Archive pour août, 2014

BENEDETTO XVI: SANTA CHIARA D’ASSISI – 11 AGOSTO

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2010/documents/hf_ben-xvi_aud_20100915_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

Mercoledì, 15 settembre 2010

SANTA CHIARA D’ASSISI – 11 AGOSTO

Cari fratelli e sorelle,

una delle Sante più amate è senz’altro santa Chiara d’Assisi, vissuta nel XIII secolo, contemporanea di san Francesco. La sua testimonianza ci mostra quanto la Chiesa tutta sia debitrice a donne coraggiose e ricche di fede come lei, capaci di dare un decisivo impulso per il rinnovamento della Chiesa.

Chi era dunque Chiara d’Assisi? Per rispondere a questa domanda possediamo fonti sicure: non solo le antiche biografie, come quella di Tommaso da Celano, ma anche gli Atti del processo di canonizzazione promosso dal Papa solo pochi mesi dopo la morte di Chiara e che contiene le testimonianze di coloro che vissero accanto a lei per molto tempo.

Nata nel 1193, Chiara apparteneva ad una famiglia aristocratica e ricca. Rinunciò a nobiltà e a ricchezza per vivere umile e povera, adottando la forma di vita che Francesco d’Assisi proponeva. Anche se i suoi parenti, come accadeva allora, stavano progettando un matrimonio con qualche personaggio di rilievo, Chiara, a 18 anni, con un gesto audace ispirato dal profondo desiderio di seguire Cristo e dall’ammirazione per Francesco, lasciò la casa paterna e, in compagnia di una sua amica, Bona di Guelfuccio, raggiunse segretamente i frati minori presso la piccola chiesa della Porziuncola. Era la sera della Domenica delle Palme del 1211. Nella commozione generale, fu compiuto un gesto altamente simbolico: mentre i suoi compagni tenevano in mano torce accese, Francesco le tagliò i capelli e Chiara indossò un rozzo abito penitenziale. Da quel momento era diventata la vergine sposa di Cristo, umile e povero, e a Lui totalmente si consacrava. Come Chiara e le sue compagne, innumerevoli donne nel corso della storia sono state affascinate dall’amore per Cristo che, nella bellezza della sua Divina Persona, riempie il loro cuore. E la Chiesa tutta, per mezzo della mistica vocazione nuziale delle vergini consacrate, appare ciò che sarà per sempre: la Sposa bella e pura di Cristo.

In una delle quattro lettere che Chiara inviò a sant’Agnese di Praga, la figlia del re di Boemia, che volle seguirne le orme, parla di Cristo, suo diletto Sposo, con espressioni nunziali, che possono stupire, ma che commuovono: “Amandolo, siete casta, toccandolo, sarete più pura, lasciandovi possedere da lui siete vergine. La sua potenza è più forte, la sua generosità più elevata, il suo aspetto più bello, l’amore più soave e ogni grazia più fine. Ormai siete stretta nell’abbraccio di lui, che ha ornato il vostro petto di pietre preziose… e vi ha incoronata con una corona d’oro incisa con il segno della santità” (Lettera prima: FF, 2862).

Soprattutto al principio della sua esperienza religiosa, Chiara ebbe in Francesco d’Assisi non solo un maestro di cui seguire gli insegnamenti, ma anche un amico fraterno. L’amicizia tra questi due santi costituisce un aspetto molto bello e importante. Infatti, quando due anime pure ed infiammate dallo stesso amore per Dio si incontrano, esse traggono dalla reciproca amicizia uno stimolo fortissimo per percorrere la via della perfezione. L’amicizia è uno dei sentimenti umani più nobili ed elevati che la Grazia divina purifica e trasfigura. Come san Francesco e santa Chiara, anche altri santi hanno vissuto una profonda amicizia nel cammino verso la perfezione cristiana, come san Francesco di Sales e santa Giovanna Francesca di Chantal. Ed è proprio san Francesco di Sales che scrive: “È bello poter amare sulla terra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come faremo eternamente nell’altro. Non parlo qui del semplice amore di carità, perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell’amicizia spirituale, nell’ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito” (Introduzione alla vita devota III, 19).

Dopo aver trascorso un periodo di qualche mese presso altre comunità monastiche, resistendo alle pressioni dei suoi familiari che inizialmente non approvarono la sua scelta, Chiara si stabilì con le prime compagne nella chiesa di san Damiano dove i frati minori avevano sistemato un piccolo convento per loro. In quel monastero visse per oltre quarant’anni fino alla morte, avvenuta nel 1253. Ci è pervenuta una descrizione di prima mano di come vivevano queste donne in quegli anni, agli inizi del movimento francescano. Si tratta della relazione ammirata di un vescovo fiammingo in visita in Italia, Giacomo di Vitry, il quale afferma di aver trovato un grande numero di uomini e donne, di qualunque ceto sociale che “lasciata ogni cosa per Cristo, fuggivano il mondo. Si chiamavano frati minori e sorelle minori e sono tenuti in grande considerazione dal signor papa e dai cardinali… Le donne … dimorano insieme in diversi ospizi non lontani dalle città. Nulla ricevono, ma vivono del lavoro delle proprie mani. E sono grandemente addolorate e turbate, perché vengono onorate più che non vorrebbero, da chierici e laici” (Lettera dell’ottobre 1216: FF, 2205.2207).

Giacomo di Vitry aveva colto con perspicacia un tratto caratteristico della spiritualità francescana cui Chiara fu molto sensibile: la radicalità della povertà associata alla fiducia totale nella Provvidenza divina. Per questo motivo, ella agì con grande determinazione, ottenendo dal Papa Gregorio IX o, probabilmente, già dal papa Innocenzo III, il cosiddetto Privilegium Paupertatis (cfr FF, 3279). In base ad esso, Chiara e le sue compagne di san Damiano non potevano possedere nessuna proprietà materiale. Si trattava di un’eccezione veramente straordinaria rispetto al diritto canonico vigente e le autorità ecclesiastiche di quel tempo lo concessero apprezzando i frutti di santità evangelica che riconoscevano nel modo di vivere di Chiara e delle sue sorelle. Ciò mostra come anche nei secoli del Medioevo, il ruolo delle donne non era secondario, ma considerevole. A questo proposito, giova ricordare che Chiara è stata la prima donna nella storia della Chiesa che abbia composto una Regola scritta, sottoposta all’approvazione del Papa, perché il carisma di Francesco d’Assisi fosse conservato in tutte le comunità femminili che si andavano stabilendo numerose già ai suoi tempi e che desideravano ispirarsi all’esempio di Francesco e di Chiara.

Nel convento di san Damiano Chiara praticò in modo eroico le virtù che dovrebbero contraddistinguere ogni cristiano: l’umiltà, lo spirito di pietà e di penitenza, la carità. Pur essendo la superiora, ella voleva servire in prima persona le suore malate, assoggettandosi anche a compiti umilissimi: la carità, infatti, supera ogni resistenza e chi ama compie ogni sacrificio con letizia. La sua fede nella presenza reale dell’Eucaristia era talmente grande che, per due volte, si verificò un fatto prodigioso. Solo con l’ostensione del Santissimo Sacramento, allontanò i soldati mercenari saraceni, che erano sul punto di aggredire il convento di san Damiano e di devastare la città di Assisi.

