Archive pour décembre, 2014

LA GUADALUPANA ((tradicional)

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(metto il canto in spagnolo, ma messicano, credo antico, comunque io lo sento cantare da decine di anni nella Basilica dove vado a messa perché ci sono molti frati di origine sud americana, io lo spagnolo lo capisco un poco, ma non l’ho mai studiato, metto il testo in lingua spagnola sotto questo, con un buon traduttore si capisce, per me Google o Reverso)

Publié dans:musica sacra, MUSICA SACRA |on 11 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

LA GUADALUPANA – TESTO

http://lyricskeeper.it/it/various-artists/la-guadalupana.html

LA GUADALUPANA – TESTO

DESDE EL CIELO UNA HERMOSA MAÑANA
DESDE EL CIELO UNA HERMOSA MAÑANA,
LA GUADALUPANA, LA GUADALUPANA, LA GUADALUPANA
BAJÓ AL TEPEYAC (2)

Suplicante juntaba sus manos (2)
Y eran mexicanos (3)
Su porte y su faz

Su llegada llenó de alegría (2)
De luz y armonía (3)
Todo el Anáhuac

Junto al monte pasaba Juan Diego (2)
Y acercóse luego (3)
Al oír cantar

A Juan Diego la Virgen le dijo (2)
Este cerro elijo (3)
Para hacer mi altar

Y en la tilma entre rosas pintada (2)
Su imagen amada (3)
Se dignó dejar

Desde entonces para el mexicano (2)
Ser guadalupano (3)
Es algo esencial

En sus penas se postra de hinojos (2)
Y eleva sus ojos (3)
Hacia el Tepeyaca

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LA MADONNA DI GUADALUPE

http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/forum/GUADALUPE-Madonna_di_Guadalupe.html

dal sito Don Bosco, Torino

Ho letto recentemente su una rivista della visita del Papa in Messico, e in particolare al Santuario di Guadalupe per la canonizzazione del protagonista di quelle apparizioni. Potrei sapere qualcosa di più preciso sulle apparizioni della Madonna e quindi sul perchè della costruzione di quel grande santuario, che è così famoso da meritare la solenne visita di Giovanni Paolo II nel luglio 2002? Grazie.
Anna Maria Palmas – Genova

LA MADONNA DI GUADALUPE:

La devozione a Maria, nel corso dei secoli, si è arricchita con l’evoluzione e i cambiamenti culturali della società, e si è espressa in tanti luoghi, mediante un culto continuo e costante, pieno di fervore, che ha manifestato l’autenticità di tutte le espressioni di fede e di amore verso Maria. Ci sono però, luoghi privilegiati che spiccano per l’intensità che suscitano e le moltitudini che attirano.

Sintesi storica della devozione guadalupana
Uno di questi luoghi è Guadalupe, qui Maria è venerata sotto la figura di una ragazza mite, umile e semplice, che appartiene al popolo. Questo rappresenta un felice incontro di due razze: la spagnola e l’atzeca. Maria, è l’Immacolata che appare all’indigeno Juan Diego ai piedi di una collina, vicino all’allora Gran Tenochtitlan, capitale del popolo azteco, oggi Città del Messico, capitale della Nuova Spagna.
Maria si presenta a Juan Diego come la Madre del Dio vivente, il Dio che dà la vita, il creatore, e chiede a Juan di andare dal Vescovo per manifestargli che è sua volontà che si costruisca un gran tempio nel quale mostrare e dare tutto il suo amore, compassione, aiuto e difesa. La donna si autodefinisce Maria: “Io sono la vostra madre pietosa… a te e a tutti gli abitanti di questa terra che mi invocano e in me confidano, io esaudirò le loro preghiere, asciugherò le lacrime, rimedierò le miserie e i dolori e vi farò vedere la mia clemenza”.
Il Vescovo, il francescano Fray Juan De Zumarraga, alle parole di Juan non crede. Allora, Juan, mortificato, torna da Maria e la supplica di inviare qualcuno di più importante. La Madonna, invece, lo prega di recarsi di nuovo in quel posto il giorno seguente… Juan Diego arrivando a casa sua trova lo zio Juan Bernardino in punto di morte, e dovendo tornare in città alla ricerca di un sacerdote, per l’unzione degli infermi, allunga il giro per evitare di attraversare il posto dove lo attende la Madonna. Maria, allora, gli viene incontro, ed inizia con lui un dialogo meraviglioso, d’ispirazione biblica, dove il povero, il semplice, l’umile indigeno dialoga con Maria che afferma essere sua madre: “Non sono io forse tua Madre? Non sei tu forse sotto la mia protezione? Non deve turbarsi il tuo cuore, non ti spaventare né deve preoccuparti cosa alcuna… Non sei forse nel mio grembo? Di che hai bisogno?” (dal Nican Mopohua, testo originale scritto in Náhuatl, contiene la narrazione più antica delle apparizioni guadalupane).
Maria chiede a Juan Diego di recarsi sul monte vicino a prendere delle rose, rose fresche di Castiglia; mai viste in quella terra. Juan Diego sale sulla collina del Tepeyac, trova i fiori, li prende e li colloca nella sua tilma, – il tipico mantello dei contadini di quella zona –, la Madonna tocca i fiori e invia Juan dal Vescovo. Quando Juan Diego giunge davanti al Vescovo, lascia cadere le rose e in quel momento… compare impressa sul mantello, l’immagine miracolosa della Madonna di Guadalupe.
Questa immagine non è né dipinta, né stampata, ma è un’impressione molto simile a quella della Sindone di Torino; è stata studiata con tutti i mezzi tecnologici più avanzati, e mai si è potuta trovare una spiegazione naturale alla formazione dell’immagine della Madonna sulla tilma di Juan Diego.
Dal 1531, l’immagine si conserva miracolosamente su un mantello, fatto di un tessuto vegetale, che dovrebbe avere una vita di non più di 10 o al massimo 15 anni, perché prodotto da una fibra di agave.
In 470 anni, il fenomeno guadalupano è diventato il fenomeno mariano che costituisce il cuore del Messico, della sua storia e della sua cultura. Le persecuzioni non sono riuscite a fare allontanare il popolo dalla sua devozione, anzi nel nome di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe sono stati massacrati e martirizzati innumerevoli messicani.
Maria ha chiesto a Juan Diego la costruzione di un tempio. Questo tempio ormai non è più solo un tempio materiale, anche se questo esiste ed è bellissimo con una capienza di circa 15 mila fedeli, è in realtà un tempio spirituale che è la Chiesa viva.

