi, risanami, volgiti, salvami », e dopo la descrizione del suo stato pietoso, ci sorprende un imperativo al plurale rivolto a personaggi di cui ignoravamo la presenza: « Via da me voi tutti che fate il male ». Il salmista che fino a questo momento è stato a guardare se stesso, in una amara analisi introspettiva, scopre all’improvviso una presenza ostile, quando questa è già praticamente vinta.

v. 10 L’orante riconosce subito che Dio ha ascoltato la sua richiesta. Da dove nasce la sua certezza? Secondo un’ipotesi l’orante è venuto al tempio per esporre la sua situazione. Il sacerdote o il profeta del tempio pronunciano un oracolo che contiene l’esaudimento divino. Il fedele ringrazia e benedice Dio.

v. 11 « Arrossiscano e tremino i miei nemici ». E’ il prolungamento della ritirata dei nemici. C’è una ritorsione, quasi un contrappasso, di quello che i nemici hanno fatto. Il male fatto si ritorce contro coloro che l’hanno fatto.

Trasposizione e attualizzazione cristiana
Leggiamo in Mt 7, 23 e in Lc 13, 27: « allontanatevi da me voi tutti operatori di iniquità » quello che leggiamo al v. 9 del salmo. Le guarigioni operate da Cristo, specialmente quando si presentano in relazione con il peccato dell’uomo, prolungano il tema del salmo.
Ma partendo dalla situazione descritta nel salmo, quali sono le domande che ci riguadano?
* La prima domanda ci interroga sul tema del lamento come verità del nostro vivere. Il lamento esprime la voglia di vivere, l’aspirazione ad avere motivazioni di vita dal Dio della vita. E’ la preghiera di chi, vivendo coscientemente le proprie sofferenze, le proprie miserie, le miserie e le sofferenze di coloro che ama, le propone a Dio con cuore fiducioso?
Ho mai sperimentato in me il rapporto tra la lode e la vita?
Mi perdo nel lamento, oppure, nei momenti di sofferenza, mi presento al Signore nella preghiera sapendo che è purificatrice, che trasforma la sofferenza e anche chi prega così?

* La seconda domanda ci fa interrogare sull’oggetto di questo lamento. Di che cosa si lamenta l’uomo, qual è l’oggetto reale della preghiera, della sofferenza? E’ tutto ciò che toglie la vita, tutto ciò che diminuisce l’essere dell’uomo, tutto ciò che lo contrasta. Il salmo 6 sottolinea la dignità della protesta per tutto ciò che avviene in noi come forza di morte e indica pure le qualità che questa protesta deve avere. E’ una protesta che individua il male fino in fondo e non si ferma alle cause esteriori, ma scopre l’origine del male nel cuore dell’uomo.
So veramente da che cosa dipende il male dell’uomo?
Quale coscienza ho del mio peccato?
Mi fido completamente di Dio?
C’è dignità in me quando mi lamento, oppure esprimo una protesta inerte e velleitaria che si accontenta solo del gridare?

* La terza domanda riguarda la fiducia nella preghiera. Il salmista ha pregato descrivendo se stesso: « sono stremato dai lunghi lamenti, ogni notte inondo di lacrime il mio giaciglio… « .
So che Dio ascolta la mia preghiera? Sono certo che il Signore mi ascolta, mi accoglie, mi riceve? Quale coscienza ho dell’amore, della fedeltà e del perdono di Dio?
So vedere la realtà con occhi nuovi e superare le difficoltà con un entusiamo rinnovato?
C’è qualche gesto che posso fare concretamente per esprimere la forza di questa preghiera?

PER UN TUO STUDIO BIBLICO…SULLA SOFFERENZA

http://www.beedizioni.it/sito/it/blog/105-per-un-tuo-studio-biblico-sulla-sofferenza.html