Anche questi episodi, come altri miracoli, di cui si conservava la memoria, spinsero il Papa Alessandro IV a canonizzarla solo due anni dopo la morte, nel 1255, tracciandone un elogio nella Bolla di canonizzazione in cui leggiamo: “Quanto è vivida la potenza di questa luce e quanto forte è il chiarore di questa fonte luminosa. Invero, questa luce si teneva chiusa nel nascondimento della vita claustrale e fuori irradiava bagliori luminosi; si raccoglieva in un angusto monastero, e fuori si spandeva quanto è vasto il mondo. Si custodiva dentro e si diffondeva fuori. Chiara infatti si nascondeva; ma la sua vita era rivelata a tutti. Chiara taceva, ma la sua fama gridava” (FF, 3284). Ed è proprio così, cari amici: sono i santi coloro che cambiano il mondo in meglio, lo trasformano in modo duraturo, immettendo le energie che solo l’amore ispirato dal Vangelo può suscitare. I santi sono i grandi benefattori dell’umanità!

La spiritualità di santa Chiara, la sintesi della sua proposta di santità è raccolta nella quarta lettera a Sant’Agnese da Praga. Santa Chiara adopera un’immagine molto diffusa nel Medioevo, di ascendenze patristiche, lo specchio. Ed invita la sua amica di Praga a riflettersi in quello specchio di perfezione di ogni virtù che è il Signore stesso. Ella scrive: “Felice certamente colei a cui è dato godere di questo sacro connubio, per aderire con il profondo del cuore [a Cristo], a colui la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora, la cui benignità sazia, la cui soavità ricolma, il cui ricordo risplende soavemente, al cui profumo i morti torneranno in vita e la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della celeste Gerusalemme. E poiché egli è splendore della gloria, candore della luce eterna e specchio senza macchia, guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno… In questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità” (Lettera quarta: FF, 2901-2903).

Grati a Dio che ci dona i Santi che parlano al nostro cuore e ci offrono un esempio di vita cristiana da imitare, vorrei concludere con le stesse parole di benedizione che santa Chiara compose per le sue consorelle e che ancora oggi le Clarisse, che svolgono un prezioso ruolo nella Chiesa con la loro preghiera e con la loro opera, custodiscono con grande devozione. Sono espressioni in cui emerge tutta la tenerezza della sua maternità spirituale: “Vi benedico nella mia vita e dopo la mia morte, come posso e più di quanto posso, con tutte le benedizioni con le quali il Padre delle misericordie benedisse e benedirà in cielo e in terra i figli e le figlie, e con le quali un padre e una madre spirituale benedisse e benedirà i suoi figli e le sue figlie spirituali. Amen” (FF, 2856).

IL CIELO NELLA BIBBIA

http://oratoriotirano.files.wordpress.com/2008/09/il-cielo-nella-bibbia.doc.

IL CIELO NELLA BIBBIA

(2009)

Il cielo apre e chiude la Scrittura (Gen 1,1: « Dio creò il cielo e la terra »; Ap 21-22: la Gerusalemme nuova che scende dal cielo, in un cielo nuovo). Vedi, a proposito di Dio creatore dei cieli, Gen 2,4; 14,19; Es 20,11; Est 4,17; Is 37,16; Ger 32,17; Sal 114,15; At 14,14; Ap 14,7.
Binomio « cielo-terra » per dire tutto l’esistente (Gen 1,1; Is 50,2). La struttura tripartita dell’universo: il cielo-la terra (e il mare)-il mondo sotterraneo (gli inferi, lo še’ol). Al di sopra di tutto Dio, creatore e garante dell’ordine cosmico.
La Bibbia non ha un’idea del cosmo come qualcosa in sé, indipendente e a sé stante; l’idea che ne ha è in rapporto a ciò di cui è abitato. Il cielo è abitato dalle stelle (Gb 9,9; 38,31). Tra queste vi sono anche due pianeti: Venere (« astro del mattino »: Is 14,12) e Saturno (« Chiion »: Am 5,26). Contro la tentazione di abbandonarsi al culto di questi due, la Bibbia insiste nello « sdivinizzarli », rimarcando che sono semplici creature di Dio (Gen 1). Il re del cielo è il sole: il suo corso regolare e la sua forza sono il segno di stabilità e di ordine del cosmo (Qo 1,5; Gen 8,22; Sal 19). Nella rilettura del NT, sarà simbolo del Cristo: Lc 1,78 (« verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge »).
Il cielo è la sede di Dio (Gn 14,18; Sal 33,13-14; Is 66,1; Mt 6,9). Anche Gesù lo conferma: « Padre nostro, che sei nei cieli » (Mt 6,9). Ed ecco perché è diventato sinonimo di Paradiso. Gli strati del cielo sono sette, abitati via via dagli angeli, nella misura della loro vicinanza a Dio; Dio risiede nell’ultimo cielo (ecco perché si dice: « sentirsi al settimo cielo »…). Vi siede al di sopra e distende la volta come la tenda in cui abita (Is 40,22; 1Re 8,27). Per questo, la distanza tra il cielo e la terra è simbolo della trascendenza divina (Is 55,9). La nuvola è simbolo del mistero di Dio, perché lo « vela » agli occhi della terra (Es 13,21; 14,19-20; 19,16-25; 24,15-18; 33,9-11; Nm 12,5-10).
Nel NT il cielo è la dimora del Verbo, prima del tempo (Gv 1) e poi, una volta asceso, per sempre, nello stesso trono del Padre (Ap 22,1). E quando tornerà per il giudizio finale, i cieli si apriranno… In cielo, dove già abita la corte celeste (Col 1,20), si ritroveranno i giusti, nella pace eterna (Fil 3,20), al cospetto del trono di Dio (Ap 3,21).