La Madonna di Guadalupe e il Papa Giovanni Paolo II
Due anni fa, Papa Giovanni Paolo II si è recato per la quarta volta nel suo Pontificato in Messico, e nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe ha consegnato all’episcopato di tutta l’America il documento “Ecclesia in America” sottolineando l’impegno per la Nuova Evangelizzazione del “Continente della speranza”.
In quel momento, il Papa lasciò parlare il suo cuore di Padre e Maestro della fede, di successore di Pietro, e con una bellissima preghiera alla Madonna ricordò l’inizio del suo pontificato.
Infatti, nel gennaio 1979, dopo 80 giorni di pontificato, aveva realizzato il suo primo viaggio apostolico all’estero proprio in Messico, all’assemblea del CELAM nella città di Puebla. Il Papa stesso confessava, e più volte ha confermato, che quegli incontri con milioni di persone che erano accorsi a trovarlo, lo hanno colpito così tanto, che ha capito che il Signore lo inviava per essere pastore dei popoli, e segnava per lui il carisma dell’incontro con le moltitudini. Ciò che si è verificato in tutti i suoi viaggi apostolici per il mondo. Si dice che gli incontri del ’79 nel Messico, sono diventati le concentrazioni di persone più numerose nella storia dell’umanità.
Il Papa, allora, con il candore di un figlio pieno di amore e tenerezza verso la sua Mamma, ha parlato alla Madonna di Guadalupe e le ha affidato tutta la Chiesa, il suo iniziale pontificato che avrebbe guidato l’umanità fino alle soglie del 2000. Noi che, in quel momento, eravamo attorno al Papa, abbiamo capito subito che il “Totus tuus” di Giovanni Paolo II sarebbe diventato il motivo unificante di tutto il suo Pontificato.
E oggi, 24 anni dopo, vediamo la trasformazione del corso della storia e della geografia del mondo avvenuta sotto il suo pontificato. Ci troviamo davanti alla forza della parola, della verità, della carità di Cristo, e l’umiltà del figlio che sa che è portatore del dinamismo di Cristo e del suo Vangelo che a lui è stato affidato: Tu es Petrus.
Quest’anno, il suo entusiasmo e coraggio, malgrado la malattia, lo hanno portato per la quinta volta in Messico, per la canonizzazione di Juan Diego, dopo l’incontro della gioventù a Toronto.

Due devozioni celebrando l’ausilio di Maria
In un pellegrinaggio spirituale, che collega la Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino-Valdocco con la Basilica di Nostra Signora di Guadalupe in Messico, ci troviamo con milioni di fedeli che in questi due Santuari-Basiliche: L’Ausiliatrice a Torino e Guadalupe in Messico, ascoltano le stesse parole che Maria ha rivolto all’indigeno Juan Diego: “Io sono la Madre del vero Dio per il quale si vive, del Dio Creatore davanti al quale tutto è presente, del Signore del Cielo e della terra”.
Salutiamo Maria aurora della salvezza per l’umanità, la stella radiante del mattino che precede l’aurora, Madre del sole che porta alla terra luce, calore, amore.
Salutiamo Maria presente nella storia della salvezza e che interviene anche nella storia della Chiesa. Maria portatrice di fede e di speranza, Maria che riempie d’amore l’intera umanità, Maria assunta in cielo, Immacolata, piena di grazia, donna benedetta fra tutte le donne, Maria che è diventata la Madre, l’Ausiliatrice, l’Avvocata, il Rifugio dei credenti.
Maria presente nella nostra America, nel cuore del Messico, nei momenti che segnano una svolta nella storia del nuovo popolo di Dio. Maria che apre la strada al Vangelo del suo Figlio divino nella nostra America e segna l’incontro delle due culture: l’europea e l’indigena.
Incontro che ha favorito l’incarnazione del Vangelo in un intero Continente pieno, già allora, anche di storia, di sensibilità, di ricche e varie culture che risalendo a parecchi secoli prima hanno preparato l’arrivo del Vangelo attraverso una religiosità veemente, vissuta, profondamente radicata nel pensiero e nelle manifestazioni religiose autentiche e vere delle culture precolombiane che sono state la struttura portante sulla quale il Vangelo di Gesù si è incarnato.
Così, Maria diventa la Madre della fratellanza fra le razze. Storicamente presente – e questo è un fatto reale – su uno stendardo che riproduceva l’immagine della Madonna di Guadalupe, così come ce lo presentano alcuni dipinti della battaglia di Lepanto.

Maria madre dei poveri, dei deboli, dei lontani
Dopo 10 anni dalla conquista del Messico, la Madonna di Guadalupe si presenta come la Madre di Dio, del vero Dio, del Dio vivente, del Dio che dà l’essere e favorisce l’agire della persona, del Dio Creatore. Lei è la Madre del Logos, del Verbo del Signore che riempie di senso tutta la storia.
Maria che parla all’indigeno Juan Diego e parla colla tenerezza del linguaggio biblico, dell’incontro di Dio con gli ’anawim, con i poveri, con i più lontani, con i più piccoli, ancora oggi ci commuove nel sentire la dolcezza delle sue parole. Lo stesso Juan Diego che è stato canonizzato in questi mesi rappresenta tutti gli indigeni che hanno accolto il Vangelo di Gesù con semplicità, speranza e fiducia, diventata poi carità, coerenza morale, distacco e povertà evangelica.
Maria è per l’America la fonte dove il Vangelo di Cristo è scaturito come acqua, luce, vita, pane per dare la vita a tutti. Centinaia di vocazioni bellissime, ancorate nelle più belle tradizioni di vera devozione popolare, la rendono presente ovunque, in tutte le nazioni dell’America. Maria, come in una nuova Pentecoste per l’America, è presente e accompagna lo Spirito del Signore, ispira i più bei sentimenti e propositi di vita cristiana, sostiene gli sforzi d’impegno pastorale, le cause sociali più emergenti ed urgenti che tanto fanno soffrire milioni di poveri nelle nostre nazioni.
P. Thelían A. Corona Cortés SDB – Mexico

Modello di evangelizzazione
È commovente leggere le narrazioni guadalupane, scritte con delicatezza ed intrise di tenerezza. In esse la Vergine Maria, la serva “che glorifica il Signore” (Lc 1,46), si manifesta a Juan Diego come la Madre del vero Dio. Ella gli dona, come segno, alcune rose preziose e lui, quando le mostra al Vescovo, scopre raffigurata sul suo mantello la benedetta immagine di Nostra Signora. L’evento guadalupano significò l’inizio dell’evangelizzazione con una vitalità che superò ogni aspettativa. Il messaggio di Cristo, attraverso sua Madre, riprese gli elementi centrali della cultura indigena, li purificò e diede loro il definitivo significato di salvezza. Pertanto, Guadalupe e Juan Diego possiedono un profondo significato ecclesiale e missionario e sono un modello di evangelizzazione perfettamente inculturata.

Giovanni Paolo II,Omelia al santuario di Guadalupe 31 luglio 2002

Insegnaci la via
Benedetto Juan Diego, indio buono e cristiano, che il popolo semplice ha sempre considerato come un vero santo! Ti chiediamo di accompagnare la Chiesa pellegrina in Messico, perché ogni giorno sia sempre più evangelizzatrice e missionaria. Felice Juan Diego, uomo fedele ed autentico! Ti affidiamo i nostri fratelli e sorelle, perché sentendosi chiamati alla santità, impregnino tutti gli ambiti della vita sociale con lo spirito evangelico. Benedici le famiglie, sostieni gli sposi nel loro matrimonio, appoggia gli sforzi dei genitori per educare cristianamente i loro figli. Guarda benigno il dolore di quanti soffrono nel corpo e nello spirito, di quanti patiscono povertà, solitudine, emarginazione o ignoranza. Che tutti, governanti e sudditi, agiscano sempre secondo le esigenze della giustizia e il rispetto della dignità di ogni uomo, perché così si consolidi la vera pace. Amato Juan Diego, “l’aquila che parla”! Insegnaci il cammino che conduce alla Virgen Morena del Tepeyac, affinché Ella ci accolga nell’intimo del suo cuore, giacché Ella è la Madre amorosa e compassionevole che ci conduce fino al vero Dio. Amen.

