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San Francesco D’Assisi

San Francesco D'Assisi dans immagini sacre

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SE CRISTO NON FOSSE PIU’ SCANDALO E FOLLIA PER UOMINI E POPOLI – H. U. v. Balthasar

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SE CRISTO NON FOSSE PIU’ SCANDALO E FOLLIA PER UOMINI E POPOLI – H. U. v. Balthasar

Di fronte ad una folla di almeno quindicimila persone prende la parola von Balthasar, una delle più grandi figure della teologia contemporanea, che di recente ha ricevuto il premio « Paolo VI » dalle mani di Papa Wojtyla. Quello che segue è il testo integrale della sua relazione.

H. U. v. Balthasar:

Miei cari ascoltatori, il tema che mi avete riservato – Se Cristo non fosse più scandalo e follia per uomini e popoli – ha un titolo alquanto teatrale, sebbene esprima perfettamente il vostro intento. Il mio sarà quello di reinserirlo nel suo contesto biblico, così da renderlo pienamente comprensibile Scandalo è una parola del Vangelo e proviene senza dubbio dal Cristo stesso. Significa esattamente: trabocchetto, trappola che si richiude sull’animale, ma anche pietra d’inciampo, ostacolo che può fare inciampare e cadere. Follia è una parola usata da San Paolo per mettere in evidenza che la saggezza di Dio, manifestata soprattutto nella Croce del Signore, oltrepassa e contraddice ogni saggezza puramente umana e a quest’ultima può apparire come insipienza, come follia. Per capire bene bisogna aggiungere immediatamente la frase paolina: « la follia di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini » (1 Cor 1, 25).Prendiamo in esame, per prima, la parola scandalo che nel Nuovo Testamento appare 54 volte. Ci sono due tipi di scandalo: quello degli uomini che seducono i deboli, i piccoli, coloro che credono nell’esistenza del peccato e ai quali bisognerebbe attaccare una pietra al collo per farli sprofondare nel mare. La libertà umana è minacciata dalla sua stessa debolezza: sventurati coloro che ne abusano. Ma c’è un altro scandalo, quello del Cristo stesso, soprattutto del Cristo crocifisso, scandalo inevitabile per l’intera ragione umana, scandalo voluto e istituito, del resto, da Dio stesso, poiché sta scritto: « Ecco, io pongo in Sion una pietra d’inciampo, una pietra di scandalo; ma chi crede in essa non sarà confuso » (Rom 9,33). Se Dio istituisce lo scandalo in Sion, dà immediatamente anche il modo di evitarlo: chi crede in lui – è il Cristo quello di cui si parla – non sarà confuso. Ma chi è colui che crede non solo per un pezzo di cammino, come la folla, come la maggior parte degli apostoli, ma fino alla fine scandalosa, come quelle poche donne, come Maria e il discepolo prediletto? Unicamente colui che aderisce fino in fondo. San Pietro ripete: « Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare…e chi pone su essa la sua fede non sarà confuso » (1 P 2,6), e aggiunge: « Essi vi inciampano perché non credono alla Parola » (1 P 2,8), perché credono solo finché piace loro e sembra loro ragionevole e non finché la Parola dura, e cioè fino all’ignominia della Croce, in cui tutta la saggezza e la potenza umana sembrano confuse, in cui sembra contraddetta ogni parola del Cristo stesso, in cui sembra spenta ogni speranza in lui, il Messia. Sarà necessario molto tempo, anche dopo la Resurrezione, perché questi discepoli si convincano che la loro fede era insufficiente: « l’annuncio delle donne sembra loro « puro vaneggiamento » (Luc 24,11), Gesù deve rimproverare loro la loro incredulità (Me 16,14). Ed eccoci al secondo termine. La follia. Non si vuol credere se non a ciò che si comprende con la propria umana sapienza, a ciò che rientra nelle proprie categorie anche le più sublimi: ciò che le oltrepassa, la sapienza di Dio, appare irrazionale. Noi siamo quei saggi e quei capaci ai quali, secondo le parole di Gesù, Dio ha nascosto il suo mistero; mentre i piccoli non distinguono ciò che comprendono ancora da ciò che non comprendo no più, ma procedono senza esitazione e ingoiano, per così dire, il boccone tutto in una volta. Secondo le parole del Cristo, essi sono i soli cui rivela tutta la sua sapienza misteriosa. Nelle categorie dei saggi e capaci insieme, Paolo include sia i Giudei sia i Pagani. I Giudei chiedono dei segni per credere, crederanno solo a ciò che avranno visto, l’apostolo Tommaso sarà l’ultimo nel Vangelo a reclamare la visione. I Greci sono in cerca della saggezza, anch’essi limitano il loro assenso a ciò che sembra loro saggio, la loro capacità di comprendere le cose intellettuali sarà la peggior pietra d’inciampo. Hanno una filosofia