EROS, AGAPE, CARITAS: IL PAPA BENEDETTO SPIEGA L’AMORE
EROS, AGAPE, CARITAS: IL PAPA SPIEGA L’AMORE
«Deus Caritas est» (Dio è amore) è il titolo della prima Enciclica di Papa Benedetto XVI, resa nota mercoledì 25 gennaio in Vaticano. Presentata in una edizione di 74 pagine, sin dal titolo si qualifica come «Enciclica sull’amore cristiano» ed è strutturata in due parti: nella prima («L’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza») il tema viene affrontato a partire dall’esperienza ed essenza dell’amore umano in rapporto a quello divino, che viene donato in maniera particolare in Cristo.
Eros, agape, caritas: il Papa spiega l’amore
26/01/2006 di Archivio Notizie
di Luigi Crimella
«Deus Caritas est» (Dio è amore) è il titolo della prima Enciclica di Papa Benedetto XVI, resa nota mercoledì 25 gennaio in Vaticano. Presentata in una edizione di 74 pagine, sin dal titolo si qualifica come «Enciclica sull’amore cristiano» ed è strutturata in due parti: nella prima («L’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza») il tema viene affrontato a partire dall’esperienza ed essenza dell’amore umano in rapporto a quello divino, che viene donato in maniera particolare in Cristo; nella seconda parte, dal titolo «L’esercizio dell’amore da parte della Chiesa quale Comunità d’amore», si analizzano la carità e l’impegno per la giustizia messi in atto dalla Chiesa sin dai primi secoli, quali forme concrete e comunitarie di risposta al comandamento di Gesù di amare tutti come fratelli.
Nella parte conclusiva, Benedetto XVI evidenzia alcuni insigni esempi di amore cristiano ad opera di Santi e Beati, che si sono tradotti in iniziative di promozione umana e di formazione cristiana.
DALL’«EROS» ALL’«AGAPE»
«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui»: queste parole del Vangelo di Giovanni aprono la prima, attesa Enciclica di Benedetto XVI; discussa in anticipo sull’uscita, in quanto alcune indiscrezioni della scorsa settimana ne avevano già fatto trapelare passaggi significativi, tra i quali quelli sul rapporto tra «eros» e «agape». «Nella mia prima Enciclica – scrive il Papa – desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri». Nella prima parte dell’Enciclica, il Papa ricorda ai fedeli e a tutti i suoi lettori la molteplicità di significati, e quindi la ricchezza semantica della parola «amore». Cita così l’amor di patria, l’amore tra amici, l’amore per il lavoro, quello tra genitori e figli, l’amore per il prossimo fino all’amore per Dio. Si sofferma, in particolare, sull«amore tra uomo e donna» in quanto – scrive – «archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono».
È a questo punto che Benedetto XVI richiama le critiche che vengono talora rivolte alla Chiesa: «La Chiesa – scrive, riferendosi tra l’altro anche al filosofo Nietzsche – con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?». Per Benedetto XVI, la risposta è molto profonda, e va oltre una limitata visione emozionale ed egoistica del sentimento umano più diffuso: «L’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, estasi verso il Divino ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende».
CORPO E ANIMA
L’uomo, composto «di corpo e di anima» diventa «veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità». Da ciò – per Benedetto XVI – deriva che «l’eros degradato a puro sesso diventa merce, una semplice cosa che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce». L’amore vero ha, quindi, necessità di «un cammino di ascesa e di purificazione»; necessità di «esclusività» e del suo essere «per sempre» in quanto «mira all’eternità». «L’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività (…) all’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa». L’amore è definito «estasi», intesa come«cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé».
Da questa dimensione di «agape», l’amore può poi scalare le vette dell’offerta totale e assoluta non solo a una persona, come è nella normalità del rapporto di coppia, ma a più persone fino all’intera umanità, come avviene nelle famiglie aperte alla vita e all’accoglienza e anche, in altro ambito, nella vocazione presbiterale o religiosa, facendosi «tutto a tutti». L’amore esige una intima compenetrazione e un profondo equilibrio tra corpo e anima, tra l’eros e l’agape, tra l’umano e il divino. Scrive il Papa: «L’uomo non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono». E la «sorgente» primordiale dell’amore è Dio.
LA DIMENSIONE DELLA CARITA’
L’esercizio della carità da parte della Chiesa poggia sulla verità – ricorda Benedetto XVI – che l’amore «è divino perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma». Da qui sono venute, nel corso della storia, le varie forme di intervento caritativo ecclesiale, definite «espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo», con la sottolineatura che «la Chiesa non può trascurare il servizio della carità così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola». Benedetto XVI richiama – in un breve excursus storico – il sorgere della questione sociale, il nascere negli ultimi due secoli della «dottrina cristiana sullo Stato e la dottrina sociale della Chiesa», fino al confronto con il marxismo e alle Encicliche sociali. «L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta», annota poi il Pontefice.