Giovanni Paolo II Omelia al santuario di Guadalupe 31 luglio 2002

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BENEDETTO XVI: SOLENNITÀ DELLA B.V.M. DI GUADALUPE, BASILICA VATICANA, 12 dicembre 2011

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2011/documents/hf_ben-xvi_hom_20111212_america-latina_it.html

CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER IL BICENTENARIO DELL’INDIPENDENZA
DEI PAESI DELL’AMERICA LATINA E DEI CARAIBI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

SOLENNITÀ DELLA B.V.M. DI GUADALUPE, BASILICA VATICANA

Lunedì, 12 dicembre 2011

Cari fratelli e sorelle,

«La terra ha dato il suo frutto» (Sal 67, 7). In questa immagine del salmo che abbiamo ascoltato, nella quale s’invitano tutti i popoli e le nazioni a lodare con gioia il Signore che ci salva, i Padri della Chiesa hanno saputo riconoscere la Vergine Maria e Cristo, suo Figlio: «La terra è santa Maria, la quale viene dalla nostra terra, dal nostro lignaggio, da questa creta, da questo fango, da Adamo [...]. La terra ha dato il suo frutto: prima produsse un fiore [...]; poi questo fiore si trasformò in frutto, affinché potessimo mangiarlo, affinché mangiassimo la sua carne. Volete sapere qual è questo frutto? E il Vergine che procede dalla Vergine; il Signore, dalla schiava; Dio, dall’uomo; il Figlio, dalla Madre; il frutto, dalla terra» (San Girolamo, Breviarum in Psalm. 66; PL 26, 1010-1011). Anche noi oggi, esultando per il frutto di questa terra diciamo «Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti» (Sal 67, 4). Proclamiamo il dono della redenzione ottenuta da Cristo e in Cristo riconosciamo il suo potere e la sua maestà divina.
Animato da questi sentimenti, saluto con affetto fraterno i signori cardinali e vescovi che ci accompagnano, le diverse rappresentanze diplomatiche, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, come pure i gruppi di fedeli riuniti in questa Basilica di San Pietro per celebrare con gioia la solennità di Nostra Signora di Guadalupe, Madre e Stella dell’Evangelizzazione in America.
Tengo presenti anche tutti coloro che si uniscono spiritualmente e che pregano Dio con noi nei diversi Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, molti dei quali in questo tempo festeggiano il Bicentenario della loro indipendenza, e che, al di là degli aspetti storici, sociali e politici degli eventi, rinnovano all’Altissimo la loro gratitudine per il grande dono della fede ricevuta, una fede che annuncia il Mistero redentore della morte e della resurrezione di Gesù Cristo, affinché tutti i popoli della terra in Lui abbiano vita. Il Successore di Pietro non poteva lasciar passare questa ricorrenza senza tener presente la gioia della Chiesa per i copiosi doni che Dio nella sua infinità bontà ha elargito in questi anni a queste amatissime nazioni, che dal più profondo invocano Maria Santissima.
La venerata immagine della Morenita del Tepeyac, dal volto dolce e sereno, impressa sul mantello dell’indio san Juan Diego, si presenta come «la sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio per il quale si vive» (De la lectura del Oficio. Nicán Mopohua, 12 ed., Città del Messico, df, 1971, 3-19). Ricorda la «donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta» (Ap 12, 1-2) e indica la presenza del Salvatore alla sua popolazione indigena e meticcia. Ci conduce sempre al suo divino Figlio, il quale si rivela come fondamento della dignità di tutti gli esseri umani, come un amore più forte delle forze del male e della morte, essendo anche fonte di gioia, fiducia filiale, consolazione e speranza.
Il Magnificat, che proclamiamo nel Vangelo, è «il cantico della Madre di Dio e quello della Chiesa, cantico della Figlia di Sion e del nuovo Popolo di Dio, cantico di ringraziamento per la pienezza di grazie elargite nell’Economia della salvezza, cantico dei “poveri”, la cui speranza si realizza mediante il compimento delle promesse fatte “ai nostri padri”» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2619). In un gesto di riconoscenza al suo Signore e di umiltà della sua serva, la Vergine Maria leva a Dio la lode per tutto quello che Egli ha fatto a favore del suo popolo, Israele. Dio è Colui che merita tutto l’onore e la gloria, l’Onnipotente che fa meraviglie per la sua fedele servitrice e che oggi continua a mostrare il suo amore per tutti gli uomini, in particolare per quanti affrontano dure prove.
«Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino (Zc 9, 9), abbiamo ascoltato nella prima lettura. Dall’incarnazione del Verbo, il Mistero divino si rivela nell’evento di Gesù Cristo, che è contemporaneo a ogni persona umana in qualsiasi tempo e luogo per mezzo della Chiesa, della quale Maria è Madre e modello. Per questo, noi oggi possiamo continuare a lodare Dio per le meraviglie che ha compiuto nella vita dei popoli latinoamericani e del mondo intero, manifestando la sua presenza nel Figlio e nell’effusione del suo Spirito come novità di vita personale e comunitaria. Dio ha nascosto queste cose «ai sapienti e agli intelligenti», facendole conoscere ai piccoli, agli umili, ai puri di cuore (cfr. Mt 11, 25).
Con il suo «sì» alla chiamata di Dio, la Vergine Maria manifesta fra gli uomini l’amore divino. In tal senso, con semplicità e cuore di madre, continua a indicare l’unica Luce e l’unica Verità: suo Figlio Gesù Cristo, che è «la risposta definitiva alla domanda sul senso della vita, agli interrogativi fondamentali che assillano anche oggi tanti uomini e donne del Continente americano» (Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in America, n. 10). Allo stesso modo, Lei «con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna. Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata» (Lumen gentium, n. 62).
Al momento attuale, mentre si commemora in diversi luoghi dell’America Latina il Bicentenario della loro indipendenza, il cammino dell’integrazione in questo amato continente prosegue, e contemporaneamente si avverte il suo nuovo protagonismo emergente a livello mondiale. In queste circostanze è importante che i suoi diversi popoli salvaguardino il loro ricco tesoro di fede e il loro dinamismo storico-culturale, mostrandosi sempre difensori della vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, e promotori della pace; devono altresì tutelare la famiglia nella sua autentica natura e missione, intensificando allo stesso tempo una vasto e capillare lavoro educativo che prepari rettamente le persone e le renda consapevoli delle proprie capacità, di modo che affrontino in modo degno e responsabile il loro destino. Sono chiamati anche a promuovere sempre più iniziative adeguate e programmi concreti che propizino la riconciliazione e la fraternità, incrementino la solidarietà e la tutela dell’ambiente, intensifichino gli sforzi per superare la miseria, l’analfabetismo e la corruzione e per sradicare ogni ingiustizia, violenza, criminalità, insicurezza civile, narcotraffico ed estorsione.
Mentre la Chiesa si preparava a ricordare il quinto centenario della plantatio della Croce di Cristo nella buona terra del continente americano, il beato Giovanni Paolo II formulò sul suo suolo, per la prima volta, il programma di un’evangelizzazione nuova, nuova «nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione» (cfr. Discorso all’Assemblea del Celam, 9 marzo 1983, III; AAS 75, 1983, 778). A partire dalla mia responsabilità di confermare nella fede, anch’io desidero incoraggiare lo zelo apostolico che attualmente anima e pretende la «missione continentale», promossa ad Aparecida, affinché «la fede cristiana si radichi più profondamente nel cuore delle persone e dei popoli latinoamericani come evento fondante e incontro vivificante con Cristo» (V Conferenza Generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi, Documento conclusivo, n. 13). Così si moltiplicheranno gli autentici discepoli e missionari del Signore e si rinnoverà la vocazione dell’America Latina e dei Caraibi alla speranza. Che la luce di Dio risplenda, quindi, sempre più sul volto di ognuno dei figli di questa amata terra e che la sua grazia redentrice orienti le loro decisioni, affinché continuino a progredire senza perdersi d’animo nella costruzione di una società fondata sullo sviluppo del bene, sul trionfo dell’amore e sulla diffusione della giustizia. Con questi vivi propositi, e sostenuto dall’aiuto della provvidenza divina, ho intenzione d’intraprendere un viaggio apostolico prima della santa Pasqua in Messico e a Cuba, per proclamare lì la Parola di Cristo e per rafforzare la convinzione che questo è un tempo prezioso per evangelizzare con fede vigorosa, speranza viva e carità ardente.
Affido tutti questi propositi all’amorevole mediazione di Santa Maria di Guadalupe, nostra Madre del cielo, come pure gli attuali destini delle nazioni latinoamericane e caraibiche e il cammino che stanno percorrendo verso un domani migliore. Invoco inoltre su di esse l’intercessione di tanti santi e beati che lo Spirito ha suscitato in tutta la storia di questo continente, offrendo modelli eroici di virtù cristiane nella diversità delle condizioni di vita e di ambienti sociali, affinché il loro esempio favorisca sempre più una nuova evangelizzazione sotto lo sguardo di Cristo, Salvatore dell’uomo e forza della sua vita. Amen.