sottile ma chiusa, con un’allacciatura in alto, senza apertura ad una cosa che li supera. Se costruiscono un altare ad un Dio ignoto, è ancora dedicato ad una di quelle numerose ampio, io divinità incluse nel loro ben noto Olimpo. Aldilà non c’è che un ‘destino’ che non interessa più la sapienza, perché lui stesso non ne ha Tutto ciò è forse molto più vicino alla nostra epoca che non a quella di Gesù, sebbene il problema sia sempre lo stesso. Ma siamo progrediti molto in saggezza puramente umana, sia ampliando immensamente il campo delle nostre conoscenze cosmiche, psicologiche e sociologiche, sia riducendo dei problemi un tempo filosofici, e in un certo senso apertamente discutibili, in risultati acquisiti delle cosiddette ‘scienze umane’, sia semplicemente vietando – e questo è il positivismo – di porre il problema della causa ultima (problema considerato insolubile) per limitarsi alle questioni risolvibili dei rapporti intramondani. Al limite, possiamo allargare il campo di tali conoscenze ad un al di là che E morte do spiritismo e l’occultismo lo fanno a delle forze psicologiche non ancora ben note. I Russi, a partire dal loro materialismo, si ostinano a scoprire nuove armi da guerra, ma qualsiasi divenire autentico della scienza umana è escluso da queste ricerche. Ecco a che punto siamo, tutti insieme, Paesi dell’Est e paesi occidentali. All’Est predomina il materialismo, in Occidente il positivismo. E non crediate che questa evoluzione si arresti davanti alle porte della Chiesa. Oggi più che mai la Chiesa è minacciata da una lacerazione che la scinde fino in fondo in due campi che, girando entrambi intorno allo scandalo e alla follia divina, sono nocivi in ugual misura. Quello che è chiamato ‘progressismo’ è un aperto rifiuto dello scandalo, si deve adattare la dottrina cristiana alla comprensione dell’uomo d’oggi. Certi esegeti delle due sponde dell’oceano vi si applicano eliminando come superate sia alcune parole di Cristo che alludono alla sua prossima resurrezione e morte, sia soprattutto, e qui si uniscono ad essi celebri teologi, il senso della Croce come sacrificio offerto al Padre ‘pro nobis’. Poiché Gesù non ha menzionato il senso salvifico della sua morte né per il popolo d’Israele, né per tutta l’umanità, questa interpretazione della Croce deve essere una pia invenzione della teologia tardiva (come si usa dire) di San Paolo e di San Giovanni. Piuttosto che un sacrificio vicario per il peccato del mondo, bisogna vedervi una testimonianza suprema dell’amore paterno che, essendo sempre infinito e incondizionato, non ha bisogno di essere riconciliato ed è del resto incapace di cambiamento. Non si tratta di un’ira divina che, per mezzo della Croce, dovrebbe cedere ad un amore ormai totale. Ma, noi rispondiamo, che strana follia di Dio, dimostrare la sua affezione per noi consegnando il suo Figlio eterno a quell’atroce supplizio, non per la remissione dei peccati, ma come prova del suo amore! Questo non è certo ciò che pensa il Nuovo Testamento e soprattutto la Lettera agli Ebrei. Lasciamo da parte tutte le teorie che vedono in Gesù solo una specie di profeta (lo si trova in molti libri ebraici contemporanei che reclamano Gesù per Israele), esse non vedono che il compimento dell’Antico Testamento è anche un rovesciamento (finita la Terra Santa! finito il popolo etnico: partite, andate nel mondo intero per annunciare la Buona Novella a tutti popoli! Da allora, come hanno sentito con immensa gioia i Padri de a Chiesa, il mondo intero è terra santa.). Lasciamo da parte anche tutte le chiese laterali e settarie che si riferiscono unicamente ad un Gesù storico, o ad una Bibbia letterale e che non vogliono accettare una presenza perpetua e attiva dello Spirito Santo di Gesù nella sua Chiesa santa, sacramentale e istituzionale, come la vuole Cristo che istituisce Pietro capo della sua Chiesa indefettibile e Maria Madre di tutta la comunità santa: il Cristo di costoro resterà astratto e inaccessibile oppure l’approccio con lui sarà pietistico, soggettivo e sdolcinato. Ma quest’ultima riflessione ci porta ad un nuovo aspetto dello scandalo e della follia divina: la Chiesa del Cristo partecipa intimamente a queste qualità, ma solo se professa una fede totale nella Croce salvifica del Signore. Una Chiesa liberale e progressista non ha bisogno di essere perseguitata, si fa fuori da sola. Ma aggiungiamo una parola sulla tendenza contraria: il tradizionalismo. Esso non nega espressamente lo scandalo del Cristo e quello della sua Chiesa, ma il centro del suo interesse è altrove: nell’affermazione che non si deve toccare il deposito tramandato