PER UN TUO STUDIO BIBLICO…SULLA SOFFERENZA

PUBBLICATO MARTEDÌ, 25 DICEMBRE 2012

Nel mio post precedente ho parlato di quanto sia importante che noi cristiani comprendiamo ciò che la Bibbia dice della sofferenza. Si tratta di un tema difficile per motivi ovvi. Purtroppo tanti cristiani vogliono credere di non dover avere nulla a che fare con la sofferenza, proprio perché sono credenti. Si tratta di un’operazione di ‘rinnegamento psicologico’, perché essi stessi e i credenti che li circondano vengono continuamente investiti dalla sofferenza. Una predicazione irreale sulla sofferenza viene portata avanti dai fautori e dalle fautrici del cosiddetto vangelo del benessere e della prosperità. Ma questo ‘vangelo’ non è un Vangelo (una buona notizia), bensì una grave distorsione della teologia biblica (nota 1).
Dedicherò questo post e quello successivo al tema della sofferenza. In questo post, nella scaletta che segue, vi voglio semplicemente dare dei passi biblici su cui potete riflettere per avviare un vostro studio personale su questo tema di fondamentale importanza nella fede cristiana e nella vita di tutti quanti noi (nota 2). Sia chiaro che i brani in questione sono degli spunti iniziali e che la Bibbia è stracolma di dati sulla dottrina della sofferenza. Ecco un piccolo antipasto!
1. Dove si colloca la sofferenza nella vita cristiana? La sofferenza fa parte integrante della vita cristiana. Notate la risposta di Gesù alla domanda di Pietro (Marco 10:28-30): “Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito». Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.»” Potete leggere anche Atti 14:21-22, e l’elenco trovato in Ebrei 11:30-39. Quando arrivate a Ebrei 11:35, vi renderete conto che c’è uno spartiacque in quel versetto, in cui su ambedue i lati i credenti descritti hanno vissuto per fede.
Isaia 53:3 profetizzò il seguente del Messia che doveva venire, dicendo che egli sarebbe stato: “disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza”. I suoi seguaci seguono le orme dell’‘Uomo di dolore’. 1 Pietro 2:21 rende esplicito questo fatto: “Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme.”
2. Che cosa è la sofferenza? La sofferenza è tante cose e fa malissimo. E pur non volendo banalizzare la sofferenza di nessuno (personalmente odio soffrire), bisogna far presente che, secondo la Bibbia, c’è un senso in cui la sofferenza è un dono di Dio. Considerate il parallelismo trovato in Filippesi 1:29: “Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui.” Dio ci ha ‘dato’, ha ‘donato’ (è questo il senso di ‘concessa’) sia di credere in lui sia di soffrire per lui. Entrambi sono doni di Dio. Se qualcuno dovesse dubitare del significato di ‘dare, donare’ per il verbo tradotto ‘concesso’ in Filippesi 1:29, consideri questo. Si tratta dello stesso verbo adoperato, sempre da Paolo, in Romani 8:32: “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà [ecco di nuovo il verbo charizomai] forse anche tutte le cose con lui?” Notate un altro versetto in Filippesi con un binomio che include la sofferenza: “Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, [a] la potenza della sua risurrezione, [b] la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte” (3:10).
Allora qual è lo scopo della sofferenza (nota 3)? Ce ne sono diversi, tra cui i seguenti quattro punti.
3. La sofferenza purifica la nostra fede e ci aiuta a maturare. Ebrei 12:10-11: “Essi [i padri umani] infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno; ma egli [il nostro Padre Dio] lo fa per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità. È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recar gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa.” Noi veniamo ‘addestrati’ nella e dalla sofferenza. Ricordate la citazione riportata nel mio post precedente, in cui Wendy Alsup, Teologia pratica per le donne osserva: “E tuttavia, quando esaminavo la mia vita, potevo vedere la benevola mano di Dio costantemente all’opera. Ogni prova ci [a me e a mio marito] insegnava cose meravigliose su Dio, cose così preziose da sapere su di lui da valer la pena di sopportare la sofferenza materiale pur di venirne a conoscenza” (p. 57).
4. La sofferenza fa sì che noi non ci fidiamo delle nostre proprie forze, ma di Dio. Questa è la testimonianza di Paolo (2 Corinzi 1:8-9): “Fratelli [e sorelle], non vogliamo che ignoriate, riguardo all’afflizione che ci colse in Asia, che siamo stati molto provati, oltre le nostre forze, tanto da farci disperare perfino della vita. Anzi, avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti.” Quando io posso gestire le cose, faccio da me. Invece quando per esempio, anni fa, uno dei miei figli fu ricoverato per una malattia molto grave, fui costantemente in ginocchio nel mio cuore—costantemente. Perché? Perché è quando siamo provati ‘oltre le nostre forze’ che dobbiamo rivolgerci a Qualcuno che sta al di sopra delle nostre forze. Vi invito a meditare, con il cuore inginocchiato, su 2 Corinzi 12:7-10, il brano celebre in cui Paolo svela quand’è che egli è ‘forte’. Quand’è? Lo vedrete in quel passo.
5. La sofferenza fa sì che comprendiamo la differenza tra l’eterno e il passeggero, come vediamo in 2 Corinzi 4:16-18: “Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne.”