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(testo in coreano, San Paolo ha sofferto…non capisco, direi il naufragio a Malta)

incontro_di_pietro_e_paolo

 

http://theologia.kr/index.php?mid=board_holypicture&page=1&category=78245&document_srl=79140

 

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MARIA NELLA PIÙ ANTICA PREGHIERA EUCARISTICA

http://it.mariedenazareth.com/15631.0.html?L=4

MARIA NELLA PIÙ ANTICA PREGHIERA EUCARISTICA

Introduzione

L’anafora della Tradizione apostolica figura la più antica anafora eucaristica finora conosciuta. È un testo che affascina gli studiosi della liturgia. I motivi di tale fascino sono vari : l’antichità del testo, la teologia arcaica, l’influsso che ha esercitato sulla struttura e sui contenuti delle altre preghiere eucaristiche, l’aura di mistero che la circonda, poiché non sappiamo chi ne sia l’autore (attribuita un tempo a Ippolito di Roma), quale il luogo di composizione (di incerta origine – alessandrina ?, romana ?) quale la data precisa, se pure certamente molto antica :
Lo scritto risale al primo quarto del terzo secolo (vale a dire prima di 225) il testo scritto trasmette una tradizione che risale probabilmente molto più presto ancora ; l’originale greco è perso, ne abbiamo delle traduzioni latine, copte, arabi, etiopi…
In quel tempo, la creazione dell’anafora era libera, l’autore della tradizione apostolica ha scritto questo bel testo, come una proposta e non già siccome una norma fissa.
Nel 1970 è entrata nel Missale Romanum come Prece eucaristica II.

1) Presentazione dell’anafora
Il passaggio della liturgia ebraica alla liturgia cristiana fu progressivo. Il genere letterario dell’anafora eucaristica della tradizione apostolica è la Berakah, ed il Birkat hamazon, la preghiera ebraica che fa il memoriale degli avvenimenti della liberazione che Dio ha compiuto (senza un avvenimento di saluto, non c’è liturgia) e offre un ringraziamento a Dio per i beni della creazione.
Allontanandosi dai suoi modelli giudaici l’anafora della Tradizione apostolica rivolge immediatamente la lode riconoscente al Signore per aver inviato nel mondo il suo «diletto servo Gesù Cristo [...] come salvatore e redentore», nel Cristo la storia della salvezza è riassunta. Alla creazione vi è solo un riferimento: «per mezzo del quale [il Verbo] facesti ogni cosa ».
Questa preghiera si è ispirata alle omelie pasquali della liturgia della notte di Pasqua (la Pasqua nel suo doppio senso di passione dell’agnello messo a morte e nel senso di passaggio verso il Padre e verso la gloria) a cominciare dal celebre Perì Pascha di Meliton di Sardo nel secondo secolo.
È una preghiera trinitaria, si rivolge al Padre, per il Cristo, col santo Spirito : « [Noi] ti rendiamo grazie o Dio per il tuo diletto servo Gesù Cristo (…) [a te] Padre, e al Figlio con il santo Spirito »
La preghiera esprime una realtà su Gesù (cristologia): Gesù è il figlio amatissimo del Padre, come fu manifestato nel suo battesimo al Giordano ed alla sua trasfigurazione.
La preghiera esprime la sua missione di salvezza (soteriologia).
La preghiera esprime il disegno del Padre e l’unione del Padre con il Figlio: il Padre e il Figlio sono inseparabili. L’idea di messaggero sottolinea che il Cristo è mandato del Padre (Gv 5), compie la salvezza la quale è il disegno del Padre. Il Cristo è « il tuo Verbo inseparabile per cui hai creato tutto » si ispira del Prologo di Giovanni (Gv 1). Il Cristo è chiamato « servo », in latino « puer », in greco « pais » che significa servo, come nei carmi del servo del libro di Isaia.
Dio salva tramite la sua solidarietà con noi, perché si è fatto uomo.
Gesù è la manifestazione del Padre « si è manifestato come tuo Figlio », questa manifestazione è stata data sulla croce e nella Risurrezione.

Ecco il testo antico :
« Ti ringraziamo, o Dio, per[2] il tuo diletto Servo Gesù Cristo, che negli ultimi tempi mandasti a noi [come] salvatore e redentore e messaggero della tua volontà ;
lui, che è il tuo inseparabile Verbo, per mezzo del quale facesti ogni cosa, e [che], nella tua compiacenza, mandasti dal cielo nel seno di una Vergine ;
ed egli essendo stato concepito nel grembo, si incarnò e si manifestò [come] tuo Figlio, nato dallo Spirito santo e dalla Vergine.
Egli, volendo compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, stese le mani mentre pativa, per liberare dalla passione coloro che in te hanno creduto.
Egli, quando si consegnava alla volontaria passione, per sciogliere [il potere del] la morte e rompere i vincoli del diavolo per calpestare l’inferno e illuminare i giusti, per fissare il limite [della morte] e manifestare la risurrezione, prendendo il pane [e] rendendo ti grazie, disse: « Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, che per voi sta per essere spezzato ». Allo stesso modo [ prese] anche il calice, dicendo : « Questo è il mio sangue, che per voi sta per essere versato. Quando fate questo, [voi] fate il mio memoriale ! »
Celebrando dunque il memoriale della sua morte e risurrezione [noi] ti offriamo il pane e il calice, rendendo ti grazie perché ci hai resi degni di stare dinanzi a te e di servirti.
E ti chiediamo di mandare il tuo Spirito santo sull’offerta della santa Chiesa, [perché,] radunando[li] in un solo [corpo], dia a tutti coloro che partecipano ai santi [misteri] di essere riempiti di Spirito santo, per la conferma della fede nella verità, affinché ti lodiamo e ti glorifichiamo per il tuo servo Gesù Cristo, per mezzo del quale a te [è] la gloria e l’onore, ( [a te] Padre, e al Figlio con il santo Spirito) nella tua santa Chiesa,ora e nei secoli dei secoli, Amen. »

