Archive pour février, 2015

Trasfigurazione del Signore, Chiesa Ortodossa

Trasfigurazione del Signore, Chiesa Ortodossa dans immagini sacre Transfiguration

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Publié dans:immagini sacre |on 27 février, 2015 |Pas de commentaires »

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI – II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120304_torrino.html

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE AL TORRINO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI – II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

Domenica, 4 marzo 2012

Cari fratelli e sorelle della Parrochia di San Giovanni Battista de La Salle!

Innanzitutto vorrei dire, con tutto il mio cuore, grazie per questa accoglienza così cordiale, calorosa. Grazie al buon Parroco per le sue belle parole, grazie per questo spirito di familiarità che trovo. Siamo realmente famiglia di Dio e il fatto che vedete nel Papa anche il papà, è per me una cosa molto bella che mi incoraggia! Ma adesso dobbiamo pensare che anche il Papa non è l’ultima istanza: l’ultima istanza è il Signore e guardiamo al Signore per percepire, per capire – in quanto possibile – qualcosa del messaggio di questa seconda Domenica della Quaresima.
La liturgia di questo giorno ci prepara sia al mistero della Passione – lo abbiamo sentito nella prima Lettura – sia alla gioia della Risurrezione.
La prima Lettura ci riferisce l’episodio in cui Dio mette alla prova Abramo (cfr Gen 22,1-18). Egli aveva un unico figlio, Isacco, natogli in vecchiaia. Era il figlio della promessa, il figlio che avrebbe dovuto portare poi la salvezza anche ai popoli. Ma un giorno Abramo riceve da Dio il comando di offrirlo in sacrificio. L’anziano patriarca si trova di fronte alla prospettiva di un sacrificio che per lui, padre, è certamente il più grande che si possa immaginare. Tuttavia non esita neppure un istante e, dopo aver preparato il necessario, parte insieme ad Isacco per il luogo stabilito. E possiamo immaginare questa camminata verso la cima del monte, che cosa sia successo nel suo cuore e nel cuore del figlio. Costruisce un altare, colloca la legna e, legato il ragazzo, afferra il coltello per immolarlo. Abramo si fida totalmente di Dio, da essere disposto anche a sacrificare il proprio figlio e, con il figlio, il futuro, perché senza figlio la promessa della terra era niente, finisce nel niente. E sacrificando il figlio sacrifica se stesso, tutto il suo futuro, tutta la promessa. È realmente un atto di fede radicalissimo. In questo momento viene fermato da un ordine dall’alto: Dio non vuole la morte, ma la vita, il vero sacrificio non dà morte, ma è la vita e l’obbedienza di Abramo è diventa fonte di una immensa benedizione fino ad oggi. Lasciamo questo, ma possiamo meditare questo mistero.
Nella seconda Lettura, san Paolo afferma che Dio stesso ha compiuto un sacrificio: ci ha dato il suo proprio Figlio, lo ha donato sulla Croce per vincere il peccato e la morte, per vincere il maligno e per superare tutta la malizia che esiste nel mondo. E questa straordinaria misericordia di Dio suscita l’ammirazione dell’Apostolo e una profonda fiducia nella forza dell’amore di Dio per noi; afferma, infatti san Paolo: «[Dio], che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,32). Se Dio dà se stesso nel Figlio, ci dà tutto. E Paolo insiste sulla potenza del sacrificio redentore di Cristo contro ogni altro potere che può insidiare la nostra vita. Egli si chiede: «Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi ci condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!» (vv. 33-34). Noi siamo nel cuore di Dio, questa è la nostra grande fiducia. Questo crea amore e nell’amore andiamo verso Dio. Se Dio ha donato il proprio Figlio per tutti noi, nessuno potrà accusarci, nessuno potrà condannarci, nessuno potrà separarci dal suo immenso amore. Proprio il sacrificio supremo di amore sulla Croce, che il Figlio di Dio ha accettato e scelto volontariamente, diventa fonte della nostra giustificazione, della nostra salvezza. E pensiamo che nella Sacra Eucaristia è sempre presente questo atto del Signore che nel suo cuore rimane in eterno, e questo atto del suo cuore ci attira, ci unisce con se stesso.
Finalmente, il Vangelo ci parla dell’episodio della trasfigurazione (cfr Mc 9,2-10): Gesù si manifesta nella sua gloria prima del sacrificio della Croce e Dio Padre lo proclama suo Figlio prediletto, l’amato, e invita i discepoli ad ascoltarlo. Gesù sale su un alto monte e prende con sé tre apostoli – Pietro, Giacomo e Giovanni –, che gli saranno particolarmente vicini nell’estrema agonia, su un altro monte, quello degli Ulivi. Da poco il Signore aveva annunciato la sua passione e Pietro non era riuscito a capire perché il Signore, il Figlio di Dio, parlasse di sofferenza, di rifiuto, di morte, di croce, anzi si era opposto con decisione a questa prospettiva. Ora Gesù prende con sé i tre discepoli per aiutarli a comprendere che la strada per giungere alla gloria, la strada dell’amore luminoso che vince le tenebre, passa attraverso il dono totale di sé, passa attraverso lo scandalo della Croce. E il Signore sempre di nuovo deve prendere con sé anche noi, almeno per cominciare a capire che questo è il cammino necessario. La trasfigurazione è un momento anticipato di luce che aiuta anche noi a guardare alla passione di Gesù con lo sguardo della fede. Essa, sì, è un mistero di sofferenza, ma è anche la «beata passione» perché è – nel nucleo – un mistero di amore straordinario di Dio; è l’esodo definitivo che ci apre la porta verso la libertà e la novità della Risurrezione, della salvezza dal male. Ne abbiamo bisogno nel nostro cammino quotidiano, spesso segnato anche dal buio del male!
Cari fratelli e sorelle! Come ho già detto, sono molto lieto di essere in mezzo a voi, oggi, per celebrare il Giorno del Signore. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco, don Giampaolo Perugini, che ringrazio, ancora una volta, per le gentili parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi e anche per i graditi doni che mi avete offerto. Saluto i Vicari Parrocchiali. E saluto le Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, qui presenti da tanti anni, particolarmente benemerite per la vita di questa parrocchia, che ha trovato pronta e generosa ospitalità nella loro casa nei primi tre anni di vita. Estendo poi il mio saluto ai Fratelli delle Scuole Cristiane, naturalmente affezionati a questa chiesa parrocchiale che porta il nome del loro Fondatore. Saluto, inoltre, quanti sono attivi nell’ambito della Parrocchia: mi riferisco ai catechisti, ai membri delle Associazioni e dei Movimenti, come pure dei diversi gruppi parrocchiali. Vorrei infine estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà.
Venendo oggi in mezzo a voi, ho notato la particolare posizione di questa chiesa, posta nel punto più alto del quartiere, e dotata di un campanile slanciato, quasi un dito o una freccia verso il cielo. Mi pare sia questa una indicazione importante: come i tre apostoli del Vangelo, anche noi abbiamo bisogno di salire sul monte della trasfigurazione per ricevere la luce di Dio, perché il suo Volto illumini il nostro volto. Ed è nella preghiera personale e comunitaria che noi incontriamo il Signore non come un’idea, o come una proposta morale, ma come una Persona che vuole entrare in rapporto con noi, che vuole essere amico e vuole rinnovare la nostra vita per renderla come la sua. E questo incontro non è solo un fatto personale; questa vostra chiesa posta nel punto più alto del quartiere vi ricorda che il Vangelo deve essere comunicato, annunciato a tutti. Non aspettiamo che altri vengano a portare messaggi diversi, che non conducono alla vera vita, fatevi voi stessi missionari di Cristo ai fratelli là dove vivono, lavorano, studiano o soltanto trascorrono il tempo libero. Conosco le tante e significative opere di evangelizzazione che state attuando, in particolare attraverso l’oratorio chiamato «Stella polare», – sono felice di portare anche questa camicia [la maglietta dell’oratorio] – dove, grazie al volontariato di persone competenti e generose e con il coinvolgimento delle famiglie, si favorisce l’aggregazione dei ragazzi attraverso l’attività sportiva, senza trascurare però la formazione culturale, attraverso l’arte e la musica, e soprattutto si educa al rapporto con Dio, ai valori cristiani e ad una sempre più consapevole partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale.
Mi rallegro che il senso di appartenenza alla comunità parrocchiale sia venuto sempre più maturando e consolidandosi nel corso degli anni. La fede va vissuta insieme e la parrocchia è un luogo in cui si impara a vivere la propria fede nel «noi» della Chiesa. E desidero incoraggiarvi affinché cresca anche la corresponsabilità pastorale, in una prospettiva di autentica comunione fra tutte le realtà presenti, che sono chiamate a camminare insieme, a vivere la complementarietà nella diversità, a testimoniare il «noi» della Chiesa, della famiglia di Dio. Conosco l’impegno che mettete nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti della vita cristiana. Il prossimo «Anno della fede» sia un’occasione propizia anche per questa parrocchia per far crescere e consolidare l’esperienza della catechesi sulle grandi verità della fede cristiana, in modo da permettere a tutto il quartiere di conoscere e approfondire il Credo della Chiesa, e superare quell’«analfabetismo religioso» che è uno dei più grandi problemi del nostro oggi.
Cari amici! La vostra è una comunità giovane – si vede -costituita da famiglie giovani, e tanti sono, grazie a Dio, i bambini e i ragazzi che la popolano. A questo proposito, vorrei ricordare il compito della famiglia e dell’intera comunità cristiana di educare alla fede, aiutati in ciò dal tema del corrente anno pastorale, dagli orientamenti pastorali proposti dalla Conferenza Episcopale Italiana e senza dimenticare il profondo e sempre attuale insegnamento di san Giovanni Battista de La Salle. In particolare, care famiglie, voi siete l’ambiente di vita in cui si muovono i primi passi della fede; siate comunità in cui si impara a conoscere ed amare sempre di più il Signore, comunità in cui ci si arricchisce a vicenda per vivere una fede veramente adulta.
Vorrei, infine, richiamare a voi tutti l’importanza e la centralità dell’Eucaristia nella vita personale e comunitaria. La santa Messa sia al centro della vostra Domenica, che va riscoperta e vissuta come giorno di Dio e della comunità, giorno in cui lodare e celebrare Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza, giorno in cui vivere insieme nella gioia di una comunità aperta e pronta ad accogliere ogni persona sola o in difficoltà. Riuniti attorno all’Eucaristia, infatti, avvertiamo più facilmente come la missione di ogni comunità cristiana sia quella di recare il messaggio dell’amore di Dio a tutti gli uomini. Ecco perché è importante che l’Eucaristia sia sempre il cuore della vita dei fedeli, come lo è quest’oggi.
Cari fratelli e sorelle! Dal Tabor, il monte della Trasfigurazione, l’itinerario quaresimale ci conduce fino al Golgota, monte del supremo sacrificio di amore dell’unico Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. In quel sacrificio è racchiusa la più grande forza di trasformazione dell’uomo e della storia. Assumendo su di sé ogni conseguenza del male e del peccato, Gesù è risorto il terzo giorno come vincitore della morte e del Maligno. La Quaresima ci prepara a partecipare personalmente a questo grande mistero della fede, che celebreremo nel Triduo della passione, morte e risurrezione di Cristo. Alla Vergine Maria affidiamo il nostro cammino quaresimale, come quello della Chiesa intera. Ella, che ha seguito il suo Figlio Gesù fino alla Croce, ci aiuti ad essere discepoli fedeli di Cristo, cristiani maturi, per poter partecipare insieme con Lei alla pienezza della gioia pasquale. Amen!