Alcune suggestioni bibliche
Le stelle del cielo, il cui numero è incalcolabile, saranno la misura della discendenza che Dio concederà ad Abramo e nella quale saranno benedette tutte le genti (Gen 22,17-18; Dt 1,10). La storia della salvezza comincia con un invito a scrutare il cielo…
Già si è accennato al sogno di Giacobbe, con la scala che unisce cielo e terra e gli angeli che scendono e salgono (Gen 28,10-17): simbolo della provvidenza e della cura di Dio per i suoi figli. È ripresa poi in Gv 1,51, nel dialogo con Filippo, dove la scala diventa Gesù stesso, una volta « elevato ».
« Il Signore si è affacciato dall’alto del suo santuario, dal cielo ha guardato la terra, per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morte » (Sal 102,20-21; Is 66,2; Mt 6,11).
Gesù stesso, che procede dal Padre e a Lui ritorna, viene dal cielo e tornerà al cielo (Gv 3,13; 6,62; Mc 16,19); Egli è il pane vivo « disceso dal cielo »; nel suo battesimo, al fiume Giordano, sono i cieli ad aprirsi (Lc 3,21).
Nella testimonianza degli Atti degli apostoli, è il cielo aperto che Stefano, primo martire cristiano, vede comparire alla vigilia della sua passione (At 7,55-56).
Fra i brani del NT con un collegamento al cielo e ai suoi fenomeni, domina senza dubbio l’episodio narrato da Matteo a proposito dei Magi: essi « scrutano il cielo » e riconoscono il momento della nascita del Messia, in base a un fenomeno astronomico di cui osservano (e forse prevedono) l’evolversi quando ancora sono lontani (Mt 2,1-12). Probabilmente dietro vi è la profezia presente in Nm 24,17.
Interessante anche l’episodio della vita di Gesù in cui i Farisei, per ottenere una dimostrazione « sperimentabile » della sua divinità, chiedono che egli invii « un segno dal cielo », cioè dalla sede di Dio (Mt 16,1-4). A essi Gesù risponde con un’analogia: come gli uomini sono capaci, dall’attenta « osservazione del cielo », di trarre conclusioni veritative sul clima e sulle evoluzioni dell’atmosfera, così devono essere capaci di riconoscere altri segni, ugualmente eloquenti, che mostrano la presenza di Dio in mezzo a loro, fra i quali il « segno » per eccellenza, quello della sua morte e risurrezione (Mt 12,39-40; Gv 2,19-22). A rendere difficile questo riconoscimento, come testimoniato anche da altri passi evangelici (Gv 15,22-24), non sarebbe l’ambiguità o la poca chiarezza dei segni, ma piuttosto il cuore chiuso in se stesso.
L’ascensione di Gesù al cielo (Lc 24,50; At 1,6).
« I cieli e la terra passeranno » (Mt 5,18; Mc 13,31; Lc 21,33).
« Un nuovo cielo e una terra nuova » (Ap 21,1), con la Gerusalemme gloriosa che discende dal cielo per venire incontro a Cristo suo sposo e inaugurare così il banchetto nuziale escatologico. Parallelismo con Genesi: insieme siamo chiamati a creare questo nuovo cielo e a rifinire l’abito della Gerusalemme sposa con i nostri atti d’amore (Ap 19,7-8). È quello che è prefigurato anche nella visione, sempre nel cielo, della donna di Ap 12: rappresenta la Chiesa, rivestita di sole (del Cristo); ha la luna sotto i suoi piedi e una corona di 12 stelle perché indica la sua missione di rinnovare il creato, come una nuova creazione, ricolmando ogni cosa della novità del Cristo risorto di cui è ricoperta. Ecco perché in At 1,10 i discepoli vengono invitati a non rimanere più con gli occhi per aria, a rimirare il cielo… Essi piuttosto sono chiamati a creare nella loro vita un nuovo cielo, instaurando rapporti autentici di amore: fare della terra il cielo nuovo…

don Luca Pedroli

Publié dans:BIBBIA, biblica |on 11 août, 2014 |Pas de commentaires »

San Lorenzo martire

 San Lorenzo martire dans immagini sacre
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Publié dans:immagini sacre |on 10 août, 2014 |Pas de commentaires »

LORENZO, PATRONO DELLA CHIESA DI ROMA, INSIEME A PIETRO E PAOLO

http://www.30giorni.it/articoli_id_10253_l1.htm

LORENZO, PATRONO DELLA CHIESA DI ROMA, INSIEME A PIETRO E PAOLO

LE FONTI SUL MARTIRIO DI LORENZO E I LUOGHI CHE NE SERBANO LA MEMORIA

Intervista con padre Sergio Martina di Giovanni Ricciardi

«Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato anche con l’amore ai poveri. Questi – diceva il diacono romano Lorenzo – sono i veri tesori della Chiesa». Così si esprimeva papa Luciani nel discorso del 23 settembre 1978, pronunciato in occasione della presa di possesso di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma. Anche Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est scrive: «L’attività assistenziale per i poveri e i sofferenti era parte essenziale della Chiesa di Roma. Questo compito trova una sua vivace espressione nella figura del diacono Lorenzo (Ö258). La descrizione drammatica del suo martirio era nota già a sant’Ambrogio (Ö397) e ci mostra, nel suo nucleo, sicuramente l’autentica figura del Santo».
Del diacono romano parliamo con padre Sergio Martina, cappuccino, che vive dal 1973 nel convento annesso alla Basilica di San Lorenzo fuori le Mura.
Quali sono le fonti più antiche relative al martirio di Lorenzo?
SERGIO MARTINA: San Lorenzo, insieme a sant’Agnese, è uno dei martiri più cari alla Chiesa di Roma, il terzo patrono della città insieme a Pietro e Paolo. Gli Atti del suo martirio non ci sono pervenuti, ma esiste una ricca tradizione che lega il suo ricordo a numerosi luoghi della città. La prima notizia che lo riguarda si trova nella Depositio Martyrum, datata al 354, che si limita a citare la festa del santo, il 10 di agosto («IIII id. aug., Laurenti in Tiburtina»), aggiungendo il riferimento al luogo della sepoltura, su cui la prima Basilica fu eretta, se non da Costantino, certamente già nel IV secolo.
Siamo a un secolo di distanza dal martirio di Lorenzo…
MARTINA: Lorenzo fu martirizzato durante la persecuzione di Valeriano, nel 258, tre giorni dopo il pontefice Sisto II, di cui era arcidiacono. Del ruolo da lui rivestito nella Chiesa di Roma fa cenno già il Martirologio geronimiano, redatto tra il 431 e il 450. La tradizione che lo riguarda, tutta incentrata sugli ultimi giorni della sua vita, è riportata più ampiamente da Ambrogio, sul finire del IV secolo, in un famoso passo del De officiis ministrorum. È Ambrogio a citare il dialogo tra Lorenzo e il papa Sisto II condotto al luogo del martirio, la previsione della sua imminente morte fattagli dal Pontefice e il motivo della sua condanna: l’imperatore intima al diacono di consegnargli i beni della Chiesa, Lorenzo distribuisce questi beni ai poveri e presenta al “tiranno” i poveri stessi, indicandoli così come il vero tesoro della Chiesa. Nel mondo cristiano furono molte migliaia le chiese erette in suo onore. Solo a Roma, nel Medioevo, se ne contavano circa quaranta.
La lastra marmorea sulla quale una tradizione vuole che sia stato adagiato il corpo di Lorenzo dopo il martirio. La sua attuale collocazione risale ai lavori fatti fare nella Basilica da papa Pio IX nella seconda metà del XIX secolo
Possiamo citare le più significative?
MARTINA: La più importante, ovviamente, è la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, che custodisce il corpo del martire. Alle sue reliquie papa Pelagio II, verso la fine del VI secolo, volle aggiungere quelle di santo Stefano protomartire per unire i due diaconi nella venerazione della Chiesa. Citerei poi San Lorenzo in Fonte, in via Urbana, nei pressi di Santa Maria Maggiore, costruita nel luogo in cui san Lorenzo, secondo una tradizione, fu tenuto prigioniero e convertì Ippolito, l’ufficiale che lo teneva sotto custodia. C’è poi la vicina San Lorenzo in Panisperna, eretta sul luogo del martirio. Quindi la chiesa di San Lorenzo in Lucina, dove è conservata la graticola che si vuole utilizzata per il martirio di Lorenzo. Non sappiamo se questa tradizione corrisponda al vero; stando al rescritto inviato dall’imperatore Valeriano al senato al principio dell’agosto 258, che ordinava l’immediata esecuzione capitale dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, sembrerebbe da supporsi piuttosto la decapitazione. Ma non è da escludersi nemmeno che la decapitazione sia seguita alla tortura col fuoco, cosa non inusuale nelle esecuzioni. Quello che comunque è certo è che i cristiani di Roma furono fortemente colpiti dalla forza d’animo con cui il loro primo diacono aveva affrontato il martirio, tanto che Prudenzio attribuisce la conversione di Roma ai meriti di Lorenzo, presentandolo quasi come un novello fondatore della città.
Vari altri luoghi sono poi connessi al culto delle reliquie del santo.
Quali sono i più importanti?
MARTINA: In Vaticano è custodito il capo di san Lorenzo. Vi fu portato sotto il pontificato di Sisto V e ancora oggi viene esposto alla venerazione dei fedeli il 10 agosto nella chiesa di Sant’Anna. Ma per ritornare, infine, alla Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, nella cripta è esposta una pietra sulla quale sarebbe stato appoggiato il corpo di Lorenzo dopo il martirio. La sua attuale collocazione, in grande evidenza, fu voluta dal beato Pio IX, che era devotissimo a san Lorenzo e in particolare a questa reliquia. Spesso veniva a raccogliersi in preghiera qui, appoggiandovi sopra il capo. E qui volle essere sepolto, accanto a Lorenzo, come i primi cristiani, che aspiravano a riposare, in attesa della resurrezione, vicino ai corpi dei santi martiri.