Maria nell’anafora della Tradizione apostolica
Nel «rendimento di grazie», la Vergine è menzionata due volte (non sono ricordati infatti né gli angeli né i patriarchi né i profeti né gli apostoli o martiri) :
« Ti ringraziamo, o Dio, per il tuo diletto Figlio Gesù Cristo, che negli ultimi tempi mandasti a noi come salvatore e redentore e messaggero della tua volontà [...], mandasti dal cielo nel seno di una Vergine ed egli essendo stato concepito nel grembo, si incarnò e si è manifestò come Figlio tuo, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine».
– «gli ultimi tempi» sono quelli in cui Dio ha mandato sulla terra il suo «Figlio diletto», il suo «Verbo inseparabile» perché si facesse uomo. L’espressione «ultimi tempi» è da collegare con Galati 4,4 («Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna») e con la grande tradizione giovannea del Figlio quale «inviato dal Padre». Il tempo in cui è venuto Gesù è l’ultimo non solo in senso cronologico, ma anche in senso qualitativo : determina la «pienezza del tempo», espressione che designa il compimento definitivo dell’epoca preparatoria e l’inizio di un’epoca nuova che dà significato e valore a tutto l’arco della storia.
- « mandasti a noi come salvatore e redentore e messaggero della tua volontà [...], che hai mandato dal cielo nel seno di una Vergine » : l’Incarnazione è un invio : in essa uno invia, il Padre, l’altro è inviato, il Figlio. L’invio ha un percorso di kenosis: dal cielo, cioè da Dio, al grembo di una Vergine. Lo scopo è la salvezza del genere umano.
- L’espressione « nel seno di una Vergine » attesta la fede della Chiesa nella reale umanità di Cristo contro la tendenza del docetismo gnostico a ridurre il corpo del signore a una semplice apparenza, Dio visita realmente il suo popolo ; l’espressione rileva anche la singolarità dell’evento e la sua origine divina: il fatto inaudito di una Vergine che concepisca e partorisca (cf. Is 7, l4 ; Mt l, 23 ; Lc 1,27. 31) è opera non dell’uomo ma dello Spirito di Dio (cf. Lc 1,35)[3] ; « Vergine » allude anche alla perfezione morale di Maria.
- « ed egli essendo stato concepito nel grembo » («in utero habitus») : ritroviamo affermata la realtà dell’Incarnazione. Tuttavia di essa viene considerata ora non tanto la scesa del Verbo nel grembo di Maria quanto la sua permanenza nel ventre della Vergine.
- «nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine». L’espressione riecheggia la formula del simbolo battesimale di cui la stessa Tradizione fornisce uno dei testi più antichi : «Credi in Cristo Gesù, Figlio di Dio, che è nato per mezzo dello Spirito Santo dalla Vergine Maria [...] è morto ed è risorto il terzo giorno ?» (Tradizione Apostolica 21). Il motivo per cui viene rivolta al battezzando questa domanda prima che egli venga immerso nelle acque del fonte battesimale è evidente: perché la concezione-nascita verginale di Cristo, Figlio di Dio, appartiene al nucleo centrale della fede.
Quest’arcaica menzione della Vergine non scomparirà più dall’anafora eucaristica ma sarà un elemento presente in ogni prece eucaristica, destinato ad acquisire progressivo rilievo cultuale.
Il motivo di tale menzione non è venerare la Madre del Signore ma glorificare Dio per il dono di Gesù, suo Figlio, nato dalla Vergine. Ma tale menzione, che ha luogo in un contesto marcatamente liturgico, mette in rilievo la funzione essenziale che Maria ha svolto nella storia della salvezza : essa è la madre Vergine di Cristo, Verbo di Dio, salvatore dell’uomo.
Dal punto di vista liturgico non è fuori luogo affermare che la venerazione alla Madre del Signore è sorta presso l’altare del Signore e il fonte battesimale.

[1] Cf. Meliton di Sardes, De corpo e anima, traduction de O. Perler, SC 123, Cerf, 1966, p.238-240
[2] Dobbiamo riconoscere alla preposizione latina « Per + accusativo » un valore causale (ringraziamo per Cristo, a causa di lui) e non semplicemente un valore mediale (ringraziamo per mezzo di Cristo).
[3] l’affermazione della maternità verginale era tanto più necessaria in quanto, fin dalla fine del secolo I, in ambienti eterodossi di matrice giudeo-cristiana gli ebioniti ed altri -, essa veniva negata : Gesù – sostenevano era figlio di Giuseppe e di Maria, concepito e nato come tutti gli altri uomini.
Bibliografia :
Ignazio CALABUIG, Il culto di Maria in occidente, In Pontificio Istituto Liturgico sant’Anselmo, Scientia Liturgica, sotto la direzione di A.J. CHUPUNGCO, vol V, Piemme 1998. p. 270
C. GIRAUDO. La struttura letteraria della preghiera eucaristica. Saggio sulla genesi letteraria di una forma. Roma, Pontificio Istituto Biblico, 1981, (Analecta Biblica 92). Cap. VII / II. L’anafora della Tradizione apostolica, pp. 290-295.
C. GIRAUDO. Eucaristia per la Chiesa. Prospettive teologiche sull’eucaristia a partire dalla «lex orandi» Roma – Brescia I E. P .U .G . Morcelliana, 1989, pp. 410-411.

F. Breynaert

PAPA FRANCESCO – L’ASSEMBLEA STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2014/documents/papa-francesco_20141210_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE.10 DICEMBRE 2014

