Archive pour le 29 janvier, 2015

Mosaic of Finding the Child Jesus in the Temple, Saint Louis, called « Rome on the West »

Mosaic of Finding the Child Jesus in the Temple, Saint Louis, called

http://www.romeofthewest.com/2005_10_01_archive.html

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GIOVANNI PAOLO II – SALMO 62, 2-9: L’ANIMA ASSETATA DEL SIGNORE

http://www.ansdt.it/Testi/Liturgia/Papa/

GIOVANNI PAOLO II

SALMO 62, 2-9: L’ANIMA ASSETATA DEL SIGNORE

(Lodi Domenica 1ª settimana)

terza Catechesi di SS. Giovanni Paolo II su i Salmi e i Cantici delle Lodi
(mercoledì 25 aprile 2001)

1. Il Salmo 62, sul quale oggi ci fermiamo a riflettere, è il Salmo dell’amore mistico, che celebra l’adesione totale a Dio, partendo da un anelito quasi fisico e raggiungendo la sua pienezza in un abbraccio intimo e perenne. La preghiera si fa desiderio, sete e fame, perché coinvolge anima e corpo.
Come scrive santa Teresa d’Avila, “la sete esprime il desiderio di una cosa, ma un desiderio talmente intenso che noi moriamo se ne restiamo privi” (Cammino di perfezione, c. XXI). Del Salmo la liturgia ci propone le prime due strofe che sono appunto incentrate sui simboli della sete e della fame, mentre la terza strofa fa balenare un orizzonte oscuro, quello del giudizio divino sul male, in contrasto con la luminosità e la dolcezza del resto del Salmo.
2. Iniziamo, allora, la nostra meditazione col primo canto, quello della sete di Dio (cfr vv. 2-4). È l’alba, il sole sta sorgendo nel cielo terso della Terra Santa e l’orante comincia la sua giornata recandosi al tempio per cercare la luce di Dio. Egli ha bisogno di quell’incontro col Signore in modo quasi istintivo, si direbbe “fisico”. Come la terra arida è morta, finché non è irrigata dalla pioggia, e come nelle screpolature del terreno essa sembra una bocca assetata e riarsa, così il fedele anela a Dio per essere riempito di Lui e per potere così esistere in comunione con Lui.
Il profeta Geremia aveva già proclamato: il Signore è “sorgente d’acqua viva”, e aveva rimproverato il popolo per aver costruito “cisterne screpolate, che non tengono l’acqua” (2,13). Gesù stesso esclamerà ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me” (Gv 7,37-38). Nel pieno meriggio di un giorno assolato e silenzioso, promette alla donna samaritana: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).
3. La preghiera del Salmo 62 s’intreccia, per questo tema, col canto di un altro stupendo Salmo, il 41: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente” (vv. 2-3). Ora, nella lingua dell’Antico Testamento, l’ebraico, “l’anima” è espressa con il termine nefesh, che in alcuni testi designa la “gola” e in molti altri si allarga ad indicare l’essere intero della persona. Colto in queste dimensioni, il vocabolo aiuta a comprendere quanto sia essenziale e profondo il bisogno di Dio; senza di lui vien meno il respiro e la stessa vita. Per questo il Salmista giunge a mettere in secondo piano la stessa esistenza fisica, qualora venga a mancare l’unione con Dio: “La tua grazia vale più della vita” (Sal 62,4). Anche nel Salmo 72 si ripeterà al Signore: “Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre… Il mio bene è stare vicino a Dio” (vv. 25-28).