GLI ESEMPI DA SEGUIRE
I Santi sono coloro che hanno creduto che Dio è amore e che Lui «tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità Egli vince». Ne ricorda diversi, da San Martino di Tours, che condivise il suo mantello con un povero, fino a Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, San Vincenzo de Paoli, Cottolengo, don Bosco, don Orione, Teresa di Calcutta. «I Santi – scrive il Papa – sono i veri portatori di luce all’interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore».
Cos’è un enciclica
Quando si parla di enciclica si intende la «lettera circolare apostolica che il Papa indirizza ai vescovi e ai prelati di tutta la chiesa su argomenti di fede o di morale». Voce dotta, deriva dal latino ecclesiale epistola encyclica, «lettera circolare», dall’aggettivo greco enkyklios, «circolare» composto di en, «in» e kyklos, «cerchio»). La raccolta di queste lettere episcopali veniva chiamata Encyclia o Enkyclia: così ci riferisce Pelagio II in una sua lettera ai vescovi dell’Istria. Solo molto tardivamente il vocabolo enciclica ha ricevuto un significato specifico, indicando solo le più importanti comunicazioni che il Romano Pontefice indirizza a tutta la cristianità.
Nella Chiesa greca ancora oggi si chiamano encicliche le lettere che il Patriarca indirizza a tutto il patriarcato, quando riguardano questioni attinenti la propria chiesa e il proprio rito. Il primo Papa che riservò questa denominazione ad una determinata forma di lettera pontificia fu Benedetto XIV nella «Ubi primum» del 3 dicembre 1740 (Epistola encyclica et commonitoria ad omnes episcopos) riguardante i doveri e la funzione dei vescovi. Solitamente tutte le encicliche portano come titolo le parole iniziali del testo in lingua latina (che ancora oggi è la lingua ufficiale della Chiesa).
Lorella Pellis
Parola per parola
Eros
Dal greco éros. Nel mondo antico eros è l’amore inteso nella sua manifestazione diretta e passionale. È l’impulso d’amore che i Greci impersonarono in Eros, figlio di Afrodite, il dio che incarna il desiderio e la gioia che scaturisce dal desiderio stesso. La voce fu introdotta nelle lingue moderne da Freud (1856-1939) che utilizza correntemente eros come sinonimo di pulsione di vita.
Nella lingua dei cristiani il sostantivo conserva il suo significato in relazione all’amore fisico ma entra in rapporto anche con altri tipi di amore e di realtà dell’amore caratteristici dei Vangeli e poi della riflessione dei Padri della Chiesa. Le realtà fisiche vengono così sorpassate da quelle spirituali e la pulsione sessuale viene superata anche in direzione dell’agape.
Agape
Voce dotta dal latino agape, è il «banchetto collettivo e fraterno degli antichi cristiani». In realtà il termine è greco (agàpe) e si riferisce all’offerta che viene da Dio e che i cristiani devono condividere nell’amore fraterno. Il verbo greco agapao è il rispetto fraterno basato su benevolenza, sollecitudine e protezione. È piuttosto il verbo latino diligo che non l’amo.
In un primo tempo l’agape è il «pasto con eucarestia» ma dopo si differenzia e diventa il «pasto che si offre a chi non ne ha» ed è anche un momento conviviale che diventa l’occasione di riconoscersi fratelli.
Caritas
È l’affetto che si prova verso qualcun altro. In realtà il sostantivo significa in prima battuta il «prezzo alto» di qualcosa ed è perfettamente logico se si pensa che in genere rivolgiamo il nostro amore, affetto, tenerezza verso chi per noi vale molto. Il termine caritas non va reso in italiano con «carità» a differenza di quello che molti pensano. La parola italiana carità (dal latino caritate, «benevolenza, amore», da carus, «caro») è l’«amore di Dio e del prossimo, una delle tre virtù teologali», la «disposizione caratteristica di chi tende a comprendere e aiutare ogni persona», la «beneficenza» e l’«elemosina», la «cortesia» e il «favore».
Una curiosità riguarda la locuzione «carità pelosa», «carità non disinteressata». Non è chiara l’origine dell’espressione ma alcuni ipotizzano che alla base di tale «motto» ci sia il soccorso spirituale che intese prestare il pontefice a Giuliano il Bastardo, mentre guerreggiava, e consisteva in un anello con dentro la reliquia di alcuni peli della barba di San Pietro. Ovviamente si tratta di un’invenzione a posteriori. La locuzione «carità pelosa» va invece accostata al modo di dire «avere il cuore con tanto di pelo».
Lorella Pellis
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