Archive pour le 4 novembre, 2014

Carlo Saraceni, S. Carlo Borromeo comunica un appestato

Carlo Saraceni, S. Carlo Borromeo comunica un appestato dans immagini sacre
http://www.santiebeati.it/immagini/?mode=view&album=24950&pic=24950AC.JPG&dispsize=Original&start=0

Publié dans:immagini sacre |on 4 novembre, 2014 |Pas de commentaires »

SAN CARLO BORROMEO VESCOVO – 4 NOVEMBRE

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24950

SAN CARLO BORROMEO VESCOVO

4 NOVEMBRE

Arona, Novara, 1538 – Milano, 3 novembre 1584

Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un’Accademia secondo l’uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant’Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all’interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un’opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentanto. Durante la peste del 1576 assistette personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. (Avvenire)

Patronato: Catechisti, Vescovi
Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico
Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime. Passò alla patria celeste il giorno precedente a questo.
(3 novembre: A Milano, anniversario della morte di san Carlo Borromeo, vescovo, la cui memoria si celebra domani).
Nella storia civile e anche in quella della Chiesa troviamo vari personaggi cui i posteri hanno decretato il titolo di Magno. Non li enumero qui perché sono facili da ricordare e poi non sono moltissimi. Al santo che vi presento, San Carlo Borromeo, non è stato dato il titolo di Grande, ma secondo me lo meriterebbe, almeno nell’ambito della storia ecclesiastica. È un personaggio centrale del 1500, una delle figure più eminenti, la cui opera, specialmente per Milano, ha superato la forza dell’oblio.
Carlo nacque ad Arona, sul Lago Maggiore, nel 1538, in una nobile e ricca famiglia. Il padre, Gilberto, era noto per la profonda religiosità e per la sua generosità verso i poveri. Anche la madre, Margherita, era piissima: purtroppo morì quando Carlo aveva solo nove anni. Questo influsso dei genitori rimarrà fondamentale nella sua educazione.
A 12 anni, Carlo fu nominato commendatario di un’abbazia benedettina di Arona, che fruttava una rendita di 2000 scudi.
Una cifra considerevole. Nonostante l’età, però, il ragazzo aveva già le idee chiare.
Infatti, appena ricevuta l’investitura, corse dal padre per dirgli che aveva deciso di spendere quei soldi in aiuto dei poveri. Non c’è male per un dodicenne. I suoi pari di oggi sono anni luce lontano da lui.
Arrivati i 14 anni si recò a studiare prima a Milano poi a Pavia, portando con sé solo un piccola somma di denaro. Ma a lui questa condizione di strettezza economica (relativamente al suo rango) non pesava più di tanto. Nella condizione di studente rivelò ben presto i suoi numerosi talenti: grande intelligenza, carattere tenace e riflessivo, era portato all’essenziale, a non perdersi cioè in tante banalità ed esperienze superficiali, non infrequenti a quell’età. Nel 1559, diventò dottore “in utroque jure” ed aveva solo 21 anni.
A Roma, intanto, alla fine dello stesso anno ci fu il cambio di guardia in Vaticano. Era stato eletto un nuovo Papa, Pio IV, nella persona di Gianangelo de’ Medici, suo zio materno. Questo fatto impresse una svolta alla sua vita. Fu infatti chiamato dallo stesso Papa nella Città Eterna insieme al fratello Federico.

Carriera ecclesiastica a Roma
Nel caso di Pio IV ci troviamo davanti ad un raro caso di nepotismo positivo per la Chiesa. Il Papa promosse immediatamente i due nipoti: Federico (1561) ebbe la carica di capitano generale della Chiesa, Carlo non ancora ventiduenne, fu nominato cardinale con un incarico che oggi potremmo chiamare di Segretario di Stato. Poco dopo gli affidò anche l’amministrazione della diocesi di Milano con l’obbligo di restare però… a Roma. E questa non era l’unica carica. Ne ebbe parecchie altre con l’inevitabile cumulo anche dei rispettivi benefici economici. Gli storici dicono che l’accordo tra Papa e nipote fu sempre perfetto. Carlo nonostante le cariche rimaneva sempre un uomo di cultura.
Al tal fine fondò un’accademia a carattere umanistico-letterario, composta da amici, chiamata Notti Vaticane. Si era anche comprato un fastoso palazzo con servitù a seguito, in cui organizzava fastosi e festosi ricevimenti. Erano i tempi: il tutto non per vanità ma perché lo riteneva opportuno per la carica che ricopriva e per la fama e decoro della famiglia da cui proveniva.