Piazza San Pietro

Mercoledì, 10 dicembre 2014 – -

L’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

abbiamo concluso un ciclo di catechesi sulla Chiesa. Ringraziamo il Signore che ci ha fatto fare questo cammino riscoprendo la bellezza e la responsabilità di appartenere alla Chiesa, di essere Chiesa, tutti noi.
Adesso iniziamo una nuova tappa, un nuovo ciclo, e il tema sarà la famiglia; un tema che si inserisce in questo tempo intermedio tra due Assemblee del Sinodo dedicate a questa realtà così importante. Perciò, prima di entrare nel percorso sui diversi aspetti della vita familiare, oggi desidero ripartire proprio dall’Assemblea sinodale dello scorso mese di ottobre, che aveva questo tema: “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione”. E’ importante ricordare come si è svolta e che cosa ha prodotto, come è andata e che cosa ha prodotto.
Durante il Sinodo i media hanno fatto il loro lavoro – c’era molta attesa, molta attenzione – e li ringraziamo perché lo hanno fatto anche con abbondanza. Tante notizie, tante! Questo è stato possibile grazie alla Sala Stampa, che ogni giorno ha fatto un briefing. Ma spesso la visione dei media era un po’ nello stile delle cronache sportive, o politiche: si parlava spesso di due squadre, pro e contro, conservatori e progressisti, eccetera. Oggi vorrei raccontare quello che è stato il Sinodo.
Anzitutto io ho chiesto ai Padri sinodali di parlare con franchezza e coraggio e di ascoltare con umiltà, dire con coraggio tutto quello che avevano nel cuore. Nel Sinodo non c’è stata censura previa, ma ognuno poteva – di più doveva – dire quello che aveva nel cuore, quello che pensava sinceramente. “Ma, questo farà discussione”. E’ vero, abbiamo sentito come hanno discusso gli Apostoli. Dice il testo: è uscita una forte discussione. Gli Apostoli si sgridavano fra loro, perché cercavano la volontà di Dio sui pagani, se potevano entrare in Chiesa o no. Era una cosa nuova. Sempre, quando si cerca la volontà di Dio, in un’assemblea sinodale, ci sono diversi punti di vista e c’è la discussione e questo non è una cosa brutta! Sempre che si faccia con umiltà e con animo di servizio all’assemblea dei fratelli. Sarebbe stata una cosa cattiva la censura previa. No, no, ognuno doveva dire quello che pensava. Dopo la Relazione iniziale del Card. Erdö, c’è stato un primo momento, fondamentale, nel quale tutti i Padri hanno potuto parlare, e tutti hanno ascoltato. Ed era edificante quell’atteggiamento di ascolto che avevano i Padri. Un momento di grande libertà, in cui ciascuno ha esposto il suo pensiero con parresia e con fiducia. Alla base degli interventi c’era lo “Strumento di lavoro”, frutto della precedente consultazione di tutta la Chiesa. E qui dobbiamo ringraziare la Segreteria del Sinodo per il grande lavoro che ha fatto sia prima che durante l’Assemblea. Davvero sono stati bravissimi.
Nessun intervento ha messo in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio, cioè: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e l’apertura alla vita (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48; Codice di Diritto Canonico, 1055-1056). Questo non è stato toccato.
Tutti gli interventi sono stati raccolti e così si è giunti al secondo momento, cioè una bozza che si chiama Relazione dopo la discussione. Anche questa Relazione è stata svolta dal Cardinale Erdö, articolata in tre punti: l’ascolto del contesto e delle sfide della famiglia; lo sguardo fisso su Cristo e il Vangelo della famiglia; il confronto con le prospettive pastorali.
Su questa prima proposta di sintesi si è svolta la discussione nei gruppi, che è stato il terzo momento. I gruppi, come sempre, erano divisi per lingue, perché è meglio così, si comunica meglio: italiano, inglese, spagnolo e francese. Ogni gruppo alla fine del suo lavoro ha presentato una relazione, e tutte le relazioni dei gruppi sono state subito pubblicate. Tutto è stato dato, per la trasparenza perché si sapesse quello che accadeva.
A quel punto – è il quarto momento – una commissione ha esaminato tutti i suggerimenti emersi dai gruppi linguistici ed è stata fatta la Relazione finale, che ha mantenuto lo schema precedente – ascolto della realtà, sguardo al Vangelo e impegno pastorale – ma ha cercato di recepire il frutto dalle discussioni nei gruppi. Come sempre, è stato approvato anche un Messaggio finale del Sinodo, più breve e più divulgativo rispetto alla Relazione.
Questo è stato lo svolgimento dell’Assemblea sinodale. Alcuni di voi possono chiedermi: “Hanno litigato i Padri?”. Ma, non so se hanno litigato, ma che hanno parlato forte, sì, davvero. E questa è la libertà, è proprio la libertà che c’è nella Chiesa. Tutto è avvenuto “cum Petro et sub Petro”, cioè con la presenza del Papa, che è garanzia per tutti di libertà e di fiducia, e garanzia dell’ortodossia. E alla fine con un mio intervento ho dato una lettura sintetica dell’esperienza sinodale.
Dunque, i documenti ufficiali usciti dal Sinodo sono tre: il Messaggio finale, la Relazione finale e il discorso finale del Papa. Non ce ne sono altri.
La Relazione finale, che è stata il punto di arrivo di tutta la riflessione delle Diocesi fino a quel momento, ieri è stata pubblicata e viene inviata alle Conferenze Episcopali, che la discuteranno in vista della prossima Assemblea, quella Ordinaria, nell’ottobre 2015. Dico che ieri è stata pubblicata – era già stata pubblicata -, ma ieri è stata pubblicata con le domande rivolte alle Conferenze Episcopali e così diventa proprio Lineamenta del prossimo Sinodo.
Dobbiamo sapere che il Sinodo non è un parlamento, viene il rappresentante di questa Chiesa, di questa Chiesa, di questa Chiesa… No, non è questo. Viene il rappresentante, sì, ma la struttura non è parlamentare, è totalmente diversa. Il Sinodo è uno spazio protetto affinché lo Spirito Santo possa operare; non c’è stato scontro tra fazioni, come in parlamento dove questo è lecito, ma un confronto tra i Vescovi, che è venuto dopo un lungo lavoro di preparazione e che ora proseguirà in un altro lavoro, per il bene delle famiglie, della Chiesa e della società. E’ un processo, è il normale cammino sinodale. Ora questa Relatio torna nelle Chiese particolari e così continua in esse il lavoro di preghiera, riflessione e discussione fraterna al fine di preparare la prossima Assemblea. Questo è il Sinodo dei Vescovi. Lo affidiamo alla protezione della Vergine nostra Madre. Che Lei ci aiuti a seguire la volontà di Dio prendendo le decisioni pastorali che aiutino di più e meglio la famiglia. Vi chiedo di accompagnare questo percorso sinodale fino al prossimo Sinodo con la preghiera. Che il Signore ci illumini, ci faccia andare verso la maturità di quello che, come Sinodo, dobbiamo dire a tutte le Chiese. E su questo è importante la vostra preghiera.

 

Saint Anna holding Mary and Jesus, Cathedral of Burgos, Spain

Saint Anna holding Mary and Jesus, Cathedral of Burgos, Spain dans immagini sacre saint-anne-04

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LA PASQUA INVERNALE : LA CONCEZIONE DI MARIA, 9 DICEMBRE

http://tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/pasquainvernale9.htm