che per esso si esprime innanzitutto nella ‘lettera’: la ‘lettera’ della messa di Pio V, la ‘lettera’ dei Concili precedenti, il Vaticano II il quale, interpretando alcune verità secondo lo Spirito, avrebbe tradito la ‘lettera’ e sarebbe perciò inaccettabile. Questo è la negazione implicita della presenza di Cristo per mezzo atteggiamento dello Spirito nella Chiesa di tutti i tempi, quindi anche in quella d’oggi. Lo scisma rappresentato dal tradizionalismo estremo e antiromano non è che una nuova forma di un letteralismo sopraggiunto dopo ogni Concilio ecumenico importante, fin da Nicea e Calcedonia. E’ una forma di razionalismo che, invece di credere allo Spirito che regna nella Chiesa, si fida del proprio sapere, del proprio maggior sapere, e tradisce quindi la folle sapienza di Dio per aderire alla propria umana sapienza. Ma c’è un fenomeno affine di cui non vogliamo dimenticarci: ci si può fissare talmente e in modo unilaterale sul concetto di scandalo cristiano e di follia di Dio da farne una teoria inglobante che non lascia più spazio ad una sapienza divina al di là di questi concetti esprimono. Allora la follia divina diventa per me una cosa spiritualmente manipolabile, un metodo filosoficamente applicabile, una dialettica. E’ in questo modo che il Luteranesimo giunge a parlare di un Dio la cui sapienza ha necessariamente un aspetto diabolico, che la Bontà divina è al tempo stesso Collera divina, cosa che, alla fine, porterà al razionalismo dialettico di Hegel per il quale la Croce, il Venerdì Santo è, come egli dice, speculativa, cioè la legge stessa della ragione, che la si chiami umana o divina. La danza sacra che i filosofi di oggi fanno attorno all’hegelismo, ultima tappa della filosofia prima del materialismo e del positivismo, si rivela infeconda e sterile, gira solo attorno a se stessa, dimenticando sempre più il vero mistero: quello della Croce e della sua presenza reale nella Chiesa di tutti i tempi per mezzo dello Spirito. Nessuna sapienza umana può manipolare lo scandalo cristiano e la follia di Dio a proprio conto. Ed è proprio ciò che dobbiamo ricordare alle due Americhe, che quest’anno sono in particolare a tema del vostro Meeting, pero sebbene le loro ideologie siano ben diverse e in molti punti perfino opposte. L’America del Nord, che è in testa nelle ricerche tecniche, sociologiche e psicologiche tende ad erigere la ragione ad assoluto. Concederà un proprio posto al fenomeno religioso, in quanto atteggiamento umano privilegiato, ma non si curerà del lato oggettivo di questa o quella religione che si presenterà come rivelata, conoscerà una tolleranza senza limiti per tutte le forme, anche totalmente contrarie fra loro, di espressioni dogmatiche o quasi dogmatiche; e questo porterà alla convinzione che tutti quelli che credono in qualcosa di sacro saranno per i cristiani dei cristiani anonimi, gli come saranno, per esempio, per i buddisti dei buddisti anonimi. Sull’elenco telefonico di Los Angeles ci sono in fila pagine e pagine di Chiese di tutti i tipi i cui templi passano spesso da una setta all’altra. Un aspetto di scandalo, in questo, è una follia più umana che divina, una follia che non preoccupa nessuno; come in Italia sono stati soppressi i manicomi, così negli Stati Uniti si tollera con benevolenza ogni forma più o meno inoffensiva di credenza religiosa degli uomini. Si potrebbe dire che è preoccupante il fatto che nel Continente non ci possa essere persecuzione per una Chiesa che conservi, al suo centro, il vero scandalo cristiano. Il cristiano, purché si comporti in modo moralmente tollerabile per la società, sarà lasciata in pace. Il moralismo generale avrà partita vinta e la testimonianza cristiana, che per noi porta al martirio, gli sarà sottomessa come una specie al genere Certo, ci sarà la lotta delle razze (e non delle classi) e Martin Luter King, ottimo cristiano, sarà il martire di questa lotta, ma la sua morte sarà piuttosto la vittoria di una razza che di una religione. Nell’America del Sud incontriamo un razionalismo totalmente diverso. E’, e qui bisogna semplificare, la lotta fra due forme razionalistiche e politiche di comprensione del cristianesimo. Non vale la pena insistere sul cosiddetto cattolicesimo dei cosiddetti oppressori, che potrebbe quasi sempre ridursi a una forma di tradizionalismo H quale permette ad una classe dirigente l’espressione classica di una fede cattolica limitata alla recita di un Credo e alla pratica dei sacramenti. Da tutto questo, scandalo e follia sono esclusi. Mentre cattolicesimo e diritto politico sono intimamente congiunti. Il contrario di questo amalgama è più