L’evento decisivo
L’improvvisa morte del fratello Federico (1562) gli fece cambiare radicalmente vita. La interpretò come un segno da parte di Dio per riformare la propria vita ancor più in senso evangelico. Così cambiò radicalmente: addio ai festosi ricevimenti, addio ai divertimenti anche moralmente leciti, addio alle Notti Vaticane che divennero un cenacolo di cultura religiosa. Ridusse il proprio tenore di vita, intensificando la penitenza, i digiuni e le rinunce. Riprese inoltre, con più impegno, la propria formazione teologica e pastorale. Era pur sempre vescovo di una diocesi anche se non esercitava direttamente.
Il Papa vide perplesso la trasformazione in senso ascetico del prezioso nipote (che qualche volta chiamava “il mio occhio destro”). Scosse la testa: il tutto gli sembrava esagerato. Giunse persino a sgridarlo (addebitando l’eccessivo zelo ascetico ai consigli dei suoi direttori spirituali e all’influsso di personaggi contemporanei del calibro di Ignazio di Loyola, Gaetano da Thiene, Filippo Neri: guarda caso tutti Santi dichiarati tali dalla Chiesa). Il Papa lo scoraggiò, lo rimproverò, ma lo lasciò fare, e alla fine lo… imitò.
Ma il più grande merito di Carlo Borromeo fu che convinse il Papa a riconvocare il Concilio di Trento sospeso nel 1555. Se questo lavorò tanto e bene e se finì gloriosamente e proficuamente per la Chiesa (1563) il grande merito fu di Carlo. Egli ne fu la mente organizzatrice e l’ispiratore.
Nel luglio 1563, fu ordinato sacerdote e poco tempo dopo vescovo. Voleva fare il pastore di anime nella sua diocesi di Milano e ne aspettava l’occasione.
Il Concilio era finito ma bisognava assicurarsi che anche il successore di Pio IV avesse l’intenzione di continuare la riforma che ne era scaturita. Carlo credeva nell’azione dello Spirito Santo nella direzione della Chiesa, ma, nello stesso tempo, faceva umanamente quello che lui stesso pensava utile. Al vecchio e ammalato zio infatti suggerì i nomi dei nuovi cardinali del futuro conclave: doveva promuovere solo quelli favorevoli alla riforma della Chiesa voluta dal Concilio di Trento. Fatto questo gli chiese di poter presiedere, come legato papale, il consiglio provinciale che si teneva a Milano (la sua diocesi) per attuare le disposizioni conciliari. Lo zio Papa acconsentì. E Carlo partì. Ma poco tempo dopo dovette in tutta fretta fare ritorno a Roma (in compagnia di Filippo Neri) perché il Papa era ormai alla fine. Pio IV infatti morì tra le sue braccia il 9 dicembre 1565.
Morto un Papa, se ne fa un altro, così dice il proverbio. E così fu. Il 7 gennaio 1566, il Nostro avrebbe potuto farsi eleggere Papa con facilità, la sua “lobby” infatti era fortissima. Ed inoltre, era degnissimo. Ma lo Spirito Santo e lui non vollero. Fu eletto il Card. Michele Ghislieri, domenicano, favorevole all’attuazione del Concilio di Trento. E Carlo fu uno dei suoi “sponsor”.