Publié dans:Santi, santi martiri |on 10 août, 2014 |Pas de commentaires »

Questo è un’icona sulla storia di Gesù che camminava sul mare e Pietro che cerca di fare lo stesso (traduzione dall’inglese)

Questo è un'icona sulla storia di Gesù che camminava sul mare e Pietro che cerca di fare lo stesso (traduzione dall'inglese) dans immagini sacre Christus+und+Petrus+1.2010.jpg.k

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Publié dans:immagini sacre |on 8 août, 2014 |Pas de commentaires »

1RE 19, 9A.11 13A; ROMANI 9,1 5; MATTEO 14, 22 33. – COMMENTI

http://santuariomadonnetta.it/al-caminetto-con-la-parola-di-dio/diciannovesima-domenica-fra-lanno-2014/

UOMO DI POCA FEDE, PERCHÉ HAI DUBITATO?

LETTURE: 1RE 19, 9A.11 13A; ROMANI 9,1 5; MATTEO 14, 22 33.

1 – Il monte di Dio – La vicenda del profeta Elia che sale l’Oreb, il monte di Dio, e sente questa voce del Signore: ‘Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore’, è la stessa esperienza che fa ogni uomo in cerca di Dio, di se stesso e delle radici della vita. Il Signore passa… e lo annuncia, non il terremoto o il vento impetuoso o il fuoco, ma un ‘vento leggero’. Lo Spirito Santo è la dolce brezza divina, che annuncia pace, misericordia, amore!

2 – La presenza di Dio – ‘Dio abita nei singoli fedeli come in altrettanti suoi templi e nei fedeli riuniti insieme come nell’unico suo tempio. Egli è presente dappertutto e lo è nella sua totalità, ma non abita ovunque, bensì solo nel suo proprio tempio, col quale è per sua grazia buono e misericordioso. Abitando poi nei fedeli, è contenuto da alcuni in misura maggiore e da altri in misura minore… Quando tu pensi all’inabitazione di Dio, pensa all’unità e alla comunione dei Santi, specialmente nel cielo, ove si dice che Dio soprattutto abita, poiché lì si compie perfettamente la sua volontà’ (S. Agostino, Lettera 187,13).

3 – Nella storia – Il mare, su cui naviga la piccola barca degli apostoli, è immagine plastica della vita che trascorre fra burrasche e brevi pause di calma. Gesù è sempre presente sia dall’alto del monte su cui prega e si offre sia quando si avvicina alla barca per rincuorare sia quando sale sopra la barca per guidarla. La preghiera della fede: ‘Salvami, Signore’ ha come risposta: ‘Uomo di poca fede, perché hai dubitato’?

4 – Il vento contrario – La prova si presenta sempre così: un ostacolo nel cammino. Sintetizza S. Paolo: Foris pugnae, intus timores – all’esterno lotte, all’interno paure. Gli apostoli, come tutti gli uomini, remano con il vento contrario per vincere le proprie riluttanze e le contrarietà della vita. Ma le difficoltà hanno anche una funzione positiva perché denunciano un pericolo e lo rimuovono, impedendo di fermarci o di indietreggiare trascinati dalla corrente. Le prove e le persecuzioni fanno sempre bene, perché risvegliano energie nuove e latenti!

5 – Punti concreti – a) La barca della nostra vita ha bisogno di una rotta ben precisa e di un governo sicuro. Non affidiamoci mai soltanto alle indicazioni degli uomini, alle loro promesse, alle nostre forze. Chi guida gli eventi e gli uomini è sempre Dio! b) Diamo una mèta valida alla nostra vita, che poi è sempre l’altra sponda del mare: l’eterno e l’infinito! c) Per superare le presenti difficoltà è necessario remare insieme: i problemi si risolvono quando c’è concordia di intenti e collaborazione. Il dissidio e la contestazione servono solo a demolire.

 

Publié dans:DOMENICA: COMMENTI BIBLICI |on 8 août, 2014 |Pas de commentaires »

10 AGOSTO 2014 | 19A DOMENICA – OMELIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/5-Ordinario-A-2014/Omelie/19a-Domenica-A/03-19a-Domenica-A-2014-JB.htm

10 AGOSTO 2014 | 19A DOMENICA A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : MT 14,22-33

Dopo avere saziato la fame della moltitudine con la moltiplicazione dei pani, Gesù cerca, di nuovo, la solitudine e Dio: aveva colmato la necessità di alimento negli altri e, ritirandosi a pregare, volle calmare la sua propria necessità di Dio. Non ci entusiasma molto questo Gesù che licenzia i suoi discepoli e la moltitudine, perché desidera rimanere da solo col suo Dio.
Non lascia di sorprenderci che preferisce la solitudine alla compagnia di quanti avevano presenziato al miracolo. Ma un Gesù che ci lascia soli serve a ben poco, benché sia solo un momento, una notte, per trovarsi egli con Dio. Come quella notte nel lago, i discepoli staranno per perdersi, solo perché perdevano di vista il loro Signore. E, tuttavia, il discepolo deve accettare che Gesù possa lasciarlo in qualche momento della sua vita, in qualunque momento: solo così potrà apprezzare i momenti che ha passato in sua compagnia ed imparerà quanto ha bisogno sempre della sua presenza.