 

OMELIA II DOMENICA DI QUARESIMA B

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/02-annoB/14-15/Omelie/6-Quaresima/2a-Domenica-B-2015/10-02a-Quaresima-B-2015-UD.htm

1 MARZO 2015 | 2A DOMENICA – T. QUARESIMA B | OMELIA

2A DOMENICA – T. QUARESIMA 2015

Per cominciare
Quaresima: tempo forte di conversione, tempo di rinnovamento per rifarci gli occhi e il cuore. Dopo il rito delle ceneri e aver rivissuto la Quaresima di Gesù e la sua vittoria sulle tentazioni, oggi viviamo con Pietro, Giacomo e Giovanni l’esperienza della trasfigurazione, che anticipa la Pasqua.

La Parola di Dio
Genesi, 22,1-2.9a.10-13.15-18. Abramo, il generoso, il fedele a Dio, non gli nega neppure il figlio della promessa. Un episodio oscuro e tragico, che richiama il sacrificio del Figlio di Dio sulla croce.
Romani 8,31b-34. « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? », dice Paolo. La bontà di Dio è senza misura, dal momento che per nostro amore ha consegnato il proprio Figlio nelle nostre mani.
Marco 9,2-10. Accanto a Gesù trasfigurato compaiono Mosè ed Elia, la legge e la profezia. È l’investitura solenne di Gesù, il messia promesso e atteso. Preceduta e seguita dalle parole di Gesù sulla sua passione e morte, la trasfigurazione è un’anticipazione della risurrezione per i tre apostoli presenti.

Riflettere…
o L’episodio della trasfigurazione è uno dei più attraenti della vita di Gesù e ha ispirato da sempre la fede dei cristiani. Lo si trova nei tre vangeli sinottici, ma anche in Pietro, che dice: « Egli ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: « Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento ». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte » (2Pt 1,17-18).
o Marco, che pure scrive il vangelo più breve, dà sulla trasfigurazione molti particolari. Dice che le vesti erano splendenti, bianchissime (« Nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche ». E riferisce le parole di Pietro: « Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia ». Precisando: « Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati ». Come si sa, molto probabilmente Marco riporta la predicazione di Pietro.
o Quello della trasfigurazione è un episodio ricco di significato proprio per il momento in cui avviene (è preceduta e seguita dagli annunzi della passione e morte di Gesù), per la presenza di testimoni qualificati dell’antico e del nuovo testamento (Mosè ed Elia), per il legame che ha con il battesimo di Gesù nel Giordano: anche là il Padre era intervenuto per rivelare l’identità di Gesù.
o Scrivendo questo episodio, Marco avrà pensato al capitolo 24 del libro dell’Esodo, quando Mosè salì sul monte per ricevere la legge nel contesto di una grande manifestazione di gloria.
o Ora Mosè è lì a testimoniare la grandezza di Gesù. Marco, ma anche Matteo e Luca, dicono che c’è anche Elia, ed è facile comprendere perché: nella tradizione ebraica si parla spesso di « Mosè e i profeti » ed Elia rappresentava « il profeta tra i profeti ». Messo anche lui al fianco di Gesù nel ruolo di testimone, indica che Gesù è superiore a Mosè e a tutti i profeti dell’antico testamento.
o Singolare in questo episodio la reazione di Pietro, che si rifà all’idea trionfalistica del messia. Pietro pare vedere in questo momento solenne finalmente l’occasione per superare un’idea riduttiva del regno di Dio. Di sperimentare forse anche la bontà della sua scelta di mettersi al seguito di un maestro che non cessava di spegnere gli animi di chi era sempre in attesa di qualcosa di straordinario.
o Il Padre conferma sostanzialmente le parole dette al momento del battesimo di Gesù: « Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo! ».
o Ma alla fine non rimane che Gesù nella sua semplicità di uomo: « Improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro ». Quasi a sottolineare che la trasfigurazione è una parentesi, e che la vita della chiesa deve continuare a seguire le orme di questo maestro normale.
o Gesù appare nella sua gloria proprio a Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre che saranno testimoni muti e indifferenti dell’abbattimento del Getsemani. La trasfigurazione sarebbe quindi destinata a sostenere la fede debole degli apostoli, che non riusciranno ad accettare la morte in croce del messia.
o Ma l’episodio è anche un’anticipazione della gloria della risurrezione, destinato a dare a Gesù e agli apostoli piena coscienza del senso finale della missione del messia. È questo il senso delle parole di Gesù: « Ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti ». Ma essi, è evidente, si chiedevano « che cosa volesse dire risorgere dai morti ».
o Nella prima lettura Abramo appare come l’uomo fedele a Dio fino in fondo, senza resistenze, disponibile addirittura a sacrificare Isacco, il figlio della promessa.
o I sacrifici umani erano normali in quel tempo, e con questo tragico episodio Iahvè intendeva affermare la propria riprovazione per questi macabri sacrifici.
o Non possiamo dimenticare che ciò che non ha subito Isacco, lo subirà Gesù. È questa la tradizione ecclesiale, che vede realizzarsi puntualmente nella passione e morte di Gesù quel sacrificio che ad Abramo è stato impedito di consumare.
o È inevitabile quindi collegare la prima lettura anche agli due brani della parola di Dio: Paolo sottolinea che « Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi » (Rm 8,32); mentre il vangelo, come dicevamo, è preceduto e seguito da due annunzi della sua passione.