difficile da definire ed è noto come teologia della liberazione. Il problema è sapere in che senso si tratta di una teologia cristiana propriamente detta o di un movimento sociologico che si serve, a ragione o a torto, del Vangelo. Non metto assolutamente in dubbio la buona fede di molti, perfino della maggior parte di quei teologi che si riconoscono nella teologia della liberazione. Ma la domanda terribilmente scottante è un’altra: con che diritto si servono del Vangelo e del suo scandalo per fare politica? L’opzione per i poveri può essere detta centrale nell’atteggiamento di Gesù, ma vi vede Egli solo i materialmente poveri o tutti i poveri diavoli non piuttosto indigenti o ricchi che falliscono la loro entrata nel Regno dei Cieli? C’è, certamente, la difficoltà dei ricchi di passare per la cruna dell’ago, e la forza di testi simili. Ma non sono né la ricchezza né il potere politico che per Gesù separano il Regno in due campi. Il povero che non possiede alcun comfort in terra è più aperto alla Buona Novella del ricco pieno di preoccupazioni economiche. Ma bisogna forse aiutare il povero ad acquisire una parte di questo benessere? C’è, senza dubbio, un limite molto stretto fra miseria, che deve essere in tutti i casi soppressa, e povertà, che può essere una grazia che ci avvicina al Regno. Charles Péguy con molta ragione ci ha inculcato questa distinzione, egli non fa altro che seguire la parabola del Samaritano. Ed è la carità cristiana, essa sola, che ci deve animare a seguirlo, una carità che ispira una politica, ma che non si identifica con essa. Fra le due c’è una differenza livello. Due gesuiti francesi ce lo dicono sotto ogni punto di vista: P. Fracou che lavora in Cile e che ci ha dato quel libro dal titolo famoso: « Prima (di tutto) il Vangelo », cioè prima della politica. Esso ristabilisce lo scandalo della Croce unica di Cristo e vieta di confonderlo con quello della miseria umana. P. Pierre Ganne, mio vecchio amico durante gli studi teologici, che purtroppo è morto, nel suo nuovo libro sullo Spirito Santo ci inculca: concetto di Alleanza è che solo l’uomo libero è capace di stabilire dei rapporti veri, è l’uomo libero che diventa giusto e non l’uomo giusto che diventa libero. L’Esodo comincia con la liberazione; dopo, all’interno di questa liberazione (operata da Dio), si può chiedere al popolo di stabilire dei rapporti giusti. La decisione di giustizia parte dall’uomo; se il suo cuore è schiavo, egli non può avere il concetto di rapporti giusti guardate Lenin. Non ci sono esempi di rivoluzioni che non abbiano rafforzato il regime amministrativo e poliziesco. Non dimentichiamo che Satana si traveste da angelo di luce. Le nostre illusioni sono spesso a base di generosità. La libertà degli altri non è qualcosa che io scelgo. Non ne sono la fonte. La perversione del paternalismo porta a proclamare: Io scelgo il tuo benessere, la tua felicità. Ora, il mondo è pieno di questa pretesa, di scegliere la nostra felicità, è perfino un tema politico. In questo mondo il Vangelo è inintelligibile. Leggete tutto il libro, pubblicato da ‘Centurion’, 1984. La politicizzazione della carità è quindi un altro modo di pervertire la follia della Croce. Ma lasciamo ai latino-americani la loro chance di trovare nella loro situazione estremamente difficile l’equilibrio che permetta eli unire teologia e politica senza identificarle. Concludiamo ricordando che lo scandalo della Croce e la follia di Dio non sono affatto degli slogans a nostra disposizione. Entrambi i termini, il cui significato converge, non sono altro che l’espressione del fatto che la Sapienza divina ci supera infinitamente. San Paolo ce lo ripete in tutte le letture. Questa sapienza ci supera, ma non ci è sottratta. Avendo finito di inculcare il mistero della Croce, sofferta pro nobis, l’Apostolo continua: Aiuto sì, la sapienza che noi esponiamo fra i (cristiani diventati) perfetti Dio l’ha rivelata a noi per mezzo dello Spirito che scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. L’uomo terreno non accoglie le cose proprie dello stato di Dio; per lui sono stoltezza e non le può capire, perché è grazie allo Spirito che si giudica. Ma l’uomo spirituale giudica tutte le cose, (perché) noi possediamo il pensiero di Cristo. Noi l’abbiamo, non come un possesso, ma sempre come dono. E questo dono ci è dato non per noi, ma per essere comunicato e questo dono liberatore si diffonde solo nella comunione. E la comunione che libera ed è la libertà, essa sola, che rende possibile la comunione. Ma noi non costruiamo né la libertà né la comunione. Entrambe e la loro unità sono pura grazia di Dio.