4. Dopo il canto della sete, ecco modularsi nelle parole del Salmista il canto della fame (cfr Sal 62,6-9). Probabilmente, con le immagini del “lauto convito” e della sazietà, l’orante rimanda a uno dei sacrifici che si celebravano nel tempio di Sion: quello cosiddetto “di comunione”, ossia un banchetto sacro in cui i fedeli mangiavano le carni delle vittime immolate. Un’altra necessità fondamentale della vita viene qui usata come simbolo della comunione con Dio: la fame è saziata quando si ascolta la Parola divina e si incontra il Signore. Infatti, “l’uomo non vive soltanto di pane, ma l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3; cfr Mt 4,4). E qui il pensiero del cristiano corre a quel banchetto che Cristo ha imbandito l’ultima sera della sua vita terrena e il cui valore profondo aveva già spiegato nel discorso di Cafarnao: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,55-56).
5.Attraverso il cibo mistico della comunione con Dio “l’anima si stringe” a Lui, come dichiara il Salmista. Ancora una volta, la parola “anima” evoca l’intero essere umano. Non per nulla si parla di un abbraccio, di uno stringersi quasi fisico: ormai Dio e uomo sono in piena comunione e sulle labbra della creatura non può che sbocciare la lode gioiosa e grata. Anche quando si è nella notte oscura, ci si sente protetti dalle ali di Dio, come l’arca dell’alleanza è coperta dalle ali dei cherubini. E allora fiorisce l’espressione estatica della gioia: “Esulto di gioia all’ombra delle tue ali”. La paura si dissolve, l’abbraccio non stringe il vuoto ma Dio stesso, la nostra mano s’intreccia con la forza della sua destra (cfr Sal 62,8-9).
6. In una lettura del Salmo alla luce del mistero pasquale, la sete e la fame che ci spingono verso Dio, trovano il loro appagamento in Cristo crocifisso e risorto, dal quale giunge a noi, mediante il dono dello Spirito e dei Sacramenti, la vita nuova e l’alimento che la sostiene.
Ce lo ricorda san Giovanni Crisostomo, che commentando l’annotazione giovannea: dal fianco “uscì sangue e acqua” (cfr Gv 19,34), afferma: “Quel sangue e quell’acqua sono simboli del Battesimo e dei Misteri”, cioè dell’Eucaristia. E conclude: “Vedete come Cristo congiunse a se stesso la sposa? Vedete con quale cibo nutre tutti noi? È dallo stesso cibo che siamo stati formati e veniamo nutriti. Infatti come la donna nutre colui che ha generato con il proprio sangue e latte, così anche Cristo nutre continuamente col proprio sangue colui che egli stesso ha generato” (Omelia III rivolta ai neofiti, 16-19 passim: SC 50 bis, 160-162).