Attualizzare
* Nella nostra vita, carica del peso dell’oscurità e della sofferenza, non mancano squarci di trasfigurazioni e di bellezza, nei quali Dio lo si incontra davvero, lo si sente a un passo da noi, se ne fa esperienza viva, immediata.
* Questi momenti di esperienza forte di Dio non sono un’illusione, dal momento che sono testimoniati praticamente da tutti i veri credenti. Diventano possibili soprattutto nei momenti di preghiera vera come per Gesù: « Gesù… salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante  » (Lc 9,28-29).
* Un sacerdote torinese, don Paolo Gariglio, fondatore di Radio Nichelino e di molte iniziative a vantaggio dei giovani, ha voluto invitare nel teatro della sua parrocchia tutti coloro che pensavano di aver incontrato Dio. Si sono ritrovati in trecento in un teatro gremito e molti hanno potuto raccontare la loro storia singolarissima, il loro incontro personale con Dio.
* « Dio si fa conoscere a coloro che lo cercano », dice Pascal. Ciò che noi dovremmo fare è creare le condizioni perché questa esperienza diventi possibile. Dio non si sperimenta nel trambusto, nel caos, nell’agitazione delle attività. Bisogna in qualche modo conquistarsi degli spazi in cui si possa fare silenzio, per entrare in noi stessi. « Volete conoscere Dio? Mettetevi in ginocchio » (Fulton Sheen).
* Anche noi che siamo qui, se non siamo venuti solo per una tradizione sociale, o per pura osservanza di un precetto religioso, lo siamo perché in qualche modo abbiamo conosciuto Dio.
* Dio si presenta a noi non tanto per un ragionamento intellettuale, ma attraverso un’esperienza vitale, un’intuizione di fondo irresistibile, che riconosce l’armonia dell’universo, che va oltre i dubbi e le brutture del mondo.
* Tutto il racconto della trasfigurazione ha nello sfondo la croce. La logica di Dio è diversa dalla logica degli uomini e la gloria passa attraverso il sacrifico. Questo è il progetto di Dio sulla vita di Gesù, ma anche sulla nostra vita. Senza croce, cioè senza affrontare la vita in modo che diventi obbedienza a Dio, non ci sarà trasfigurazione-risurrezione.
* La croce coinvolge anche noi, fa parte delle nostre esperienze di vita. Ma sono tanti i passi della parola di Dio che ci danno la certezza, che ? condividendo la vita e le scelte di Gesù ? condivideremo anche la sua gloria. « I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro » (Mt 13,43), dice Gesù. E Paolo ricorda che « le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi » (Rm 8,18); e ancora: « Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria » (Col 3,4).

Dio può farsi vedere
« Dio nel suo amore, nella sua bontà verso gli uomini, nella sua potenza è giunto fino a concedere a coloro che lo amano il privilegio di vederlo. L’uomo con le sue sole forze non potrà mai vedere Dio. Ma se Dio lo vuole, può farsi vedere da chi vuole, quando vuole e come vuole. Come coloro che vedono la luce, sono nella luce e partecipano al suo splendore, così coloro che vedono Dio sono in Dio e partecipano al suo splendore. Lo splendore di Dio dona la vita: coloro che vedono Dio ricevono dunque la vita » (sant’Ireneo).

Dio esiste, io l’ho incontrato
André Frossard nacque in una famiglia dove nessuno si poneva il problema di Dio. Nessuno ne parlava. Il padre era deputato e primo segretario del partito comunista francese. Quando si trasferì a Parigi, André frequentò il liceo, ma l’andare a scuola lo interessava poco. Preferiva « tagliare » e frequentare giardini e piscine, possibilmente in compagnia di ragazzine. Finiti gli studi, il padre lo fece entrare nella redazione di un giornale della sera. Fu li che conobbe André Willemin, un giovane ottimista col quale strinse fraterna amicizia. Il lavoro di giornalista lo interessava poco. Non aveva ideali, né problemi esistenziali, delusioni o dubbi. Era un ateo tranquillo. Fu a questo punto che Dio gli tese un’imboscata. Un pomeriggio, stanco di attendere l’amico Willemin, per ingannare il tempo entrò in chiesa. Sopra l’altar maggiore vi era un ostensorio per l’adorazione perpetua. Fece in un istante un’esperienza che non riuscì a descrivere, ma che lo trasformò totalmente. Uscendo da quella chiesa insieme all’amico, era diventato definitivamente « cattolico ». Scriverà il libro della sua vita, il best-seller Dio esiste; io l’ho incontrato.

Fonte autorizzata : Umberto DE VANNA

Via Crucis, IX Stazione

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http://www.castelletta.it/sangiacomo/via_crucis.htm

Publié dans:immagini sacre |on 26 février, 2015 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino, L’amore di Dio e amore del mondo,6-7

http://www.parrocchiasansilvestropapa.it/?p=8114

PERDERE LA VITA PER SALVARE L’ANIMA.