Publié dans:biblica, Teologia |on 13 novembre, 2014 |Pas de commentaires »

SAN FRANCESCO D’ASSISI

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SAN FRANCESCO D’ASSISI

A cura di Alessandro Sangalli

Santo protettore dell’Italia, figura rivoluzionaria della Chiesa cristiana, messaggero ed ambasciatore di pace in Oriente: tutte descrizioni che si possono attribuire a San Francesco, il “poverello d’Assisi”. E perché non aggiungere, in fondo, anche quella di filosofo? Ha vissuto da anticonformista, ha predicato e messo per iscritto le sue idee, ha avuto numerosi discepoli… La sua concezione della vita va al di là di un semplice atteggiamento religioso, si può tranquillamente definire una vera e propria filosofia.

1. La vita
Nasce ad Assisi nel 1181/1182 col nome di Giovanni, figlio di Pietro di Bernardone e di Giovanna, detta donna Pica. Il padre, ricco mercante di stoffe, al momento della nascita del figlio si trova in Francia, ma, al suo ritorno, deciderà di chiamarlo Francesco.
Di Francesco, si può dire che abbia vissuto due vite, una l’opposto dell’altra. Il giovane Francesco era un ragazzo vivace, amante delle feste, dei banchetti e del lusso: amava mangiare e bere con gli amici, indossare vestiti eleganti e preziosi gioielli. È Francesco stesso a presentarsi, in apertura del suo Testamento, come uno che viveva nei peccati e nella dissoluzione morale. Nel 1202 partecipò, come molti altri suoi coetanei, alla guerra contro Perugina: fatto prigioniero, fu riscattato dopo un anno grazie alle risorse economiche del padre.
Circa due anni più tardi, inizia la sua conversione e la sua trasformazione. Il padre la racconta così: “All’inizio Francesco sembrava uguale a tutti gli altri bambini: era allegro, voleva sempre giocare e gli piaceva cantare. Poi accadde quello che accadde: un giorno incontrò un lebbroso e, invece di fuggire al suono della campanella, scese da cavallo e lo abbracciò. E non basta, un’altra volta si intrufolò nel mio magazzino e si prese tutte le stoffe preziose che c’erano negli scaffali per poi vendersele sottoprezzo, il tutto per pagare i restauri della chiesa di San Damiano”. Per quest’ultimo episodio, Francesco viene denunciato dal padre al tribunale ecclesiastico: qui, davanti al vescovo e al popolo, il giovane rinuncia all’eredità e ai beni paterni, si spoglia anche degli abiti e fa pubblica professione di povertà. Afferma in seguito: <<D’ora in avanti voglio dire “Padre nostro che sei nei cieli”, non più “padre mio Pietro di Bernardone”>>.
Da qui in poi, Francesco inizia la sua nuova vita: il colloquio col crocefisso non fa che rassicurarlo della decisione da lui presa. Un giorno, infatti, mentre sta pregando davanti al crocefisso, sente dirsi: <<Francesco, se vuoi conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che mondanamente amavi e bramavi possedere>>. Inizia quindi a predicare l’amore, la pace e la povertà e a poco a poco si uniscono a lui alcuni compagni: Bernardo di Quintavalle, Pietro Cattani, Gaspare di Petrignano e altri ancora. Vivono tutti insieme nella Porziuncola, una