LA PASQUA INVERNALE : LA CONCEZIONE DI MARIA, 9 DICEMBRE

tratto da The Winter Pascha, del rev. padre Thomas Hopko

Il nove dicembre la Chiesa ortodossa celebra la festa della Concezione[1] della Vergine Maria dai suoi genitori Gioacchino e Anna. In questa grande festa che trova la sua collocazione nella preparazione della Chiesa per il Natale, i fedeli gioiscono nell’evento in cui Maria viene concepita, in adempimento delle preghiere dei suoi genitori al fine di essere formata nel grembo materno, nascere sulla terra, essere dedicata al Signore, e nutrita nella santità per diventare per grazia di Dio, la Madre del Suo Figlio il Messia.
[...]
La Chiesa Ortodossa, in particolare nel momento attuale, non chiama la festa del principio di Maria l’“immacolata concezione”, anche se forse nei tempi antichi questo titolo sarebbe stato pienamente accettabile. Questo non perché gli ortodossi ritengano il concepimento di Maria sia stato in qualche modo “maculato” o “macchiato” (macula in latino significa “macchia”). Significa semplicemente che gli ortodossi non vogliono sostenere la convinzione che Dio aveva in qualche modo ad intervenire al momento del concepimento di Maria con una azione speciale per rimuovere la “macchia” del peccato originale trasmessa con l’atto della riproduzione umana, perché, in poche parole, gli ortodossi non ritengono che una tale “macchia” esista.
La Chiesa Ortodossa afferma il peccato originale. La teologia ortodossa insegna che tutti gli esseri umani, compresa la Vergine Maria, che è una “semplice umana” come il resto di noi – a differenza di Gesù, suo Figlio, che è un “reale uomo”, ma non un “semplice umano”, perché Egli è il Figlio incarnato e la Parola di Dio – sono nati in un mondo decaduto, un mondo associato alla morte, un mondo crivellato dai demoni la cui “figura passa” (1 Corinzi 7, 31). Noi tutti siamo nati mortali e tendenti verso il peccato. Ma non siamo nati colpevoli di alcun peccato personale, certamente non uno che sarebbe stato commesso “in Adamo”. Né siamo nati macchiati a causa del modo in cui siamo stati concepiti dall’unione sessuale dei nostri genitori. Se l’unione sessuale nel matrimonio è in alcun modo peccaminosa, o la causa in sé di qualsiasi peccato o macchia, anche nelle condizioni del “mondo caduto”, allora, come ha insegnato anche il rigoroso san Giovanni Crisostomo, Dio è il peccatore, perché ci ha fatto in questo modo, maschi e femmine, fin dall’inizio[2].
[...]
Maria è concepita dai suoi genitori come tutti noi siamo stati concepiti. Ma nel suo caso si tratta di un puro atto di fede e di amore, in obbedienza alla volontà di Dio, come risposta alla preghiera. In questo senso la sua concezione è veramente “immacolata”. E il suo frutto è la donna che rimarrà per sempre la purissima Vergine e Madre di Dio.

Venite, danziamo nello spirito!
Cantiamo degne lodi a Cristo!
Celebriamo la gioia di Gioacchino e Anna,
il concepimento della Madre del nostro Dio,
perché lei è il frutto della grazia di Dio.

Tradotto per Tradizione Cristiana da E. M. novembre 2010 

IL MARE E LA BIBBIA, DI G. RAVASI

http://www.cercasiunfine.it/meditando/articoli/sul-tema-mare-n.-71-di-cercasi-un-fine#.VIchSNKG9H8