Sant’Agostino, L’amore di Dio e amore del mondo,6-7

6. Vedi come ti vuole saggio chi ti ha detto: Prendi la tua croce e seguimi. Egli dice: Chi avrà trovato la sua vita la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà (11). Dunque, chi ha trovato perderà; chi avrà perduto troverà. Per perdere bisogna prima aver trovato; e una volta perso, alla fine troverai ancora.
I ritrovamenti sono due e in mezzo passa una sola perdita. Nessuno può perdere la sua vita per Cristo, se prima non l’ha avuta. E nessuno può trovare la sua vita in Cristo se prima non l’ha perduta. Cerca dunque di trovare per perdere; di perdere per trovare.
Qual è il modo di trovarla prima, per averla onde perderla poi? Quando pensi che tu sei per un aspetto mortale, quando pensi a Colui che ti ha creato, e ti ha dato col suo Spirito l’anima, quando rifletti che la devi a lui che te l’ha data, che devi restituirla a lui, che l’ha adattata a te, che dev’essere custodita da lui che le ha dato inizio, allora hai trovato la tua vita, l’hai trovata nella fede.
In quanto hai avuto fede in queste cose hai trovato la tua vita. Prima di credere eri perso. Ora hai trovato la tua vita. Infatti senza la fede eri morto: sei risuscitato nella fede. Sei come colui di cui si può dire: Era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (12).
Dunque hai trovato la tua vita nella fede della verità, se sei risuscitato dalla morte della mancanza di fede. Questo significa aver trovato la vita. Ora perdila ed essa sarà come il seme. Anche il contadino infatti, trebbiando e ventilando, trova il frumento; poi, seminandolo, lo riperde. Si ritrova sull’aia quello che si era perduto nella semina; si perde nella semina ciò che si trova nella mietitura.
Dunque, chi avrà trovato la sua vita, la perderà. Ma chi è pigro a seminare può raccogliere poi tanto da far fatica a raccogliere?
In favore di chi dobbiamo perdere la vita.
7. Ma ora osserva dove trovi e perché perdi. Non potresti trovare se non ti facesse luce Colui a cui viene detto: Tu, o Signore, dài luce alla mia lampada (13).
E` lui che ti accende la lampada: ormai hai trovato.
Vedi per quale ragione puoi perdere. Non si deve perdere a poco a poco ciò che è stato ritrovato con tanta diligenza. Perché Dio non ha detto: ” Chi ha perso la vita la troverà “, ma: Chi l’ha persa per me.
Se tu per caso vedi sulla spiaggia il corpo di un naufrago che era mercante, lo compiangi, mosso a compassione e dici: ” Oh, pover’uomo, per il denaro ha perso la sua vita! “. Fai bene a compiangerlo e a commiserarlo; gli dài almeno il pianto, non potendogli dare aiuto; per il denaro infatti ha potuto perdere la sua vita, ma col denaro non la potrà ritrovare. Fu capace di recar danno alla sua vita, non capace di salvarla. Bisogna riflettere infatti non tanto su che cosa ha perduto, ma perché l’ha perduto. Se è per l’avidità, ecco lì ora dove è la sua umana carne, dove è ciò che gli era caro. E tuttavia è stata l’avidità a spingerlo: per l’oro ha perso la vita. E invece per Cristo la vita non perisce, non succede che si perda.
O uomo stolto, non dubitare: ascolta il consiglio del tuo Creatore. Egli ti ha fatto in modo tale che tu lo puoi capire; egli che ti ha fatto, prima che fossi tu uno che può capire. Ascoltami, non esitare a perdere la vita per Cristo. Affida al fedele Creatore quello che vien detto perduto. Quello che tu perdi egli lo accoglie; in lui nulla va perduto.
Se ami la vita perdila per trovarla, e quando l’avrai ritrovata non ci sarà più nulla da perdere, nessuna ragione di perdere. Quella che si trova infatti è la vita appunto che non si può in nessun modo perdere. Poiché Cristo, nascendo, morendo e risorgendo per te, te ne ha dato l’esempio: Risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui (14).

11. Mt 10, 38-39
12. Lc 15, 32.
13. Sal 17, 29
14. Rm 6, 9.

Publié dans:meditazioni, Sant'Agostino |on 26 février, 2015 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II E BENEDETTO XVI: LA VIA DELL’ESPIAZIONE E DELLA PREGHIERA

http://www.zenit.org/it/articles/giovanni-paolo-ii-e-benedetto-xvi-la-via-dell-espiazione-e-della-preghiera

GIOVANNI PAOLO II E BENEDETTO XVI: LA VIA DELL’ESPIAZIONE E DELLA PREGHIERA

Gli ultimi due pontefici hanno compiuto scelte differenti ma ugualmente coraggiose

Roma, 22 Febbraio 2013 (Zenit.org) Don Anderson Alves

Siamo nel periodo dei 40 giorni di preparazione alla Santa Pasqua. La Quaresima ci ricorda i 40 anni di Israele passati nel deserto, i 40 giorni di digiuno, preghiera e penitenza del Signore prima di iniziare il suo ministero pubblico. Il deserto è il luogo del silenzio, della povertà, dell’incontro con Dio; per attraversarlo è necessario scoprire ciò che è essenziale alla vita. Il deserto è anche il luogo della morte, della solitudine, in cui l’uomo sente con più forza la tentazione. Il deserto è pure un’immagine del mondo attuale, nel quale le persone sono diventate aride, senza cuore, allontanandosi da Dio.
Nel deserto Gesù è tentato dal diavolo tre volte. Tutte le tentazioni hanno come essenza il voler mettere se stessi al centro del mondo, al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza o cercando di sottometterlo alla nostra volontà.
Per vincere le tentazioni è necessario fare altro: mettere Dio al primo posto. E questa è la conversione cui la Quaresima ci richiama. E la conversione si concretizza nell’analizzare la nostra vita davanti Dio, cercando di conoscere noi stessi alla sua luce, riconoscendo le nostre capacità e limiti, chiedendolo con sincerità: cosa vuoi da me, Signore? Questo non è facile, perché spesso non abbiamo tempo per Dio, o non vogliamo ascoltarlo. La tentazione di metterci al centro di tutto è sempre molto forte nella nostra vita.
In Quaresima siamo chiamati a porre la nostra vita davanti a Dio con umiltà. Ed è proprio questo che ha fatto papa Benedetto XVI: analizzare ripetutamente la propria coscienza davanti Dio (conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata, ha detto il Papa con un linguaggio agostiniano), chiedendolo con totale disponibilità: che cosa vuoi da me? E il Signore gli ha fatto vedere la sua volontà e lui ha risposto, rinunciando al suo ministero per il bene della Chiesa, perché un altro uomo con più forza fisica possa guidare la Chiesa di Cristo nella strada della Nuova Evangelizzazione nel deserto che è diventato il nostro mondo.
Il Papa ha fatto allora un gesto sorprendente, perché è stato un segno di fede e di umiltà, e non sappiamo bene che cosa sia vivere di fede e che cosa sia l’umiltà. Noi siamo sempre pronti a giudicare il nostro prossimo e non tanto ad analizzare la nostra vita davanti Dio, come il Papa ha fatto. In questo periodo di conversione, dobbiamo ricordarci solo che Dio è onnisciente, solo Lui può giudicare le intenzioni delle persone; e dobbiamo avere molto rispetto sempre per le coscienze altrui.
Il papa Giovanni Paolo II ha analizzato la sua vita davanti Dio, che gli ha chiesto di vivere gli ultimi anni del suo ministero come forma di espiazione per i nostri peccati; e a Benedetto XVI, Dio chiede una vita dedicata totalmente alla preghiera. Chi siamo noi per giudicarli? Questi due uomini, probabilmente i due migliori Pontifici della Storia della Chiesa moderna, hanno avuto il coraggio di mettersi davanti Dio, che gli ha indicato la via dell’espiazione e della preghiera. E queste due cose, espiazione e preghiera, sono le cose essenziali della vita sacerdotale. Questi uomini di Dio l’hanno visto e lo propongono a tutti i sacerdoti. Chi siamo noi per condannarli?
E a tutti i cristiani, queste due grandi uomini insegnano ad avere l’audacia di avanzare per la via della conversione, mettendoci davanti Dio, riconoscendo le nostre capacità e chiedendolo ciò che Lui vuole da noi. Dobbiamo avere molta gioia e ringraziare Dio perché questi uomini hanno servito sempre Dio con generosità e sono esempi per tutti noi.
E non dobbiamo lasciarci ingannare dai falsi profeti. Quelli che ora criticano il Papa Benedetto XVI perché è anziano e ha rinunciato, sono gli stessi che hanno criticato Giovanni Paolo II per essere anziano e non aver rinunciato al suo “potere”. Sono tanti oggi quelli che non pongono la propria vita davanti a Dio e perciò sono sempre pronti a buttare le pietre contro il loro prossimo, anche contro quelli che non hanno fatto nessun peccato. Nella Storia della Chiesa ci sono stati Papi santi che non hanno rinunciato e un Papa santo (Celestino V) che ha rinunciato al suo ministero.
Noi che desideriamo una vera conversione, dobbiamo ringraziare Dio per i ministeri luminosi e complementari di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Loro hanno avuto l’umiltà, la fede e il coraggio di seguire la propria coscienza, analizzata alla luce di Dio; ora dobbiamo pregare per Benedetto XVI, dimostrandogli molto affetto e ringraziando Dio per il bene che lui ha fatto alla Chiesa di Dio in tutti questi anni. Papa Benedetto XVI ci ha sempre insegnato che la Chiesa è una grande famiglia, quella dei figli di Dio.
Quale figlio, avendo un padre con 86 anni, che ha appena subìto un intervento al cuore, lo critica perché non può più lavorare?
Chiediamo al Signore che ci faccia diventare veri cristiani, che sappiano amare il prossimo come Gesù lo ha amato, senza mai metterci al posto di Dio, giudicando o criticando chi è stato sempre un padre esemplare.