22 Dopo che la gente si fu saziata, Gesù sollecitò i suoi discepoli affinché salissero sulla barca e lo precedessero sull’altra riva, mentre egli congedava la gente.
23 E, dopo avere congedato la gente, salì sul monte solo per pregare. Arrivata la notte, se ne stava lì da solo.
24 Nel frattempo, la barca distava già molte miglia lontano da terra, ed era scossa dalle onde, perché il vento era contrario.
25 Di buon mattino si avvicinò loro Gesù, camminando sulle acque. 26I discepoli, vedendolo camminare sulle acque, si spaventarono e gridarono di paura, pensando che era un fantasma.
27 Gesù disse loro: « Coraggio, sono io, non abbiate paura! »
28 Pietro gli rispose: « Signore, se sei tu, ordinami di venire verso di te camminando sulle acque. »
29 Ed egli disse: « Vieni. »
Pietro scese dalla barca e cominciò a camminare sulle acque, e andò verso Gesù; 30però, vedendo che il vento era forte, ebbe paura, incominciò ad affondare e gridò: – « Signore, salvami. »
31 Subito Gesù stese la mano, l’afferrò e gli disse: « Uomo di poca fede! Perché hai dubitato? »
32 Non appena salirono sulla barca, il vento cessò.
33 Quelli della barca si prostrarono davanti a lui, dicendo:
« Realmente tu sei il Figlio di Dio. »

1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Il racconto è costruito da una breve narrazione ed una conversazione. La narrazione introduce, e giustifica, il dialogo. Ma mentre la narrazione si concentra su Gesù ed i suoi discepoli, il dialogo, di Gesù, ha Pietro come interlocutore unico. I discepoli rientreranno nel racconto, e come credenti, solo quando sono in salvo, il vento calmato, Gesù e Pietro sulla barca.
Soddisfatta la fame della moltitudine, Gesù sente la necessità di rimanere da solo, e lascia che i suoi navighino soli in mezzo alla notte ed al temporale. Non è la prima volta che Gesù abbandonava momentaneamente chi lo seguiva; ma normalmente non li lasciava neanche soli in mezzo al mare in tempesta. Con tutto ciò, Gesù non tarda a farsi presente, perfino quando non gli è stato chiesto ancora l’aiuto. Andando verso di loro, i suoi discepoli lo confondono con un fantasma: non potevano immaginarsi chi fosse colui che, davanti ai loro occhi, aveva sfamato la moltitudine. Ben poco avevano capito di quanto avevano appena visto!
La parola di Gesù, familiare in mezzo alla tempesta, li tira fuori dalle loro paure, ed incoraggia Pietro ad imitarlo camminando sulle acque. Ma il mare e la paura possono condizionare più che la fiducia: l’invito che Gesù fa a Pietro affinché vada al suo incontro non riesce a salvarlo dai suoi dubbi. E l’incredulità cresceva nel cuore di Pietro man mano che, camminando sull’acqua, affondava nel mare. Non gli bastò l’obbedienza a Gesù (‘comandami’; solo la mano di Gesù gli salvò la vita.
Gesù richiama l’attenzione su Pietro, che più si era arrischiato e aveva dubitato, e che, alla fine, insieme con lui, tutti confessassero la loro fede, alleviati per avere di nuovo Gesù sulla barca. Forse perché la salvezza di uno irrobustisce sempre la fede di tutti?

2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Senza Gesù al loro fianco, nella stessa barca, i discepoli dovettero affrontare insieme la tempesta; ed il corpo fu riempito di terrore, prima che l’imbarcazione di acqua. Erano tanto occupati con le loro paure che non riuscirono a vedere che Gesù accorreva ad aiutarli, camminando sul mare. E come non potevano crederselo, pensarono che era un fantasma: tanto poco conoscevano il loro Signore ed il suo potere, benché l’avessero visto moltiplicare i pochi pani e saziare la moltitudine il pomeriggio del giorno prima. E’ ciò che normalmente succede a noi discepoli di Gesù che, spossati per le difficoltà, ci dimentichiamo dell’assistenza che Dio ci ha appena prestato: l’ultimo pericolo, la necessità più recente, la nuova pena, ci fanno credere dimenticati da Gesù. Ed annulliamo lo sforzo che Gesù fa di venire al nostro incontro, all’incontro della nostra necessità, solo perché non possiamo immaginarci che si arrischi, camminando sul mare, ed affrontare vicino a noi quanto ci minaccia di morte. Continuiamo a confonderlo con fantasmi, ogni volta che vuole aiutarci. In fondo, non possiamo credere che, dietro ad un abbandono apparente, appaia di nuovo per salvarci. Di poco ci sono serviti anni di convivenza e di sequela, se non lo sappiamo identificare quando si presenta per salvarci. A ben poco ci serve che venga, se lo crediamo solo un fantasma!
Se, almeno, ci lasciassimo interpellare per la sua voce! L’unica maniera sicura di distinguerlo nella notte, in mezzo alla nostra angoscia, è tornare ad ascoltarlo. Come i discepoli in mezzo alla tempesta. La parola ascoltata lo identificherà come nostro Signore. Affinché nella nostra vita torni a sorgere la speranza di essere in salvo, come i discepoli nella barca, dobbiamo lasciare che Gesù ci parli: quanto maggiore sia il pericolo, quanto più ci sentiamo abbandonati, tanta più attenzione dobbiamo concedergli. Non permettendo che il rumore della tempesta soffochi la sua voce, senza che la paura assordi la nostra anima e ci renda inabili per ascoltarlo, riusciremo a riconoscerlo vicino a noi. La sua parola ci tirerà fuori dalla paura, benché ancora non sia sparita la tempesta; la sua mano ci afferrerà con più forza che il temporale. Ci allevierà la pena, benché stiamo soffrendo ancora; ci darà la sicurezza di avere già la salvezza alla nostra portata, senza vederci ancora liberi del pericolo. La sua parola sarà, come lo fu quel giorno nel lago, l’ancora dove aggrapparci e la barca della salvezza.
Dedicarci ad ascoltare Gesù è la migliore maniera di riconoscerlo vicino a noi. Il peggiore dei temporali che può cadere su noi non è quello che mette più in pericolo la nostra vita, bensì quello che occulta Dio e ci fa dubitare del suo interesse per noi. Finché continuiamo a sentirlo, finché lo seguiamo per sentirlo meglio, avremo ancora motivi per contare sulla sua presenza ed il suo aiuto. Le difficoltà nella vita del cristiano sono sopportabili, non lo vincono, purché non gli rubino la possibilità di ascoltare Dio: essere dove siamo, e come siamo, se ascoltiamo Dio, stiamo vicino a Lui e contiamo su di Lui. Perdiamo Dio, e ci perdiamo noi stessi, perché, dovendo fare tanto per salvarci, non abbiamo tempo di ascoltarlo.
La reazione di Pietro quando, in mezzo alla notte, riconobbe la voce di Gesù è il migliore esempio di quello che può fare il discepolo che sa ascoltare il suo Signore, ancora in mezzo al peggiore temporale della sua vita. Chi si sentiva minacciato dal mare trovò il coraggio sufficiente per sfidare il mare e le sue paure, lanciandosi nel mare burrascoso. Contare su Gesù potrebbe renderci un po’ più audaci. La prova che la nostra paura è maggiore della nostra obbedienza, è che seguiamo senza osare affrontare situazioni di pericolo: non sapremo mai con certezza, se Gesù camminò sul mare alla nostra ricerca, se non ci lanciamo alla sua, benché siamo, come Pietro, in mezzo al mare. È la nostra mancanza di fiducia quello che concede potere alle situazioni di pericolo e di incertezza: se avessimo l’audacia di intuire che, dietro ogni minaccia, in mezzo a qualunque tribolazione, sta aspettandoci Gesù, riusciremmo, come Pietro quella notte, a lanciarci al suo incontro.
Che simpatico ci sembra Pietro che rischiò tanto. L’invito che Gesù gli fa non riesce a salvarlo dalla sfiducia. Non appena i suoi piedi sentono l’acqua, viene soffocato l’entusiasmo che si era svegliato nel suo cuore nel sentire il suo Signore. Non sempre la vicinanza di Gesù è sufficiente per operare nel discepolo il miracolo; curiosamente, Pietro seppe camminare sulle acque, mentre si fidò dell’invito del suo Signore; incominciò ad affondare quando poté più l’evidenza del pericolo che la parola di Gesù. Affondò nel dubbio, prima di incominciare ad affondare nell’acqua. Il miracolo si era realizzato dal momento in cui incominciò a camminare sul mare, in direzione del suo Signore, obbedendo al suo invito, ma la sua sfiducia, prima che l’acqua, sommerse il suo corpo.
Non è difficile concordare con quei discepoli che tanto male sopportarono l’assenza di Gesù; che si videro avvolti in una pericolosa tempesta non appena il loro Signore li lasciò; che non potevano credersi che Gesù venisse a soccorrerli camminando sulle acque, che non osarono seguire alla cieca l’invito di Gesù, che si strinsero nei loro dubbi benché l’avessero a portata di mano. Comprendiamo bene le loro difficoltà, perché sono le nostre.
Non dovremmo dimenticare che niente vale avere vicino Gesù, se ci crediamo abbandonati, sé davanti a qualunque pericolo la paura è più forte della nostra fede: finché diamo più peso ai pericoli che dobbiamo affrontare che alla parola di Dio, basterà qualunque temporale, qualunque contrattempo, affinché anneghi la nostra fede e naufraghi la nostra fiducia. A niente ci varrà contare su Gesù e la sua parola, se prevalgono le nostre paure e l’angoscia di essere soli davanti alle difficoltà. Gesù non ci lascia soli: mettiamo in lui la nostra fiducia. Che la sua parola stimoli la nostra fede: ci viene incontro, anche attraverso il mare ed in mezzo ai temporali. Chi dubita, non sarà salvato.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb,