Un pastore “di ferro” che dà la sua vita
Nell’aprile del 1566, raggiunse Milano, dove iniziò subito la grande opera di riforma secondo il Concilio di Trento. Fu un organizzatore geniale e un lavoratore instancabile tanto che Filippo Neri esclamò: “Ma quest’uomo è di ferro”.
Organizzò la sua diocesi in 12 circoscrizioni, curò la revisione della vita della parrocchia obbligando i parroci a tenere i registri di archivio, con le varie attività e associazioni parrocchiali. Si impegnò molto nella formazione del clero creando il seminario maggiore e minore. Fu soprattutto instancabile nel visitare le popolazioni affidate alla sua cura pastorale e spirituale, iniziando la sua prima visita nel 1566 subito dopo l’arrivo a Milano.
La sua visita in una parrocchia era preparata spiritualmente con la preghiera e con la predicazione che doveva portare ai sacramenti. Il vescovo all’inizio faceva una riunione con i notabili del paese ai quali chiedeva tra l’altro: “Come si comportano in chiesa i parrocchiani? Ci sono eretici, usurai, concubini, banditi o criminali? Ci sono seminatori di discordia, parrocchiani che non osservano la Quaresima?… I padri di famiglia educano bene i propri figli? Non c’è lusso esagerato nel vestire da parte degli uomini e delle donne? Se ci sono delle istituzioni di beneficenza e di aiuto sociale, sono ben amministrate?”. E altre domande simili. Come si vede concrete.
Tutto bene quindi nella sua opera di riforma? Non proprio. Incontrò difficoltà e talvolta anche ostilità. Come nel caso dell’attentato che subì il 26 ottobre 1569 ad opera di quattro frati dell’Ordine degli Umiliati. Uno di questi gli sparò mentre era in preghiera nella sua cappella privata. Motivo? Il Borromeo voleva riformare quell’ordine religioso ormai decaduto. Ma le riforme proposte furono viste dagli Umiliati come umiliazioni. La pallottola gli forò il rocchetto, ma lui rimase illeso miracolosamente ed il popolo lo interpretò come un segno dall’alto della bontà delle sue riforme. E gli Umiliati, di nome, furono umiliati anche di fatto e per sempre con la loro cancellazione definitiva.
Ma lo spessore della sua personalità di pastore e del suo amore più grande che “dona la vita per i suoi amici”, la mostrò in occasione della peste del 1576. Assente dalla città perché in visita pastorale, rientrò subito, mentre il governatore spagnolo e il gran cancelliere fuggivano via.
Fece subito testamento sapendo che la peste non aveva riguardo per nessuno, nemmeno per l’alto clero: organizzò l’opera di assistenza, visitò personalmente e coraggiosamente i colpiti dal terribile morbo, aiutò tutti instancabilmente fino al punto da meritarsi un rimprovero dal Papa di Roma.
Nonostante tutta l’attività pastorale, il Borromeo fece quattro viaggi a Roma e quattro a Torino. Era molto devoto della sacra Sindone. Fu proprio nel 1578 che i duchi di Savoia la portarono a Torino perché al vescovo di Milano, che aveva chiesto di venerarla personalmente, fosse risparmiato il difficile e pericoloso attraversamento delle Alpi (motivo ufficiale), ma anche per difenderla dalle brame dei Francesi (motivo politico). L’esposizione della reliquia fatta a Torino nel 1978 fu per ricordare questo suo arrivo nella città.
A causa della sua attività pastorale senza sosta, dei frequenti viaggi, delle continue penitenze, la sua salute peggiorò rapidamente. La morte lo colse preparatissimo il 3 novembre del 1584, ed il suo culto si diffuse rapidamente fino alla canonizzazione fatta nel 1610 da Paolo V.
Carlo Borromeo moriva fisicamente ma la sua eredità, fatta di santità personale e di azione instancabile per la Chiesa era più viva che mai, e sarebbe continuata nei secoli. Fino ad oggi.

Autore: Mario Scudu sdb 

Publié dans:Arcivecovi e Vescovi, Santi |on 4 novembre, 2014 |Pas de commentaires »