(da L’Osservatore Romano di giovedì 26 aprile 2001)

LA PREGHIERA DI DOMANDA – DI SŒUR JEANNE D’ARC O.P.

http://ora-et-labora.net/preghieradomanda.html

TRATTO DA « L’EPIPHANIE – SOISY SUR SEINE »CAHIERS SUR L’ORAISON“ N°59 MARS 1963- LA PRIÈRE DE DEMANDE

DI SŒUR JEANNE D’ARC O.P. (LIBERA TRADUZIONE: IN FONDO (sul sito) IL TESTO ORIGINALE IN LINGUA FRANCESE)

LA PREGHIERA DI DOMANDA

Dio è creatore. L’Onnipotente dà l’esistenza; e a ogni essere, così come egli è, egli dà una certa partecipazione alle sue insondabili ricchezze: la vita, una parte di conoscenza e di attrazione proporzionale ad ogni grado dell’ essere; al limite: lo spirito, la luce e l’amore … A queste creature spirituali dà se stesso, nella grazia e poi nella gloria.
Dio dona. Dio, poiché egli è l’amore, diffonde liberamente tutti i beni.
Quando crea, questo atto, se così si può dire, non è difficile per lui: egli non incontra alcun ostacolo alla sua generosità.
Ma poi, durante tutta la nostra vita, quando desidera supplirci, gli occorre un’arte e un’infinita pazienza con noi: siamo spesso refrattari ai migliori doni; o non riusciamo a riconoscerli, o ce ne serviamo come se fossero un ornamento per la nostra vanità; come un alimento per il nostro orgoglio.
Ed è per questo che nella sua saggezza ha istituito la preghiera di domanda. E c’è spesso nel Vangelo: chiedete! Chiedete e vi sarà dato. Chi cerca trova … Chiedete.
Quando gli Apostoli chiedono a Cristo: « Signore, insegnaci a pregare » (Lc.1l, l), egli non fa loro un trattato sulla preghiera. Insegna loro a chiedere: cosa chiedere e come chiedere. Egli formula per noi queste richieste che costituiscono la preghiera perfetta del figlio del Padre.
Accade, però, che la preghiera di domanda sia a volte molto disprezzata dagli « spirituali », che credono che altre forme siano più elevate, come 1′adorazione, la lode, il ringraziamento. In realtà, molte persone conoscono solo una forma rudimentale della preghiera di domanda, molto vicina ad alcune pratiche magiche o infra-religiose: preghiamo per ritrovare la propria borsa, si fanno dire messe per superare un esame… Indubbiamente occorre chiedere i doni materiali: panem nostrum quotidianum – ma nella misura in cui sono necessari come il pane, e nella misura in cui essi sono ordinati ai beni essenziali.
Una volta che un’anima comincia ad avvicinarsi al Signore, diventa un po’ più consapevole della grandezza di Dio e del primato dello spirituale; ed è bene che rifiuti, nella misura in cui sono impure e facilmente egoistiche, le richieste interessate, sempre aggrappate ad oggetti materiali e immediati.
Ma sarebbe un peccato se nello stesso tempo cominciasse ad ignorare la grandezza e la assoluta necessità della preghiera di domanda, quella che riguarda i più veri beni: in primo luogo ciò che riguarda la gloria di Dio, l’avanzamento del regno, l’aggregazione di tutti i popoli e tutte le nazioni nell’ovile del solo Pastore, il ritorno del Signore… E anche i beni spirituali di cui noi abbiamo bisogno ora: tutte le grazie, le virtù, le luci …
Ma questi beni, non è Dio stesso che vuole donarceli? Sicuramente, egli vuole darceli. Ed è per questo che ce li fa domandare.
Qui cominciamo ad intravedere la doppia funzione della preghiera di domanda: da essa noi riconosciamo in primo luogo che tutti questi beni provengono da Dio, e questo è un valore di omaggio insostituibile. E inoltre la domanda scava in noi il passaggio per i beni che chiediamo: ci mette in un atteggiamento di umiltà che lascia Dio libero di colmarci secondo la sua misura divina.
Dobbiamo chiedere i beni spirituali con perseveranza, con violenza, come Giacobbe che lotta davanti all’angelo:  » Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto! » (Gn.32,27) Bisogna stancare Dio con un’insistenza ostinata, scuotendo la porta fino a farla cedere.
Questa è la lezione di quelle meravigliose parabole sulla preghiera, quella dell’amico importuno che chiede tre pani; e lui che riposa nella sua casa, determinato a fare il sordo, finalmente si alza: gli dà i pani, non perché è commosso dal bisogno dell’altro, non perché è generoso; non perché il richiedente è un suo amico, ma per stare in pace. L’importuno ha fatto un tale subbuglio che in casa sono ormai tutti svegli. E lo fa con tanta insistenza, si capisce che non se ne andrà via, ecco i suoi tre pani e ci lasci in pace!