San Domenico, Beato Angelico (dettaglio del Cristo Deriso)

San Domenico, Beato Angelico (dettaglio del Cristo Deriso)  dans immagini sacre Novena-SD-02-2

San Domenico, Beato Angelico (dettaglio del Cristo Deriso) -
Cappella del convento domenicano di San Marco, Firenze

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Publié dans:immagini sacre |on 7 août, 2014 |Pas de commentaires »

SAN DOMENICO – LA SUA STORIA

http://www.mariadimagdala.it/domenico2.htm

SAN DOMENICO – LA SUA STORIA

Nato a Caleruega nella vecchia Castiglia, verso l’anno 1170, è morto in Italia, a Bologna, il 6 agosto 1221, ed è stato sepolto «sotto i piedi dei suoi frati» secondo il suo desiderio.
Ad ottobre del 1203, è chiamato dal suo Vescovo Diego a seguirlo in una missione diplomatica, probabilmente in quella terra che oggi è la Danimarca. Per giungervi, da Osma in Spagna, attraversano il sud della Francia e lì incontrano l’eresia catara.
Un’esperienza intensa, sofferta, che apre il cuore e la mente di Diego e Domenico ad una nuova missione: la predicazione del Vangelo sull’esempio degli apostoli, in povertà e senz’altra potenza che quella della Parola di Dio.
Il primo frutto della predicazione di Diego e Domenico è la conversione di alcune donne catare che si riuniscono in comunità formando il primo monastero domenicano a Prouille, in Francia. Siamo nel 1206.
Lì è l’inizio dell’esperienza di vita contemplativa che si svilupperà in seguito, dando origine a molti altri monasteri in tutta Europa (Roma, Madrid, Bologna…). Si configureranno come parte dell’Ordine fondato da san Domenico.
Egli stesso si prende cura della formazione delle monache, vive con loro un’intensa fraternità fatta anche di piccoli gesti concreti che esprimono la sua sollecitudine e tenerezza di fratello e padre. Un esempio: Ai frati di Bologna (nel 1220), in favore delle monache Diana D’Andalò e le sue prime compagne, Domenico disse: « è assolutamente necessario fratelli costruire una casa per le suore, anche se per questo si dovesse soprassedere alla costruzione della nostra ».
Alla morte di Diego, Domenico rimane solo a predicare in quelle terre percosse dalla crociata contro l’eresia, promossa da Papa Innocenzo III.
A poco a poco, altri amici si uniscono a lui e nasce la prima comunità di frati, affiancata al monastero di Prouille. Instancabile, continua la sua opera di predicazione assieme ai suoi compagni, cogliendo in profondità il messaggio che l’eresia propone e riesce a ricondurre alla luce della verità molti che vi avevano aderito per un desiderio sincero di perfezione cristiana.
L’Ordine dei Predicatori – riconosciuto dalla Chiesa nel 1216 – riunisce così da otto secoli, uomini e donne che condividono l’amore di san Domenico per il Vangelo, la sua passione per la salvezza del mondo, la sua disponibilità alla chiamata di Gesù Cristo.

Il suo cuore
Molte lacrime gli scorrono sul volto, durante la preghiera, per il male di chi vive nell’oscurità dell’errore, e per la sete di Dio e di verità che molti portano in cuore senza riuscire ad appagarla.
Domenico conosce l’amore che Dio ha per ciascuno e arde dal desiderio di comunicarlo. È uomo di tenerezza e bontà. Le ferite di ogni uomo, sono le sue ferite.

È un uomo bruciato dalla Parola di Dio che lo appassiona fin dalla giovinezza e lo porta sulle strade del mondo, infaticabile annunciatore del Vangelo. Porta sempre con sé il Vangelo di Matteo e le Lettere di san Paolo. Dalla Parola, pregata e studiata, impara a conoscere il cuore di Dio e diventa uomo di speranza.

Domenico dedica il giorno al prossimo e la notte a Dio, divenendo presso gli altri segno dell’amore stesso di Dio. Intermediario della misericordia del Padre.
Uomo di fede solida e tenace, è proteso alla Verità che proclama con la parola e con la vita. Il suo cuore non conosce la doppiezza e la finzione. Testimonia la libertà di essere di Cristo senza temere per la sua vita minacciata dalla violenza di alcuni eretici, perché sa che solo morendo il seme può germinare.
Sconosciuto ai più, senza alcuno sfoggio di pietà bizzarra, uomo estremamente semplice, poco interessante per molti agiografi… Non ha lasciato alcuno scritto se non la regola di vita e una lettera alle monache.
Ha saputo attendere in solitudine che altri condividessero la luce profetica che lo affascinava, il sogno di una vita che rispecchiasse le origini della Chiesa.