SALMO 67: SORGA DIO

http://www.vincenzotopa.net/archivio/sal67.pdf

Un cantore medita i salmi. Ed. Vocazioniste, 2006

SALMO 67: SORGA DIO

Il lungo salmo 67 (68), attribuito a Davide, canta della gloriosa epopea di Israele. In esso vengono ripercorse tutte le tappe della storia di salvezza che Dio fa con il
suo popolo. D’altra parte ciò che avvenne nella storia di Israele si rinnova nella storia della Chiesa e si riproduce nella vita spirituale di ogni uomo. Nella prima parte del testo, che qui commentiamo, si fa riferimento ai fatti dell’Esodo. In particolare, il salmo inizia con l’acclamazione, il grido di guerra, che Mosè e il popolo ripetevano ogni volta che l’Arca veniva issata per guidare il cammino nel deserto (cfr. Num. 10, 35):
“Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano,
e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano.”
Questo è già avvenuto nell’Esodo come è avvenuto nel Cristo risorto, la cui croce innalzata è il simbolo della Nuova Alleanza. Davanti a Cristo, infatti, gli spiriti del
male si disperdono come fumo e, nel giorno del giudizio, gli empi fonderanno come cera:
“Come si disperse il fumo, tu li disperdi;
come fonde la cera di fronte al fuoco
periscano gli empi davanti a Dio.
I giusti invece si rallegrino,
esultino davanti a Dio
e cantino di gioia.”
I giusti, invece, nell’ultimo giorno udranno le parole: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”
(Mt. 25,34) e gioiranno davanti a Lui. Risuoni allora l’acclamazione della Chiesa e di ogni cristiano che si accinge ogni giorno al combattimento spirituale: Sorga
Dio! “Fate strada a Cristo, in modo che, attraverso l’opera di coloro che con piedi graziosi annunziano il Vangelo, i cuori dei credenti si aprano a lui. Egli è colui
che sale oltre il tramonto” (S. Agostino, En. in ps., 67), colui che, come dice il salmista, è Kyrios, Signore, e cavalca le nubi:
“Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,
spianate la strada a chi cavalca le nubi:
«Signore» è il suo nome,
gioite davanti a lui.
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
Ai derelitti fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri;
solo i ribelli abbandona in terra arida.”
Con questi orfani e con queste vedove, con coloro che sono privi di speranze terrene, con chi è prigioniero, con gli umili il Signore costruisce il suo tempio, facendoli abitare nella sua casa. Casa che è nel cuore di ogni uomo se solo apre la porta dell’anima per farsi accogliere nel cuore immacolato di Cristo. Ecco il Regno, la terra promessa, il riposo del cuore, la pace, pegno della vita eterna della quale parla il salmista: “e il tuo popolo abitò il paese che nel tuo amore, o Dio,
preparasti al misero”. Nella seconda parte di questo salmo “Il Signore annuncia
una notizia” tramite una miriade di messaggeri. Di chi si parla? O meglio, di chi si profetizza? Del cristianesimo! Degli evangelizzatori… dei cristiani che annunciano il
Kerygma… Cristo ha distrutto la morte! Questo è l’annuncio di vittoria, la notizia, la buona notizia di fronte alla quale tutti i re e gli eserciti che prima ci intimorivano (ognuno provi a elencare concretamente quelli che angosciano la sua vita) sono messi in fuga. Così come fuggirono Sìsara e i suoi di fronte a Israele, guidato da Debora e da Barak. Molto probabilmente il salmista fa infatti riferimento ai fatti narrati nel libro dei Giudici (cfr. Gdc. capitoli 4 e 5):
“Il Signore annuncia una notizia,
le messaggere di vittoria sono grande schiera:
«fuggono i re, fuggono gli eserciti;
la bella della casa1
spartisce il bottino».”
La “bella della casa”, allora, potrebbe essere Debora… o Giaele, che trafisse alla fine il potente Sìsara; ma anche qui è possibile vedere una profezia: si tratta di una figura di Maria, la tutta bella della casa, cioè della Chiesa. Così, mentre il gregge di Dio dorme al sicuro tra gli steccati dell’ovile (S. Agostino, nel suo commento ai
salmi, dice che questi steccati sono immagine dei due Testamenti o, meglio, delle due Alleanze), le ali della colomba, figura dello Spirito Santo, risplendono. La
Chiesa risplende nella carità! “Guardate come si amano!” dicevano ammirati tra loro i pagani nel vedere questo splendore delle prime comunità cristiane.
“«Mentre voi dormite tra gli ovili,
splendono d’argento le ali della colomba,
le sue piume di riflessi d’oro»;”
Il versetto seguente è oscuro. Una delle ipotesi proposte è che si faccia riferimento alla distruzione di Sichem voluta da Abimélech, il quale sparse sale sullo Zalmon, il
monte ombroso, perché non vi crescesse più niente (cfr. Gdc. 9, 45). La neve, d’altra parte, è bianca come il sale (Sir. 43, 18) e anche Abimélech, come Sìsara, fu poi ucciso da una donna (Gdc. 9, 53)… si rafforzerebbe così il concetto già espresso all’inizio:
“Quando disperdeva i re l’Onnipotente,
nevicava sullo Zalmon…”
Continua il lungo racconto del salmista, che profetizza la risurrezione di Cristo quando dice: “il Signore Dio libera dalla morte”, fino a vedere, nei versetti finali, la sua Ascensione al cielo:
“Regni della terra, cantate a Dio,
cantate inni al Signore;
egli nei cieli cavalca, nei cieli eterni,
ecco, tuona con voce potente.”
Quest’ultima esortazione annuncia la glorificazione del Cristo da parte di tutti i Regni della terra: “Riconoscete a Dio la sua potenza, la sua maestà su Israele, la sua
potenza sopra le nubi”. “Allora infatti si realizzerà completamente e veracemente quel nome di Israele che significa «colui che vede Dio»” (S. Agostino, En. in ps.,
67).

1
Viene riportata la traduzione letterale, che secondo la Bibbia di
Gerusalemme si riferisce a Giaele (Gdc. 5, 24). Altre traduzioni
riportano: “anche le donne si dividono il bottino”.
2
Si potrebbe proporre, a conferma del parallelo Giaele-Maria, il
confronto tra il libro dei Giudici: “Una mano essa stese al picchetto
e la destra a un martello da fabbri, e colpì Sisara, lo percosse alla
testa, ne fracassò, ne trapassò la tempia. Ai piedi di lei si contorse,
ricadde, giacque; dove si contorse là ricadde finito” (Gdc. 5, 26-27)
e quello della Genesi: “Allora il Signore Dio disse al serpente: Io
porrò inimicizia tra te e la donna… questa ti schiaccerà la testa e tu
le insidierai il calcagno.” (Gen. 3, 15) Un cantore medita i salmi. Ed. Vocazioniste, 2006

Publié dans:BIBBIA, BIBBIA. A.T. SALMI |on 4 novembre, 2014 |Pas de commentaires »

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31