6. La sofferenza fa sì che bramiamo il ritorno di Cristo. Nel mio post successivo, rifletterò insieme a voi su Romani 8:15-39—un passo straordinariamente ricco sulla teologia della sofferenza. E’ affascinante il modo in cui, in quel brano, Paolo colloca la sofferenza tra due momenti: la caduta dell’uomo e la restaurazione di ogni cosa. E quand’è che ci sarà tale ‘restaurazione’? Solo quando Cristo sarà tornato. Se la chiave che farà cessare definitivamente la sofferenza è Cristo, allora la sofferenza ci fa bramare il suo ritorno; ci fa esclamare con la chiesa primitiva ‘marana tha’, ‘vieni, nostro Signore’ (1 Corinzi 16:22)! Guardate ora insieme a me come saranno le cose (solo) quando Cristo avrà restaurato tutte le cose. Giovanni ci proietta in avanti a quel momento (Apocalisse 21:1-4): “Poi vidi [lo vedi anche tu!?] un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii [la senti anche tu!?] una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate».” Bramate anche voi quel momento? Io sì. Conosco più persone con dei brutti tumori, so di più tragedie che sono successe a credenti consacrati al Signore. Tutti i giorni il telegiornale passa in rassegna davanti ai miei occhi, e davanti ai vostri occhi, il terribile frutto della nostra ribellione contro il nostro misericordioso Creatore. ‘Vieni, Signor Gesù, ed elimina per sempre la sofferenza!’
Un giorno la sofferenza non ci sarà più, ed essa stessa—la sofferenza!—ci fa bramare l’arrivo di quel giorno. Ma cosa dobbiamo fare nel frattempo? Ecco almeno due cose.
7. Nella sofferenza dobbiamo: (a) ricordare Cristo e (b) appellarci a Dio.
(a) Ebrei 12:2-3: “fissa[te] lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio. Considerate perciò colui che ha sopportato una simile ostilità contro la sua persona da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d’animo.”
(b) Salmo 25:16: “Volgiti a me, e abbi pietà di me, perché io son solo e afflitto”.
Le istruzioni sono chiare. Se stiamo soffrendo, dobbiamo ricordare il Sofferente per eccellenza Cristo, e dobbiamo rivolgerci a Dio chiedendogli di darci un po’ di sollievo.
Leggi lentamente 1 Pietro 2:21-23; il Salmo 25:16-20; e Ebrei 4:12-16. Ed ora accostati con piena fiducia al trono della grazia, laddove ti aspettano la misericordia, la grazie e il soccorso divino.
8. Ma c’è qualcosa che la sofferenza farà in me, per me? Abbiamo visto sopra che Dio ci addestra per via della sofferenza. E una parte di quell’addestramento è che ora siamo in grado di consolare ed aiutare gli altri che soffrono. La catena della consolazione è sommamente delineata in 2 Corinzi 1:3-7: “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione [!]; perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione.” L’autore di Ebrei si appella alla nostra capacità di metterci nei panni altrui, quando ci esorta (13:3): “Ricordatevi dei carcerati, come se foste in carcere con loro; e di quelli che sono maltrattati, come se anche voi lo foste!” (nota 4).
9. In più modi abbiamo già dato una risposta alla domanda: allora come dobbiamo accogliere la sofferenza? Ora vogliamo dare una risposta esplicita. Dobbiamo accogliere la sofferenza con fiducia nella bontà, nella saggezza e nell’amore del Padre. Lo stesso Dio che è il Sovrano dell’universo è anche il mio buon Padre celeste. E lui è in controllo della situazione e, in ed attraverso la sofferenza, egli sta operando per la sua gloria e per il mio bene. Romani 8:28: “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.”
10. E cosa succede quando noi, senza mai essere masochisti (coloro a cui piace la sofferenza!), accogliamo la sofferenza secondo la volontà di Dio? Quando facciamo così, glorifichiamo Dio, e costituiamo una dimostrazione vivente della preziosità di Cristo, verso glii altri credenti e verso il mondo non credente.
Giobbe 1:21: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; il SIGNORE ha dato, il SIGNORE ha tolto; sia benedetto il nome del SIGNORE” (vedi Giobbe 2:8-10).
Abacuc 3:17-19: “Anche se il fico non fiorirà e non ci sarà alcun frutto sulle viti, anche se il lavoro dell’ulivo sarà deludente e i campi non daranno più cibo, anche se le greggi scompariranno dagli ovili e non ci saranno più buoi nelle stalle, esulterò nell’Eterno e mi rallegrerò nel DIO della mia salvezza”.
Io leggo libri di teologia in continuazione e sono grato al Signore per ogni pagina letta. Ma lo ringrazio anche per i credenti che io conosco di persona (ed anche da internet, come Joni Eareckson Tada e Nick Vujicic) che continuano a perseverare nella fede, nonostante la sofferenza. Quando predico sulla sofferenza, spesso do l’esempio di una sorella in Cristo che conosco bene. Lei ha sofferto in così tanti modi, che mi vengono le lacrime agli occhi solo a pensare alle sue sofferenze—sofferenze che in questo periodo sembra che aumenteranno addirittura. Ogni volta che vedo questa sorella in chiesa, senza che lei mi dica nulla e senza neppure che mi guardi, un forte messaggio giunge ai posti più profondi del mio cuore. Cosa mi sta dicendo, per via della sua perseveranza sotto l’afflizione, questa sorella? Lei, senza pronunciare verbo, ma solo con la sua fedele presenza, mi sta esortando: ‘Pietro, Cristo è prezioso. Dai, ce la fai anche tu a perseverare nella fede. Abbiamo un Dio veramente grande!’ (nota 5).
Grazie, Signore Gesù per le tue sofferenze, esse mi hanno portato a Dio. Grazie per il tuo soccorso nelle mie sofferenze. Grazie per l’istruzione della Bibbia su questo argomento importante. Grazie per la sorella che mi è di un incoraggiamento costante. Benedici la lettrice e il lettore che si trova adesso nella sofferenza. E, Maranatha, vieni Signore Gesù!