 

Publié dans:Santi |on 7 août, 2014 |Pas de commentaires »

« E LA PAROLA SI FA VITA » di CARLO MARIA MARTINI

http://ora-et-labora.net/bibbia/martinibibbia.html

« E LA PAROLA SI FA VITA » di CARLO MARIA MARTINI

Tratto da « Guida alla lettura della Bibbia. Approccio interdisciplinare all’Antico e al Nuovo Testamento » San Paolo Edizioni

La sensibilità postconciliare ci porta tutti, pastori e fedeli, a riaccostare la Sacra Scrittura. Non solo per l’abbondanza dell’uso liturgico offerto dalla Chiesa ma anche per quella lettura corale e personale della Parola che va oltre la semplice riflessione, divenendo nutrimento del cuore. La tradizione cristiana, per esprimere questo atteggiamento spirituale di fronte al testo sacro, ha coniato un’espressione forte, pregnante: lectio divina. Il nostro introdurci nel mondo della Scrittura ha senso se si arriva a questa dimensione, altrimenti rimane arida conoscenza, erudizione, studio infruttuoso per il nostro «sentire» cristiano. Naturalmente la conoscenza, sia pur elementare, è necessaria. A questo fine, ogni mezzo, ogni sussidio, come questa sintesi di guida biblica, storica, letteraria, geografica, teologica, è oltremodo utile per passare dalla conoscenza al vissuto. La Sacra Scrittura deve, infatti, diventare fonte di vita per l’uomo d’oggi come lo è stata per le generazioni passate, in particolare per i primi cristiani. «La scrittura è la lettera che il Padre Eterno ci ha inviato», scriveva don Giacomo Alberione negli anni venti. «Non andiamo al tribunale di Dio senza aver letto tutta la lettera del Padre Celeste, perché ci dirà: non hai avuto né rispetto né amore per quello che ti ho scritto!». Queste forti parole di un profeta del nostro tempo ci sono di sprone per intendere prima «materialmente» e poi «spiritualmente» la parola di Dio. Come pastore vorrei invitare al passo successivo alla lettura e alla prima conoscenza, cioè «gustare» il suono della voce del Padre – come dice l’Alberione – e tradurlo in ricco nutrimento per la mente e per il cuore, affinché diventi vita, terreno fertile che produce «ora il novanta, ora il sessanta, ora il trenta». Ecco perché, più che riflessioni di carattere generale sul libro sacro, preferisco spiegare al lettore che cosa si intende con questa concisa espressione: lectio divina. Per questo occorre rileggere la costituzione del concilio Vaticano Il Dei Verbum al capitolo VI, n. 25. In questo passo troviamo cinque diverse menzioni di questa attività dello Spirito. «È necessario che tutti i chierici – affermano i padri conciliari – principalmente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della Parola, conservino un contatto continuo con le Scritture (in Scripturis haerere)». L’espressione latina in Scripturis haerere significa «starci dentro, abitare nelle Scritture». Per ottenere tale scopo, viene raccomandata l’assidua lectio sacra, una lettura costante, perseverante. E insieme un exquisitum studium, cioè uno studio particolarmente coltivato, penetrante. La seconda menzione riguarda tutti i fedeli: «Parimenti il santo concilio esorta tutti i fedeli ad apprendere « la sublime scienza di Gesù Cristo » con la frequente lettura delle divine Scritture». L’espressione «assidua lectio sacra» viene ora ripresa come «frequente lettura delle divine Scritture», ed è raccomandata perché, mediante essa, si giunge ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo». La terza menzione: «Si accostino volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi». La quarta menzione, importantissima, è quella che spiega perché parliamo di lectio divina: «Si ricordino però che la lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché « quando preghiamo, parliamo con Lui; Lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini »».
La quinta menzione riguarda i sussidi: «I vescovi devono aiutare i fedeli all’uso retto dei libri divini, in modo particolare del Nuovo Testamento e soprattutto dei vangeli, con traduzioni dei sacri testi che devono essere corredate di note necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della Chiesa familiarizzino con sicurezza e utilità con le sacre Scritture e si imbevano del loro spirito».
Mettendo insieme le cinque menzioni, possiamo tentare una descrizione complessiva di ciò che il Vaticano Il intende: una lettura assidua, non occasionale, della Bibbia; un accesso diretto al testo; uno stare dentro la Scrittura; un conversare familiare con le pagine bibliche; un imbeversi dello spirito della Scrittura; il tutto accompagnato dalla preghiera in modo che la lectio si trasformi in un colloquio tra Dio e l’uomo, diventi un ascoltare Dio per rispondergli. L’espressione sintetica lectio divina, che è giunta a noi dall’antica tradizione monastica, comprende tutte le caratteristiche indicate dalla Dei Verbum: non è semplicemente una lettura, ma una lectio, una lezione, fatta con familiarità orante, che ci fa entrare nello spirito dei sacri testi e ci permette di entrare in essi come in casa nostra. Questa lezione orante, questa familiarità assidua è necessaria non solo a chiunque svolge un servizio della Parola, ma è raccomandata con forza e insistenza a tutti i fedeli. Le parole della Dei Verbum sono forti e anche nuove rispetto a quanto si viveva in epoche precedenti. Infatti, nella Chiesa cattolica la Scrittura veniva letta in latino e poi spiegata ai fedeli che si limitavano quindi ad ascoltare. Tra l’altro erano poche le persone che sapevano leggere e che potevano perciò accostare direttamente i testi sacri. I vescovi oggi, tenendo conto della nuova situazione culturale dell’umanità, hanno sentito il bisogno di esortare tutti i fedeli, senza eccezione, ad accostare la Bibbia, stimolandoli all’esercizio della lectio divina.
Ricordo che non appena giunsi a Milano come vescovo, compresi che per familiarizzare i cristiani col mistero di Dio rivelato storicamente in Gesù Cristo attraverso il cammino della storia della salvezza, non bastavano semplicemente provvedimenti settoriali, bensì occorreva elaborare programmi pastorali diocesani che si ispirassero a questa dinamica fondamentale. Programmi che partissero dallo «stupore» contemplativo, cioè dal sottolineare quegli atteggiamenti contemplativi che sono previ alla lettura del testo sacro: riverenza, ascolto, silenzio, adorazione di fronte al mistero divino. Dallo «stupore» contemplativo bisognava sviluppare un progetto di comunità fondato sulla Parola quale riferimento primario, promuovendo iniziative concrete capaci di mettere la lectio divina, a poco a poco, alla portata di tutti. È un ideale da cui siamo ancora molto lontani e sul quale vorrei tanto confrontarmi con i miei fratelli vescovi e con tante Chiese del mondo. Auspico il giorno in cui si possa celebrare un sinodo universale semplicemente su questa domanda: come abbiamo applicato la costituzione conciliare Dei Verbum, là dove parla della Scrittura da mettere nel cuore e nella mente di tutti i cristiani attraverso la lectio divina?
Una simile lettura della Scrittura, raccomandata a tutti i cristiani, non può essere né occasionale né frammentaria e nemmeno discontinua. È tendenzialmente una lectio continua e globale, che tiene cioè conto di tutti i libri sacri e del contesto generale della Bibbia. Il concilio afferma che l’accostamento alla Bibbia può avvenire sia per mezzo della liturgia, ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura. La sacra liturgia ci offre oggi, appunto, una lectio continua della Scrittura, mediante il biennio delle letture feriali e il triennio di quelle festive.