IL MARE E LA BIBBIA, DI G. RAVASI

Più di 1500 versetti dell’Antico Testamento sono « bagnati » dalle acque e per 397 volte è jam, il « mare », a dilagare. Tuttavia sbaglierebbe chi volesse mettersi davanti alle pagine sacre marine con quell’atteggiamento di serena contemplazione, di requie, di pace che forse alcuni nostri lettori stanno sperimentando lungo una spiaggia mentre scorrono queste righe. È questo un equivoco in cui sono caduti molti esegeti che hanno ricondotto il tema del mare al bacino semantico più vasto delle « acque », in ebraico majim (582 volte nell’Antico Testamento). Emblematico è, ad esempio, lo sterminato Grande Lessico del Nuovo Testamento che nella sua quindicina di volumi non trova spazio per la voce thálassa, « mare », e si accontenta di hydor, « acqua ». Al massimo ci s’interessa del mar Rosso o mar delle Canne, del mar Morto, del mare di Galilea (il lago di Tiberiade), del « Mare » per eccellenza che è il Mediterraneo (nella Bibbia la locuzione « verso il mare » sta per « occidente »), del « mare di bronzo », il grande bacino di acqua lustrale del tempio di Salomone (80.000 litri di capacità). E se è robusta la bibliografia sull’acqua biblica, segno vitale e catartico, per il mare dobbiamo in pratica ancor oggi far riferimento solo al saggio di Otto Kaiser, intitolato Die mythische Bedeutung des Meeres in Ägypten, Ugarit und Israel, pubblicato a Berlino nel 1959 e riedito nel 1962. Sì perché il mare per l’antico Vicino Oriente è stato prima di tutto e sopra tutto un grandioso simbolo negativo, una categoria espressa con un vocabolo che a Ugarit, celebre città cananea della Siria, era il nome stesso di una divinità, Jamn appunto, che attentava allo splendore del cosmo e duellava col dio della creazione Baal. In questa linea si collocano i sinonimi come tehom, l’abisso acquatico primordiale da cui era sbocciata la terra, o le « molte acque », majim rabbim che trascinavano con sé diluvio e morte. Difficile è, perciò, per l’uomo biblico sostare davanti al mare su un litorale e cantare, come fa Luzi, « il mare fermo sotto il volo dei gabbiani sfrangiato appena tra gli scogli dell’isola, dove una terra nuda si fa ombra con le sue gobbe ». Un’eccezione c’è ed è nello stupendo « cantico delle creature » del Salmo 104, da alcuni raccordato all’Inno ad Aton del faraone « monoteista » solare Akhnaton. In un bozzetto di straordinaria intensità pittorica anche i famosi mostri marini come Leviatan (o Rahab o Behemot o Tannin), simboli del caos e del nulla, partecipano a una festa di vita e di pace: « Ecco il mare ampio e spazioso, là brulicano innumerevoli animali piccoli e grandi; là passano le navi e il Leviatan che hai plasmato per tuo divertimento » (versetti 25-26). In questo spirito nel corale cosmico del Salmo 148, intonato da 22 creature tante quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico anche il mare è invitato a intonare il suo halleluia: « Lodate il Signore mostri marini e voi tutti abissi! » (versetto 7).
Ma questa è una piacevole eccezione. Nella Bibbia il mare incombe arcigno, come nel tempestoso canto V dell’Odissea, allorché « si sciolsero a Odisseo le ginocchia e il cuore » o come nella turbinosa scena del I canto dell’Eneide (versi 81-123) o come in tanti altri passi « procellosi » della letteratura classica. Tutto era cominciato con la creazione allorché « Dio Disse: Le acque che sono sotto il cielo si raccolgono in un solo luogo e appaia l’asciutto. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare » (Genesi 1,9-10). La bellezza del mondo (« Dio vide che era cosa buona e bella ») riposa su questo equilibrio instabile, frutto dell’atto creativo, tra la terraferma e il mare che è visto come un’esplosione in superficie del grande abisso sotterraneo, il tehom appunto (la divinità Tiamat negativa mesopotamica), che è il sottofondo « infernale » della mappa cosmologica biblica. Il Creatore ha steso una frontiera tra i due esseri in tensione, mare e terra: è la battigia del litorale. Lo dice in modo superbo Dio stesso nel libro di Giobbe, comparando il mare a un bimbo turbolento stretto nelle fasce delle nubi e a un prigioniero inchiavardato in un carcere di massima sicurezza: « Chi serrò tra due battenti il mare quando erompeva a fiotti dal suo grembo materno, quando gli davo per manto le nubi e per fasce la foschia, quando spezzavo il suo slancio imponendogli confini, spranghe e battenti, e gli dicevo: Fin qui tu verrai e non oltre, qui si abbasserà l’arroganza delle tue onde? » (38,8-11). Un’idea, questa, ripetuta nel canto autocelebrativo che la Sapienza divina creatrice proclama nel capitolo 8 del libro dei Proverbi: « Quando stabiliva al mare i suoi confini sicché le sue acque non oltrepassassero la spiaggia io ero con lui (il Creatore) », (versetti 29-30). Dante nel Convivio parafraserà il testo: « Quando (Dio) circuiva lo suo termine al mare e poneva legge a l’acque che non passassero li suoi confini con lui io era » (III, 15,16). Stare, perciò, sul bagnasciuga vuol dire per l’antico ebreo vivere un’esperienza simile a quella di chi s’affaccia su un cratere vulcanico, colto quasi da vertigine. Esperienza ben diversa da chi ora sta ammirando il giuoco delle onde, come aveva fatto Montale in un suo bel distico: « Una carezza disfiora la linea del mare e la scompiglia ». Il diluvio nel libro della Genesi è, allora, visto come lo scardinamento di quell’equilibrio cosmico perché alle acque celesti si incrociano quelle del mare, lasciato libero da Dio di impazzare sulla terra: « e ruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono » (7,11). È per questo che il mare viene iscritto nella panoplia con cui il Dio giudice condanna l’umanità peccatrice: « È lui che comanda alle acque del mare, dichiara il profeta Amos (5,8) e le spande sulla terra ». Gli fa eco Geremia: « Il Signore degli eserciti solleva il mare e ne fa mugghiare le onde » (31,35). In versetti e versetti della Bibbia la potenza divina si dispiega in tutta la sua infinità proprio dominando il mare e tenendo saldo l’organico della creazione, con la terra come una piattaforma sospesa su colonne sopra l’abisso caotico marino. È per questo che nell’esodo d’Israele dall’Egitto Dio prima impone al mare di bloccarsi come muraglia, obbedendo al suo potente imperativo (Esodo 14,22), e poi scatenandolo come arma del suo giudizio sugli oppressori egiziani: « Al soffio della tua ira si accumularono le acque, si alzarono le onde come un argine, si rappresero gli abissi in fondo al mare. Soffiasti col tuo alito: il mare li coprì, sprofondarono come piombo in acque profonde » (Esodo 15,8.10). Suggestiva è la rielaborazione poetica dell’evento offerta dal Salmo 114: « Il mare vide e si ritrasse indietro.. Che hai tu, mare, per fuggire? » (versetti 3,5). Esemplare è, al riguardo, la scena evangelica della tempesta sedata ove Cristo, identificato ormai col Signore Creatore, attacca il mare come se fosse un essere diabolico, riprendendo una classica concezione mitica, e lo sottopone a un esorcismo: « Sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati! Furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: Chi è costui al quale anche il vento e il mare obbediscono? » (Marco 4,39. 41). Se noi, dunque, ci tuffiamo in mare come in una specie di grembo sereno, l’uomo biblico vi penetra con terrore sentendolo quasi come il sudario della morte. Dio solo può strapparlo da quelle fauci, come canta Davide nel Salmo 18: « Stese la mano dall’alto, mi afferrò, mi sollevò dalle grandi acque mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene » (versetti 17 e 20). Dio solo può « con una minaccia prosciugare il mare: i suoi pesci, per mancanza d’acqua, restano all’asciutto, muoiono di sete » (Isaia 50,2). A questa ripulsa nei confronti del mare contribuì, certo, anche la configurazione della costa palestinese piuttosto rettilinea: solo Salomone organizzò una flotta di bandiera, usando tecnici fenici, la cui competenza era celebre in tutto il Mediterraneo.
Israele fu, infatti, un popolo di santi, di eroi, di poeti ma non di navigatori. Se ne ricordano di famosi solo tre e tutti sfortunati. C’è innanzitutto Giona il profeta renitente alla sua missione, che si imbarca su una nave fenicia diretta a Tarshish (forse Gibilterra o la Sardegna) per sfuggire all’ordine divino che lo invia all’antipodo, cioè a Ninive, e che incappa in un terribile fortunale.
Il delizioso racconto, una specie di favola morale di taglio universalistico comprende, come è noto, anche il ricorso ai mostri oceanici mitici, l’enorme pesce che inghiotte il misero per tre notti e tre giorni. Dal ventre del mostro Giona riesce anche a cantare un salmo « marino »: « Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare, tutti flutti e le onde sono passate sopra di me. Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, l’alga si è avvinta al mio capo » (2,4.6.).
Sarà l’Onnipotente a comandare al cetaceo di vomitare Giona su una spiaggia. Su una spiaggia, quella di Malta, andrà ad approdare coi suoi compagni di avventura anche Paolo, al termine di un uragano scatenatosi sul Mediterraneo mentre veniva trasferito a Roma per il processo d’appello.
Chi ama racconti di mare alla Conrad dovrebbe leggere il capitolo 27 degli Atti degli Apostoli con la sua pittoresca descrizione della vicenda vissuta da Paolo su una nave oneraria romana. Lo stesso Apostolo confesserà di « aver fatto naufragio tre volte e di aver trascorso un giorno e una notte in balia delle onde » (2 Corinzi 11,25). Ma è con un terzo navigatore, questa volta anonimo, che vogliamo concludere il nostro breve viaggio sui flutti marini della Bibbia. Nel Salmo 107 entrano in scena quattro personaggi che nel tempio di Gerusalemme stanno sciogliendo i loro voti. C’è un carovaniere che aveva smarrito la pista nel deserto e l’aveva ritrovata, c’è un carcerato liberato, c’è un malato grave guarito. Alla fine si alza a pronunciare il suo ex-voto un marinaio e il suo è il racconto più emozionante. Il Siracide, sapiente biblico del II secolo a.C., riconosceva che « i naviganti parlano dei pericoli del mare e a sentirli coi nostri orecchi restiamo stupiti » (43,24).
Ascoltiamo anche noi il marinaio devoto. « Coloro che solcavano il mare sulle navi facendo commerci sulle acque immense, videro le opere del Signore e i suoi prodigi nelle profondità marine. Egli parlò e fece levare un vento tempestoso che sollevò le onde. Salivano al cielo, scendevano negli abissi, il respiro veniva meno per il pericolo. Ballavano e barcollavano come ubriachi, tutta la loro perizia era svanita. Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li estrasse da quell’angustia. Ridusse la tempesta alla calma, s’acquetarono le onde del mare. Giorino per la bonaccia ed egli li guidò al porto sospirato » (versetti 23-30). Théophile Briant nella sua antologia Les plus beaux textes sur la Mer, pubblicato a Parigi nel 1951, ha inserito questa strofa accanto ai classici delle tempeste marine, dai citati Omero e Virgilio, ad Alceo e Ovidio. Potremmo pensare anche all’Ulisse dantesco: « Un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’Altrui piacque, infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso » (Inferno XXVI, 137-142). Ma per la Bibbia, come si è ripetuto, non c’è solo il terrore primordiale dell’uomo di fronte alle energie scatenate della natura.
Non c’è solo l’esperienza fisica dello stordimento e del mal di mare, usata tra l’altro dal libro di Proverbi per dipingere ironicamente l’ondeggiare dell’ubriaco: « Sarai come chi giace in mezzo al mare, come chi siede sull’albero maestro » (23,24). C’è, invece, l’emozione tutta metafisica dell’incontro col nulla; c’è la sensazione raggelante dell’abbraccio con gli inferi e con la morte.
È per questo che nella nuova e perfetta creazione escatologica il mare scomparirà: « Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, annota Giovanni nell’Apocalisse perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più ». (21,1)

[cardinale, Prefetto Biblioteca Ambrosiana, Milano] 

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI |on 9 décembre, 2014 |Pas de commentaires »
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