chiesetta mezza diroccata che riparano essi stessi. In questo clima viene redatta la Regola del Primo Ordine Francescano, che contiene le norme e le regole di vita della comunità. Francesco, con alcuni compagni, si reca a Roma per incontrare papa Innocenzo III e vedere riconosciuta la sua Regola. Le guardie, però, non lo fanno entrare a palazzo, scambiando lui e i compagni per dei guardiani di porci. Francesco e i suoi aspettano fuori dalle porte del Laterano per tre mesi, dormendo per strada e vivendo di elemosina, finché il papa, pare a causa di un sogno che lo aveva turbato, lo manda a prendere dalle guardie e accetta la Regola senza obiezioni, seppur solo oralmente. Fu il pontefice Onorio III, con la bolla Solet annuere Sedes Apostolica del 1223, a costituire definitivamente ed ufficialmente l’Ordine francescano.
Intorno al 1211 alla piccola comunità di frati si aggiunge Chiara, figlia di Favarone degli Offreducci, una ragazza di ceto aristocratico che condivide la stessa fede ardente di Francesco: <<Da quando ho conosciuto la grazia del Signore nostro Gesù Cristo per mezzo di quel suo servo Francesco, nessuna pena mi è stata molesta, nessuna penitenza gravosa, nessuna infermità mi è stata dura>>. Chiara è seguita nella sua scelta di vita da numerose altre ragazze come lei, che insieme fondano l’Ordine delle Clarisse, redigendo con Francesco la Seconda Regola.
Tra il 1217 e il 1221 si svolge la quinta crociata: voluta da Papa Onorio III, è condotta da Andrea II re d’Ungheria e da Giovanni di Brienne. Il piano dei crociati è quello di arrivare in Terrasanta e attaccare gli infedeli sorprendendoli da sud, arrivando cioè dall’Egitto. Ed è proprio in Egitto che si reca nel 1219 Francesco, con intenti apostolici ed evangelici. Dopo la sconfitta cristiana sotto le mura di Damietta, si spinge disarmato tra le linee nemiche e, catturato, è portato dal sultano Malek-el-Kamel. Il sultano è ammirato dalla persona e dalla figura di Francesco, tanto da trattarlo con garbo e rispetto, consentendogli pure di visitare i luoghi sacri.
Al ritorno dal pesante viaggio la sua salute, già precaria, è molto peggiorata. Francesco si dedica alla stesura della Regola del Terzo Ordine e rielabora quella del Primo.
È in questo periodo che si verificano gli episodi miracolosi della vita di Francesco: al 1223 risale l’apparizione del Gesù Bambino nel presepio vivente che era stato allestito da Francesco e compagni a Greccio, presso Rieti; l’anno successivo riceve le stigmate sul monte Verna; si moltiplicano le voci sulla sua abilità di parlare agli animali e si diffonde, in particolare, la storia del lupo di Gubbio.
I confratelli di Francesco, preoccupati per la sua salute che peggiora sempre più, gli consigliano di riposarsi ritirandosi e curandosi presso Siena: è proprio qui che nel 1226 detta il suo Testamento, forse sentendo vicina la morte. Con le ultime forze decide di tornare ad Assisi, dove, dopo aver scritto il Testamento finale, muore nella sua Porziuncola: è il 3 ottobre 1226. Fu fatto santo da Gregorio IX il 16 luglio 1228.