Un altro accenno al bisogno di una lettura globale lo troviamo al n. 12 della Dei Verbum: «Per ricavare con esattezza il contenuto dei sacri testi, si deve badare al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura». Bisogna dunque tendenzialmente conoscerla tutta. E ancora, al n. 16, viene ricordato che i libri dell’Antico Testamento, «integralmente assunti nella
predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro completo significato nel Nuovo Testamento e, a loro volta, lo illuminano e lo spiegano». Mi piace qui citare un esperto: «Lectio divina non è qualunque lettura della Bibbia che si svolga secondo il metodo e i canoni propri di qùella che usano chiamare « esegesi scientifica ». E nemmeno qualunque modo di accostare Bibbia e preghiera. Lectio divina non è nemmeno qualunque excursus dall’uno all’altro Testamento, o qualunque attualizzazione tentata a partire dalla parola di Dio. Lectio divina è la lettura continua di tutte le Scritture, in cui ogni libro e ogni sua sezione viene successivamente letta, studiata e meditata, compresa e gustata, mediante il ricorso al conte-sto di tutta la rivelazione biblica, Antico e Nuovo Testamento».
Questo è ciò che la Chiesa chiede a tutti i cristiani. Rispettando l’intero testo biblico, la lectio divina pone l’uomo in stato di ascolto umile della Parola. Potremmo allora dire che la lectio divina è l’unico approccio serio alla Bibbia, perché ci conduce nel mondo di Dio come in un tutto coerente. Essa produce in noi una solida inculturazione. Prima di parlare di inculturazione nelle culture umane, il cristiano deve inculturarsi in quel mondo di Dio che gli è rivelato attraverso il cammino che ci viene proposto nelle Scritture. Solo in seguito le altre inculturazioni potranno essere non tentativi velleitari, ma semi fecondi gettati nelle culture umane.
Purtroppo questa visuale non è molto comune. Se, dal Vaticano Il fino a oggi, la Chiesa ha compiuto ogni sforzo per accostare i fedeli alla Scrittura, tuttavia si è fatto pochissimo per aiutare a introdurli in una lectio continua e globale, in spirito di preghiera. Forse proprio per questo non tutte le letture bibliche, tentate in questi venticinque anni, sono state felici; talvolta hanno provocato dei cortocircuiti, si sono arenate, hanno addirittura stancato la gente. Se non arriviamo a esigere questa lectio continua e globale, almeno tendenzialmente, rischiamo di limitarci ad alcuni brani estrapolati dal contesto, o addirittura di appropriarci indebitamente e settariamente della Scrittura.
È possibile fare della lectio una realtà popolare, traducibile nella vita della comunità, nel vissuto del popolo di Dio? Non ho una risposta a questo interrogativo. Quando rileggo i capitoli della Dei Verbum mi sento messo in questione e capisco che abbiamo un lungo cammino da percorrere. D’altra parte avverto che se oggi un cristiano adulto non ha familiarità col mondo di Dio, non riuscirà a resistere in questa nostra situazione di frammentazione culturale e di Babele di linguaggi.
Da parte mia posso solo comunicare alcuni tentativi, alcune esperienze. Li espongo con semplicità anche per mostrare che non esiste un cammino prefissato, ma è necessario scrutare continuamente i segni dei tempi per capire, nel contesto in cui si vive, in quale maniera lo Spirito ci guida a compiere delle decisioni serie di fede.
La Scuola della Parola: questa iniziativa è nata senza alcuna pretesa. Alcuni giovani, anni fa, mi hanno chiesto di insegnare loro a pregare con la Bibbia e, dopo una mia breve istruzione, hanno sentito l’esigenza di esempi pratici di lectio. Così ho incominciato a proporre, nel 1980, la Scuola della Parola in Duomo, e dalle poche centinaia di giovani presenti la prima sera siamo rapidamente passati a diverse migliaia, fino a che l’appuntamento mensile divenne familiare a moltissimi giovani e ragazze. A un certo punto il loro numero superava la capienza del Duomo. Ricordo con quanto impegno, con quanto silenzio quei giovani ascoltavano e meditavano la Parola. Io insistevo che la vera lectio incomincia quando, terminata la spiegazione del brano, si passa al silenzio meditativo, senza canti e senza musica. Era commovente constatare il profondo silenzio adorante di tanti giovani riuniti insieme. Dopo cinque anni in Duomo, poiché il numero dei partecipanti continuava a crescere, abbiamo designato venticinque grandi chiese della diocesi, collegandoci via radio. Io tenevo la lectio attraverso l’emittente diocesana e i giovani, nei diversi punti di ascolto, si radunavano per ascoltare e pregare. I frutti sono stati consolanti: circa tredicimila giovani hanno seguito la Scuola. Successivamente, nel desiderio di un ulteriore allargamento dell’esperienza, abbiamo esteso la Scuola della Parola all’intero territorio diocesano. Perfezionando gradualmente il metodo, abbiamo aggiunto, ai classici momenti di lectio-meditatio-oratio-contemplatio, quello dell’actio, cioè di un’azione simbolica che dà concretezza all’agire derivante dall’ascolto della Parola.
Esercizi serali biblici: tra le tante possibili iniziative, questa mi è sembrata utile particolarmente per gli adulti. Gli Esercizi si tengono per sei sere consecutive proponendo la lectio di un brano. Io li ho proposti in Duomo, più volte: un anno leggendo per un’intera settimana il brano della moltiplicazione dei pani (Gv 6); un altro anno leggendo la pagina della lavanda dei piedi (Gv 13); un altro anno leggendo l’episodio del miracolo di Cana (Gv 2). Sono centinaia ormai le parrocchie che hanno fatto e ripetono l’esperienza degli Esercizi serali. La gente, anche la più semplice, si reca in chiesa con la Bibbia, prende gusto ad accostare i testi sacri, a passare momenti di preghiera e di silenzio. L’importante è di non approfittare del tempo degli Esercizi per una predica o un’omelia in più.
Termino citando alcune parole scritte da Giovanni Paolo Il in una lettera inviata al presidente della Federazione mondiale cattolica per l’apostolato biblico. Esse esprimono molto bene il senso di quanto ho tentato di dire: «Dando la Bibbia a uomini e donne, voi date Cristo stesso, che riempie coloro che hanno fame e sete della parola di Dio, sazia coloro che hanno fame e sete di libertà, di giustizia… Le mura dell’odio e dell’egoismo, che ancora dividono uomini e donne e li fanno ostili e indifferenti alle necessità dei loro fratelli e sorelle, cadranno come le mura di Gerico, al suono della parola della grazia e della misericordia di Dio». Allargando lo sguardo, il papa aggiungeva: «La Bibbia è anche un tesoro che in larga parte è venerato in comune con il popolo ebraico, a cui la Chiesa è unita da uno speciale vincolo spirituale fin dai suoi inizi. E finalmente questo Libro santo, a cui in un certo modo si riferiscono anche i popoli dell’Islam, può ispirare ogni dialogo interreligioso tra popoli che credono in Dio e, in questo modo, contribuisce a creare, attraverso una preghiera universale e accettabile a Dio, la pace dei cuori per tutti».

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