***
Don Anderson Alves è sacerdote della diocesi di Petrópolis, Brasile. È dottorando in Filosofia presso alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma.

San Basilio, « pazzo in Cristo »

 San Basilio,
https://citydesert.wordpress.com/2014/08/05/fools-for-christ-2/

Publié dans:immagini sacre |on 25 février, 2015 |Pas de commentaires »

PAZZI IN CRISTO

http://freaknet.org/asbesto/roba/pazziincristo/pazzi_in_cristo.htm

PAZZI IN CRISTO

INTRODUZIONE

COSA SONO I PAZZI IN CRISTO

Olivier Clement

(ho messo solo tre « personaggi », ma ce ne sono altri)

La novità del cristianesimo, così fortemente sottolineata da san Paolo quando parla dello scandalo della croce, è la rivelazione della pazzia di Dio. Dio è pazzo, poiché esce dalla sua impassibile trascendenza per mescolarsi alle nostre gioie, alle nostre pene, alla nostra disperazione. Il tema dell’amore ‘folle’ di Dio affiora dovunque nel Nuovo Testamento. Se la creazione rivela la sapienza di Dio, l’incarnazione per la nostra salvezza rivela il suo amore pazzo per noi. Il Crocifisso per amore è il segreto di ogni follia. Il Dio incarnato discende nella morte per prendere tutti gli uomini nella follia del suo amore. Con gli occhi bendati, schiaffeggiato, schernito, coperto di sputi, rivestito di una porpora da beffa, coronato di spine, re per burla, ecce homo, ecce deus: un pazzo in verità!
Il « pazzo in Cristo » è l’uomo che risponde con tutto il suo essere alla follia di Dio, che entra anche lui nella «stoltezza della croce», che diventa pazzo per amore di Cristo. «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor 1, 23). «Ciò che nel mondo è stolto, Dio l’ha scelto per confondere i sapienti» (1 Cor 1, 27). «Noi siamo stolti a causa di Cristo» (1 Cor 4, 10). Per questo «insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifIuto di tutti» (1 Cor 4,12-13).
Il pazzo in Cristo s’identifica con Cristo oltraggiato, crocifisso, eppure risorto: egli vive già nel Regno e denuncia l’orgoglio, l’odio e la menzogna di ‘questo mondo’. Prende alla lettera le Beatitudini e il Discorso della montagna, tutta quella insopportabile follia: la terra donata ai miti, la gioia ai perseguitati e I’offrire la guancia sinistra quando siamo colpiti sulla destra, in tre parole: amare i nemici. Il pazzo in Cristo rivela possibile l’impossibilità del cristianesimo. E’ un massimalista cristiano, è uno che sotto l’apparenza di una finta pazzia vive il Vangelo alla lettera, povero e senza un rifugio. Non entra nelle le chiese se non per farvi scandalo, vive nei rifiuti della città, nella sua più compromettente o più pericolosa marginalità, con i cattivi e le donne di cattiva condotta…il pazzo è il Cristo oltraggiato e, simultaneamente, il Risorto, libero da ogni compromesso col mondo, e «completa nella (sua) carne quello che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24).
Gli antenati dei « pazzi in Cristo » sono i profeti dell’Antico Testamento, inviati da Dio per riportare sulla retta via il popolo ebreo « dalla dura cervice ». A questo scopo il profeta è spesso obbligato ad adottare un comportamento eccentrico, strano, che gli reca più noie che gloria.
Il Profeta Isaia fu costretto a passeggiare per tre anni nudo e scalzo per servire da segno e presagio ai prigionieri in Egitto e in Assiria (Is 20, 2-4); Geremia portò un giogo sul collo come una bestia da soma (Ger 28, 10…); Ezechiele, steso davanti a una tavoletta d’argilla rappresentante Gerusalemme assediata, doveva mangiare pane cotto su degli escrementi umani (Ez 4); Osea fu costretto ad unirsi ripetutamente ad una prostituta e sposarla dandole dei figli per simboleggiare l’infedeltà d’Israele verso Jahvè (Os 3).
E’ in questa scia che vanno collocate tutte quelle azioni compiute dai Santi, anche nostrani, e che agli occhi del mondo sembrano strane, ridicole, insensate. E’ la pazzia della croce che si oppone alla sapienza del mondo.
(Olivier Clement nell’introduzione a: Irina Gorainoff, I Pazzi in Cristo nella tradizione Ortodossa, ed. Àncora-Milano)

ISAAC
Il primo pazzo in Cristo russo si chiamava Isaac. La sua storia ci è narrata dal celebre scrittore di cronache, Nestore, monaco come lui alla fine del secolo XI nel Monastero delle Grotte, a Kiev.
Ricco mercante, Isaac si era liberato dei suoi beni terreni e si era messo alla rude scuola dell’eremita Antonio, che aveva preso lezioni d’ascetismo al Monte Athos e viveva in una caverna vicino a Kiev. Come residenza Antonio assegnò al suo discepolo una grotta larga quattro cubiti e come cibo gli passava ogni due giorni, attraverso una stretta apertura, una pagnotta e un po’ d’acqua.
Isaac era vestito di una pelle di capro, da poco scuoiato, che aveva incollato al suo cilicio e lasciato seccare sulla nuda pelle. Tutte le sere e a notte tarda cantava dei salmi e faceva prostrazioni finché, vinto dalla fatica, si permetteva di sedersi per dormire, poiché non si coricava mai. Questo genere di vita durò sette anni.
Una notte, mentre si riposava in questo modo e spentasi ormai la candela, una luce brillante illuminò la grotta e due giovani entrarono, con volti risplendenti come soli. «Isaac» dissero «noi siamo angeli e veniamo ad annunciarti la visita di Cristo. Eccolo che viene».
Senza riflettere un secondo, senza neppure fare il segno della croce, il disgraziato si prosternò davanti all’apparizione. Un clamore infernale salutò il suo gesto. Isaac si vide circondato da una sarabanda di diavoli. «Tu sei nostro!» urlavano. «Tu hai salutato il nostro capo». E per tutta la notte lo fecero danzare con loro.
Quando, all’alba, dopo aver pronunziato la preghiera d’uso, Antonio batté alla porta non ebbe nessuna risposta. Isaac era morto? Mandò ad avvertire il superiore che era allora il grande Teodosio. La porta fu forzata e si trovò Isaac steso per terra, inanimato. «E’ opera del demonio», disse Teodosio. Isaac non era morto, ma era divenuto sordo e muto, incapace, come un piccolo bambino, di provvedere ai suoi più elementari bisogni.
Teodosio lo fece trasportare nella propria cella, lo curò e per due anni lo lavò, lo nutrì, gli insegnò a parlare e a camminare. Poi lo condusse, sebbene recalcitrante, in chiesa, di cui esitava a varcare la soglia. Il terzo anno lo condusse in refettorio, ma Isaac rifiutava di mangiare se prima un monaco non gli metteva un pezzo di pane in mano. Teodosio disse: «Bisogna che impari a mangiare da solo». Smisero di nutrirlo e, a poco a poco, «guardando gli altri», imparò.
Guarito, Isaac non volle più vivere sotto terra e scelse di lavorare nella cucina. Veniva considerato un debole di spirito. Imbacuccato in una pelle di capro ricoperta di stracci, le gambe infilate nei cenci, arrivava sempre primo al mattutino e restava immobile, anche se d’inverno i suoi piedi nudi gelavano sul pavimento. Terminata la salmodia, correva in cucina ad accendere il fuoco e a portare l’acqua. I monaci lo prendevano in giro. «Guarda, Isaac» gli disse un giorno il cuciniere «un corvo passeggia nel cortile: prendilo». In segno d’obbedienza, Isaac salutò il cuciniere prostrandosi fino a terra, uscì e portò il corvo. I monaci si guardarono stupiti e il disprezzo verso Isaac si tramutò in rispetto.
Allora, per non esser preso per santo, cominciò a fare l’idiota. Talvolta stuzzicava lo stesso superiore, talvolta, con una buona dose d’umorismo, andava in città a cercare fanciulli e con loro grande gioia li faceva recitare in piccole commedie in cui si parodiavano i difetti dei religiosi, i quali apprezzavano ben poco tale genere di spettacolo: Isaac si faceva bastonare sia dal superiore, sia dai monaci, sia dai suoi parenti.
Dopo la morte di Antonio, Isaac ridiscese sotto terra, installandosi nella grotta, divenuta libera, del grande asceta. I demoni si precipitarono a tormentarlo. Ma questa volta «non li temeva più delle mosche». Verso la fine della vita il suo dominio su di loro era completo. «Mi avete ingannato una volta», diceva loro, «perché non conoscevo ancora le vostre malizie; ma adesso ho con me nostro Signore Gesù Cristo e la preghiera del mio padre Teodosio». I demoni potevano bene invadere la grotta sotto forma di animali selvaggi e di rettili ripugnanti, armarsi di badili e zappe, minacciando di seppellire vivo il recluso, ma questo non serviva a niente. «Tu ci hai vinto, Isaac» dissero prima di scomparire definitivamente dopo tre anni di lotta.