E ancora più audace la parabola del giudice iniquo – il Padre che ci ama paragonato a un giudice ingiusto! Alla fine fa giustizia alla vedova che reclama la sua eredità, non perché lei ha ragione, non perché è giusto, non perché ha pietà di lei, ma « importunitatem propter » perché la sua importunità ha superato il limite.
Sappiamo gridare abbastanza forte per chiedere quello che ci è più necessario del pane: la grazia, la fede e l’amore….? Sappiamo importunare abbastanza Dio per i beni che sono realmente parte della nostra eredità? Se siamo veramente figli adottivi, noi abbiamo « diritto », in questa logica ammirevole della grazia, a tutta l’eredità: e comprende tutto ciò che costituisce una vita cristiana, tutto ciò che ci rende capaci di vivere come figli della luce, secondo le Beatitudini e il Discorso della Montagna.
Allo stesso modo i beni del Regno fanno parte dell’eredità della Chiesa. E dobbiamo chiederli: che tutti gli uomini conoscano il Padre e colui che egli ha inviato, Gesù Cristo; la riunificazione del popolo di Dio, l’unità dei cristiani e la pace nel mondo …
L’eredità dipende solo dalla libera volontà di Dio. Ma possiamo reclamarla con clamore in quanto lui stesso ci ha adottati. Sappiamo insistere abbastanza, implorare, supplicare, senza mai stancarci (Lc.18,l)? Bisogna insistere quanto la vedova che si sfinisce nel domandare. Occorre chiedere come i poveri mendicanti di una volta molestavano un turista apparentemente agiato. E’ un’eccellente preghiera.
A volte non sappiamo cosa dire o fare durante la nostra preghiera? Imploriamo.
Il Signore è nel suo paradiso con tutti i suoi beati nel riposo dell’ottavo giorno, ed egli ci lascia lì, privi di tutti quei beni così necessari che non gli costerebbero nulla! Occorre insistere e agitare la porta fino a quando finalmente si decide a farci l’elemosina di un po’di questo pane. Gridiamo incessantemente:
Dammi l’umiltà, dammi l’umiltà, dammi l’umiltà…
Oppure: dammi la fede… dammi la carità…
E di nuovo: dona ai cristiani l’unità…
Poi, se ci accorgiamo di essere sul punto di cedere:
Dammi la perseveranza nella domanda, dammi la forza di insistere abbastanza di fronte a te…
Questi beni, Dio ce li vuole dare molto di più di quanto noi possiamo desiderare di averli, perché egli conosce meglio di noi il loro prezzo, e un po’ della sua gloria dipende dalla santità dei suoi figli. Se egli vuole che noi li chiediamo, è perché non c’è modo migliore per renderci capaci di riceverli: la preghiera aumenta l’intensità del desiderio; apre nella nostra anima la capacità di accogliere; crea già in noi l’atteggiamento che corrisponde a ciò che noi chiediamo.
Chiedere la carità in questo modo è, allo stesso tempo, aumentare la propria carità.
Richiedere la fede è già un atto di fede: lo si sa bene quando si arriva a far decidere un non credente!
E quale migliore atto di umiltà della perseveranza a mendicare umilmente l’umiltà: è riconoscere che non l’abbiamo per niente e che solo Dio può svilupparla in noi.
Allo stesso modo il fatto di pregare il Signore insieme per raggiungere l’unità, unisce già i cristiani nella supplica concorde e tramite essa.
A forza di aver così pregato, forse finalmente ci saremo aperti e Dio potrà colmarci senza troppi rischi; la domanda umile e perseverante avrà forse ridotto i nostri riflessi di vanità o di orgoglio; l’insistenza a chiedere supplicando avrà inscritto nella parte più profonda del nostro cuore la fiducia che tutti questi beni sono doni gratuiti della liberalità divina.
E allo stesso tempo la preghiera di domanda così concepita è uno dei migliori tributi che possiamo rendere al Signore, alla sua onnipotenza, alla sua bontà, alla sua paternità: essa afferma concretamente il suo dominio assoluto su ogni essere e su ogni bene.
Fatta in queste condizioni, la preghiera di domanda è necessariamente efficace. Ed è per questo che si conclude in rendimento di grazia, nella fede. Ma la sua prima efficacia è di insegnarci che tutto è grazia.

Publié dans:preghiera (sulla) |on 29 janvier, 2015 |Pas de commentaires »

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