2. Le opere
Il messaggio e l’insegnamento di Francesco stanno forse più nella sua esperienza di vita che nei suoi scritti, tanto più che egli era solito definirsi “semplice e illetterato”. Non si può negare, tuttavia, la sua attenzione per la predicazione e per la parola, strumenti necessari per illuminare la vita e dare senso all’esistenza, per esprimere l’amore per la Natura e la lode a Dio. La distinzione consueta delle sue opere proposta dagli editori moderni è la seguente:

- Regole ed esortazioni
Regola non bollata (comprende scritti fino al 1221)
Regola bollata (approvata da Onorio III nel 1223)
Regola di vita negli eremi
Ammonizioni (raccolta di riflessioni spirituali)
Testamento di Siena (maggio 1226)
Testamento finale (autoritratto e spaccato della sua vita)

- Lettere (Ai fedeli; Ai chierici; Ai reggitori di popoli; A tutto l’Ordine; etc.)

- Laudi e preghiere
Lodi di Dio Altissimo
Cantico di Frate Sole (o delle Creature)
Preghiera davanti al crocefisso
Ufficio della Passione del Signore

Come nota Carlo Paolazzi in Lettura degli “Scritti” di Francesco d’Assisi, queste opere <<non nascono da motivazioni culturali e letterarie, ma da esigenze di vita comunitaria e personale>>.

3. La figura e il messaggio
“Vivere secondo la forma del Vangelo” è la grande svolta che trasforma definitivamente la vita del giovane Francesco, un ragazzo che viveva nella ricchezza e sceglie la povertà, che sognava la gloria delle armi e si fa ambasciatore di pace e amore. La sfida di Francesco è quella di mostrare agli uomini del suo tempo come l’insegnamento del Vangelo possa essere vissuto da tutti, sempre, senza mezze misure, come ha detto Gesù: <<Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi>> (Gv, 13,15). “Io ho fatto la mia parte; quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo”, diceva Francesco.
Al centro del suo messaggio sta il mistero di Dio e l’amore con cui Francesco lo vive: è proprio Dio, Padre amorevole, sommo bene dal quale proviene ogni altro bene che egli intravede in tutte le cose, in tutte le creature: <<Laudato sie, mi’ Signore, cum tutte le tue creature>> (Cantico di Frate Sole). L’amore e la gratitudine di Francesco aumentano di fronte a Gesù, figlio di Dio, nato e morto per noi. L’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione di Gesù non soltanto testimoniano il suo amore per noi, ma sollecitano una risposta: seguire le orme di Gesù è rispondere a quest’amore: “Dobbiamo amare molto l’amore di colui che ci ha molto amati”.
Il pensiero e il messaggio di Francesco ebbero rapidissima diffusione e notevole influenza sulla cultura europea. Tra le più importanti figure francescane si ricordano anche parecchi filosofi: tra gli altri Bonaventura, Ruggero Bacone, Duns Scoto, Guglielmo d’Ockham.
In conclusione, soffermiamoci sulla figura di Francesco così come la delinea un suo discepolo, fra Gaspare da Petrignano:
“Conobbi Francesco un giorno mentre stavo tornando dal mercato: lo vedo e ne resto affascinato. Ha come vestito un sacco di iuta e siamo in pieno inverno. […] Lo invito a casa mia: mangiamo insieme e resto tutta la notte in piedi per parlare con lui. Non capisco bene quello che dice ma lo ascolto. Ho l’impressione di vivere per la prima volta. […] Gli chiedo dove abita e mi porta in una chiesetta mezza diroccata chiamata la Porziuncola. Senza pensarci troppo decido di vivere lì anch’io. […] Oggi ci hanno raggiunto altri tre fratelli: si chiamano Bernardo, Pietro ed Egidio. Li abbiamo sistemati tutti e tre dietro l’altare. […] Noi seguiamo Francesco, felici come non lo siamo mai stati nella vita. Le nostre regole sono: l’umiltà, la carità, l’obbedienza, la povertà, la serenità, la pazienza, il lavoro e la gioia. Ieri Francesco ha detto ad un contadino: <<Non coltivare tutto il tuo terreno. Lasciane un po’ alle erbacce, così vedrai spuntare anche i fratelli fiori>>. […] La cosa più bella che ho fatto grazie a Francesco è stato il presepio. Eravamo a Greccio, dalle parti di Rieti, quando lui ci parlò di Betlemme e della nascita di Gesù Bambino. Era il giorno di Natale. Francesco andò in paese e si fece prestare un bue e un asinello, poi convinse alcuni paesani a travestirsi da pastori e uno di loro venne con la moglie, una brava donna. Li nominammo subito Giuseppe e Maria. Insomma, mettemmo in piedi un presepe vivente. Il bambino ovviamente non c’era, eppure, roba da non credere, quando scoccò la mezzanotte tutti, ma proprio tutti, lo vedemmo sgambettare nella paglia. Impossibile raccontare fino a che punto siamo stati felici!”