SERAPIONE
Serapione, chiamato il ‘Sindonita’ perché il suo unico indumento era una ‘sindone’, cioè una camicia di lino, è il primo a indossare la livrea della pazzia in Cristo: la nudità.
Monaco, nella sua gioventù imparò a memoria le Sacre Scritture. Ma preferendo alla sicurezza di una cella monastica la fame, la sete, I’insicurezza delle grandi strade, scelse la vita errante e vagabonda.
Seduto un giorno sul bordo della strada, vide un mendicante che tremava dal freddo e gli diede la sua ‘sindone’. «Chi ti ha svestito così?» chiese un passante. «E’ lui» rispose Serapione, indicando il Vangelo che aveva tra le mani.
A Roma intese parlare di una vergine che da vent’anni viveva da reclusa senza ricevere né parlare a nessuno. Riuscì a vederla. «Cosa fai» – chiese «seduta lì tutta sola?». «Io non sono seduta» – rispose «io sono in cammino». «In cammino verso chi?». «In cammino verso Dio». «Sei morta o viva?». «Spero di essere morta al mondo e viva in Dio». «In questo caso» disse Serapione «scendi in strada e vieni a passeggio». Ella protestò. Ma il ‘pazzo’ le fece capire che dicendosi morta al mondo doveva dimostrarlo. Ella si arrese ai suoi argomenti. Arrivati accanto a una chiesa, Serapione disse: «E ora, se vuoi convincermi che sei morta al mondo, spogliati nuda come faccio io e seguimi». Scandalizzata, la vergine rifiutò. «La gente penserà che io sono pazza». «E allora? Se sei morta al mondo, ti riguarda quel che gli altri pensano?». Ella rifiutò. «Vedi, sorella – disse Serapione, – fa’ attenzione a non gloriarti della tua santità e di proclamare che tu sei morta al mondo. Io sono forse più morto di te e lo provo passeggiando nudo senza vergogna».
Di tutti i pazzi in Cristo si dice che sono nudi, senza rifugio, sofferenti per il caldo e il freddo, la sete e la fame. Nudo, il pazzo in Cristo non risveglia la concupiscenza: è l’uomo come Dio l’ha fatto.
Tutta la vita di Serapione trascorse nel soccorrere il prossimo. Si vendette come schiavo a degli attori ambulanti che convertì e a un manicheo che ricondusse alla fede cattolica. Per impedire loro di vendere il corpo, dava denaro alle prostitute.

SIMEONE
Simeone aveva circa sessant’anni quando si fece buffone e pagliaccio per amor di Dio. I primi trent’anni della sua vita li aveva passati presso i suoi genitori «nobili e ricchi». Si era ritirato poi nel deserto, dove, presso il mar Morto, durante un’altra trentina d’anni, si era dedicato, in compagnia del suo amico diacono Giovanni, ai rigori di una esistenza severamente ascetica. Ma, per Simeone, il soggiorno nel deserto era stato soltanto una preparazione a un ministero di carità. «Non ci è utile, fratello, restare qui» e si volge verso il mondo.
Simeone comincia a giocare la commedia, fare delle farse, essere strano fino a diventare colui che, come il clown nel circo, «riceve gli schiaffi».
Il suo ingresso a Emesa, oggi Homs in Siria, vicino ad Antiochia, fu trionfale. Il beato trovò su un letamio fuori città un cane morto. Si tolse la cintura, attaccò il cane per le zampe e lo trascinò così all’interno della città. Dei ragazzacci lo videro e si misero a gridare: «Un monaco pazzo! Un monaco pazzo!». E cominciarono a gettargli pietre e a colpirlo coi bastoni. L’incidente ricorda quello del profeta Eliseo che, andando a Bethel, incontrò una banda di ragazzi che lo seguirono gridando: «Vieni su, pelato!». Si voltò indietro e li maledisse. Due orsi uscirono dal bosco e ne uccisero una quarantina. Simeone non maledice nessuno. Al contrario. Con la sua condotta sembra incoraggiare quelli che lo colpiscono e lo urtano. Talvolta zoppicava, strisciava per terra e prendeva per i piedi i passanti, o battendo per terra coi piedi affermarva di essere posseduto dal demonio, facendo molte cose spiacevoli e comportandosi come un alienato, affinché nessuno potesse crederlo santo».
Frequentava le taverne, passeggiava nudo, senza vergogna, al mercato, mangiando salame il Venerdì Santo.
Durante la liturgia eucaristica, in chiesa, bombardava le donne con nocciole ed entrava nei bagni loro riservati, come per inavvertenza. «Come ti sei sentito là dentro?» chiedeva il diacono Giovanni. «Come un albero tra gli alberi. Non avvertivo il mio corpo. Il mio spirito era occupato da Dio».
Una visita misteriosa che fece a una prostituta diede luogo ai peggiori sospetti prima che si sapesse, dalla bocca della stessa interessata, che il santo vecchio, scoprendo che era rimasta tre giorni senza cibo, le aveva portato di nascosto, pane, vino e carne.
Quanti uomini, con la sua finta pazzia, ha convinto dei loro peccati non confessati: alcuni di impurità, altri di furto, altri ancora di falsa testimonianza. Alcuni li prendeva in disparte, altri pubblicamente, rivolgendosi a loro in parabole, per svegliare la loro coscienza.
Simeone era un pazzo in Cristo completo. Ora attore stuzzicante che adescava il suo pubblico, ora veggente, ora profeta. Nel 588 Simeone predisse il terribile sisma che scosse le città di Beyrut, Biblos e Tripoli. Munito di una frusta, passeggiava tra le colonne degli edifici dicendo ad alcune: «Resistete. Dio ve l’ordina», ad altre invece: «Non cadete, pur senza restare dritte». Le prime resistettero al terremoto, le altre, sebbene lese, non crollarono, mentre il resto sprofondò.
Il pazzo aveva a Emesa una bicocca ricoperta di giunchi nella quale passava le sue notti in preghiera. Solo davanti a Dio, Simeone non era più un vecchio clown ridicolo, ma un bambino che sulla terra aveva soltanto il diacono Giovanni per confidente.
Alcuni giorni prima della sua morte, gli confidò: «Ho visto qualcuno di glorioso che mi diceva: ‘Vieni, pazzo, vieni a ricevere non una sola corona, ma parecchie, per aver salvato molte anime umane’». Dopo di che non lasciò più la sua capanna. Inquieti, i suoi amici mendicanti andarono a vedere se non fosse malato. Lo trovarono morto, steso sotto un tetto di giunchi. Due di loro presero il suo corpo per portarlo «senza canti, né ceri, né incenso» nel luogo dove si seppelliscono i vagabondi. Due giorni dopo, il diacono Giovanni arrivò e pianse amaramente. Andò al cimitero per seppellire il suo amico «in un luogo conveniente», ma aprendo il sarcofago lo trovò vuoto. Gli angeli, pensò, avevano preso i resti di Simeone. Quanto agli abitanti di Emesa, compresero che il « pazzo » non era stato un pazzo, ma un grande santo.
Simeone morì il 21 luglio del 590. Aveva circa settant’anni.