Nota 1: affronto gli errori del vangelo del benessere e della prosperità nel sermone trovato qui.
Nota 2: nel post successivo invece, ho intenzione di mettere a fuoco le ricchezze di un solo brano molto speciale.
Nota 3: concordo con Piper che possiamo accomunare le svariate forme della sofferenza. Pensate quanto siano differenti le fonti della persecuzione, un cancro, uno tsunami, o perfino le conseguenze di peccati passati a cui ormai abbiamo rinunciato (l’ultimo esempio è mio e non di Piper). Nel capitolo 10 di Desiderare Dio, sulla sofferenza, John Piper scrive: “Tutte le esperienze di sofferenza nel cammino dell’ubbidienza cristiana, sia a causa della persecuzione, sia della malattia, sia di un incidente, hanno questo in comune: tutte minacciano la nostra fede nella bontà di Dio e ci tentano ad abbandonare il cammino dell’obbedienza. Perciò, ogni trionfo della fede e la perseveranza nell’obbedienza sono testimonianze della bontà di Dio e della preziosità di Cristo—che il nemico sia la malattia, Satana, il peccato o il sabotaggio”; John Piper, Desiderare Dio, Passaggio, Virgilio 2003, p. 273. Ho ritoccato la parte dopo il trattino sulla base dell’inglese originale; si tratta di p. 257 (ingl.) in Desiring God qui. Più avanti Piper aggiunge (p. 276 ital.): “Ciò che trasforma le sofferenze in sofferenze ‘con’ e ‘per’ Cristo non è quanto deliberati siano i nostri nemici, ma quanto siamo fedeli noi. Se noi apparteniamo a Cristo, allora quello che ci accade è per la sua gloria e per il nostro bene, non importa se causato dai batteri o dai nemici.” Il punto è che, per il credente e per la credente, ciò che accomuna tutte le sofferenze, tutte le afflizioni, tutte le tribolazioni—insomma, tutte le prove—è il modo in cui noi le affrontiamo.
Nota 4: nel contesto, i carcerati sono quelli perseguitati per la fede in Cristo. Giustamente i rappresentanti di Porte Aperte e organizzazioni simili si servono di questo versetto per invogliarci ad aiutare la Chiesa perseguitata. A questo link troverete un sermone (video e cartaceo) su ‘la chiesa perseguitata’, predicato il 6 dicembre 2009.
Nota 5: inerente sia al tema di questo post sia a quest’ultimo punto è il cap. 9 di John Piper, Vedete e gustate Gesù Cristo, BE Edizioni, Firenze 2012: ‘la gloria di riscattare i peccatori, senza eliminare Satana’. Tutto il capitolo è bello, ma la preghiera a fine capitolo è già in sé molto preziosa. Eccone un antipasto (p. 65): “dacci di svergognare Satana riconoscendo la superiorità di Gesù” in mezzo alla sofferenza, l’afflizione e le prove.

Pietro Ciavarella è laureato in Teologia (Trinity Evangelical Divinity School) e Storia (University of Illinois at Chicago). È Direttore dell’Accademia Teologica Logos di Firenze e, per BE Edizioni, ha scritto: La Preghiera Perfetta: Il Padre Nostro; I Salmi: Un invito ad un rapporto più intimo con Dio (con David M. Howard Jr.); Come avere pace con Dio: Martin Lutero sulla giustificazione per fede; Genesi Esodo Levitico Numeri Deuteronomio e I Proverbi: un invito ad abbracciare la saggezza di Dio.

 

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