4. Il Cantico delle Creature
Se esiste un componimento o uno scritto di Francesco che possa essere considerato il manifesto del suo pensiero e delle sue idee, è senz’altro il Cantico di Frate Sole, anche noto come Cantico delle Creature. In esso troviamo il grande amore di Francesco per Dio e per tutto il creato: è in tutte le creature che Francesco vede Dio, è amando tutto il creato che Francesco ama Dio. L’uomo è esso stesso una creatura, fratello di tutte le cose che esistono.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria, l’honore et onne benedizione.
Ad te solo, Altissimo, se konfane,
e nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tutte le Tue creature,
spezialmente messor lo frate Sole,
lo quale è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le Stelle:
in celu l’ài formate clarite e preziose e belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
E per aere e nubilo e sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,
la quale è multo utile et humile e pretiosa e casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la notte:
et ello è bello e iocundo e robustoso e forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta e governa,
e produce diversi frutti con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
e sostengo infirmitate e tribulazione.
Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,
ka la morte seconda no ‘l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore e rengraziate
e serviateli cum grande humiltate.

5. S. Francesco e Dante
Dante Alighieri dedica non pochi versi alla figura di Francesco: siamo nel Canto XI del Paradiso, Dante si trova nel cerchio degli spiriti sapienti dove, tra gli altri, è presente anche Tommaso d’Aquino. È proprio a quest’ultimo che Dante fa proferire l’elogio di Francesco, elogio profondo, allegorico e ricco di suggestioni (vv. 43-117).
L’elogio non si riduce ad una semplice biografia, né ricalca la ricca aneddotica, colorita ed incantevole, già solida e conosciuta ai tempi di Dante. Anzi, a onor del vero, la biografia si riduce all’essenziale: la nascita è raccontata con una complessa indicazione geografica, è seguita poi da pochi accenni alla conversione, dalla “guerra” col padre, e subito si arriva alle nozze con la Povertà. I versi proseguono narrando del formarsi dell’originario gruppo di discepoli, delle udienze ottenute da Francesco, prima con papa Innocenzo e poi con Onofrio, che diedero <<sigillo a sua religïone>> e <<corona>> alla sua <<santa voglia>>. Il racconto prosegue con cenni al viaggio in Oriente, all’eremitaggio e alle stigmate ricevute sul monte Verna, per chiudersi col ritorno di quest’<<anima preclara>> a Dio, con la morte in umiltà e la sepoltura nella nuda terra.
Centrale in questo canto, come nella vita di Francesco, è l’immagine dell’amore tra il giovane e la Povertà, con le loro “nozze mistiche” dinanzi alla <<spiritual corte et coram patre>>, l’immagine dell’amore per una tale donna <<a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra>>. Morte che, in quanto creatura di Dio, Francesco amava e rispettava come fosse sua sorella.
Come nota Auerbach: <<a questo per l’appunto serve l’allegoria della povertà: essa fa un tutto unico della missione del santo e dell’atmosfera particolare alla sua persona. […] In quanto donna di Francesco, la povertà possiede una realtà concreta, ma poiché Cristo fu il suo primo sposo, così la realtà concreta, di cui si tratta, è nello stesso tempo parte d’una grande concezione storica e dogmatica. Paupertas unisce Francesco con Cristo, stabilisce la posizione del santo quale imitator Christi>>.

Publié dans:San Francesco d'Assisi |on 13 novembre, 2014 |Pas de commentaires »

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