I RACCONTI DELLA PASSIONE DI GESÙ CRISTO

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/b_maggioni_la_passione1.htm

I RACCONTI DELLA PASSIONE DI GESÙ CRISTO

Bruno Maggioni

Prefazione di p. Massimo Casaro, 1996

Prefazione

La fede cristiana è un passaggio, simile al concentrarsi progressivo e sempre più intenso della luce in un raggio. Fino a raggiungere un punto, un solo punto luminosissimo. Il punto luminosissimo è Cristo e la sua luce filtra attraverso lo spessore della croce. Non è luce pervasiva, totale. E’ luce che geme « per le doglie del parto ».
Luce che non può illuminare, che non sa promettere se non filtrando attraverso quello spessore, quell’ombra. Infatti c’è sempre, e sempre ci sarà, la tentazione di: scegliere la gloria senza la carne, la risurrezione senza la croce, la libertà senza i costi della liberazione, i frutti senza la fatica del lavoro… di negare, ignorare o sottovalutare la Sua carne. Ma è il limite dell’uomo, che Dio si è preso per manifestarsi a lui.
Cardo salutis caro! La concretezza della persona di Gesù – la debolezza della sua carne – è lo scandalo ineliminabile della fede in un Dio che è amore, simpatia e solidarietà totale con noi. Ma insieme è anche l’unica salvezza possibile della nostra storia concreta (SILVANO FAUSTI, « LETTERA A SILA »).
La proposta che, in questo libro, il biblista don Bruno Maggioni rivolge al lettore, con l’immediatezza e la concretezza che gli sono abituali è, allora, un fissare lo sguardo su Gesù, un guardare, un ascoltare, per vivere e attendere. Inoltre, per ogni « stazione », abbiamo cercato qualcosa che ampliasse l’eco suscitata dalla passione di Gesù Cristo nel cuore del credente, che rendesse ogni sosta ancora più vera, intensa e fruttuosa.
Una serie di testimonianze letterarie di grandi credenti, dunque, fanno da contrappunto ai passi di Gesù perché diventino il più possibile i passi di ogni discepolo.
p. Massimo Casaro

I testi proposti e commentati in quest’opera sono affrontati, in modo più ampio e approfondito, nel libro di don Bruno Maggioni « I racconti evangelici della passione », ed. Cittadella, Assisi, 1995.

LO SCANDALO DELLA CROCE
La croce: compimento della rivelazione
Prima di entrare nel vivo dell’analisi dei racconti della passione, occorre fare alcune premesse, necessarie non solo per definire il metodo con cui affrontare i testi, ma anche per anticipare alcune convinzioni che sono alla base di tutto il discorso.
Il primo quesito che sorge spontaneo è perché i racconti della passione sono così ampi e simili tra loro. La risposta è significativa: la croce è l’evento più alto e anche più imprevedibile, luogo denso di contraddizioni. E’ qui che i cristiani possono comprendere fino in fondo chi è il loro Dio e che senso ha il compimento messianico.
Nel Nuovo Testamento troviamo diversi modi di parlare della croce, che si possono raggruppare in tre diverse accentuazioni.
Il primo è lo « schema del contrasto ». Si trova, per esempio, negli Atti degli Apostoli, in particolare nei discorsi missionari: gli ebrei hanno appeso il Cristo al legno, ma Dio lo ha fatto risorgere. Con questo schema non solo si cercava di risolvere lo scandalo della croce, ma, soprattutto, si sottolineava la grande importanza della risurrezione, riducendo la passione a un momento di passaggio, non particolarmente carico di significato.
Emerge, dunque, il contrasto tra il modo di pensare degli uomini e il modo di pensare di Dio. Sono due modi opposti di « immaginare » Dio.
Alcuni, guardando Gesù, hanno dichiarato che lì non poteva esserci Dio; altri lo riconoscono proprio per quel tipo di morte e risurrezione. La conversione cristiana, dunque, è prima di tutto una conversione « teologica » che, cioè, riguarda l’idea di Dio, l’immagine di Dio.

Il secondo schema è quello contenuto nell’inno cristo logico della lettera ai Filippesi (2,5 ss.). Paolo, raccontando in questo inno l’intera storia di Gesù, vuole mostrare l’identità del Cristo – vero uomo e vero Dio, due nature in una persona – la cui originalità consiste nel modo in cui si è rivelato. Ecco, allora, che mette in luce soprattutto la logica che ha guidato le varie tappe della vita di Gesù. E la croce rientra in questa logica: ne è il punto culminante. A Paolo interessa dimostrare che la croce di Gesù non è altro che la realizzazione piena, l’andare fino in fondo di un ragionamento partito in Dio. Volendo Dio diventare uomo, ha condiviso la condizione dell’uomo, non un’umanità all’altezza della sua divinità, ma simile a quella di un uomo qualunque. La croce è il punto culminante sia dell’ obbedienza di Gesù, sia della sua condivisione con l’umanità che ha assunto.
Il terzo schema è quello dei testi eucaristici, in cui emerge la dimensione salvifica della croce. La costante di tutti i racconti eucaristici è il « per »: per le moltitudini, per voi, a favore di…
C’è un’altra premessa che fa da pilastro all’ analisi che stiamo per intraprendere. Paolo sia al primo capitolo (dove parla delle due sapienze), sia all’undicesimo (dove è riportato il più antico testo eucaristico) della prima lettera ai Corinti, parla della croce.
Nel primo brano (1 Cor 1,17 ss) Paolo se la prende con i predicatori missionari che non hanno il coraggio di esporre la passione e la croce nella loro chiarezza e cercano di sorvolare questo punto nevralgico con delle attenuanti.
L’apostolo ha davanti agli occhi due tipologie di missionari: quella dei giudei e quella dei pagani. I primi vogliono scolorire lo scandalo della croce, per conciliare insieme la gratuità della salvezza con la necessità delle opere. I secondi valorizzano maggiormente la risurrezione per salvaguardare la potenza di un Dio che è già scandaloso per il semplice fatto di essersi fatto uomo, rinunciando alla sua immagine di essere infinito, assoluto, immobile, immateriale. Il tentativo, dunque, è quello di far apparire la croce un incidente felicemente superato.
Ma c’è anche un’astuzia ancora più sottile che consiste nel voler sostituire la croce con lo slogan « Dio è amore », che si può conciliare con il credo di qualunque altra religione: parliamo di Dio amore e… l’ecumenismo è fatto! Solo che, così, l’evento di Gesù passa in secondo piano. Paolo vuole restituire il primato al crocifisso (scandalo e stoltezza), senza neppure citare la risurrezione, se non implicitamente.
Nel secondo brano (1 Cor 11,23 ss) Paolo, che pure è ben convinto della risurrezione di Gesù, mette bene in risalto la sua morte, e la morte di croce, per invitare i cristiani a fermarsi e a riflettere. Questo perché è fondamentale non vedere la passione e la croce solo come salvezza, ma anche e soprattutto come rivelazione.
Se si sottolinea solo la salvezza è come dire che Gesù è morto esclusivamente per riparare un peccato. Ma la croce è di più, ha un’altra funzione: rivelare fino a che punto Dio si è inserito nella storia dell’uomo, fino a che punto Dio ama l’uomo, condividendone la sua esperienza. Dunque il luogo più rivelatore è la croce, e la risurrezione serve a confermare che il crocifisso è proprio Dio.
Quando un giusto viene condannato, siamo portati a pensare che si ripete la solita storia: i furbi trionfano e gli onesti sono uccisi. L’attenzione si concentra sullo scandalo della giustizia sconfitta. E Gesù è stato condannato. Se dopo tre giorni si sa che quel giusto è risorto, la reazione è immediata: «Meno male che lui ce l’ha fatta». L’attenzione va sulla risurrezione.
Ma se, dopo qualche giorno ancora, si viene a sapere che quello è il Figlio di Dio, questa volta il fatto che stupisce è che un Dio abbia deciso di morire come un uomo qualunque. La meraviglia, dunque, non è tanto che un Dio sia risorto (ci mancherebbe altro che Dio non risorgesse), quanto che un Dio abbia deciso di morire come me.
Questa è la verità della croce, la novità del Figlio di Dio crocifisso. Crocifisso con due ladroni, poi! A dimostrazione del fatto che non solo è morto per i peccatori, ma insieme ai peccatori, confuso con loro, come un ladrone. E’ una novità sconcertante.
Allo stesso modo vanno interpretati la passione e i miracoli. Avendo Gesù fatto i miracoli, la gente era portata a chiedersi: Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo (Mc 15,31-32). Allora, se Gesù non scende dalla croce, pur potendo farlo, significa che ci sarà un motivo, che non è quello della debolezza.
A questo punto, vorrei introdurre una riflessione: questo Dio crocifisso che sconcerta, in realtà è il Dio dell’ amore di cui parlano tutti. Infatti sulla croce è vissuta fino in fondo, nella sua verità, la logica dell’amore. E l’amore, per sua natura, è debole, perché non vuole sopraffare l’altro. Se Dio fosse sceso dalla croce, non avrebbe compiuto fino in fondo il suo gesto d’amore. Ecco come questo Dio, che sembrava così diverso, lo ritrovo familiare, amico. Immaginate che disastro sarebbe stato se Gesù fosse sceso dalla croce! Si sarebbe dimostrato un dio pagano, il dio della potenza, del terremoto, il dio che vuole convincere a ogni costo.
Quando parliamo della futura venuta di Gesù, preannunciamo che sarà « in potenza e gloria ». Ma bisogna intendere bene questa frase, altrimenti si potrebbe pensare che Gesù, visti i risultati deludenti ottenuti con la sua prima venuta nell’amore, abbia deciso di tornare con potenza. Ma così si stravolge la logica del Signore. A questo proposito Luca ci racconta una parabola escatologica: quella del padrone e dei servi. Quando il padrone tornerà, se troverà i servi al lavoro, li farà sedere a tavola e si metterà a servirli. Questa è la natura di Dio: servizio e amore che si dona.
L’attesa del Messia coincide con l’attesa del compimento della storia e noi crediamo che Gesù abbia compiuto questa attesa. Ma quando ci guardiamo intorno e vediamo che le cose continuano come prima, come sempre, ci chiediamo come si deve intendere questo compimento.
Forse si potrebbe dire che il compimento è tutto nell’altra vita. Ma adesso?
Forse si potrebbe dire che il compimento, così come lo ha realizzato Gesù, è il compimento della rivelazione: Gesù ha rivelato fino a che punto Dio ama l’uomo. E più di così, più che rivelarlo dentro la nostra storia, non poteva fare.
Se Dio condivide la storia dell’uomo, vuol dire che la storia ha un valore, benché siano molti i segni che dicono il contrario, e che la storia può essere migliorata attraverso la trasformazione dell’ uomo e delle sue azioni.
Ma il compimento di Gesù parla anche del lato nascosto di Dio. E’ abbastanza naturale che un uomo muoia per Dio, come per la patria, la bandiera, un’idea; è del tutto impensabile invece, anche se noi ce ne siamo un po’ abituati, che Dio muoia per l’uomo. Questa è la novità radicale: il Figlio di Dio è venuto nel mondo per rivelarmi questo aspetto impensabile di Dio, il lato in ombra della luna, quello che gli uomini, con tutta la loro buona volontà, il loro acume, non possono scoprire. Il vangelo, infatti, racconta di più quello che Dio ha fatto e fa per noi, piuttosto che quello che noi dobbiamo fare per lui. Allora il cristiano, il testimone, non deve mostrare al mondo come amare Dio, quanto è disposto a fare per Dio, ma deve mostrare al mondo come Dio lo ama e come Egli ama il mondo, ogni uomo, tutti gli uomini. Solo così morire per i fratelli sarà un vero martirio, una testimonianza.

Crudeltà senza limiti
Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime.
Tranne che una volta. L’Oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un gigante di più di due metri… Aveva al suo servizio un ragazzino, un pipe/, come li chiamavamo noi. Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo. Questo piccolo servitore dell’olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice.
Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell’Oberkapo olandese. E lì, dopo una persecuzione, fu trovata una notevole quantità di armi! L’Oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si sentì più parlare. Ma il suo piccolo pipe/ era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi.
Un giorno che tornavamo dal lavoro, vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipe/, l’angelo dagli occhi tristi.
Le S.S. sembravano più preoccupate, più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco.  » capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo copriva. Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia. Tre S.S. lo sostituirono. I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.
«Viva la libertà!» gridarono i due adulti. Il piccolo, lui, taceva.
«Dov’è il Buon Dio? Ma dov’è?», domandò qualcuno dietro di me. Ad un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.
«Scopritevi!» urlò il capo del campo. La sua voce sembrava rauca. Quanto a noi, noi piangevamo. «Copritevi!».
Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente, il bambino viveva ancora… Per più di mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: «Dov’è dunque Dio?».
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: «Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…».
E. Wiesel, «La notte», Giuntina, Firenze, 1993

L’ebreo Elie Wi esel (1928, vivente), premio Nobel per la pace nel 1986, giornalista e docente all’Università di Boston, non potrà mai dimenticare la sua fanciullezza. Nato nel 1928 in Transilvania, durante la Seconda guerra mondiale viene deportato ad Auschwitz. E’ solo un adolescente, ma non gli viene risparmiato nulla, neppure di assistere all’impiccagione di un coetaneo. Nel suo librodiario « La notte » rievoca l’agghiacciante episodio riportato.

La sala del Cenacolo conserva l’architettura gotica con la quale fu restaurata nel XIV secolo

La sala del Cenacolo conserva l'architettura gotica con la quale fu restaurata nel XIV secolo dans immagini sacre c04_jason_harman_1
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Publié dans:immagini sacre |on 24 février, 2015 |Pas de commentaires »
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